mercoledì 8 agosto 2012

ANNIVERSARIO VOLO SU VIENNA
TENENTE COLONELLO G D'ANNUNZIO  IL 9 AGOSTO 1918 DALLE VICINANZE DI PADOVA EFFETTUO' IL VOLO SU VIENNA! EJA
 
Photo: CONDIVIDETE E METTETE COME IMMAGINE DI PROFILO IN ONORE DEL TENENTE COLONELLO G D'ANNUNZIO CHE IL 9 AGOSTO 1918 DALLE VICINANZE DI PADOVA EFFETTUO' IL VOLO SU VIENNA! EJA
TRATTO DA:CASA POUND  ITALIA,PADOVA











Mario Gramsci, il fratello fascista di Antonio



Pochi sanno che Antonio Gramsci, storico ideologo del Partito Comunista Italiano, osannato e idolatrato dalle sinistre ed entrato (a ragione o a torto) a far parte dell’olimpo culturale italico del ’900, aveva un fratello minore, che lungi dall’essersi tesserato al PCI, fu un fedele fascista della prima ora, e rimase tale fino alla fine, arruolandosi anche nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana.
Come avrete intuito dal titolo, il suo nome era Mario. Mario Gramsci. Diversamente dal fratello, morì in solitudine e dimenticato da tutti, anche per l’opera di cancellazione storica e mistificazione operata dai cosiddetti “vincitori”. Mario venne messo da parte, quasi come fosse una vergogna per la memoria del fratello, seppure il Gramsci di serie “B” non commise mai nella sua vita — almeno secondo i pochi dati storici a disposizione — alcun crimine e alcun reato contro il popolo italico per il quale combatté tre guerre, tranne quello di essere stato fascista convinto fino alla morte.
Come il più famoso fratello, nacque in Sardegna, a Sorgono, nel 1893, dove vi visse fino alla Prima Guerra Mondiale. Si arruolò e combatté per l’Italia con il grado di sottotenente. Quando il conflitto terminò, divenne un convinto sostenitore del Fascismo al quale aderì, partecipando alla marcia su Roma e diventando poi segretario federale del PNF di Varese.
L’adesione al Partito Fascista gli procurò diversi problemi con il più noto fratello. Antonio infatti tentò vanamente di convincerlo a convertirsi al Comunismo, o quantomeno tentò di fargli rinunciare all’ideale fascista. Ma Mario era una persona tutta d’un pezzo. Un forte idealista come lo stesso Antonio, e diversamente dal fratello, era un convinto sostenitore del Fascismo. Perciò non cambiò (mai) idea, nonostante venne pure picchiato e ridotto in fin di vita per questo.
Questa diversità di vedute politiche causò una frattura fra i due, che non verrà mai sanata. Ciononostante, Antonio nel 1927 scrisse dalla prigione una lettera alla madre, esprimendo il desiderio di ringraziare Mario per l’interessamento che aveva avuto in relazione alle sue condizioni di salute. La storia però ci dice che Mario fece qualcosa di più: con altri socialisti convertitisi al fascismo, premettero con il regime affinché l’intellettuale comunista potesse avere le migliori cure e potesse ottenere una prigionia meno pesante. E non a caso, così accadde. Ad Antonio Gramsci venne riconosciuta una sorta di libertà condizionata che gli permetteva una maggiore libertà.
Intanto Mario lasciato l’incarico di segretario provinciale del PFN si dedicò al commerciò, almeno fino al 1935, quando decise di partire volontario per la guerra di Etiopia. Avventuriero e convinto sostenitore dell’ideale fascista, combatté anche in Libia fino alla disfatta del 1943. Allora tornò in patria, ma l’Italia stava perdendo la guerra. Mussolini aveva fondato la Repubblica Sociale. Mario Gramsci vi aderì senza alcun tentennamento, combattendo nell’esercito della RSI, finché non venne catturato dagli inglesi che lo trasferirono in un campo di concentramento in Australia, dove venne torturato e seviziato. Vi rimase per due anni, poi fu ricondotto in Italia nel 1945, a guerra finita. Morì fascista e dimenticato da tutti nel 1947, in seguito ai traumi subiti durante la prigionia.

