sabato 19 novembre 2011

giovedì, 12 febbraio 2009

ECCO CHI NON VUOLE LA RIAPPACIFICAZIONE NAZIONALE
ANPI VERGOGNA!!!!!!!!!
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Una profanazione giuridica, storica e morale. E ancora: un’operazione culturale vergognosa ed insidiosa. Questi sono stati i termini riversati dall’Anpi provinciale di Venezia nei confronti della proposta di legge 1360, firmata da 40 parlamentari che, con l’istituzione dell’”Ordine del tricolore”, intendono parificare con medaglia e pensione di guerra tutti i combattenti della seconda guerra mondiale. Per la prima volta, compaiono anche i militanti nella Repubblica sociale. Ieri, nell’aula magna dello Iuav, l’Anpi ha promosso un convegno per stigmatizzare ciò che è stato definito “un subdolo tentativo di revisionismo storico”. «Il momento politico è pericoloso - ha detto il presidente della Provincia Davide Zoggia - con attacchi al presidente della Repubblica ed un premier che liquida il ventennio fascista in “momento storico poco democratico”. C’è differenza fra chi è morto per la libertà di tutti e quanti hanno perso la vita per difendere un regime».
      Marcello Basso, presidente dell’Anpi provinciale, e Renzo Biondo, vicepresidente nazionale di Fiap-Gl, hanno spiegato in dettaglio il disegno di legge che giace in Parlamento, mentre lo storico Ernesto Brunetta non ha avuto mezzi termini nel parlare di guerra civile. «Non dobbiamo temere queste parole - ha detto - peraltro presenti nei documenti del comitato nazionale di liberazione. Soggettivamente dobbiamo considerare i morti con egual pietismo, senza pesare sulla scelta compiuta. Oggettivamente, però, chi ha protetto la repubblica sociale ha difeso un’idea sbagliata, un modello terribile. L’elemento di conciliazione c’è già stato: l’amnistia». «Temo che la faccenda Eluana, gli attacchi a Napoletano e questo disegno di legge - ha aggiunto Amos Luzzatto, presidente del centro studi internazionali Primo Levi - concorrano a creare un disegno politico, di frattura tra le componenti attive del Paese, impedendone quindi il dialogo costruttivo». Infine, il senatore Luciano Guerzoni ha così ammonito la folta platea. «In Italia è in atto un grande tentativo di revisione storica e di attacco alla Costituzione».
     
