sabato 29 settembre 2012

Quattro suicidi in una settimana: è un
settembre nero per gli imprenditori

L'ultimo un 49enne di Bassano che si è sparato in azienda
Decine di chiamate in tre mesi al numero verde regionale

di Marco Gasparin
Carabinieri a Padova davanti al luogo del suicidio dell'odontotecnico (Candid Camera)
VENEZIA - Morire per crisi. È un settembre nero per gli imprenditori veneti. Il picco di suicidi tra maggio e giugno aveva già destato grande allarme, l'estate poi sembrava aver portato una tregua, ma con la riapertura delle aziende il fenomeno si ripropone in tutta la sua drammaticità.

Le ultime storie sono quelle dell'imprenditore Antonio Maria Pedrazzoli, 49enne, che ieri si è tolto la vita nella sua ditta a Bassano del Grappa (Vicenza) con un colpo di pistola e quello di
un odontotecnico di 58 anni, F.L., che si è sparato a Padova. Prima di loro due casi in due giorni. Martedì era stato un artigiano a togliersi la vita nel Veneziano, a Noale, Raffaele Rubinacci, 52 anni. Poche commesse, difficoltà di farsi pagare per i lavori già svolti, così i debiti crescevano assieme all'angoscia. La compagna l'ha trovato impiccato rientrando a casa.

Il giorno prima a uccidersi con un colpo di fucile al petto
un impresario edile di Campagna Lupia (Venezia), 47 anni, Livio Andreato. Era sconvolto dal fatto di dover lasciare la casa dei genitori, venduta per far fronte ai creditori. Ha anche tentato di far saltare in aria l’edificio saturandolo col gas.

Il gesto di Antonio Maria Pedrazzoli ha scosso tutta Bassano del Grappa, dove la famiglia è molto conosciuta e la Pedrazzoli Ibp spa - che fabbrica macchinari per il taglio e la lavorazione di tubi e profilati - è una presenza che risale al 1948. Alle 4.30 la sua auto ha varcato i cancelli della sede della ditta a Bassano. Sceso dalla vettura, ha percorso le stanze buie e silenziose fino ad arrivare al suo ufficio. Si è seduto alla scrivania e ha preso carta e penna, scrivendo alcune righe di addio. Poi ha impugnato la pistola 357 Magnum che portava con sé e l'ha puntata alla testa. Il tempo di un ultimo sguardo attorno e ha tirato il grilletto. Nessuno ha sentito il colpo. Il cadavere è stato trovato da un'impiegata tre ore più tardi, alle 7.30.

Da quanto si è appreso il biglietto lasciato da Pedrazzoli - che è all'esame dei carabinieri - faceva riferimento a problemi familiari. Minore di tre fratelli, Antonio Pedrazzoli lascia l'ex moglie e due figli. Chi lo conosce lo descrive come un uomo schivo, molto riservato. Negli ultimi anni passava lunghi periodi in Slovacchia, dove c'è la filiale dell'azienda. Chi gli stava vicino si rammarica di non aver colto segnali del malessere che covava dentro, del peso con cui da chissà quanto tempo conviveva.

Il suicidio di Pedrazzoli ha preso tutti di sorpresa. Ma i segni sono difficili da decifrare, forse di più quando si tratta di persone che guidano un'azienda, come ha rimarcato lo psichiatra Paolo Crepet in un recente convegno: per un imprenditore «è difficile ammettere le proprie fragilità o rivolgersi a uno psicanalista, nel timore che questo significhi perdita di autorevolezza o capacità di comando».

Nella notte di ieri un altro colpo di pistola ha messo fine a una vita, quella di F.L., odontotecnico 58enne. Si è sparato poco lontano da casa, in una stradina isolata vicino ad un campo di proprietà sua e della sorella, che avevano messo in affitto tre mesi fa. A preoccuparlo erano le rate di un mutuo di circa 200mila euro che aveva contratto per allargare e sviluppare il suo laboratorio. Le rate inferiori ai 2.000 euro al mese gli erano sembrate abbordabili, ma con la crisi e la diminuzione del lavoro faceva sempre più fatica a pagare. Così ha preso in mano una pistola, si è appoggiato al colonnato d'ingresso di una villa e l'ha fatta finita.

«Perdonatemi per quello che ho fatto», ha lasciato scritto nell'ultimo biglietto ai familiari, nel quale ha chiesto scusa alla moglie e anche raccomandato ai tre figli di «non fare il passo più lungo della gamba».

Per dare ascolto al disagio degli imprenditori ai primi di giugno è diventato operativo il numero verde anti-suicidi (800334343) messo a disposizione dal Veneto. In tre mesi gli operatori hanno ricevuto decine di chiamate e preso in carico 50 imprenditori. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha insistito nel ricordare come la Regione, il suo sistema sanitario ed servizi alla persona siano «a disposizione degli imprenditori, delle loro famiglie e di tutti i cittadini in difficoltà per fronteggiare uniti le ripercussioni della crisi economica».
http://www.gazzettino.it/nordest/primopiano/quattro_suicidi_in_una_settimana_un_settembre_nero_per_gli_imprenditori/notizie/222076.shtml

mercoledì 26 settembre 2012

Blocco Studentesco: "No al Governo dei Baroni". Oggi la mobilitazione nazionale contro
Monti e spending review

In decine di città gli studenti in piazza in difesa del proprio futuro, contro le misure antisociali del governo dei poteri forti
speculazione finaziaria internazionale".
Roma Tor Vergata

Corteo sotto sede Governo a Roma
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L'Aquila, polo scolastico
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Prato Università
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Foligno (PG)

Folgino (PG)
Salerno - Cava de' Tirreni
Frosinone
Arezzo
Riva del Garda

Roma, 26 settembre - Cortei, scioperi, occupazioni, blitz, flash mob. In più di 20 città, da Roma a Milano, passando per Bolzano, Torino, Bologna, Napoli, l'Aquila, Lecce, Palermo e molte altre, si è svolta la giornata di mobilitazione nazionale del Blocco Studentesco per dire "no al Governo dei Baroni". "Quella che Monti ha definito la 'generazione perduta' - spiega Rolando Mancini, coordinatore nazionale del Blocco Studentesco - oggi ha voluto dimostrare di non essere disposta ad accettare i dettami di un governo illegittimo e al servizio dei poteri forti, di non voler credere che misure come una spending review che colpisce scuole e università, ennesimo atto di distruzione sistemica dello Stato sociale e di perdita di sovranità nazionale, siano nell'interesse del popolo italiano e in particolare dei più giovani. Per questo oggi la 'generazione perduta' ha voluto dare il suo 'assalto al futuro'; un futuro dove non permetteremo l'esistenza di università private riservate a pochi privilegiati, dove la scuola pubblica sarà considerata un punto di forza, dove non ci saranno ministri come Profumo espressione di banche e poteri forti, dove sarà la giovinezza a decidere del proprio destino e non una banda di vecchi prezzolati al servizio della speculazione finaziaria internazionale".
Indignati contro il governo Rajoy Notte
di scontri a Madrid






Il bilancio della giornata è stato di 64 feriti, tra cui un agente di polizia, e 35 arrestati. La protesta per denunciare "il sequestro della democrazia" e i tagli decisi dalle politiche di austerity del governo

