sabato 30 marzo 2013

Cipro, le banche condonano i debiti dei politici

Milioni su milioni sono stati persi volontariamente dagli istituti di credito dell’isola.







 A trarre beneficio da questa dissennata manovra, sono stati i parlamentari, i sindaci e i membri di grandi compagnie. Tutti i partiti sono stati coinvolti. Intanto, le code agli sportelli restano interminabili. Molti hanno già perso tutto.
La cosiddetta “casta” non è un problema squisitamente italiano. Il caso della collusione tra banche e politica non è nostro esclusivo appannaggio. Lo dimostra quanto sta succedendo a Nicosia in questi giorni. Le banche hanno riaperto da un solo giorno e davanti alle loro filiali si possono vedere interminabili file di persone, che cercano di ritirare quanto rimane dei loro conti correnti. Un anziano mostra ad un reporter quanto è riuscito a prendere. Nulla, poco più di una manciata di monete. Per il momento, però, non si sono verificati disordini. Anche perché quasi tutti gli sportelli bancari sono presidiati da guardie armate, mentre la polizia controlla le maggiori. In questo clima viene difficile protestare. Anche se i giovani continuano a dar vita ad alcune manifestazioni. “Troika go home” è uno degli slogan più usati in questi giorni. Ma di paripasso alla rabbia, marciano gli scandali che stanno colpendo la politica dell’isola. Alcuni giorni fa, sono venute alla luce alcune informazioni riguardanti l’attuale ministro delle Finanze cipriota, Michael Sarrys. Poco prima di diventare il titolare del dicastero, Sarrys ha ricevuto 2 milioni di pensione dalla Bank of Cyprus, nella quale occupava un ruolo come manager. Ma questa è stata solo una delle notizie più piccole. Altri scandali escono giorno dopo giorno sulla gestione consapevolmente vergognosa delle due più grandi banche del Paese, la Laiki bank e la Banca Centrale di Cipro. Si è parlato di una esorbitante ed inspiegabile fuga di capitali all’estero, mentre il governo intratteneva i colloqui con la troika. Si è parlato di titoli derivati, di acquisto di filiali da parte di un grande istituto di credito greco. Ora arriva la chicca. Se fai parte di una grossa società, o se sei un parlamentare o un amministratore locale, puoi non pagare i debiti. Dai quotidiani greci Kathimerini ed Ethnos escono fuori scottanti rivelazioni, secondo le quali la Laiki Bank, la Bank of Cyprus e la Hellenic Bank, negli ultimi cinque anni (quindi dallo scoppio della crisi finanziaria), avrebbero condonato debiti per milioni e milioni di euro a politici e grossi imprenditori. Nelle liste compaiono i nomi appartenenti a tutti i partiti ciprioti. Solo i socialisti e gli ambientalisti si salvano. Un debito di 2,8 milioni di euro è stato cancellato ad un grande albergo, legato al Partito Comunista cipriota, quello dell’ex presidente Dimitris Christofias. Anche il partito di centrodestra attualmente al governo ha avuto i suoi intrighi nel malaffare. In totale, tra l’Unione Democratica (Disy) e i suoi alleati, sono riusciti ad evitare di pagare debiti per un totale di quasi un milione e mezzo. Intanto, i cittadini continuano a navigare in un mare di difficoltà vedendosi imporre anche il limite sul prelievo di denaro, imposto dalla Bce e dalla Bank of Cyprus. Gli unici a ridersela sono i turco-ciprioti, dall’altra parte dell’isola. Il ministro delle Finanze della parte turca, Ersin Tatar, ha invitato gli investitori russi ed inglesi a portare i propri capitali nella “parte sana e stabile” dell’isola, visto che l’area di Nicosia “rischia la bancarotta”.
Federico Campoli

venerdì 29 marzo 2013

Ricordiamo a RAI 3 che Rolando Rivi è stato ucciso dai partigiani comunisti.

Ieri sera, nel TG3 Regione dell' Emilia il giornalista, nell' annunciare che il Seminarista emiliano Rolando Rivi sarà beatificato da Francesco Papa, ha semplicemente detto: "...ucciso durante i tragici giorni del 1945...". 
Già, ma da chi ? Poichè omettere ultimamente è diventata consuetudine presso i "giornalisti d'oggi", figli di quelli con l' eskimo anni '70 (come quando omettono che i militari birmani sono comunisti), è meglio ribadire e ricordare che il povero ragazzo venne barbaramente ucciso dai partigiani comunisti, come ricordai nel mio post del 2005. 

http://santosepolcro1.blogspot.it/2007/10/rolando-rivi.html 
 
.blogspot.it/http://santosepolcro1
 

giovedì 28 marzo 2013

Cipro in caduta libera, chi sarà il prossimo?

Dopo le dichiarazioni del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, cadono le Borse e i mercati






Sempre più analisti ritengono che i capitali abbiano abbandonato l’isola. I tassi di prelievo aumentano fino all’80%. Il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, consiglia a Nicosia di uscire dalla moneta unica