Bibliografia consigliata: Marcello Veneziani, I vinti: i perdenti della globalizzazione e loro elogio finale, 2004.

lunedì 6 agosto 2012




6 AGOSTO 1945 PER NON DIMENTICARE








il 6 agosto 1945 i liberatori americani portarono la democrazia a Hiroshima... accompagnata da una bomba atomica e 180mila morti.

sabato 4 agosto 2012

ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI BRUNO MUSSOLINI,7 AGOSTO1941--7 AGOSTO 2012






Bruno Mussolini (Milano, 22 aprile 1918Pisa, 7 agosto 1941) è stato un aviatore italiano. Figlio terzogenito di Benito Mussolini e di Rachele Guidi, fu ufficiale della Regia Aeronautica, Medaglia d'Oro al Valore Aeronautico e due volte Medaglia d'Argento al Valor Militare.Grande appassionato di aerei, a Bologna ebbe come compagno di studi Federico Cozzolino con cui divise passione e lavoro nella Regia Aeronautica. A 17 anni fu il pilota militare più giovane d'Italia. Fu anche uno dei dirigenti della compagnia aerea Ala Littoria e l'ideatore della LATI, Linee Aeree Transcontinentali Italiane, che coprivano la tratta Italia-Brasile.
 I primi anni e la Campagna d'Abissinia
Nel 1936 durante la guerra d'Etiopia venne assegnato, assieme al fratello Vittorio, alla 14ª Squadriglia Quia sum leo, conosciuta anche come Testa di leone. In questa campagna si guadagnò una Medaglia d'Argento al valor militare[1].
Nell'agosto 1937 partecipò insieme ad Attilio Biseo, con uno dei Savoia-Marchetti S.M.79 alla corsa aerea Istres-Damasco-Parigi. Il suo aereo concluse la gara al terzo posto, dopo un atterraggio di fortuna all'aeroporto di Cameri[2]. Sempre con questa squadriglia, nel gennaio 1938 partecipò alla trasvolata Italia-Brasile.
Sempre assieme ad Attilio Biseo nel 1937 migliorò il primato di velocità sui mille chilometri, con carico di due tonnellate, ottenendo i 430 km/h. In questo frangente nacque la squadriglia dei Sorci Verdi, proprio da una battuta di Bruno Mussolini: ai presenti che criticavano gli S79 ribatté, infatti, "Storcete pure il naso. Quando gli S79 cominceranno a volare, vi faremo vedere i sorci verdi
 La guerra di Spagna e il duello aereo con Dickinson
Volontario in Spagna dal settembre 1937 al maggio 1938, Bruno Mussolini lanciò subito una pubblica sfida via radio ai piloti delle formazioni volontarie repubblicane, che venne accolto dal pilota statunitense Derek D. Dickinson, della formazione delle "Ali Rosse" (Alas Rojas).
Il 27 settembre i due piloti partirono rispettivamente da Palma de Maiorca (Bruno Mussolini, su un Fiat G.50[4]) e da Castellòn de la Plana (Derek Dickinson con un Boeing P26[5]). Assieme a loro volavano due ricognitori, a fare da padrini al duello. La quota prescelta erano i 1000 metri.
Inizialmente inquadrato dalle mitragliatrici di Mussolini, Dickinson fu ferito ad una mano e non poté sventolare la sciarpa bianca di resa. Con una disperata manovra riuscì a portarsi sopra l'aereo di Mussolini e ad inquadrarlo a sua volta con le mitragliatrici. A questo punto il pilota italiano agitò la sciarpa, avendo il suo motore una panna.
Al rientro, il caccia di Dickinson aveva ricevuto 326 colpi di mitra e il suo pilota era ferito ad una mano, mentre l'apparecchio di Mussolini dovette atterrare in planata, poiché piantato in asso dal motore.
Durante la Guerra di spagna, Bruno Mussolini fu decorato di una seconda Medaglia d'Argento.
La Seconda guerra mondiale e la morte
Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu assegnato al 47° Stormo Bombardamento Terrestre di Grottaglie (TA) e Il 1 giugno 1941 trasferito a Pisa gli fu assegnato il comando della 274ª Squadriglia Bombardamento a Grande Raggio (BGR), inquadrata all'interno del 46° Stormo con sede a Pisa.
A questa squadriglia erano stati assegnati i nuovi bombardieri quadrimotori Piaggio P.108B. Due mesi dopo, il 7 agosto 1941, proprio su uno di questi velivoli, perse la vita. I motori del suo aereo, mentre era in fase di atterraggio, subirono un brusco calo di potenza. Non riuscendo a riprendere quota l'aereo si schiantò poco dopo. Nell'incidente persero la vita anche il tenente pilota Francesco Sacconi e il maresciallo motorista Angelo Trezzini[9]. La salma di Bruno Mussolini fu trasportata da Pisa a Predappio con un treno speciale, tra due ali di folla ininterrotta, che salutava con il braccio teso, e alla presenza di alcuni ufficiali prigionieri della RAF, che vollero rendere omaggio al nemico caduto.
Recita così l'elogio che accompagna la Medaglia d'Oro al Valore Aeronautico conferita a Bruno Mussolini:
« Aviatore di tre guerre, già volontario in Africa ed in Spagna, trasvolatore dei deserti e di oceani, più volte consacrato all'eroismo nella breve parentesi di una giovinezza audace, materiata di fede e di amore, di passione e di battaglie. È caduto al posto di combattimento con negli occhi la gioia dell'ardire, mentre effettuava un volo di prova su di un nuovo apparecchio da bombardamento a grande raggio; una delle più recenti conquiste per le nuove battaglie e per le nuove vittorie, come sanno dare solo i pionieri e gli eroi. Volendo