Tullio Cardona

ONORE PER I SOLDATI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
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ECCO CHI SONO I "DISOBBEDIENTI"QUELLI CHE VOLEVANO IMPEDIRE IL GIORNO DELLA MEMORIA DELLE FOIBE A PADOVA20090130_roma_jpg
Portello, degrado, droga e "disobbedienti". La Squadra Mobile arresta una casalinga, la vicina di casa, il figlio e il grossista albanese
Portello, degrado, droga, con i "disobbedienti" sullo sfondo. Questa la cornice nella quale si colloca l’ennesimo sequestro di droga effettuato dalla Squadra Mobile. Un chilo di eroina e oltre mezzo etto di hascisc. Un quantitativo elevato, che la dice lunga sul ruolo dei quattro arrestati. In carcere sono finiti Estiol Buzi, ventitreenne albanese di Valona, in Italia da quando aveva appena nove anni, domiciliato ad Agna in viale dell’artigianato 53, operaio; Renata Camporese, trentasettenne, residente in via Marzolo 46/6, già nota alle forze dell’ordine per violazione della legge sugli stupefacenti; Elvira Bianco, quarantacinquenne di Torre Annunziata, anche lei abitante in via Marzolo, al 50/1, vicina di casa della Camporese nel quadrilatero dei fabbricati dell’Ater; infine Alfonso Mercurio, ventiseienne figlio della Bianco, simpatizzante del "Pedro", coinvolto nell’aggressione a Enzo Vanzan, padre di Matteo, il lagunare di Camponogara morto in Iraq il 17 maggio 2004 nell’attentato terroristico di Nassiriya, e all’onorevole di An Filippo Ascierto, la sera del 3 novembre 2006, condannato a dieci mesi di reclusione.
      Da tempo gli investigatori diretti dal vice questore Marco Calì sospettavano che Renata Camporese fornisse supporto logistico ai pusher magrebini che spacciano al Portello. Nel 2000 la donna, su un’Opel Corsa assieme al tunisino convivente, incappò in un posto di blocco della polizia nelle vicinanze del Centro Giotto. Nell’auto c’erano cinque grammi di eroina oltre a quattro telefoni cellulari di sospetta provenienza. Nella sua abitazione furono rinvenuti altri tre grammi di eroina, diversa refurtiva nonchè cinque milioni delle vecchie lire.
      Nel corso dell’attività di osservazione ed appostamento, coordinata dal pubblico ministero Federica Baccaglini, i poliziotti hanno notato lunedì pomeriggio la donna partire da casa a bordo della sua Toyota Rav 4 nera assieme alla vicina di casa. Gli agenti le hanno seguite fino all’Ipercity di strada Battaglia. L’auto si è fermata accanto alla corsia di uscita del centro commerciale, con le frecce di stazionamento accese. Dopo qualche minuto, con circospezione, la Camporese è scesa e si è diretta verso l’ingresso del supermercato. Ad attenderla c’era il giovane albanese. Un rapido scambio di parole, poi hanno raggiunto la Hunday Santa Fè dello straniero lasciata nel parcheggio. Saliti in macchina, il giovane ha consegnato alla donna un sacchetto della spesa. A quel punto Renata Camporese ha raggiunto l’amica, ha infilato il sacchetto sotto il sedile di guida, ha riavviato il suv. I poliziotti si sono divisi. Una "civetta" ha seguito le due donne che facevano ritorno in città. Un’altra pattuglia invece ha seguito l’albanese. Estiol Buzi è entrato in autostrada al casello di Terme Euganee ed è uscito a Monselice dove è stato bloccato. Renata Camporese e Elvira Bianco sono state seguite in un percorso tortuoso: via Cavallotti, via Bruno, via Manzoni, via Crescini, via Sant’Osvaldo, via Facciolati, via Gattamelata, via Sografi, finchè in via Nazareth sono state fermate. Il sacchetto è stato recuperato dal sotto il sedile. Conteneva una singolare "spesa": un chilo abbondante di eroina, in pani avvolti in nastro adesivo da pacchi. È scattata la perquisizione. A casa della Camporese, nella camera da letto, è stata rinvenuta una decina di grammi di hascisc. A casa della Bianco, invece, è stato intercettato Alfonso Mercurio che ha tentato inutilmente di nascondere una mattonella di hascisc del peso di mezzo etto. Negativa la perquisizione dell’abitazione dell’albanese.
      I quattro arrestati - difesi dagli avvocati Arnau, Luciano e Cogo - ieri mattina sono comparsi dinanzi al giudice Paola Cameran che ha convalidato l’arresto, riservandosi la decisione sulla misura custodiale in carcere.
     
Gabriele Coltro
     
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mercoledì, 11 febbraio 2009

L ULTIMA BANDIERA MILITARE A POLA
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Sono passati ormai 55 anni, ma quella data mi fa rivivere quel lontano giorno a Pola, nel piazzale della marina, più precisamente nella caserma Bafile dove in quel periodo era di posto il battaglione autonomo Nazario Sauro della DECIMA Flottiglia MAS.

In quel Corpo ho l’onore di essermi arruolato volontario negli ultimi mesi di guerra.

All’imbrunire di quel giorno nel cortile antistante la caserma, fu ammainata per l’ultima volta la bandiera italiana ancora sventolante sulla nostra cara e italianissima città (a Pola non era rimasto più nessuno).

La bandiera fu consegnata ad una persona fidata evitando che cadesse in mano agli occupanti slavi.