Si è concluso con un bilancio di 64 feriti e 35 arresti la manifestazione di protesta di migliaia di 'indignados' ieri sera a Madrid. Migliaia di persone si erano concentrate dinanzi al Congresso dei deputati spagnoli per denunciare "il sequestro della democrazia" e i tagli decisi dalle politiche di austerity del governo. Gli organizzatori volevano avvicinarsi alla 'camera bassa' del Parlamento, riunita in seduta plenaria. Nei momenti di maggiore tensione la polizia ha caricato i manifestanti e sparato proiettili di gomma nella centralissima piazza di Nettuno. Oggi è prevista una nuova manifestazione alle 19. 
Al grido di 'No nos rapresentan!' e 'La voce del popolo non e' fuorilegge', almeno 10mila persone - le autorita' ne hanno stimate 6mila - hanno marciato nel pomeriggio verso ilParlamento per esigere le dimissioni del governo, lo scioglimento delle Camere e l'inizio di un processo costituente. Due i cortei partiti alle 17 da Atocha e da Piazza di Spagna, per confluire alla Carrera de San Jeronimo, protetta dalla vigilia da un triplo cordone di agenti in assetto anti-sommossa e a cavallo e vigilata dall'alto dagli elicotteri.
La protesta si è svolta senza incidenti nelle prime ore del pomeriggio. Poi, intorno alle 19,00, le cariche della polizia quando, dalla marea in crescendo, concentrata in plaza Neptuno, si sono sganciati alcuni drappelli di manifestanti per rimuovere le transenne che sbarravano il passaggio alla sede della Camera, riunita in  sessione plenaria. Obiettivo della manifestazione, convocata nelle reti sociali dal coordinamento 25-S, era cingere in maniera simbolica Il Parlamento e "salvare" la sede della sovranità popolare dal "sequestro compiuto dalla Troika e dai mercati finanziari, realizzato in collaborazione con la maggioranza dei partiti politici".
Gli organizzatori avevano diffuso un manuale di "resistenza pacifica", con l'indicazione dei commissariati di zona e gli avvocati di guardia, ai quali rivolgersi in caso di scontri e fermi. La prefettura aveva autorizzato la manifestazione fino alle 21,30, ma l'intenzione dei manifestanti era di non muoversi "fino a quando non sarà andato via anche l'ultimo dei deputati". Nel cuore della notte, però sono stati sgombrati.

http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/1084870/Indignati-contro-il-governo-Rajoy--Notte-di-scontri-a-Madrid.html
Fiorito in pensione a 50 anni con 4mila
euro al mese Dall'inchiesta spunta che
gli pagavamo pure il mutuo della villa

E dalle carte dell'inchiesta spunta che con i soldi della Regione ha pagato anche il mutuo della sua villa






A differenza dei parlamentari, ai consiglieri regionali del Lazio basta un giorno di consiliatura per assicurarsi la pensione. O meglio una superpensione. Grazie a una legge del 1995 approvata dalla Pisana tutti gli eletti dell'assise più "scandalosa" d'Italia si sono assicurati una vecchiaia da nababbi. E così Batman-Fiorito tra nove anni, quando festeggerà il mezzo secolo, riceverà come regalo da tutti noi contribuenti qualcosa come 4mila euro al mese.
I calcoli li ha fatti il radicale Giuseppe Rossodivivo insieme a Rocco Berardo della Lista Bonino-Pannella. La legge, spiegano al Giornale, prevede "come base di calcolo l'80% dell'indennità parlamentare (5.200 euro netti) più il 100% della diaria (altri 3.500). Il vitalizio si ottiene poi a seconda degli anni di consiliatura. Per chi ha fatto il minimo, cioè 5 anni, siamo al 35% della base, quindi si aggira sui 3 mila euro al mese. Ma Franco Fiorito ha già fatto la precede legislatura, quindi gli spetta il 40% (quindi circa 4mila euro al mese). Il diritto matura a 55 anni di età, ma rinunciando a una piccola percentuale si può anticipare a 50 anni. Chi invece non è riuscito a finire la consiliatura può pargarsi i due anni e mezzo di contributi mancanti e il vitalizio è fatto.
Fiorito, però non si accontenta della pensione a spese nostre. Con i 40-50 mila di euro che portava a casa, scrive Repubblica, ogni mese pagava il mutuo della villa a San Felice Circeo (pagata 800 mila di euro di cui 200 mila in nero).
Questi sulla carta dovrebbero essere gli ultimi consilieri miracolati. Dovrebbero. La legge del 2011 che taglia i vitalizi dovrebbe riguardare i prossimi eletti, ma ancora non è stata fatta, denunciano i radicali dal Giornale, una legge sostitutiva e difficilmente si farà. Quindi l'unica legge in vigore sui vitalizi è quella del 1993, così come quella per i contributi sui finanziamenti ai gruppi.


TEODORO BUONTEMPO





FONDI PDL: BUONTEMPO, DESTRA DEI VALORI È STATA LIQUIDATA
(ANSA) - ROMA, 26 SET - «È scomparso quel partito che metteva al centro la questione morale. An ha avuto l'ossessione di entrare nei salotti di Roma. Il giovane De Romanis, quello della festa con i maiali e le ancelle, ha dato la risposta più vera: 'Nessuno ci ha detto che con i soldi dei gruppi non potevamo fare certe cosè. Ecco: chi non ha alle spalle la militanza finisce per non sapere che cos'è l'etica in politica». Lo dice a Repubblica Teodoro Buontempo, assessore della giunta Polverini per le Politiche della Casa e presidente de La Destra. Con Franco Fiorito, spiega, «abbiamo fatto un percorso comune ma non ci siamo incrociati più di tanto. Lui si ricorda di me, io non mi ricordo di lui». «Devo tornare indietro - aggiunge, - ai motivi per cui io e Storace ce ne siamo andati da An e non siamo entrati nel Pdl. Lanciammo l'allarme, sentivamo il puzzo della questione morale, la trasformazione del Dna, dal partito dei diritti sociali al partito del potere. Quando scompare la comunità politica di riferimento, non ci sono freni. Almirante ci diceva: 'Se ci sono i ladri, vanno puniti severamente e se sono dei nostri vanno puniti due voltè».(ANSA).

martedì 25 settembre 2012

 


 
 
MANI PULITE
 
 
Foto: "In un momento in cui lo sport nazionale sembra esser diventato il gettar fango su tutto e tutti, senza nessun discrimine, io mi sento profondamente orgogliosa del mio Partito, La Destra di Francesco Storace.

Si  cerca di buttare tutto nel calderone della malapolitica!

Ci provano tanto i professionisti del mestiere, quanto qualche insignificante politicante da tastiera.

Ma, poveri loro, non riusciranno nel loro obiettivo.

Chi ha sbagliato, chi ha abusato, chi ha tradito coloro che aveva l’onore di rappresentare nelle Istituzioni deve pagare molto duramente.

 Ma devono pagare tutti i colpevoli.

 Deve essere usato lo stesso metro di giudizio per tutti, a cominciare da chi sta al Governo ed ha un ministro indagato per frode fiscale.

Ognuno paghi per ciò di cui è responsabile. Diversamente si cadrebbe nell’ingiustizia totale.

Il gruppo consiliare de La Destra alla Regione Lazio ha utilizzato ogni singolo euro a sua disposizione per il funzionamento dello stesso, per l’attività politica, per raggiungere ogni parte del territorio laziale al fine di far conoscere le iniziative e le attività politiche svolte in Consiglio e nelle Commissioni.

Chi fa politica sa bene che quei soldi non sono che una minima parte di quanto è stato necessario tirar fuori ( dalle tasche personali) per tenere in piedi un partito.

Certo, questo non può saperlo, o fa finta di non saperlo, chi pensa che l’attività politica sia smanettare dietro ad un pc.

 Per Francesco Storace e Roberto Buonasorte  niente ostriche e champagne, niente SUV, niente coca e trans, niente tangenti, nessun lusso, ma solo tanto lavoro e tanti sacrifici.

Grazie a Dio la buona politica ancora c’è!

Di questo non c’è che essere orgogliosi. Ed io lo sono.

Noi possiamo camminare a testa alta.