Il “Caso Cipro” si sta rivelando sempre più una lama a doppio taglio per l’Europa. Quello che dovrebbe essere un salvataggio, potrebbe rivelarsi il funerale dell’Eurozona. Nelle prime ore successive all’approvazione del cosiddetto “piano B”, sono usciti i primi problemi legati alla malagestione della Laiki Bank e della Bank of Cyprus. La prima è già stata sciolta. Della seconda ne ha fatto parte l’attuale ministro delle Finanze cipriota, Michael Sarrys, il quale ha ricevuto una pensione da 2 milioni di euro pochi mesi prima della sua nomina al Dicastero. Intanto, le parole del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijisselbloem, gettano il panico in Europa. “Cipro non è un modello, ma lo stesso sistema potrebbe essere riadattato ad altri casi”. Subito arrivano smentite e contro dichiarazioni. Nessuno vuole spaventare gli onnipotenti mercati. Ma le parole dell’analista di Bloomberg, Nick Dunbar, sono meno equivocabili. “Cipro è la terra dei prodotti strutturati” ha detto l’economista. Per “prodotti strutturati”, a quanto pare, si intende vendita di derivati. Una pratica con cui le banche cipriote hanno campato fino ad oggi. Sui derivati sarebbero poi state guadagnate delle commissioni, vendute poi a ricchi privati di altri paesi.
Intanto, aumentala percentuale imponibile sui conti bancari. Sarrys ha dichiarato che la cifra di prelievo si aggira sull’80% per i conti depositati alla Laiki bank, e 50% per quelli nella Bank of Cyprus. Un cambiamento improvviso. I primi giorni di trattative si parlava di un 20%. Fastidioso ma accettabile per i ricconi dell’isola. Solo due giorni fa le stime sono salite oltre il 40%. Ieri sono arrivate al 50%. E tutto questo solo per la Banca di Cipro. Un imprevisto che sta facendo riflettere molti economisti, che ormai si stanno sempre più convincendo della veridicità della fuga di grossi capitali all’estero. Verrebbe da chiedersi come sia possibile che grosse somme di denaro abbiano lasciato l’isola, dato che le banche sono chiuse da quasi due settimane. Tra le altre cose, l’amministratore delegato della Bank of Cyprus, Yannis Kipri, è stato licenziato ieri. Come ha riferito l’agenzia Cna, l’Ad della Banca Centrale del Paese sarebbe stato liquidato sotto esplicita richiesta della troika. Non è ben chiaro con quale autorità i Signori dell’Euro possano decidere del licenziamento dei vertici bancari di una determinata Nazione.
Gli istituti di credito, intanto, sono stati riaperti. Ovviamente, questa è una buona notizia a metà. I cittadini infatti non potranno usufruire del proprio denaro a piacimento. Il governo (e la troika) continuerà a monitorare il flusso di denaro, per evitare che i conti bancari spariscano dalle tasche dell’isola. Nicosia, per i prossimi 7 giorni, imporrà un divieto di emissione di assegni e un tetto massimo di 3.000 euro, per i soldi da portare fuori dal Paese. Dall’estero i cittadini ciprioti potranno prelevare un massimo di 5000 euro.
C’è qualcuno che offre la soluzione all’isola, così che possa attutire l’urto della crisi. Uscire dall’Euro. Non è Grillo a dirlo. Lo dice Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008. “Cipro dovrebbe lasciare l’Euro e dovrebbe farlo adesso. Il motivo è semplice. Restare nella moneta unica significa subìre una depressione incredibile, che durerà per molti anni, proprio mentre Nicosia sta tentando di costruire un nuovo settore delle esportazioni. Lasciando l’Euro e lasciando cadere fortemente il tasso di cambio tale ricostruzione accelererebbe notevolmente” ha dichiarato l’economista. Nel frattempo, in tutta Europa sono già partite le scommesse per scoprire chi sarà il prossimo a subìre lo stesso trattamento riservato a Cipro. In testa sono Italia, Spagna e Portogallo. Qualcuno diceva Slovenia, ma il governo ha prontamente dichiarato che non accetterà aiuti dall’Ue. In effetti, i sostentamenti di Bruxelles sembrano sempre più dei baci della morte.
Il “Caso Cipro” si sta rivelando sempre più una lama a doppio taglio per l’Europa. Quello che dovrebbe essere un salvataggio, potrebbe rivelarsi il funerale dell’Eurozona. Nelle prime ore successive all’approvazione del cosiddetto “piano B”, sono usciti i primi problemi legati alla malagestione della Laiki Bank e della Bank of Cyprus. La prima è già stata sciolta. Della seconda ne ha fatto parte l’attuale ministro delle Finanze cipriota, Michael Sarrys, il quale ha ricevuto una pensione da 2 milioni di euro pochi mesi prima della sua nomina al Dicastero. Intanto, le parole del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijisselbloem, gettano il panico in Europa. “Cipro non è un modello, ma lo stesso sistema potrebbe essere riadattato ad altri casi”. Subito arrivano smentite e contro dichiarazioni. Nessuno vuole spaventare gli onnipotenti mercati. Ma le parole dell’analista di Bloomberg, Nick Dunbar, sono meno equivocabili. “Cipro è la terra dei prodotti strutturati” ha detto l’economista. Per “prodotti strutturati”, a quanto pare, si intende vendita di derivati. Una pratica con cui le banche cipriote hanno campato fino ad oggi. Sui derivati sarebbero poi state guadagnate delle commissioni, vendute poi a ricchi privati di altri paesi.Intanto, aumentala percentuale imponibile sui conti bancari. Sarrys ha dichiarato che la cifra di prelievo si aggira sull’80% per i conti depositati alla Laiki bank, e 50% per quelli nella Bank of Cyprus. Un cambiamento improvviso. I primi giorni di trattative si parlava di un 20%. Fastidioso ma accettabile per i ricconi dell’isola. Solo due giorni fa le stime sono salite oltre il 40%. Ieri sono arrivate al 50%. E tutto questo solo per la Banca di Cipro. Un imprevisto che sta facendo riflettere molti economisti, che ormai si stanno sempre più convincendo della veridicità della fuga di grossi capitali all’estero. Verrebbe da chiedersi come sia possibile che grosse somme di denaro abbiano lasciato l’isola, dato che le banche sono chiuse da quasi due settimane. Tra le altre cose, l’amministratore delegato della Bank of Cyprus, Yannis Kipri, è stato licenziato ieri. Come ha riferito l’agenzia Cna, l’Ad della Banca Centrale del Paese sarebbe stato liquidato sotto esplicita richiesta della troika. Non è ben chiaro con quale autorità i Signori dell’Euro possano decidere del licenziamento dei vertici bancari di una determinata Nazione.Gli istituti di credito, intanto, sono stati riaperti. Ovviamente, questa è una buona notizia a metà. I cittadini infatti non potranno usufruire del proprio denaro a piacimento. Il governo (e la troika) continuerà a monitorare il flusso di denaro, per evitare che i conti bancari spariscano dalle tasche dell’isola. Nicosia, per i prossimi 7 giorni, imporrà un divieto di emissione di assegni e un tetto massimo di 3.000 euro, per i soldi da portare fuori dal Paese. Dall’estero i cittadini ciprioti potranno prelevare un massimo di 5000 euro.C’è qualcuno che offre la soluzione all’isola, così che possa attutire l’urto della crisi. Uscire dall’Euro. Non è Grillo a dirlo. Lo dice Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008. “Cipro dovrebbe lasciare l’Euro e dovrebbe farlo adesso. Il motivo è semplice. Restare nella moneta unica significa subìre una depressione incredibile, che durerà per molti anni, proprio mentre Nicosia sta tentando di costruire un nuovo settore delle esportazioni. Lasciando l’Euro e lasciando cadere fortemente il tasso di cambio tale ricostruzione accelererebbe notevolmente” ha dichiarato l’economista. Nel frattempo, in tutta Europa sono già partite le scommesse per scoprire chi sarà il prossimo a subìre lo stesso trattamento riservato a Cipro. In testa sono Italia, Spagna e Portogallo. Qualcuno diceva Slovenia, ma il governo ha prontamente dichiarato che non accetterà aiuti dall’Ue. In effetti, i sostentamenti di Bruxelles sembrano sempre più dei baci della morte.
Federico Campoli