venerdì 3 agosto 2012

Dal sesso in Burundi alle noci in Polonia L'Ue che ci chiede sacrifici butta via 300 mld

La folle geografia dei finanziamenti europei e le tante falle nei controlli della gestione dei fondi



Benvenuti nel mondo dei contributi europei, un mondo ricco, pieno di sorprese che è diventato un business da oltre trecento miliardi di euro. Per ottenere contributi da mamma Europa, la stessa che da una parte ci chiede sacrifici e dall'altra concede soldi agli Sati-membri per i progetti più astrusi. Come spiega Repubblica, che ricostruisce la ricca geografia del contributo europeo, puoi ottenere fondi per svolgere un sondaggio di opinione sull'economia in Islanda o per promuovere un'attività culturale in Palestina, per aprire un ristorante in Romania o per finanziare progetti di inserimento lavorativo in Cambogia. La facilità nell'ottenere un finanziamento ha dato via a un vero magna magna sia da parte di enti pubblici come Regioni, Province e Comuni ma anche di privati cittadini, associazioni, agenzie o organizzazioni non governative. Ovviamente spesso la gestione dei fondi è finita nel mirino delle Procure. 
Tutti i progetti Ecco alcuni progetti per cui l'Europa concede lauti finanziamenti:  600mila euro per la sensibilizzazione dei diritti sessuali e riproduttivi nel Burundi, 2,6 milioni di euro per finanziare le inziative a favore dei disabili in Turchia. "Nel mare magum delle sovvenzioni ai progetti sui grandi temi - scrive Repubblica - ci sono la lotta all'uso illegale di internet, 9,5 milioni per aggredire la criminalità finanziaria, 5,5 per contrastare l'estremismo violento, 2,6 milioni per iniziative che scuotano le coscienze nei riguardi della pena di morte e della tortura. Sono tutte finalità nobili e apprezzabili, ma ci si chiede se sia il caso di stanziare cifre di questo genere in un momento di grande crisi e, soprattutto, se viene esercitato il giusto controllo su come vengono gestiti i fondi. Per frequentare un corso di russo e cinese puoi ottenere un credito da 1800 euro, in Sicilia sono stati spesi 150mila euro per pagare un consulente chiamato a coordinare un progetto che tuteli la Zerkova, una specie diffusa sui monti Iblei. E' previsto un contributo di 3mila euro per la partecipazione di militari a corsi di formazione in Toscana, 28,4 euro per alveare a chi fa un allevamento di api in Andalusia, fino a 700mila euro per la coltivazione di noci in Polonia, 110mila euro per studiare l'attuazione della direttiva sugli zoo in Europa. A evidenziare tutti i limiti del settore è Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria con delega al mezzogiorno che, a Repubblica, dice: "Uno dei paradossi della spesa l'eccessiva frammentazione: le singole Regioni presispongono interventi di natura locale che vanno ad accavallarsi, in modo irrazionale, con altri che hanno un interesse nazionale, anche nel campo delle infrastrutture. Senza una regia coordinata il rischio è quello della polverizzazione, che è l'esatto contrario della concentrazione che ci chiede la Commissione europea". 