Noi si che  ancora “possiamo  guardarTi negli occhi”."
MONICA NASSISI
 
 
 
"In un momento in cui lo sport nazionale sembra esser diventato il gettar fango su tutto e tutti, senza nessun discrimine, io mi sento profondamente orgogliosa del mio Partito, La Destra di Francesco Storace.
Si cerca di buttare tutto nel calderone della malapolitica!
Ci provano tanto i professionisti del mestiere, quanto qualche insignificante politicante da tastiera.
...
Ma, poveri loro, non riusciranno nel loro obiettivo.

Chi ha sbagliato, chi ha abusato, chi ha tradito coloro che aveva l’onore di rappresentare nelle Istituzioni deve pagare molto duramente.
Ma devono pagare tutti i colpevoli.
Deve essere usato lo stesso metro di giudizio per tutti, a cominciare da chi sta al Governo ed ha un ministro indagato per frode fiscale.
Ognuno paghi per ciò di cui è responsabile. Diversamente si cadrebbe nell’ingiustizia totale.
Il gruppo consiliare de La Destra alla Regione Lazio ha utilizzato ogni singolo euro a sua disposizione per il funzionamento dello stesso, per l’attività politica, per raggiungere ogni parte del territorio laziale al fine di far conoscere le iniziative e le attività politiche svolte in Consiglio e nelle Commissioni.
Chi fa politica sa bene che quei soldi non sono che una minima parte di quanto è stato necessario tirar fuori ( dalle tasche personali) per tenere in piedi un partito.
Certo, questo non può saperlo, o fa finta di non saperlo, chi pensa che l’attività politica sia smanettare dietro ad un pc.
Per Francesco Storace e Roberto Buonasorte niente ostriche e champagne, niente SUV, niente coca e trans, niente tangenti, nessun lusso, ma solo tanto lavoro e tanti sacrifici.
Grazie a Dio la buona politica ancora c’è!

Di questo non c’è che essere orgogliosi. Ed io lo sono.

Noi possiamo camminare a testa alta.

Noi si che ancora “possiamo guardarTi negli occhi”."
MONICA NASSISI
 
tratto da LA DESTRA SARDEGNA.

domenica 23 settembre 2012


Roccaro ( Fiamma Tricolore Siracusa) rievoca una pagina di Storia Siciliana dimenticata: I Moti dei “Non si parte” e la Repubblica Indipendente di Comiso

 

Si  commemorano da 50 anni le azioni partigiane  e l’8 Settembre 1943 con tanto di monumenti, lapidi ed onorificenze militari, tuttora conferite, ma nessuno, o quasi, ricorda invece l’ostilità della gente del Sud verso gli  invasori alleati e nessun testo di storia o cerimonia pubblica ricorda che sessanta sette anni fa, una cittadina siciliana si autoproclamò “Repubblica fascista” indipendente dalla Corona d’Italia e di conseguenza svincolata dal governo Badoglio allora insediato in quel di Brindisi. Era Comiso, in provincia di Ragusa, un abitato assai antico che si rifà alla remota Casmene, fondata dai greci nel 643 a.C. sulla direttrice Agrigento Siracusa, in quel quadrilatero dell’Isola, cioè, che diede del filo da torcere sia alle scarse truppe badogliane, sia a quelle ben più consistenti dei così detti “Alleati”, per le sue turbolenze politiche di stampo fascista. Vero: non ci fu qui guerriglia armata, ma solamente  ostilità e propaganda patriottica. Ciò per volontà precisa di Mussolini, che volle escludere il fratricidio della lotta civile e il rischio di rappresaglie anglo-americane. Volontà espressa alla Principessa Maria Pignatelli di Cerchiara, che attraversò i fronti, prima per venire a colloquio col Duce, poi per rientrare a Napoli e comunicare al marito Valerio le direttive ricevute. Furono perciò riannodati clandestinamente i gruppi delle “Guardie ai Labari”, costituiti dal P.N.F. dal 1943 in previsione di sbarchi nemici. Responsabili dei gruppi furono, in Sicilia, Santagati, Russo e d’Alì,  mentre per la Calabria l’avv. Luigi Filosa ed, infine, l’avv. Nando di Nardo per Napoli. L’economia sempre più disastrata; l’inflazione galoppante, con le amlire stampate dal governo militare Alleato; il ritorno  al  potere della  dirigenza prefascista, che era stata spazzata dal fascismo;  il blocco dei salari; ed, infine,la riduzione del pane da 300 a 200 grammi, favorendo il mercato nero, fecero il gioco dell’attività di questi gruppi. Ma, appena fu firmato l’armistizio di Cassibile tra il governo Badoglio e gli Alleati anglo-americani, l’attività clandestina fascista ebbe un notevole impulso: gruppi clandestini fascisti sorsero spontaneamente un po’ dappertutto e mentre al Nord, costituendosi la RSI, migliaia di volontari si presentarono alle armi, nelle terre invase del Mezzogiorno la lotta clandestina fu avviata con lo stesso rabbioso stato d’animo, pur tra mille difficoltà e superando proibitivi ostacoli di comunicazioni, assoluta mancanza di mezzi, persecuzioni e  sfidando bandi dell’invasore che comminavano la pena di morte per i sabotatori e per i detentori di armi. Da più parti si tentò e talvolta si riuscì a prendere contatto con la RSI, passando clandestinamente le linee. Furono scoperti imbarcazioni a motore MAS che stavano effettuando la traversata del Tirreno partendo dalla Sardegna per approdare sulle coste della RSI.