mercoledì 27 marzo 2013

Terzi lascia, ira Napolitano: dopo la figuraccia di governo "rigiocarsi" Monti è difficile





di Marco Gorra
La decisione di rassegnare le dimissioni da ministro degli Esteri, raccontano, Giulio Terzi l’ha maturata in solitaria o quasi a cavallo del week end. Così, per la seconda volta nella storia repubblicana (la prima era avvenuta nel 2002 col passo indietro di Renato Ruggiero, guarda caso diplomatico anch’esso) un ministro degli Esteri si dimette in polemica col governo di cui fa parte. 
Il clamoroso strappo arriva all’apice di una frattura, quella fra Terzi ed il premier Mario Monti, apertasi già da tempo ed ormai divenuta insanabile. L’escalation si era avviata con la decisione, fortemente caldeggiata dal ministro, di non restituire i due militari agli indiani. Da lì era partito un braccio di ferro nell’esecutivo con da una parte il duo Terzi-Di Paola a spingere per la linea dura e dall’altra il resto della compagine governativa (i nomi più ricorrenti nelle ricostruzioni sono quelli di Corrado Passera e Paola Severino, preoccupati per le ricadute rispettivamente economico-commerciali e giudiziarie della vicenda) a cercare di evitare che si arrivasse allo scontro. La data clou è quella del 21 marzo scorso, quando nel corso del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica l’orientamento del governo - decisivo l’idem sentire del Quirinale - diventa quello di restituire Latorre e Girone agli indiani.
Questo il retroterra, il precipitare della situazione andato in scena ieri alla Camera modifica più di uno scenario attualmente in essere. Per prima cosa, riavvicina potentemente Giorgio Napolitano e Mario Monti: entrambi hanno vissuto la mossa di Terzi come un atto oltre l’ostile, da cui la necessità di coordinare gli sforzi. La salita al Colle del premier di ieri sera, infatti, è servita sì a ratificare le dimissioni dell’ormai ex ministro e ad avviare l’interim di Monti, ma anche a mettere a punto la linea che il Professore dovrà tenere oggi quando si tratterà di riferire in Parlamento. Stando a quel che trapela, la versione del premier dovrebbe insistere, oltre che sul fatto che delle dimissioni del ministro nessuno sapesse nulla fino all’annuncio in aula, su come l’origine del pasticcio risieda nell’annuncio terziano di non volere restituire i marò e di come pertanto il peccato originale della vicenda sia da attribuire a lui.
L’irritazione di Napolitano, tuttavia, origina anche da un altro elemento. E cioè dal fatto che, a partire da ieri, nel mosaico della crisi di governo ha a disposizione una carta in meno in caso di fallimento dell’operazione Bersani: il congelamento del governo Monti (che l’inquilino del Colle voleva tenersi come mossa di riserva, al punto di arrivare a stoppare l’autocandidatura del Professore alla presidenza del Senato pur di preservarla) diventa infatti difficilissimo. In una situazione normale, eventi come quelli di ieri avrebbero innescato una crisi di governo devastante. E, anche se la situazione attuale tutto è fuorché normale, pensare di poter tenere in carica un esecutivo messo così si fa impervio.
Anche perché il ricasco politico della vicenda è notevole. Al fianco di Terzi, infatti, si è schierato un Pdl compatto come non mai. Avendone ben donde: in un colpo solo ottiene la certificazione della fondatezza delle ripetute denunce di inadeguatezza nella gestione governativa del caso marò (punti bonus per il gioco facilissimo nel ricordare la collegialità ed il coinvolgimento parlamentare operati dal governo Berlusconi nell’affrontare altre crisi tipo la guerra in Libia), vede farsi più concreta la prospettiva di un esecutivo di larghe intese (con pochissimo spazio per eventuali componenti tecniche, peraltro) qualora il tentativo di Bersani naufragasse e e vede comprimersi ulteriormente gli spazi di manovra politica presente e futura per Mario Monti.

http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1212415/Terzi-lascia--ira-Napolitano---dopo-la-figuraccia-di-governo---rigiocarsi--Monti-e-difficile.html

martedì 26 marzo 2013

Cipro: Migliaia di studenti in piazza a Nicosia




cipro



26 mar – Gli studenti ciprioti scendono in piazza contro l’accordo raggiunto con Bruxelles. In circa 3.000 si sono ritrovati in diverse parti di Nicosia per chiedere posti di lavoro per i giovani, e per contestare la Troika:
“Ovviamente molti tra i nostri genitori perderanno il lavoro – dice uno studente -, le entrate caleranno per tutti, per alcuni di noi diventerà difficile anche andare a studiare all’università”.
“Hanno spazzato via tutti i nostri sogni – dice un altro studente -, tutto quello per cui abbiamo lavorato, tutti gli obiettivi che abbiamo raggiunto finora, quello che i nostri genitori hanno ottenuto. In sostanza stanno distruggendo questo Paese solo perché vogliono farlo”.
Gli studenti hanno sfilato nelle vie di Nicosia e si sono anche diretti al palazzo presidenziale per gridare il loro disappunto a Nicos Anastasiades. (euronews)


http://www.imolaoggi.it/?p=45309



Suicidi per la crisi: Confedercontribuenti chiede Commissione d’inchiesta internazionale, 1000 morti in un triennio sono una tragedia.