http://www.liberoquotidiano.it/news/1067878/Dal_sesso_in_Burundi_alle_noci_in_Polonia__L_Ue_che_ci_chiede_sacrifici_butta_via_____mld.html

giovedì 2 agosto 2012

Giusva e le colpe della strage: "La verità? Fa troppa paura"

Fioravanti scrive al Giornale: "Non so se la pista palestinese sia giusta. Ma il terrorismo arabo in Italia ha fatto 60 morti. E nessuno li piange"
Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di «Giusva» Fio­ravanti, condannato per la strage alla stazione di Bolo­gna del 2 agosto 1980. Fiora­vanti ha ammesso altri delit­ti, ma ha sempre negato ogni responsabilità per la bomba di Bologna. Oggi, dopo aver scontato la pena, è in libertà.
Caro direttore,
la strage di Bologna è avvenuta 32 anni fa, le indagini si sono concluse 25 anni fa e la nostra condanna è datata 20 anni. Fu una condanna atipica, dove la procura prima, e le corti poi, sostennero che le prove vere erano state nascoste dai servizi segreti e quindi bisognava per forza affidarsi agli indizi.

L'indizio principale era che le stragi in Italia le fanno per forza i fascisti, nel periodo in questione io e mia moglie eravamo i terroristi fascisti più noti, quindi... «non potevamo non sapere». La sentenza ammetteva che il quadro probatorio non era completo, e sostanzialmente rinviava a una «inchiesta bis» per individuare i tasselli mancanti. Il fatto è che i tasselli mancanti erano molti. La sentenza per la parte che riguardava noi ammetteva che nessun testimone ci aveva mai visti a Bologna, e che quindi non eravamo stati noi a portare la bomba dentro la stazione, ma sicuramente (per il ragionamento di cui dicevamo prima) facevamo parte del gruppo che tale strage aveva organizzato. Veniva rinviato alla «inchiesta bis» l'incarico di individuare gli effettivi esecutori materiali «in loco», individuare l'origine dell'esplosivo, individuare il movente, e individuare i mandanti. Come dicevo, da quella promessa di «inchiesta bis» sono passati 20 anni, e nulla è stato trovato. La cosa, comprensibilmente, crea un certo nervosismo. Chi ama la vecchia sentenza grida alla luna che il processo non riesce ad andare avanti perché io non confesso chi sono i miei mandanti e gli altri della banda. In linea strettamente teorica potrebbe essere una ipotesi. Però poi di ipotesi se ne possono fare altre, ad esempio che l'inchiesta non riesce ad andare avanti perché sin dall'inizio marcia nella direzione sbagliata. Questa cosa iniziò a dirla pubblicamente Cossiga già nel 1998, quando con Francesca andammo a trovarlo sperando potesse darci informazioni utili per ridiscutere il nostro processo. Ci disse che fogli «firmati e bollati» non ne aveva, ma che la vera pista su Bologna era quella palestinese. Sono passati altri 14 anni, e nel silenzio di molti, alcuni storici dilettanti (nel senso positivo del termine, ossia di gente che fa le cose per passione, non per tornaconto) hanno iniziato a studiare una materia difficilissima, il terrorismo arabo in Italia. Non se ne sa niente, non esistono libri esaustivi né niente. Ma il terrorismo arabo in Italia ha fatto più di 60 morti, e più di 300 feriti. Ma non se ne parla mai, non c'è mai una commemorazione, mai un servizio rievocativo in televisione, mai una lapide da nessuna parte, mai una associazione dei parenti delle vittime. Quando il presidente Napolitano ha istituito la giornata a ricordo delle vittime del terrorismo, nell'elenco preparato dagli uffici del Quirinale non c'era nessuna di queste 60 vittime.È su questo silenzio che, assieme ad alcuni di questi «storici dilettanti», stiamo ragionando.