 Ma vediamo, anzitutto, la cornice di questa per molti aspetti incredibile vicenda bellica. Ben pochi sanno, e le rievocazioni storiche solitamente di parte non hanno certo aiutato a diffonderne le cronache e nemmeno il ricordo, che l’insorgenza fascista nel Mezzogiorno d’Italia si manifestò all’indomani del 25 luglio 1943 che defenestrò Benito Mussolini dalla carica di Capo del Governo. Furono dapprima moti spontanei, spesso improvvisati, sempre volontaristici; in seguito, vennero incanalati e organizzati da personaggi che avevano ricoperto cariche di rilievo provinciale nelle strutture del Regime, ma anche da emissari del Partito Fascista Repubblicano di Alessandro Pavolini, giunti direttamente al Sud della Penisola dalla Repubblica Sociale Italiana. La Sicilia in particolare, dove più serpeggiavano velleità separatiste mentre la “mafia di campagna” sgominata dal “Prefetto di ferro” Cesare Mori, rialzava la testa, in ciò aiutata dai “picciotti” italo-americani sbarcati al seguito delle truppe statunitensi. Sulle prime si trattò di una resistenza al limite del velleitarismo con vistose punte di goliardia; e di fatti, coloro che si ribellarono in quei giorni all’arresto del Duce del Fascismo e la conseguente inevitabile implosione della complessa architettura del Regime, risultarono essere, almeno nelle fasi iniziali, studenti di liceo o tutt’al più di università, tutti dunque assai giovani. Cominciarono a diffondere volantini vergati a mano, poi a tracciare scritte sui muri, gli uni e le altre inneggianti al Duce e al Fascismo; infine ci fu una sorta di “salto di qualità”, ma sempre senza neanche un simulacro di organizzazione magari soltanto paramilitare, con alcuni episodi di sabotaggio alle linee elettriche, ai collegamenti telefonici, ai binari ferroviari e perfino agli autocarri militari “Alleati”. Soltanto all’indomani dell’8 di settembre, quando automaticamente fu sciolto il vincolo fra il potere regio e il popolo, l’insorgenza fascista acquistò sostanza e organicità, radicandosi anzitutto sul territorio e dunque sfruttando il malanimo, il risentimento e la collera della gente, contro i Savoia e gli alti Comandi militari. Furono organizzate manifestazioni di piazza per protestare contro la mancanza di viveri e la carenza di trasporti, ma la “svolta” si ebbe con le dimostrazioni contro la chiamata alle armi.  Sul finire del 1944, scoppiava in molte città della Sicilia una rivolta contro la chiamata di leva alle armi delle classi 1922-1923-1924, voluta dal governo di Pietro Badoglio, per combattere contro la Germania e la R.S.I. (la Repubblica Sociale Italiana). La rivolta veniva alimentata da voci diffuse sulla probabilità che i coscritti di leva potessero essere inviati addirittura a combattere in Estremo Oriente per sostenere gli interessi anglo-americani. Sui muri delle città comparvero le scritte: “Non presentatevi”, “Presentarsi significa servire i Savoia”. Ebbero così inizio i cosiddetti Moti dei “Non si parte”. Dopo essere stato assediato dai dimostranti, il prefetto di Palermo, Pampillonia, richiese l´intervento del Regio Esercito, e così il 19 ottobre 1944 si scatenò la repressione dei soldati della Div. Sabaudia, che spararono contro la folla in dimostrazione alla prefettura di Palermo al grido: “Pane, lavoro”; la repressione del Regio Esercito provocò la morte e il ferimento di molte persone.
A pieno diritto la gente negava la fiducia al regno del Sud, rappresentato da una monarchia e da un governo (il governo Badoglio) che il 25 luglio avevano proclamato “la guerra continua”, l’8 settembre con la firma dell’Armistizio di Cassibile (Siracusa) avevano portato l’Italia fuori dall’Asse affianco della Germania, e che il 9 erano fuggiti a Brindisi sotto la protezione degli angloamericani, abbandonando Roma e, soprattutto, lasciando allo sbando e prive di notizie certe le forze armate italiane, le quali apprendono il 13 ottobre di non essere più alleate con la Germania ma, anzi, di combattere contro di essa. Così a Chiaramonte Gulfi iniziarono quelle manifestazioni, esplose poi a Comiso con testarda gagliardia. Si scriveva sui muri e si ripeteva in improvvisati comizi: “Non presentatevi”, “Presentarsi significa servire i Savoia”, “Non vogliamo andare contro i fratelli del Nord”. A Catania, il cui municipio venne dato alle fiamme da una folla inferocita, Noto, Naro, Piana degli Albanesi, Ramacca,  Giarratana, Modica, Scicli, ecc.  Anche le forze di polizia inviate furono disarmate e respinte. Il 6 gennaio 1945 la rivolta di Ragusa si diffuse ai paesi limitrofi: Vittoria, Acate, Santa Croce Camerina, Chiaramonte. Nella zona ragusana furono registrati duri moti di piazza con relativi assalti a uffici pubblici e perfino alle Stazioni dei reali Carabinieri, come accadde in quel di Giarratana, sempre nella provincia di Ragusa. In breve, i disordini di piazza dilagarono anche nell’Agrigentino, con scontri a fuoco tra le truppe dell’Esercito regio e i dimostranti che non erano peraltro soltanto fascisti, anche se questi ultimi prendevano spesso l’iniziativa e il comando delle manifestazioni di protesta; si contarono numerosi i morti ed i feriti, tutti fra i civili. Ormai era emergenza e da Siracusa come da Gela mossero reparti di fanteria in assetto di guerra che impegnarono gli insorti nelle varie località della provincia, riuscendo dopo aspri combattimenti a riprendere il controllo della situazione. Dovunque, fuorché a Comiso. Rinserrata nelle sue mura medievali, la cittadina respinse i militari e le profferte di tregua dai loro ufficiali avanzatele. Ripresa Ragusa dai governativi “Badogliani” dopo dura battaglia, Comiso divenne il centro di questi scenari insurrezionali, tanto che il 6 gennaio 1945 i fascisti, guidati dall’Ing. Carrara, dichiararono la repubblica indipendente dal governo regio con ordinamenti di chiara ispirazione fascista. Fu proclamata la Repubblica di Comiso retta da un governo popolare, con tanto di comitato di salute pubblica, squadre per l’ordine interno e distribuzioni di viveri a prezzi di consorzio, impossibilità di lasciare la città, pena di morte per i ladri. Comiso visse così per una settimana la sua indipendenza; il 6 gennaio furono respinti 10 autocarri militari e una littorina da Palermo con 70 carabinieri. Respinta altra littorina l’8 gennaio. Occupato l’aeroporto. Da Roma Bonomi telegrafò ad Aldisio: “Azione per stroncare definitivamente sedizione deve essere condotta a fondo e senza alcuna incertezza”. L’11 gennaio il Gen. Brisotto circondò la città. I bombardieri inglesi sono pronti a Licata per bombardare. “Se Comiso non si arrenderà, sarà distrutta”. Intervenne allora la popolazione e, tramite il clero, si arrivò alla resa. Queste le condizioni: deporre le armi, nessuna rappresaglia. Fu illusione: arrivò ugualmente, puntuale, la vendetta badogliana: quasi trecento insorti, la maggioranza dei quali fascisti riconosciuti e schedati, furono incatenati e trasferiti nell’isola di Ustica, dov’era stato approntato un altro campo di concentramento. Erano coloro i quali avevano dotato la “Repubblica autonoma fascista di Comiso” di ordinamenti, norme, decreti e regolamenti ispirati alla legislazione della Repubblica Sociale Italiana. Era l’11 gennaio del 1945. Dietro i reticolati del campo di prigionia savoiardo, i trecento insorti rimasero fino all’anno successivo quando, sul finire del conflitto mondiale, venne decretata l’amnistia (nel 1946 con la proclamazione della Repubblica italiana). Ma prima dei provvedimenti di clemenza che chiusero la pagina dell’ insorgenza fascista nel Mezzogiorno d’Italia, ci fu un ulteriore “giro di vite” contro i fedeli mussoliniani che, spesso a rischio della vita e sempre sfidando pericoli e persecuzioni, mantennero alta la bandiera della fedeltà. Benito Mussolini, presidente, de facto, della Repubblica Sociale Italiana, conferì la medaglia d´argento alla Repubblica Indipendente di Comiso. Mussolini non voleva spargimenti di sangue italiano perciò a Valerio Pignatelli furono date chiarissime istruzioni di “non spargere sangue fraterno sul sacro suolo della Patria”.  Mussolini volle sempre evitare spargimento di sangue fraterno e bloccò sul nascere lo scoppio della guerra civile nel Sud. Peccato che nessun testo di storia o cerimonia pubblica ricordi questi episodi di eroismo, di fedeltà alla patria e di morte. Anche questa è storia, sia pure locale, ma inserita in un contesto storico – politico generale.
Prof. Pietro Roccaro
Responsabile  Provinciale   
Dipartimento  Scuola e Cultura
Federazione  Provinciale  Siracusa
MSI – Fiamma Tricolore

giovedì 20 settembre 2012

Delitto di Lignano/ «I due fratelli hanno provato piacere nel torturare le vittime»

La criminologa Roberta Bruzzone: «C'è stata una lunga fase
di sevizie sui coniugi Burgato e nessun segno di pentimento»

 
La criminologa Roberta Bruzzone e, a destra, Lisandra Rico, rea confessa
UDINE - «Gli assassini hanno provato piacere nel torturare le loro vittime». È l'analisi della nota criminologa Roberta Bruzzone, professionista che si è occupata dei più importanti casi di cronaca nera in tutta Italia. «Non si spiega, altrimenti, la lunga fase delle sevizie ai coniugi Burgato. Molto tempo è stato speso nell'infierire sulla coppia di anziani e poco, o nullo, quello dedicato a rovistare la casa alla ricerca di denaro e beni di valore. Una persona non si prende la briga di torturarne un'altra per un così lungo lasso di tempo se non ne trae piacere. Forse un piacere inaspettato, che credeva di non provare in una situazione simile».

Per la criminologa un delitto del genere, con le caratteristiche messe in evidenza finora, e con finalità di rapina, non ha precedenti, in Italia. «Violenze tanto efferate si riscontrano, invece, più spesso, nel mondo criminale delle bande dei Balcani. Non a caso, inizialmente, l'indagine era stata orientata anche in quella direzione».