Serve una Commissione d’inchiesta internazionale che accerti con scrupolo l’entità del fenomeno dei suicidi dovuti alla crisi in Italia. Dalle nostre stime emerge un dato agghiacciante. Dal 2011 a oggi contiamo circa 1000 suicidi. Di fronte al silenzio assordante del Governo e della magistratura adesso facciamo appello al mondo e alle istituzioni europee per fare luce sui tanti morti fra imprenditori, lavoratori e disoccupati che in questi anni si sono tolti la vita a causa della crisi economica. Lo chiede la Confedercontribuenti attraverso il suo vice presidente nazionale Alessandro Ciolfi che aggiunge “di fronte a oltre 1000 morti fra il 2011 e l’inizio del 2013 diventa essenziale che le autorità internazionali accertino la situazione italiana che ogni giorno fa precipitare nel baratro migliaia di onesti cittadini”. Ciolfi ricorda che nel 2012 il Presidente di Confedercontribuenti, Carmelo Finocchiaro presentò un esposto alla procura della repubblica di Roma, senza alcun esito. Ecco perché di fronte alla crisi del credito, ai mancati pagamenti della pubblica amministrazione, ai licenziamenti di massa e alla aggressione sempre maggiore del sistema della riscossione in Italia è giunto il momento, che il mondo metta l’occhio sulla gravissima situazione del nostro Paese, per evitare che la tragedia dei morti suicidi continui.

domenica 24 marzo 2013

La Verita' sulla strage di Sant'Anna di Stazzema







Sant'Anna di Stazzema, o meglio ciò che resta di questo paese martire, è adagiata in un meraviglioso anfiteatro scavato dalla natura, a circa 700 metri d'altezza, sull'Appennino lucchese che si leva a ridosso della Versilia. Da questo anfiteatro, che si spalanca sul Tirreno, si domina tutta la costa, da Pisa a La Spezia: Viareggio, Marina di Pietrasanta, Forte dei Marmi, sono là sotto, a pochi chilometri di distanza in linea d'aria. Tranquilla nel suo isolamento (ancora oggi, per raggiungere Sant'Anna, bisogna affrontare due ore di dura salita a piedi da Valdicastello, patria del Carducci), la borgata toscana vide trascorrere lentamente i secoli: sembrava che gli uomini e il destino si fossero dimenticati dell'esistenza di quel pugno di case sparse in un angolo di paradiso. Ma venne la guerra, venne l'8 settembre: il rombo delle bombe angloamericane che esplodevano lungo la litoranea cominciò a scuotere anche le case di Sant'Anna di Stazzema.
Nel paese giunsero i primi sfollati.

"Il nostro dramma", ci ha raccontato il signor Duilio Pieri, che nella strage perdette il padre, la moglie, due fratelli, le cognate e quattro nipotini, e che dal 1945 è presidente del locale Comitato vittime civili di guerra "iniziò praticamente con l'armistizio del settembre 1943. Fu dopo quel periodo che le popolazioni della Versilia, tormentate dai bombardamenti alleati, cominciarono a cercare rifugio nei paesi dell'Alta Versilia vale a dire sulle nostre montagne. Sant'Anna, allora, contava poco più di 450 abitanti, di colpo, vedemmo aumentare la popolazione. Ma i disagi che ci venivano imposti da questa nuova situazione non ci pesavano: facemmo del nostro meglio per andare incontro alle necessità di tanti nostri fratelli più sventurati di noi e ci ritenemmo ancora fortunati perché la guerra si manteneva lontana dalle nostre case.
L'inverno tra il 1943 e il 1944 trascorse così abbastanza tranquillamente: sentivamo sì il rombo degli, aerei che venivano a bombardare le città e i paesi della Toscana sapevamo che il fronte si stava avvicinando alle nostre zone sentivamo parlare di guerra civile, di fascisti e di partigiani di rastrellamenti e di rappresaglie, ma ci sembrava che tutto ciò facesse parte di un altro mondo, che Sant'Anna sarebbe sempre rimasta tagliata fuori da avvenimenti cosi e terribili. Giunse invece la primavera del 1944. E, con la primavera, cominciarono a farsi vivi i primi partigiani ".

Dapprima si trattò di elementi isolati: sbandati ex-prigionieri di guerra alleati, qualche renitente alla leva della RSI.
Poche decine in tutto. Ma a questo proposito, ecco che cosa racconta il signor Amos Moriconi, un minatore che, allora faceva il fornaio. Amos Moriconi, nella strage, ha perduto la moglie, la figlioletta di due anni, la madre, due sorelle, un fratello e il suocero.
<<Li vedemmo apparire a Sant'Anna verso la fine di marzo>> ci ha detto Amos Moriconi - e li accogliemmo così come avevamo accolto gli sfollati, fraternamente, pronti ad aiutarli. Nessuno di noi sollevò questioni di natura politica. Ma ci accorgemmo ben presto che la nostra umanità non era molto apprezzata.
Gli sbandati, infatti, si accamparono sul crinale delle montagne che sovrastano, a semicerchio, il paese, e pretesero che noi li rifornissimo di viveri. Non ci restò che piegarci alla imposizione. Ma nonostante ciò, questi individui cominciarono a perquisire le abitazioni, portando via tutti i viveri che trovavano.
Il malumore serpeggiò ben presto tra la popolazione, ma ogni tentativo di ribellione venne soffocato con la minaccia delle armi spianate.

La situazione si andò aggravando di giorno in giorno.
Gli abitanti di Sant'Anna si trovavano infatti nella impossibilità di porre un freno alle angherie compiute dagli sbandati; non avevano armi per difendersi, ne intendevano chiedere aiuto alle forze di polizia fasciste o tedesche. Conoscendo bene la zona, essi sapevano che nessun rastrellamento sarebbe riuscito a snidare quelle poche decine di uomini dal vasto territorio montagnoso dello Stazzemese, ricco di caverne e di nascondigli di ogni genere. Senza contare che, una volta tornati a valle i rastrellatori, il paese si sarebbe trovato esposto alla inevitabile vendetta dei rastrellati. Verso la metà di maggio, infine, giunsero nella zona degli emissari comunisti che, in breve tempo, raccolsero questi sbandati in una formazione partigiana rossa, la "Brigata 10 bis Garibaldi".
La brigata venne posta agli ordini di un noto comunista di Serravezza.