Storia di una deportazione
DA POLA A BELGRADO
di Angelo Tomasello
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 DEMENTI COMUNISTI DROGATI
76161f6e199c9a27400ebf8f4a99eb90La commemorazione del Giorno del ricordo infangata dagli scontri tra no-logo e polizia
Il Giorno del Ricordo infangato dai tafferugli sul listòn.
      Un drappello di "no-logo" ha preso di mira i manifestanti (autorizzati) di
Forza Nuova che avevano organizzato un presidio "in ricordo del vero e proprio genocidio perpetrato nei confronti degli italiani trucidati e dei tanti esuli giuliani, istriani e dalmati". La zona era transennata e vigilata dalle forze dell’ordine. Così i disobbedienti se la son presa con la polizia a colpi di petardi, grossi come candelotti, insulti e spinte. La gazzarra è degenerata in scontro aperto con le forze dell’ordine. Una ventina di esponenti del Collettivo di Scienze Politiche ha aggirato il palazzo del Bo, intrufolandosi in via Cesare Battisti. Le transenne sono state scagliate contro lo sbarramento di poliziotti. Inevitabile la carica di alleggerimento. Dal gruppo si è staccato Davide Fontolan, trentunenne (subito fermato), che ha colpito con un diretto al volto un dirigente della Questura.
      L’onorevole Filippo Ascierto parla di «misura colma» e annuncia un’immediata interrogazione parlamentare su quanto accaduto. «A Padova - dice - è ora di cambiare pagina: i pedrini pensano di essere i padroni della città: bisogna dimostrare che si bagliano!»
      Da registrare l’amarezza degli esuli padovani. «La cerimonia del Giorno del Ricordo - commenta Italia Giacca, presidente dell’associazione - è stata vissuta con tanta commozione da parte di noi esuli in un clima di partecipazione e sensibilità da parte delle autorità civili e militari. La cerimonia solenne è avvenuta nel prestigioso salone del Palazzo della Ragione, fuori, purtroppo, si consumavano dei tafferugli. Siamo profondamente amareggiati e tristi perchè questo nostro Giorno del Ricordo è stato inquinato, reso oggetto di strumentalizzazione politica, aspetto avulso dal nostro pensiero. Ribadisco quanto detto nel discorso ufficiale, per noi Giorno del Ricordo non è giorno di polemica, non rivendicazione, non revanscismo, ma solo memoria e dolore: ai nostri morti la pietas e l’onore, a noi esuli il rispetto per la nostra sofferenza».
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martedì, 10 febbraio 2009

10 febbraio,il giorno del ricordo

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 -  C L I C C A    P E R     E N T R A R E    N E L     S I T O   -

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UNA PREGHIERA PER ELUANA
Padre Nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il Tuo nome,
venga il Tuo regno,
sia fatta la Tua volontà,
come in Cielo, così in Terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male. Amen.
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lunedì, 09 febbraio 2009

L ORRORE COMUNISTA
NORMA COSSETTO
Norma Cossetto, una studentessa universitaria istriana, venne torturata, violentata e gettata in una delle tante foibe che caratterizzano il territorio della Venezia Giulia  assieme ad altri 25 sventurati nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. La sua storia è stata spesso considerata emblematica per descrivere i drammi e le sofferenze dell'Istria e della Venezia Giulia
Norma CossettoNorma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni di Santa Domenica di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l'Università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell'Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo "L'Istria Rossa" (Terra rossa per la bauxite).
Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa. Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone. Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici.
Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, quindi gettata nuda nella Foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio urla e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udì, distintamente, invocare pietà.
Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali, su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua tragica fine e quella di suo padre. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, ricuperarono la sua salma: era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate.
Emanuele Cossetto, che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite di armi da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri. Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani, presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che Norma, durante la
prigionia venne violentata da molti.
La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima,nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all'alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra.
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PAOLO VIVE!!!!
Paolo amava il suo quartiere, e proprio in nome di questo amore aveva programmato una battaglia per l'esproprio di Villa Chigi, che voleva far destinare a centro sociale e culturale. Per far partecipare gli abitanti del quartiere a questa battaglia sociale, il 3 febbraio sarebbe dovuta cominciare una raccolta di firme degli abitanti della zona.

Paolo, impegnato in prima persona nell’iniziativa, aveva dedicato gran parte della giornata del 2 febbraio ad affiggere manifesti che la rendevano pubblica.

Dopo una breve interruzione, l'affissione riprese alle 22.00. Durante il percorso non ci furono incidenti, anche se Paolo e la militante che lo accompagnava, notarono alcune presenze sospette. Verso le 24.45 Paolo si accingeva ad affiggere manifesti su un cartellone, situato su uno spartitraffico di Piazza Gondar, di fronte a dove era situata la fermata Atac del 38.

Qui sostavano due ragazzi che, appena Paolo voltò loro le spalle per mettere la colla, si diressero di corsa verso di lui. Uno di loro lo colpì alla testa. Poi sempre di corsa, fuggirono per Via Lago Tana.