Lisandra e Reiver Rico sono due persone pericolose: «lo erano prima di commettere il delitto e lo sono anche adesso. La ragazza non ha mostrato alcun segno di pentimento e non ha manifestato una reazione emotiva particolare, dopo gli omicidi: ha continuato ad aggiornare la sua pagina facebook, ad esempio, anche con commenti di tipo divertente».

I due giovani fratelli, inoltre, non potevano pensare di non essere riconosciuti, per i loro tratti somatici e la stazza di lui, che non passa inosservata: «È un delitto spietato, con elementi di premeditazione anche nella fase omicida. C'è stata senza dubbio un'escalation e un qualcosa che ha galvanizzato uno dei due fratelli, o entrambi. E che si è concretizzata poi nella mattanza, quasi dimenticando la finalità della rapina, il soldi. Credo non siano fuggiti subito dall'Italia dopo gli omicidi proprio per mancanza di contante».

Nella coppia criminale, che non è così infrequente, la Bruzzone spiega esserci di norma un soggetto dominante, che è anche il più disturbato, e uno soggetto gregario: «in questo caso mi sento di poter dire sia la ragazza ad aver ricoperto il primo ruolo». Persone comunque poco esperte, che hanno lasciato un'enorme mole di tracce sul luogo del crimine. «Possono aver compiuto l'efferato delitto tranquillamente da soli, nella villetta, come dimostrerebbero i profili di dna rinvenuti sulla scena. Il ragazzo, da solo, poteva avere la meglio su una coppia inerme di persone di una certa età, che avranno opposto poca o scarsa resistenza. Ciò non esclude l'appoggio di terzi per gli spostamenti o altro tipo di aiuto».
http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=220450&sez=NORDEST

Le carte di Fiorito ai pm: i ladri sono otto

Dall'ex capogruppo accuse alla presidente e ai vertici. C'era chi andava a donne, chi si faceva pagare le vacanze, chi organizzava festini. Due casse di documenti, 109 bonifici

ROMA - La linea di difesa è quella dell'attacco frontale contro i colleghi di partito. Così Franco Fiorito cerca di tirarsi fuori dall'inchiesta sulle ruberie da milioni di euro alla Regione Lazio. E di fronte ai magistrati che gli contestano il reato di peculato per aver usato a fini personali i fondi destinati al Pdl, afferma: «Se ho sbagliato pagherò per gli errori, ma io non ho rubato. I ladri sono altri».

Franco Fiorito ad un convegno del Pdl romano Franco Fiorito ad un convegno del Pdl romano
Poi consegna due scatoloni di documenti
su otto consiglieri del suo stesso partito e un memoriale che serve a rilanciare su di loro accuse pesantissime sulla destinazione del denaro. Ma punta anche ai vertici e quando parla del «sistema» che aveva fissato le regole per la spartizione dei fondi si concentra sul presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese, sul segretario Nazzareno Cecinelli e sulla stessa governatrice Renata Polverini.
Una foto di Fiorito dal suo profilo su Facebook Una foto di Fiorito dal suo profilo su Facebook
Nel dossier che rischia di provocare
conseguenze devastanti sulla Regione, sulla giunta e sull'intero consiglio regionale, Fiorito ha inserito lettere e mail ricevute dai consiglieri, richieste di soldi e raccomandazioni. E poi decine e decine di fatture che ha saldato quando era tesoriere e, dice adesso, «erano per la maggior parte false».
Con sé ha portato casse di documenti per giustificare le elargizioni a pioggia che secondo il suo legale Carlo Taormina «servivano a soddisfare gli appetiti di chi viveva in quel porcile». Spese folli con cene da migliaia di euro, viaggi e vacanze, compensi altissimi per assistenti personali, consulenti, portaborse.
Carlo De Romanis in costume da UlisseCarlo De Romanis in costume da Ulisse
Dunque, la strategia è chiara: tutti dentro
per spartirsi le responsabilità. O più probabilmente per consumare l'ultimo atto di una faida interna che va avanti da mesi. Non a caso prima di sedersi davanti ai magistrati l'ex capogruppo alla Pisana rilascia dichiarazioni pubbliche che suonano come un avvertimento a tutti i componenti del Consiglio regionale. E si concentra sui «nemici» interni al Pdl - il suo successore Francesco Battistoni; il presidente della Commissione sviluppo economico, innovazione, ricerca e turismo Giancarlo Miele; il vicepresidente della commissione Bilancio Andrea Bernaudo; il consigliere Carlo De Romanis - indicandoli come coloro che «davvero rubavano». Nomi che conferma, insieme ad altri, di fronte ai pm.
Quando alle 16 di ieri risponde all'interrogatorio del procuratore aggiunto Alberto Caperna e il sostituto Alberto Pioletti, Fiorito però sa che deve difendersi. Spiegare perché ha dirottato oltre 800mila euro dai conti correnti del Pdl a quelli intestati a lui e ai suoi familiari. Ricostruire quei 109 bonifici a se stesso tutti per gli stessi importi: 4.180 euro oppure 8.360 euro. E soprattutto svelare che fine abbiano fatto gli altri soldi se è vero, come ha sostenuto Battistoni che dai depositi del gruppo consiliare sono spariti circa 6 milioni di euro.
Uno dei festini in costume organizzati da De RomanisUno dei festini in costume organizzati da De Romanis
Lo fa a suo modo, affermando che c'era
«chi andava a donne e chi si faceva pagare le vacanze, chi organizzava festini e chi mangiava a sbafo, mentre io ho trasferito alcuni soldi sui miei conti perché pensavo fosse regolare e se ho sbagliato pagherò». Ma poi gli chiedono come ha vinto l'asta per l'assegnazione di una casa in affitto da 200 metri quadri a 4.000 euro al mese dell'Ipab in via Margutta - una delle strade più belle di Roma - e anche come ha acquistato gli altri immobili.
Lui ribadisce che tutto è stato regolare. Le sue parole certamente non serviranno a scagionarlo. Ma aprono scenari nuovi che rischiano di travolgere l'intero governo della Regione.

Fiorenza Sarzanini





Fiorito dai pm, accuse agli altri consiglieri
Spunta la casa in via Margutta


L’ex capogruppo consegna due casse di carte e accusa otto consiglieri: «Era un sistema». Spunta la casa in via Margutta




ROMA - «NON ho rubato un centesimo. Pensavo fosse tutto regolare. Anzi, mi sono opposto a un sistema, ho stoppato l’abitudine ai rimborsi facili». Si difende e attacca Francone, parla per sei ore e mezza. Econsegna valanghe di documenti per dimostrare come funzionasse il meccanismo, che adesso rischia di stritolarlo. Ma la procura tira fuori anche qualche asso dalla manica: come una casa in via Margutta, 200 metri quadri assegnati a Fiorito da un ex Ipab.
Un alloggio che Francone dice di pagare 4 mila euro al mese.

Quando entra nel piccolo bunker del nucleo valutario della Guardia di Finanza sul raccordo Anulare, Franco Fiorito, indagato per peculato, ostenta una tranquillità sorprendente. Probabilmente perché con sé porta un memoriale e soprattutto voluminosi e pesanti allegati: scatoloni pieni di fatture che raccontano in cifre a sei zeri festini, servizi, fotografici, acquisti di champagne e cene indimenticabili dei consiglieri del Pdl alla Regione. Ce n’è per tutti. Al presidente, Renata Polverini, Fiorito contesta la gestione politica. Ma poi presenta carte su otto consiglieri del suo gruppo. Accusa da Franco Battistoni a Giancarlo Miele, da Carlo De Romanis a Veronica Cappellaro, da Andrea Bernaudo a Chiara Colosimo e Lidia Nobili. Tira tutti dentro. Ha così tanto da raccontare che non vede l’ora. C’è ancora luce quando, insieme all’avvocato Carlo Taormina, si siede di fronte al procuratore aggiunto Alberto Caperna e al pm Alberto Pioletti. Sono le 16. L’entusiasmo si smorza. Fiorito ne avrà per sei ore e mezza.