"Il fatto che nelle nostre montagne, al posto di gruppi di sbandati, si trovasse ora una brigata partigiana comunista - ci ha detto ancora Amos Monconi - non significò per noi nulla di meglio o di buono. In realtà, sulle prime, l'attività di questi partigiani fu minima. Li vedevamo girare per il paese armati fino ai denti, sapevamo che aumentavano gradatamente di numero, ma non ci risultava che compissero azioni di guerra contro i tedeschi e i fascisti.
Questo, in fondo, ci rassicurava. Noi di Sant'Anna, infatti, non eravamo partigiani e non facevamo parte di alcuna formazione: sapevamo però che, in caso di rastrellamento, avremmo corso tutti un gravissimo rischio, specie noi uomini. I tedeschi o i fascisti non avrebbero fatto certamente molte distinzioni tra quelli della montagna e noi del paese. Purtroppo, con il mese di giugno, i partigiani comunisti, diventati ormai circa duecento, cominciarono ad effettuare puntate verso la pianura e nelle vallate ".

Sull'attività svolta in quel periodo dai comunisti arroccati sui monti dello Stazzemese esistono solo alcune pubblicazioni molto imprecise e tutt'altro che esaurienti. Siamo riusciti comunque ad attingere sufficienti notizie, e possiamo quindi dare un quadro abbastanza chiaro delle azioni compiute dai partigiani rossi nelle settimane che precedettero la strage di Sant'Anna. È una storia di agguati, brevi scontri di pattuglie, prelevamenti di cittadini iscritti al partito fascista repubblicano.
Specie contro questi ultimi, i comunisti si mostrarono abbastanza aggressivi. Molti fascisti furono uccisi nelle loro abitazioni, spesso sotto gli occhi dei familiari. Altri, invece, vennero condotti prigionieri tra le montagne, e lì trucidati senza alcuna parvenza di processo.
Ma queste azioni provocarono solo raramente la rappresaglia dei fascisti.
Nella zona di Sant'Anna, anzi, le camicie nere non effettuarono mai rastrellamenti. Ne i tedeschi si scaldavano eccessivamente per questi episodi di guerra civile tra italiani.

Quando però i partigiani comunisti accentuarono la loro attività nei confronti delle truppe germaniche, fu subito chiaro che le ritorsioni non si sarebbero fatte attendere.
In quei giorni, tra l'altro (parliamo del periodo giugno-luglio del 1944), gli angloamericani, superata Roma, stavano puntando decisamente verso il nord, e i tedeschi si preparavano a resistere lungo quella "Linea gotica" che doveva poggiare, nel versante tirrenico, proprio sulle montagne della Lucchesia. Alta Versilia compresa. L'attività, sia pure sporadica, dei partigiani comunisti nello Stazzemese, in un territorio cioè che stava per diventare immediata retrovia se non addirittura prima linea, allarmò, forse eccessivamente, i comandi germanici.
I tedeschi inviarono così pattuglie in tutta la zona per saggiare la consistenza delle forze partigiane. Si verificarono scontri nei pressi di Sant'Anna e, di là dalla cerchia dei monti che circonda il paese, in altre località, specie a Stazzema e Farnocchia.
Va subito precisato che non si trattò di battaglie vere e proprie, così come certe pubblicazioni, anche recenti, vorrebbero far credere. Le pattuglie tedesche contavano, in media, dai quattro ai dodici uomini. Più consistenti le pattuglie partigiane: ma, in definitiva, nulla di eccezionale.
Sta di fatto, però, che la presenza dei partigiani venne segnalata un pò dovunque, nello Stazzemese, e i comandi germanici giunsero alla conclusione che il grosso delle bande si era attestato sui monti che formavano l'"anfiteatro" di Sant'Anna, dalla Foce di Compito al monte Gabberi.
Una zona strategicamente importante dalla quale si poteva dominare l'intera Versilia. Le puntate esplorative tedesche si infittirono. Vi furono alcuni morti da ambo le parti. Durante il mese di luglio pattuglie tedesche si avvicinarono per tre volte a Sant'Anna e, sempre, furono accolte dal fuoco dei partigiani. Gli esploratori si accorsero che i partigiani comunisti si erano trincerati in alcune case d'abitazione e anche sul campanile. E in questi termini, naturalmente, riferirono ai loro superiori: sulle carte topografiche appese alle pareti dei comandi tedeschi, un grosso cerchio nero venne allora disegnato attorno al nome di Sant'Anna. Un segno che significava morte e distruzione.
Si giunse così alla fine di luglio, allorché i tedeschi decisero di eliminare ogni presenza partigiana nello Stazzemese e specie nella zona di Sant'Anna. A questo scopo venne trasferito nell'Alta Versilia un battaglione della 16° divisione SS "Reichsführer".
L'azione delle SS si sviluppò sistematicamente. Occupati e presidiati i centri nei fondovalle tutti intorno ai monti di Sant'Anna, i tedeschi presero a salire stringendo gradatamente il cerchio.
I primi giorni li dedicarono a rastrellare l'"esterno" dell'"anfiteatro". Ordinarono agli abitanti di Stazzema, di Farnocchia e degli altri borghi di sfollare e batterono quindi la zona metro per metro.
I partigiani tentarono solo sporadiche resistenze, specie a Farnocchia, le cui abitazioni, per rappresaglia, vennero date alle fiamme dai soldati tedeschi l'8 agosto.
Quella sera, con l'incendio di Farnocchia, si concluse la prima parte del rastrellamento. L'intero "anfiteatro" era ormai circondato dalle SS che si preparavano all'azione conclusiva: l'annientamento dei partigiani rossi, che i tedeschi credevano di avere ristretti sul crinale delle montagne e nell'abitato di Sant'Anna. Ma nella trappola mortale restarono solo dei civili innocenti: un migliaio di persone, in gran parte donne e bambini. "Noi di Sant'Anna", ci hanno confermato numerosi superstiti "avevamo seguito con il cuore in gola gli avvenimenti di quegli ultimi giorni. Avevamo saputo dei rastrellamenti nell'altro versante della montagna e dell'incendio di Farnocchia. I partigiani, inoltre, avevano sparato dalle nostre case contro i tedeschi. Prima o poi. lo sapevamo bene. il rastrellamento sarebbe giunto anche a Sant'Anna.
Ma ci sorreggeva un filo di speranza. I partigiani, infatti, continuavano a ripeterci che non se ne sarebbero andati, che ci avrebbero difesi con ogni mezzo, che non e era da temere perché loro erano più forti dei tedeschi. Ma la mattina del 9 agosto venne affisso sulla porta della chiesa un manifesto del comando germanico. Era l'ordine di sgombero per la popolazione civile; ci davano poche ore di tempo per andarcene tutti.
I civili che fossero stati sorpresi ancora in paese dalle truppe rastrellatrici, sarebbero stati considerati favoreggiatori dei partigiani e fucilati come tali. La voce si sparse in un baleno. I comunisti però intervennero subito, strappando il manifesto tedesco e affiggendone un altro nel quale facevano obbligo ai civili di non muoversi.
Che cosa dovevamo fare? Eravamo presi tra due fuochi.
La presenza minacciosa dei partigiani comunisti era molto più concreta di qualsiasi ordinanza tedesca. Così restammo tutti".