Paolo, ancora stordito per il colpo, si diresse alla macchina, da dove la ragazza che lo accompagnava aveva assistito impotente a tutta la scena.

Dopo essersi sciacquato ad una fontanella la ferita, ancora abbondantemente sanguinante, Paolo riportò in sede i manifesti e il secchio di colla. Verso l'1.30, rientrò a casa. I genitori lo sentirono lavarsi i capelli, muoversi inquieto e lamentarsi. Lo soccorsero chiamando un'ambulanza, che però arrivò quando ormai Paolo era già in coma. Solo nella tarda mattinata del giorno dopo, il 3 febbraio (tardi, maledettamente tardi per uno nelle sue condizioni), Paolo venne operato, e gli vennero asportati due ematomi e un tratto di cranio frantumato.
La sera del 9 febbraio, dopo 7 giorni di coma, la solitaria lotta di Paolo contro la morte giunge al termine: alle 20.05 muore.

Un giglio bianco infilato nella fettuccia, omaggio di un’infermiera che aveva saputo che proprio quel giorno Paolo avrebbe compiuto vent’anni, sigilla un’immagine di purezza.
LA GRANDEZZA NON E' MAI VANA.
LE VIRTU' CONQUISTATE NEL
DOLORE E NEL SACRIFICIO
SONO PIU' FORTI DELL'ODIO
E DELLA MORTE.
COME IL SOLE CHE SCATURISCE
DALLE NOTTI PROFONDE PRESTO
O TARDI RISPLENDERANNO!

PAOLO E' VIVO!
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sabato, 07 febbraio 2009

IL VILE ODIO COMUNISTA
A Bologna il treno degli esuli fu preso a sassate
Quelli che vogliono la rimozione dell'intitolazione via Tito
Era una fredda domenica, quella dei 16 febbraio dei '47, quando da Pola s'imbarcò con i sacchi, le pentole, le ultime lenzuola e un piccolo tricolore il quarto convoglio marittimo di esuli. Qualcuno aveva voluto portare con sé le ossa dei morti. Tutti avevano gli occhi rivolti alla città che sempre più rimpiccioliva. "Era come voler trattenere dentro l'incomparabile visione della nostra cittadina. Nessuno poteva immaginare quello che ci attendeva in madrepatria". 
A ricordarlo è uno di quei profughi, Lino Vivoda, allora quindicenne, che s'era imbarcato con i genitori sul piroscafo "Toscana". Una delle tante storie di addio a una terra amata e cancellata per sempre vissuta da chi, a guerra finita, scelse l'esilio per continuare a sentirsi italiano. "Ad Ancona l'impatto fu tremendo. C'era un cordone dell'esercito a proteggerci e tanta gente che scendeva dalla parte alta della città. Noi, dal ponte della nave, agitavamo le mani in segno di saluto, con le bandiere al collo, anche perché faceva freddo, nevicava. E loro rispondevano col pugno chiuso". Possibile che nessuno la pensasse diversamente. che non sentisse fratelli quei "veneti di la de mar"? Uno episodio, toccante ci fu. "Da quella folla vennero fuori in tre, due con la fisarmonica, e cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane. Erano esuli pure loro, accettati per aver combattuto a fianco dei partigiani. Una scena commovente che un po' ci rincuorò. Anche chi ci insultava per un po' smise. 
Da lì partimmo con un lungo treno di vagoni merci la sera di lunedì 17 febbraio, sdraiati sulla paglia, attraverso l'Italia semisepolta dalla neve. Dopo innumerevoli soste in stazioncine secondarie arrivammo a Bologna. Era martedì, poco dopo mezzogiorno. La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato un pasto caldo, atteso soprattutto dai bambini e dai più anziani". Ma dai microfoni "rossi" una voce gridò: "Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione". Poco prima il convoglio, che i ferrovieri chiamavano il "treno dei fascisti", era stato preso a sassate da un gruppo di giovanissimi che sventolavano le bandiere con la falce e il martello. Ci fu perfino chi, per eccesso di zelo, versò sui binari il latte destinato ai bambini già in grave stato di disidratazione. 
Il treno scomparve nella nebbia con il suo carico di delusione e di fame: la meta finale sarebbe stata una caserma di La Spezia. I pasti della Poa nel frattempo vennero trasportati a Parma con automezzi dell'esercito e distribuiti dalle crocerossine. "Vi giungemmo a tarda sera, la gente potè rifocillarsi dopo 24 ore di viaggio. C'erano tanti poveri tra noi, ma per i comunisti i poveri non avevano neanche il diritto di essere poveri". A inquadrare la drammatica vicenda del "treno della vergogna" in un contesto storico più ampio è Guido Rumici, goriziano, ricercatore di Storia ed economia regionale, autore di "Infoibati", "Fratelli d'Istria" e "Istria cinquant'anni dopo il grande esodo" per i tipi di Mursia. "Si trattò di un episodio nel quale la solidarietà nazionale venne meno per l'ignoranza dei veri motivi che avevano causato l'esodo di un intero popolo. Partirono tutte le classi sociali, dagli operai ai contadini, dai commercianti agli artigiani, dagli impiegati ai dirigenti. Un'intera popolazione lasciò le proprie case e i propri paesi, indipendentemente dal ceto e dalla colorazione politica dei singoli, per questo dico che è del tutto sbagliata e fuori luogo l'accusa indiscriminata fatta agli esuli di essere fuggiti dall'Istria e da Fiume perché troppo coinvolti con il fascismo. Pola era, comunque, una città operaia, la cui popolazione, compattamente italiana, vide la presenza di tremila partigiani impegnati contro i tedeschi. La maggioranza di loro prese parte all'esodo".
C'era chi istigava all'odio anche dalle colonne dei giornali. "Tommaso Giglio che allora scriveva per l'edizione milanese dell'Unità e che poi diresse l'Espresso, in quei giorni firmò tre articoli . In uno titolò "Chissà dove finirà il treno dei fascisti?"". Bruno Saggini, fiumano, residente a Bologna, unica città italiana in cui, fino a pochi anni fa, non esisteva una sola via dedicata all'Istria e alla tragedia dell'esodo, sottolinea la forte valenza ideologica di episodi come quello dei treno. "Gli attivisti di sinistra non capivano che gli italiani abbandonavano in massa le loro terre d'Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla snazionalizzante dittatura slavocomunista. Chi aveva fatto questa scelta doveva per forza essere etichettato come fascista".
articolo di Gian Aldo Traversi
tratto da "Dossier" suppl.del Quotidiano Nazionale
settembre 2004 "Il tricolore a Trieste"
 