L’ex consigliere fa una premessa, spiega che la regola, stabilita dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, è quella dei contributi senza controlli reali. Fino a 211mila euro. L’atto di accusa nei confronti di Mario Abbruzzese è diretto. Punta il dito contro Letizia Cecinelli, coordinatrice della segreteria. «Se ho fatto degli errori - dice - sono pronto ad assumermi le mie responsabilità. Ma voglio sottolineare che a metà luglio ho inviato a tutti i consiglieri una lettera per interrompere i rimborsi e stoppare il sistema. Mi sono opposto a un’abitudine, quella ai rimborsi facili. Per questo mi hanno fatto fuori. Ognuno faceva quello che voleva. Il gruppo pagava spese di ogni tipo. Se ho sbagliato l’ho fatto in buona fede».

Ma i pm non vogliono parlare del gruppo ma del caso Fiorito. Si comincia dai bonifici, 109 dal conto del Pdl ai suoi. Per 419mila euro è sempre la stessa cifra, quella che servirebbe per segretari e portaborse moltiplicata troppe volte. Fiorito sostiene che tanto gli spettasse. Ribadisce: erano soldi che previsti dal regolamento e alle cariche che svolgevo: capogruppo, presidente di commissione, tesoriere. Indennità alte, lo so. Certo non l’ho deciso io». Quando è buio si parla ancora di conti, dei sette italiani e cinque spagnoli. L’ex capogruppo del Pdl spiega che è stato costretto ad aprire i depositi in Spagna dopo avere ereditato la casa a Tenerife dal padre. E che i conti all’estero li aveva insieme al fratello Andrea.

I pm gli chiedono di quella pioggia di assegni, delle carte di credito ricaricabili distribuite in giro, costate 180mila euro, dei soldi girati a consulenti, veri o presunti, che hanno incassato. E poi dei 235mila euro di prelievi, 32mila euro di pagamenti bancomat. Lui parla e a ogni risposta punta il dito, va all’attacco per difendersi. Perché quei 32 consulenti non li aveva scelti lui. Non basta. Sul conto di Fiorito ci sono le vacanze in Sardegna, 28 mila euro nel resort a cinque stelle. Conto saldato dal gruppo del Pdl. «Avevo smarrito la carta di credito», ripete.

Dopo i conti si passa alle case: la casa in via Margutta dell’Ipab. Fiorito risponde che ha vinto un’asta e l’ha ottenuta in affitto, ma paga 4mila euro al mese. Poi c’è la villa al Circeo. «Ho fatto un mutuo da 500 mila euro a trent’anni», spiega l’ex capogruppo. E ancora, gli immobili e i terreni ad Anagni «ereditati». Quindi il punto cruciale. Perché le case nella sua disponibilità nella capitale non risultano intestate a lui? E si apre il capitolo dei prestanome. Dopo cinque ore di domande, Fiorito tira fuori l’archivio segreto. La contabilità che gli uomini del nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza avevano cercato dappertutto. Ed eccoli i conti del gruppo del Pdl alla Pisana. Squadernati foglio per foglio, fattura per fattura sulla scrivania dei magistrati. Le feste di Carlo De Romanis, i conti di Veronica Cappellari. «Abbiamo spiegato tutto. Forse ci sono stati degli errori, ma il problema era il regolamento», commenta alla fine Taormina.
http://www.ilmessaggero.it/roma/campidoglio/fiorito_pm_accuse_altri_consiglieri_casa_via_margutta/notizie/220451.shtml

lunedì 17 settembre 2012

Fermato dalla polizia per 48 volte: torna
in carcere il "recordman dei clandestini"

Marocchino di 44 anni, chiamato "lo zio", arrestato l'ennesima
volta: ha rapinato la sala scommesse vicino alla stazione



Controlli della polizia in zona stazione a Padova
PADOVA - Fermato dalla polizia per la 48esima volta: se non è un record poco ci manca. Gli uomini della squadra mobile di Padova la notte scorsa hanno portato in questura Salha Gabidi, un marocchino di 44 anni, detto “lo zio” che negli ultimi anni è stato un habituèe dei controlli di polizia.

Lo straniero, clandestino, già al centro di diversi episodi ai limiti delle legge, è stato arrestato dagli agenti della squadra mobile su ordinanza di custodia cautelare del gip dopo che lo scorso 21 agosto aveva tentato una rapina all’interno della sala scommesse del piazzale Stazione. Non è stato precisato dagli inquirenti quante volte lo straniero sia stato espulso dall'Italia.

venerdì 14 settembre 2012




COMMEMORAZIONE IN RICORDO DEI CITTADINI DI FALCADE UCCISI DAI PARTIGIANI




Si è svolta il giorno 10 settembre 2012 la cerimonia di commemorazione in ricordo dei cittadini di Falcade trucidati dai partigiani.

Alla S. Messa officiata da tre sacerdoti, hanno presenziato, oltre alle Autorità Civili e Militari, una folta rappresentanza dell’Associazione Alpini e numerosi cittadini provenienti anche dalle zone limitrofe e dalla città capoluogo.

Nell’omelia sono stati ricorda...

ti, per nome e cognome, tutte le vittime di quel triste periodo. Non ci sono parole che possano descrivere quanto accaduto in quei giorni e per la gente del luogo, protagonisti o testimoni , riesce difficile dimenticare tanto odio e tanta ferocia.

Commovente il ricordo della maestra Borgato, una delle vittime,madre di quattro figli in tenera età, da parte di Don Fontanive, suo alunno alle elementari.

Intervento anche del Sindaco di Falcade Michele Costa, che ha sottolineato come la guerra porti tragedie immani.

Un’auspicio da parte del Sindaco che, fatti avvenuti in quel periodo nella Valle del Biois, non abbiano mai piu’ a ripetersi.

Alla fine della S.Messa il corteo con in testa il gonfalone del Comune di Falcade si è portato presso il locale Cimitero dove sulla lapide è stata posizionata una corona d’alloro.

Il giorno 22 settembre alle ore 10,00 sarà celebrata, come lo scorso anno, una S.Messa anche a Casere Pezza nel comune di Vallada Agordina per ricordare i cittadini in quel luogo trucidati dai partigiani (Tra loro anche un’altra maestra, Angela Bacchetti, madre di sette figli).
 
tratto dalla pagina fb della sig.Monteleone.
 
 
 
 
 
 

Pound, la «Carta da visita» straccia le banche usuraie

Tornano gli scritti filosofico-economici del poeta dei "Cantos". Una denuncia del capitale molto più forte della lotta di classe