Silenzio sulle vittime, e sempre scarcerazioni in tempi fulminei dei vari palestinesi arrestati. Che è un po' quello che sta succedendo ancora oggi, quando l'Italia, non importa chi in quel momento sia al governo, cede sempre ai ricatti del terrorismo filo-arabo, e paga tutti i riscatti e non arresta mai nessuno. Dopo che si è scoperto che fisicamente presenti a Bologna c'erano due terroristi dell'estrema sinistra tedesca legata al terrorismo palestinese, è ovvio che le persone ragionevoli si pongano il dubbio se c'entrino qualcosa. È ovvio che se si scopre che tra le vittime di Bologna c'era un giovane dell'Autonomia Operaia romana, le persone ragionevoli si ricordano che solo pochi mesi prima, a Ortona, tre capi dell'Autonomia Operaia romana erano stati arrestati mentre trasportavano un potente missile terra aria per conto di un certo Saleh, dirigente del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina che abitava a Bologna. Viene spontaneo, alle persone semplici, domandarsi se per caso, come era successo pochi mesi prima nelle Marche, anche il 2 agosto a Bologna dei giovani romani stessero aiutando i loro amici palestinesi a trasportare un carico di armi. Se poi ci aggiungiamo che dal carcere in Francia il capo dei terroristi filopalestinesi dell'epoca, Carlos lo Sciacallo, in diverse interviste ha ammesso che la sua «Organizzazione» quel giorno era presente alla stazione di Bologna... Carlos dice che un loro trasporto è stato boicottato dagli americani o dagli israeliani per rovinare i buoni rapporti tra i terroristi palestinesi e i nostri servizi segreti (lo ha scritto diverse volte, e questa tesi è stata confermata da almeno due dirigenti palestinesi ormai in pensione, ma nessuno sembra stupirsene). Cossiga prima di morire in diverse interviste aveva parlato anche lui di un «incidente», ma lo riteneva casuale. Un funzionario dei servizi segreti civili italiani fu il primo, mi pare già nel 1981, a dire che si trattava di un incidente, ma venne messo a tacere, e tutto sommato fu facile parlo perché risultava iscritto alla P2. Licio Gelli, senza tutti i ragionamenti e i riscontri che invece aveva fornito Cossiga, parla anche lui da 30 anni di un «incidente», seppure in una maniera un po' grossolana. Io, storico dilettante più scarso degli altri, ancora non ho nessuna convinzione certa su ciò che è accaduto a Bologna. Mi rendo conto però che certi argomenti creano preoccupazione. Mi sembra un buon segno. Però ci vorrà ancora tempo, tanta pazienza e un pizzico di coraggio per avvicinarsi se non alla verità, almeno al contesto della verità.
http://www.ilgiornale.it/news/interni/giusva-e-colpe-strage-verit-fa-troppa-paura-827256.html?utm_source=Facebook&utm_medium=Link&utm_content=Giusva+e+le+colpe+della+strage%3A+%22La+verit%C3%A0%3F+Fa+troppa+paura%22+-+IlGiornale.it&utm_campaign=Facebook+Page