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venerdì, 06 febbraio 2009

Un fiocco per il ricordo

n782696718_9370.jpgMOBILITAZIONE DI IDENTITARIO.ORG PER L’ESIBIZIONE, SU FACEBOOK, DEL FIOCCO TRICOLORE, IN RICORDO DEI MARTIRI DELLE FOIBE! I promotori del progetto Identitario.org (www.identitario.org), e le Comunità Militanti aggregate, lanciano l’iniziativa “un fiocco per il ricordo”.
Tale iniziativa è rivolta agli utenti Facebook per ricordare e commemorare tutti i fratelli italiani barbaramente trucidati dal regime comunista jugoslavo di Tito al termine della Seconda Guerra Mondiale.
“Dopo decenni di vergognoso silenzio, - dichiarano i responsabili della Giovane Destra Identitaria - è giunta nel 2004 una Legge che riconosce il 10 febbraio come “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, dei fiumani e dei dalmati.”.
“Nonostante tutto questo, però, - continuano i promotori di Identitario.org - ancora troppo poco si sa di questa vergognosa ed insanguinata pagina di storia. Poca informazione da parte dei media! Poca attenzione dedicata dai programmi scolastici! Per tutta questa serie di motivi abbiamo quindi deciso di lanciare alcune iniziative su scala nazionale, tra cui una prettamente su internet. Le Comunità Militanti aderenti al nostro progetto, infatti, oltre a mobilitarsi sul proprio territorio con numerose manifestazioni e convegni, hanno deciso di invitare gli utenti Facebook ad esibire, fino al 10 febbraio, il famoso “fiocco tricolore”, simbolo di questa giornata. Quanti più fiocchi compariranno per ricordare, tanto più saranno le persone che vorranno informarsi sulla tragedia che migliaia di italiani hanno vissuto in quei giorni a causa del maresciallo Tito!”.

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