Gli abitanti di Sant'Anna, gli sfollati che avevano cercato salvezza nel borgo appenninico non potevano certo sospettare, in quei momenti, che i comandi comunisti avevano freddamente deciso di sacrificarli. Quel giorno stesso, infatti, i partigiani rossi sparirono dalla circolazione. In paese non li vide più nessuno.
Qualcuno volle sostenere, più tardi, che i partigiani della formazione comunista abbandonarono Sant'Anna perché avevano ricevuto l'ordine di raggiungere un'altra zona della Lucchesia. Non è vero. Si allontanarono, solo provvisoriamente, dalle montagne e dal paese di Sant'Anna, perché erano stati avvisati in tempo del rastrellamento decisivo che i tedeschi stavano per scatenare con la certezza di averli ormai chiusi in trappola.
Se ne andarono obbligando i civili a non muoversi: calcolarono infatti cinicamente che le SS avrebbero scambiato gli uomini di Sant'Anna per partigiani comunisti e li avrebbero massacrati, tornando quindi alle loro basi con la certezza di aver "ripulito" la zona.

"Credo di essere stato uno dei pochi che ebbe la percezione di quanto stava accadendo", racconta Amos Moriconi. "Ricordo che affrontai uno degli ultimi partigiani che si accingevano a lasciare il paese e gli dissi: "Perché ci abbandonate? Voi sapete bene di averci infilato in una rete e sapete anche che i tedeschi non ci risparmieranno. Avevate promesso di difenderci. Dove ve ne andate adesso?". Ma quello mi guardò ghignando e si allontanò senza rispondermi ".
Quel giorno però non accadde nulla. Anche il 10 e l'11 agosto trascorsero in una calma assoluta, quasi irreale. Sant'Anna sembrava tagliata fuori dal mondo. Ma all'alba del 12, sul crinale delle montagne che sovrastano il paese, apparvero gli elmi bruniti e le tute mimetiche delle SS.
La strage incominciò poco dopo le sei del mattino. I tedeschi, circondata la vasta conca dell'"anfiteatro" dove sorge Sant'Anna, si divisero in squadre, penetrando simultaneamente nelle diverse frazioni che compongono il paese: Argentiera, Le Case, Franchi, Vaccareccia, Coletti, Bambini, Colle, Sennari e Molini. La popolazione venne colta di sorpresa.

L'allarme però corse fulmineo di casa in casa e furono numerosi coloro che riuscirono a mettersi in salvo gettandosi nei boschi che circondano Sant'Anna. Ma, come già era accaduto in occasione di precedenti allarmi del genere, solo gli uomini tra i 18 e i 60 anni cercarono scampo. Fino a quel momento, infatti, l'incubo della rappresaglia aveva sempre risparmiato, almeno nello Stazzemese, i vecchi, le donne e i bambini.
Nessuno in paese, quella mattina, poteva sospettare che i tedeschi fossero decisi a uccidere senza pietà, quali "favoreggiatori dei partigiani", tutti gli abitanti di Sant'Anna. Nessuno poteva immaginarlo, ad eccezione però di alcune persone: i capi partigiani comunisti della zona. Questi, infatti, sapevano benissimo che i tedeschi, quando ritenevano di dover eliminare qualsiasi presenza partigiana in un determinato settore, non esitavano a massacrare anche i civili che abitavano nella zona.
Lo sapevano anche perché proprio in quelle ultime settimane, e specie nel territorio della provincia di Arezzo, centinaia di innocenti erano stati trucidati nel corso di alcune feroci ritorsioni scatenate dalla attività di formazioni partigiane rosse. Ma i capi comunisti, fedeli alle direttive della "guerra privata" condotta dalla organizzazione rossa, si guardarono bene dal mettere sull'avviso gli abitanti di Sant'Anna: a loro, quegli uomini, quelle donne, quei bambini, facevano più comodo da morti che da vivi, visto e considerato, tra l'altro, che nessuno degli abitanti del paese aveva voluto entrare nelle formazioni partigiane comuniste.
Sui morti, infatti, l'organizzazione comunista avrebbe potuto speculare a volontà.
Alle prime avvisaglie del rastrellamento si occultarono così sulle montagne attorno al paese e se ne stettero a guardare. Ma sul comportamento dei partigiani comunisti torneremo tra non molto.
Per ora riprendiamo il racconto di quanto accadde la mattina del 12 agosto nel borgo versiliese.