mercoledì 1 agosto 2012

A Bologna è sempre vergogna



Dopo trentadue anni ancora nessuna verità su Bologna.Tre colpevoli politici scelti con disinvoltura tra chi doveva già scontare tanta galera e una targa bugiarda da esibire come un trofeo. Un soviet comunista a guardiano del sangue comune che, con incommensurabile arroganza, da una parte impedisce che si apra qualunque indagine seria e dall'altra piagnucola puntualmente venendoci a raccontare che “non si conoscono ancora i mandanti”.
Eppure, se si fosse mai interessato a scoprire esecutori e mandanti di quella strage epocale, se non altro avrebbe dovuto provarci. Bastava poco. Iniziare a indagare sui depistatori, tutti dirigenti di vari servizi, e chiedersi cosa unisse quella gente, italiana, francese e americana, in quell'impegno deviante.
Avrebbe dovuto anche chiedersi perché mai i depistatori si accanissero a deviare sempre ed esclusivamente sui fascisti. Cosa che a una persona obiettiva e raziocinante non poteva che suggerire la scoperta dell'acqua calda: perché lì non c'era e non c'è niente da trovare e per questo si dovrebbe indagare altrove.

Qualche anno fa fu proposta una svolta da Pellizzaro, sostenuta da Area, che additava una pista Carlos, Kramm, Fröhlich, palestinesi. L'impianto, così com'era stato presentato, faceva acqua ed era anche pericolosamente avviato a conclusioni non condivisibili. Ma c'era qualcos'altro, come la pista parallela e intersecata intravista da Raisi, che magicamente riporta alla solita Hypérion parigina. Quell'agenzia del terrore controllata al contempo da  servizi francesi, americani, israeliani, tedeschi dell'est e dell'ovest. Quell'agenzia a copertura internazionale e a gestione sovranazionale aveva una costola, dal nome Crise, che operava nel Vicino Oriente appoggiando e armando le fazioni anti-Arafat con il beneplacito e la regia del Mossad.  L'intervento di Crise e d'Hypérion nel quadro lo rende finalmente più comprensibile, facendo dello stesso gruppo Carlos un elemento giocato e inserito  in una sciarada ben congegnata nella quale fu incastrato senza preavviso né consapevolezza. Chiamato lì  per potere, in effetto domino, andare a sbaragliare pezzo a pezzo una struttura oramai giudicata desueta e superata in virtù di un salto in avanti nella strategia di ristrutturazione che proprio in quei mesi prevedeva il compimento della guerra terroristica e la capitalizzazione dei suoi effetti .E non basta: quella strage, come accaduto per altre, ad esempio quella di Londra nel 2007, molto probabilmente avvenne all'insaputa dell'artificiere (verosimilmente un italiano antifascista) ed è plausibile che fu provocata appositamente da coloro che ne trassero il massimo giovamento.

Ma tutto questo non può essere affermato;  perché i padrini di quel massacro  - e di tutti i massacri  - in parte sono ancora vivi e contano parecchio. Non  può essere affermato perché le strutture sovranazionali che quella strage  architettarono o permisero e comunque coprirono, sono le stesse che oggi fanno da supervisione ai “governi tecnici”. Non è possibile perché il partito comunista, essendo supervisore e garante all'epoca dei servizi segreti italiani (che ben sapeva essere pidduisti), fu, nel migliore dei casi, omertoso e complice.  Se non fu qualcosa di molto peggio.
Ed il suo soviet al completo, oggi come da trentadue anni a questa parte, preferisce inscenare la solita cerimonia a celebrazione dell'assoluto nulla, bene attento ad esprimere però sdegno per lo stato delle indagini. E' un comportamento tipico dell'ipocrisia di cui quella cultura è maestra. Ostentando moralismo e senso civico questi signori calpestano cinicamente e spregiudicatamente l'etica e la verità. E s'incoronano puntualmente in commemorazioni da tempo degenerate in sagre, perpetrando la menzogna che più fa comodo al loro apparato. E a quelli che lo sovrastano e che lo dominano, dominando anche tutti noi, per il frutto di tante porcherie tra le quali spicca la strage di Bologna.Trentadue anni di rifiuto della ricerca della verità.

tratto dalla pagina fb di G.ADINOLFI