Pubblichiamo parte dell'introduzione di Gallesi e alcuni brani di Pound.
«S ocrate fu accusato di empietà e di voler sovvertire le leggi del suo paese; eppure non era né empio né sovversivo, e la storia successiva lo ha dimostrato. Io sono accusato di tradire il mio paese, che amo tanto quanto voi italiani amate il vostro. Ma chi, come me, agisce alla luce di una verità percepita e pre­vista interiormente, anticipa nel presente una realtà futura molto certa». In queste parole, tratte da un’intervista del 1955, quando era ancora detenuto con l’accusa di tradimento a Washington, nel manicomio criminale di St. Elizabeths, c’è tutta la tragica grandezza di Ezra Pound, poeta, profeta e, soprattutto, patriota americano.
Pound si è sempre considerato, infatti, un leale cittadino statunitense, fedele ai principi della Costituzione americana, che i suoi governanti avevano, invece, manipolato e sovvertito. Come era già accaduto in occasione del primo conflitto mondiale, anche nella Seconda guerra mondiale gli Usa erano stati trascinati in un conflitto non voluto, che avrebbe arricchito pochi speculatori sulla pelle di milioni di vittime.
Proprio l’inutile strage della Grande guerra, che aveva mietuto le vite di molti suoi amici artisti, spinge Ezra Pound ad abbandonare il ruolo di esteta distaccato che aveva ricoperto fino ad allora per dedicarsi allo studio delle cause delle guerre, che sono spesso legate alla speculazione: «si fanno le guerre - scriveva ancora nel 1944- per creare debiti». Così, accanto alla sua infaticabile attività di talent scout, che favorì, tra gli altri, Eliot, Joyce ed Hemingway, e mentre cerca di dare con i Cantos un poema epico nazionale all’America, Pound denuncia la «guerra perenne» tra oro e lavoro, tra chi specula e chi fatica, tra gli usurai e gli uomini liberi, e decide di schierarsi a fianco di questi ultimi, scelta mai rinnegata e di cui pagherà dignitosamente tutte le conseguenze fino alla «gabbia per gorilla» in cui fu rinchiuso nel carcere militare statunitense allestito vicino a Pisa.
Prima di giudicare qualcuno, come il poeta stesso amava ripetere, bisogna esaminare le sue idee una alla volta, e quindi è necessario avvicinarsi alle sue opere senza pregiudizi, collocandole nel contesto storico generale e in quello biografico particolare. Riproporre, oggi, la sua Cartadavisita , che Pound scrisse direttamente in italiano, è dunque, innanzitutto, un’occasione per conoscere direttamente il pensiero di Ezra Pound, e confermarne, eventualmente, la profetica attualità.
Nel 1942, quando Carta da visita viene pubblicato la prima volta, il mondo è dilaniato dalla più spaventosa guerra mai combattuta, una tragedia che Pound aveva ingenuamente cercato di evitare con tutti i mezzi, incluso un viaggio intercontinentale per incontrare il presidente Roosevelt e convincerlo dell’importanza della pace.
Oggi,l’Europa non è in guerra, ma la situazione generale non è meno drammatica; il colonialismo si è trasformato in «delocalizzazione », i signori dell’oro sono diventati operatori di Borsa, e i popoli sono sull’orlo di un tracollo economico disastroso, esattamente come Pound aveva immaginato: « Il nemico è Das Leihkapital - tuonava il 15 marzo 1942 dai microfoni di Radio Roma - . Il vostro nemico è Das Leihkapital , il Capitale preso a prestito, il capitale errante internazionale. [...] E sarebbe meglio per voi essere infettati dal tifo e dalla dissenteria e dalla nefrite, piuttosto che essere infettati da questa cecità che vi impedisce di capire QUANTO siate compromessi, quanto siate rovinati ».
Sicuramente, in quegli anni, quando molti intellettuali impegnati si baloccavano con il mito della lotta di classe, Pound doveva risultare quantomeno eccentrico, con il suo insistere nella guerra contro la speculazione finanziaria, ricordando che «una nazione che non vuole indebitarsi fa rabbia agli usurai». Oggi, invece, il suo avvertimento contro «la banca che trae beneficio dall’interesse su tutta la moneta che crea dal nulla», come recita il Canto 46  , risulta ben più efficace del rimedio allora auspicato da mol­ti, e cioè la «dittatura del proletariato ».

I brani - La nazione non deve pagare l’affitto sul proprio credito

RisparmioAbbiamo bisogno d’un mezzo di risparmio e d’un mezzo di scambio, ma non è legge eterna che ci dob­biamo servire dello stesso mezzo per queste due funzioni diverse. La moneta affrancabile (ovvero prescrittibile) si adoprerebbe come moneta ausiliaria, mai come moneta unica. La proporzione fra la moneta consueta, e l’affrancabile, se calcolata con perizia e saggezza, potreb­be mantenere un rapporto equo e quasi invariabile fra la quantità delle merci disponibili e desiderate, e la quantità della moneta della nazione, o almeno raggiungere una stabilità di rapporti sino al grado conciliabile.  Bacon ha scritto: «moneta come concime, utile solamente quando sparsa». Jackson: «il luogo più sicuro di deposito: le braghe del popolo».
SocialeIl credito è fenomeno sociale. Il credito della nazione appartiene alla nazione, e la nazione non ha necessità di pagare un affitto sul proprio credito. Non ha bisogno di prenderlo in affitto da privati. [...] La moneta è titolo e misura. Quando è metallica, viene saggiata affinché il metallo sia di finezza determinata, nonché di peso determinato. Adoprando una tale moneta siamo ancora nel dominio del baratto. Quando la moneta viene capita come titolo, sparisce il desiderio di barattare. Quando lo stato capisce il suo dovere e potere, non lascia la sua sovranità in balìa di privati irresponsabili ( o che assu­mono responsabilità non giustificate). È giusto dire che «la moneta lavoro» è «simbolo del lavoro». E ancor più è simbolo della collaborazione fra natura, stati e popolo che lavora. La bellezza delle immagini sulle monete antiche simboleggia, a ragione, la dignità della sovranità inerente nella responsabilità reale o imperiale. Collo sparire della bellezza numismatica coincide la corruzione dei governi.
Dichten=CondensareLa parola tedesca Dichtung significa poesia. Il verbo dichten = condensare. Per la vita, o se preferite per «la battaglia», intellettuale, abbiamo bisogno di fatti che lampeggino, e di autori che mettano gli oggetti in luce serena. L’amico Hulme ben disse: «Quello che un uomo ha veramente pensato (per sé) si scrive su un mezzo foglio. Il resto è spiegazione, dimostrazione, sviluppo». Chi non ha forti gusti non ama, e quindi non esiste.

mercoledì 12 settembre 2012

 


Ardisco non ordisco:”Fiume, Sabato 13 settembre 1919
 
 
 
Signor Generale,
non ho avuta finora nessuna risposta, nel senso già concordato. La situazione è pericolosamente ambigua. E molti fatti indicano che il Governo o temporeggia senza lealtà, o non accetta in nessun modo il “fatto compiuto”.È necessario che io assuma subito il comando militare di Fiume italiana. È una misura d’ordine.Voglia dirmi s’Ella è disposta a cederlo.In ogni caso, io con i miei sono risoluto a prenderlo, per evirare i disordini che si disegnano.M’auguro che sangue fraterno non si a versato.
Viva l’Italia!
...
Il suo devoto e grato
Gabriele D’Annunzio
Comando corpo d’occupazione interalleato di Fiume

<< Fiume, 13 settembre 1919, - ore 5.35 >>

Signor Gabriele D’Annunzio
Ieri sera ci siamo parlati da soldato a soldato. Ella mi ha promesso che avrebbe attesa risposta del Governo, cui ho subito telegrafato ieri sera, come di promessa.Finora nulla è giunto, La prego perciò di volere attendere ancora, non essendo io disposto a cedere comando a nessuno, senza regolare ordine dei miei superiori o del Governo.E siccome sangue fraterno non si deve versare, così La prego di volere attendere, tanto più che non vi è nessun indizio di probabilità di disordini. La risposta non può tardare.D’altra parte s’Ella potrà presiedere all’ordine della città d’accordo col Consiglio nazionale, in non credo possa arrogarsi il diritto di togliere il conando a un Generale che risponde anche della sicurezza dei confini della Patria verso i Crati.Mi permetto quindi di pregarLa, ancora una volta, di attendere e di ben riflettere pel bene di quell’Italia che a tutti noi sta tanto a cuore.
Mi creda
Suo Devotis.mo
Vittorio Emanuele Pittaluga
Foto - Repertorio: frammenti da La pace perduta. Storia di una delusione (III° puntata andata in onda l'11/6/1968 su Raiuno), I figli dei tempi (16/11/1978).
 