“Stavo ancora riposando”, ci ha raccontato il signor Mario Bertelli che allora faceva il minatore e aveva 23 anni, "quando venni svegliato all'improvviso dalle grida di un mio nipotino. Aldo Beretti: "Alzati, zio, fai presto: sono arrivati i tedeschi". Quelle parole mi gelarono il sangue nelle vene. Da un pò di tempo, tra l'altro, ero ammalato, e proprio il giorno prima, per curarmi meglio e per alleviare i disagi di mia moglie, avevo deciso di lasciare la cascina nel bosco dove ci eravamo rifugiati, per timore di rappresaglie, in seguito agli ultimi scontri avvenuti in paese tra partigiani e tedeschi. Eravamo così tornati nella nostra casa a Sant'Anna.
Spaventatissimo e convinto che i tedeschi avrebbero rastrellato il paese portando via tutti i giovani della mia età, indossai rapidamente gli abiti e corsi fuori di casa gridando a mia moglie che andavo a nascondermi nel bosco ".
Anche Mario Bertelli sperò, sulle prime, che i comunisti intervenissero in difesa del paese e della popolazione. Ma si trattò di una illusione che durò poco: "Dal mio nascondiglio" ci ha detto ancora il signor Bertelli "potevo sentire l'eco degli spari e delle raffiche. La distanza mi impediva di udire le grida e le invocazioni d'aiuto. Per un pò di tempo ritenni così che i tedeschi sparassero più che altro per intimidire la popolazione come era già accaduto altre volte. Poi cominciai a vedere il fumo degli incendi. Bruciavano case un pò dovunque. Mi resi conto che la situazione si stava facendo tragica. Ero solo, senza armi.
Tornare in paese in quelle condizioni non sarebbe servito a nulla: non avrei potuto aiutare i miei familiari e sarei caduto subito nelle mani dei tedeschi. Trascorsi così ore di agonia. Alla fine gli spari diminuirono di intensità e poi cessarono del tutto. Mi avviai allora verso l'abitato. Avrei voluto correre ma ero troppo debole a causa della malattia: l'orgasmo e il terrore di quanto avrei potuto vedere in paese mi piegavano le gambe.
Quando giunsi, molte case stavano bruciando. Mi avvicinai alla prima: vidi alcuni cadaveri tra le fiamme. Allora corsi urlando come un pazzo verso la mia casa.
Era stata distrutta dalle fiamme, ma tra le macerie infuocate non trovai alcun cadavere. Mi spinsi allora fino alla piazza della chiesa, da dove vedevo levarsi un fumo denso. Ma quando vi arrivai, una scena spaventosa mi inchiodò al suolo senza che avessi più la forza di avanzare di un passo: un mucchio enorme di cadaveri stava bruciando lentamente. Ad un tratto mi sentii afferrare convulsamente e una voce, quella di mio padre, singhiozzò: "Sono là dentro, tutti". Seppi cosi che nell'orribile cumulo e erano anche mia moglie, mia madre, le mie sorelle Pierina e Aurora e mio nipote.
Che cosa sia successo nelle ore e nei giorni che seguirono, non me lo ricordo bene. So che unii i miei sforzi a quelli di altri superstiti per seppellire tutti quei morti. Nella impossibilità di identificare coloro che erano stati trucidati nella piazzetta della chiesa, scavammo due grandi fosse comuni lì accanto e li seppellimmo tutti insieme.
Contammo centotrentadue creature: in maggioranza donne e bambini.
La strage durò circa un'ora e mezzo. La rappresaglia però non si accanì contro tutte le frazioni che compongono Sant'Anna.
Nella frazione Sennari, per esempio, le SS diedero fuoco ad alcune case e radunarono tutta la popolazione in una piazzetta. Sistemarono quindi le mitragliatrici per falciare quei poveretti: giunse però all'ultimo momento un ufficiale che impedì il massacro.
Nella frazione Bambini, i tedeschi non bruciarono case e non uccisero alcuno. Le altre frazioni, invece, furono quasi tutte distrutte e gli abitanti massacrati. Non si è mai capito il perché di questa terribile selezione. Una risposta può essere data dal fatto che le SS conoscevano o, perlomeno, credevano di conoscere l'ubicazione delle case nelle quali erano stati ospitati i partigiani o, peggio, dalle quali i partigiani avevano sparato sui loro camerati.
Al rastrellamento infatti partecipò, accanto ai tedeschi, un ex partigiano comunista, di nazionalità polacca, diventato spia delle SS: fu costui, molto probabilmente, a indicare ai tedeschi le frazioni da distruggere e le famiglie da massacrare.
Nel solco sanguinoso della feroce rappresaglia restarono i corpi di centinaia di vittime. Quante, esattamente? Difficile dirlo con precisione. Ufficialmente furono 560. Ma è probabile, invece, che la cifra complessiva dei caduti sia inferiore.
Per sincerarcene abbiamo percorso l'intero abitato di Sant'Anna, cercando di ricostruire, casa per casa, la dislocazione e il numero dei componenti di ogni singola famiglia presente quella terribile mattina nel paese. Siamo arrivati alla conclusione che le vittime non furono più di 300-350. La stessa cifra, più o meno, si rileva anche da un opuscolo "Fuoco sulla Versilia", di Anna Maria Rinonapoli (ed. Avanti, 1961), che riporta l'elenco nominativo dei civili massacrati a Sant'Anna il 12 agosto. Questo elenco consta solo di 340 nominativi. Una cifra comunque, spaventosamente alta: di questi 340 innocenti massacrati, ben 65 erano bambini di età inferiore ai 10 anni.

Un altro punto controverso riguarda la presenza o meno di italiani tra i massacratori. Abbiamo interrogato molti superstiti per appurare la verità. Ed ecco le conclusioni: nessuno, quella mattina, vide nella zona soldati in divisa italiana. Alcuni, però, sostengono di aver sentito delle SS esprimersi in italiano. È necessario, allora, precisare che i reparti che eseguirono la rappresaglia (alcune compagnie di un battaglione della 16a divisione SS), inquadravano non solo soldati di nazionalità tedesca, ma anche polacchi, ucraini e altoatesini originari della provincia di Bolzano.
Questi ultimi, che parlavano correttamente la nostra lingua, si distinsero purtroppo in più di una occasione durante rappresaglie e rastrellamenti. Il plotone di esecuzione che trucidò i 335 caduti delle Fosse Ardeatine, per esempio, era composto quasi totalmente di altoatesini.
A conferma del fatto che soldati della RSI non parteciparono al massacro di Sant'Anna, esistono poi i verbali delle indagini e dei processi celebrati nel dopoguerra contro i fascisti e i soldati della RSI che avevano prestato servizio nella zona.
Nessuno di loro venne riconosciuto colpevole e condannato per aver seguito i tedeschi nella terribile strage. L'infamia di Sant'Anna di Stazzema ricade quindi esclusivamente su una formazione germanica e sui comunisti che fecero di tutto per provocare la rappresaglia, abbandonando poi la popolazione di un intero paese nelle mani dei tedeschi inferociti.