 
 
OPERAZIONE QUERCIA
 
 
 
E' la mattina di domenica 12 settembre 1943.
Siamo sulla montagna di Campo Imperatore, sul Gran Sasso, a 2000metri d'altezza.
Nell'albergo lassù in cima vive, prigioniero da 45 giorni, Benito Mussolini.
Affacciandosi alla finestra potrebbe godere del magnifico spettacolo del Corno Alto, spettacolo ancora più bello perchè quella domenica di settembre il sole splendeva alto e faceva risplendere, a loro volta, le vette.
Potrebbe ma è attirato da un suono anomalo. Sente, in lontananza, il rumore dei motori d'aereo. Capisce che qualcosa sta per succedere ma ancora non sa cosa aspettarsi.
Alle 14 in punto sul piccolo spiazzo davanti all'albergo atterrano 10 alianti, le famose "cicogne", uno dopo l'altro.
La prima parte dell'Operazione Quercia si è conclusa. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
E Otto Skorzeny, l'uomo delle SS aggregato alla spedizione, descrive la scena con queste parole:
" Il ruggito dell'aria si fece più forte. E di colpo toccammo terra con un rumore assordante. Uscii con l'arma in mano, lasciandomi cadere sul fianco. Eravamo a una quindicina di metri dall'albergo. Corsi verso l'obiettivo e, alle mie spalle, sentivo ansimare le mie SS: uomini scelti fra i migliori, disposti a seguirmi ovunque. Fui contento di avere ordinato di non sparare fino a che non fossi stato io il primo a farlo; l'attacco a sorpresa doveva riuscire assolutamente. All'improvviso ci trovammo di fronte una porta aperta; oltre l'uscio vi era un apparecchio radio di fronte al quale sedeva un operatore che pareva molto indaffarato. Con un calcio bene assestato alla sedia su cui appoggiava le natiche, lo facemmo cadere a terra e con il calcio del fucile mettemmo fuori uso l'apparecchio. Poi ci precipitammo verso l'ingresso principale e ci trovammo di fronte i soldati italiani che sistemavano due mitragliatrici. Saltammo sopra di essi. I militi si strinsero contro la porta, ma con il calcio del fucile, con colpi che non avevano nulla di dolce, riuscii a farmi strada tra di loro. Arrivato al primo piano mi inoltrai nel corridoio, quindi aprii la porta giusta.."
 
 


 
 
 
 generale Student, colui che ha ideato l'operazione, si era più volte raccomandato coi paracadutisti di non scendere in picchiata sulla montagna ma Skorzeny, preso dall'eccitazione, fa calare in picchiata il pilota del suo aliante, il sottotenente Ellmar Meyer Wehner. Questo atterraggio precipitoso compromette i successivi atterraggi degli altri alianti e proprio per questo uno degli alianti si schianta contro una roccia, causando il ferimento di alcuni paracadutisti.
I paracadutisti tedesci si gettano fuori dai loro velivoli e fanno davvero impressione (vedeste le foto!): elmetto, tuta mimetica, "volti glabri e decisi, un armamentario di mitragliatrici, pistole automatiche e bombe a mano, e grandi cartuccere appese al collo come ghirlande di fiori."
Un carabiniere del quale purtroppo ignoriamo il nome, in vena di eroismo gli si piazza davanti e, agitando il moschetto, chiede: "Che volete?". Intanto arriva tale generale Fernando Soleti, pallido come uno foglio di carta non riciclata e spinto da Skorzeny, che precede i paracadutisti tedeschi e urla agitandosi tutto: "Non sparate, non sparate!" Come se i militari italiani avessero mai pensato di ingaggiare un conflitto a fuoco con i tedeschi.
A questo punto si tramuta tutto in farsa, come solo gli italiani senza spina dorsale sanno fare:
mentre il centinaio di parà tedeschi avanza come un solo uomo verso l'albergo, un ufficiale italiano gli va incontro con un fiasco di vino in mano e quando gli è abbastanza vicino lo alza e brinda "al vincitore!"
(Siate sinceri, paghereste anche voi oro per avere un filmato originale della scena?!)
 
 
 
 
 
Mentre al piano inferiore si svolgeva quanto raccontato da Skorzeny e da queste righe aggiuntive che, purtroppo, non mi sono inventata, dietro la "porta giusta" l'ispettore di polizia Giuseppe Gueli, che sorvegliava direttamente il Duce, corre alla finestra. Mussolini era affacciato al balcone e chiede al maresciallo Antichi: "Sono inglesi?"
"No, Eccellenza, sono Tedeschi"
Skorzeny si presenta a Mussolini: "Il Führer, che dopo la vostra cattura ha pensato per notti e notti al modo di liberarvi, mi ha dato questo incarico. Io ho seguito con infinite difficoltà giorno per giorno le vostre vicende e le vostre peregrinazioni. Oggi ho la grande gioia, liberandovi, di aver assolto nel migliore dei modi il compito che mi fu assegnato."
Il Duce rispose: "Ero convinto sin dal principio che il Führer mi avrebbe dato questa prova della sua amicizia. Lo ringrazio e con lui ringrazio voi, capitano Skorzeny, e i vostri camerati che hanno con voi osato."
All'arrivo in funivia del Maggiore Mors, che coi suoi paracadutisti avevano occupato la base della funivia all'inizio dell'operazione, il primo pensiero di Mussolini è rivolto ai suoi "secondini":"Vi prego di lasciare libere le mie guardie. Sono state buone con me."
 
 
La "Cicogna" decolla (pezzo tratto da "Storia di un anno"):
Il capitano che lo pilotava si presentò; giovanissimo: Gerlach, un asso. Prima di salire sull'apparecchio, Mussolini si voltò a salutare il gruppo dei suoi sorveglianti: sembravano attoniti. Molti sinceramente commossi. Taluni anche con le lacrime agli occhi.

Lo spazio dal quale la «Cicogna» doveva partire era veramente esiguo. Allora fu arretrata per guadagnare qualche metro. A1 termine del pianoro vi era un salto abbastanza profondo. Il pilota prese posto sull'apparecchio; dietro lui Skorzeni e quindi Mussolini. Erano le 15. La «Cicogna» si mise in moto. Rullò un poco. Percorse rapidamente lo spazio sassoso e giunto a un metro dal burrone, con uno strappo violento del timone, spiccò il volo. Ancora qualche grido. Braccia che si agitavano e poi il silenzio dell'alta atmosfera. Dopo pochi minuti, L'Aquila e, trascorsa un'ora, la «Cicogna» planava tranquillamente all'aeroporto di Pratica di Mare. Quivi un grande trimotore era già pronto. Mussolini vi salì. Il volo aveva per mèta Vienna, dove si giunse a notte avanzata. Qualcuno attendeva all'aeroporto. Di lì al «Continentale» per una notte. All'indomani, verso mezzogiorno, nuovo volo sino a Monaco di Baviera.

Il mattino dopo al Quartier Generale del Führer  l'accoglienza fu semplicemente fraterna.

La liberazione di Mussolini ad opera di «arditi» tedeschi suscitò in Germania un'ondata di grande entusiasmo. Si può dire che l'evento fu festeggiato in ogni casa. La radio preparò, con ripetute emissioni gli ascoltatori a una notizia straordinaria e non si ebbe delusione alcuna quando la notizia, verso le 22, fu conosciuta. Tutti la considerarono come un avvenimento eccezionale.

Furono mandati a Mussolini centinaia di telegrammi, lettere, poesie, da ogni parte del Reich. Non ebbe l'evento una ripercussione analoga in Italia. Erano quelli i giorni del caos, della distruzione, del saccheggio, della degradazione. La notizia fu quindi accolta come una ingrata sorpresa, con fastidio e con rancore. E si cominciò col negarla: si diffuse la voce che si trattava di una com­media, che Mussolini era già morto, consegnato agli Inglesi, che il discorso di Monaco era stato pronunciato da un sosia. Questa voce continuò a circolare anche molti mesi dopo, elemento indicativo di un desiderio.