Tutte le testimonianze dei sopravvissuti di Sant'Anna sono infatti concordi nell'attribuire ai partigiani comunisti la responsabilità morale del massacro. "Noi del paese", ci è stato confermato ripetutamente "non eravamo partigiani.
Eravamo certi inoltre che i partigiani comunisti, in caso di bisogno, ci avrebbero difesi. Invece se ne andarono proprio alla vigilia del rastrellamento e ci lasciarono massacrare dopo averci ben chiusi nella trappola". È indiscutibile, inoltre, che i partigiani allontanarono dalla zona, ma rimasero nascosti tra i boschi delle montagne attorno a Sant'Anna. Lo prova il fatto che nemmeno due ore dopo la fine del massacro tornarono a farsi vivi in paese: il che significa che, durante la strage, non dovevano trovarsi molto lontano. Perché non intervennero a difesa dei civili? Perché non tentarono di attaccare le SS per dare tempo ai vecchi, alle donne, ai bambini di Sant'Anna di fuggire nei boschi? Nessuno ha mai dato risposta a queste domande e nessuno ne darà mai.
È significativo però il fatto che i comunisti, così bravi nell'indire manifestazioni commemorative e così pronti a spendere decine di milioni per organizzare marce e raduni in memoria delle "vittime del nazifascismo", non hanno mai speso una lira per commemorare i caduti di Sant'Anna. La verità è che il PCI preferisce distruggere il ricordo di quei morti innocenti perché, sotto molti aspetti, le infamie compiute dai rossi nei confronti del povero borgo toscano fanno dei comunisti altrettanti complici delle SS.

I comunisti, infatti, non si limitarono a tradire gli abitanti di Sant'Anna, non si limitarono a farli massacrare. Fecero di peggio: come tanti sciacalli tornarono in paese dopo la strage e si misero a spogliare i cadaveri dei trucidati dalle SS.
Confessiamo che prima di dare credito a queste voci abbiamo esitato a lungo, tanto il fatto ci sembrava mostruoso e inconcepibile. Ma le testimonianze che abbiamo raccolto sono state circostanziate e ben precise. Ecco quanto racconta Amos Monconi, l'ex fornaio di Sant'Anna: "Erano appena suonate le sei del mattino, quando udii la voce di mio zio. Italo Farnocchi, che gridava: "Scappa, stanno arrivando i tedeschi". Non me lo feci ripetere due volte.Non avevo nessuna intenzione di finire in Germania.
Ebbi appena il tempo di gridare a mia moglie; "Ci sono i tedeschi", che ero già fuori dell'uscio. Mi diressi verso un folto bosco vicino: sapevo dove nascondermi anche perché, in quegli ultimi giorni, preso dal sospetto che i partigiani comunisti non ci avrebbero difesi, mi ero preparato all'eventualità di una fuga. Restai nel bosco circa due ore. Anche io, come tanti altri, non mi resi conto, sulle prime, di quanto stava accadendo in paese. Cominciai ad allarmarmi quando gli incendi presero a divampare dovunque. Mi spostai allora in un punto dal quale potevo vedere Sant'Anna. Mi accorsi che i tedeschi trascinavano la gente fuori dalle case e la radunavano in più punti.
Ma ancora non capivo: non volevo capire. Poi le raffiche di mitraglia, gli urli.
Mi sembrò di impazzire. Corsi verso il paese invocando i nomi di mia moglie Nora e della mia piccola Claudina. Raggiunsi le prime case di Sant'Anna mentre i tedeschi stavano allontanandosi. Credo di essere stato uno dei primissimi, se non il primo a rientrare nel paese distrutto e pieno di morti. Trovai la mia casa che bruciava. Di mia moglie e di mia figlia nessuna traccia. Non tardai purtroppo a sapere che erano state massacrate nel piazzale della chiesa. Ma non era finita: poco dopo, alla Vaccareccia, trovai le salme di mia madre e dei miei tre fratelli. Mi aggirai come un folle per le rovine di Sant'Anna.
Non sapevo più che cosa dovevo fare; non riuscivo nemmeno a pensare. Fu allora che qualcuno mi disse che era necessario seppellire subito i morti. Raccolsi un pò di attrezzi e scavai una grande buca. Poi trasportai li presso le salme dei miei congiunti e cercai di comporle prima di seppellirle.
Mentre mi stavo dedicando a questa terribile incombenza, vidi i partigiani. Erano due. Uno lo conoscevo bene da tempo: era un milanese che si faceva chiamare "Timoscenko". Si avvicinarono a me. Notai subito che avevano le tasche piene di portafogli, oggetti d'oro e d'argento. Se ne erano infilati anche dentro la camicia. Li guardai senza parlare. "Timoscenko" allora mi disse: "Devi consegnarci tutti i soldi e gli oggetti di valore che trovi sui morti. Siamo noi che dobbiamo prenderli in consegna". Mi sentii salire il sangue alla testa; impugnai la piccozza e la alzai di scatto; "Vattene", gli dissi. "Vai via se non vuoi che ti spacchi il cranio". "Timoscenko" esitò un momento e poi, senza replicare, si allontanò ".

Sul conto di questo "Timoscenko" e di altri partigiani comunisti ne abbiamo sentite raccontare di tutti i colori. Furono visti entrare in case dove non era rimasto più vivo nessuno e uscirne dopo aver fatto man bassa. Furono anche visti spartirsi il bottino; " Qualche giorno dopo la strage ", ci ha confermato Teresa Pieri, una delle superstiti, che racconta. <<scesi a Valdicastello, in una strada riconobbi due partigiani comunisti che avevo visto tante volte a Sant'Anna. Mi avvicinai e mi accorsi che si stavano dividendo soldi, braccialetti, catenine d'oro. Tutta roba rapinata sui cadaveri dei nostri cari >>.

Tratto dal libro "Sangue chiama Sangue" di GIORGIO PISANO'

sabato 23 marzo 2013




Piero Zuccheretti



Si chiamava Piero Zuccheretti. Non aveva ancora compiuto 13 anni. La mattina del 23 marzo 1944 si recava al lavoro in una ditta di ottica.Tragitto obbligatorio:Via Rasella. L'esplosione della bomba posta nel carrettino delle immondizie ad opera dei comunisti Rosario Bentivegna,Carla Capponi,Amendola,Carlo Salinari,Pasquale Balsamo provocò la morte non solo dei 32 tedeschi del reparto Bozen ma anche del piccolo Piero.L'esplosione provocò anche la reazione tedesca che culminò in quella che viene ricordata come la strage delle Fosse Ardeatine.Da ricordare anche  la leicità della rappresaglia tedesca in base all'art.42 della Convenzione dell'Aja. Da ricordare che i francesi attuarono la la rappresaglia del 30 e del 50 a 1.I russi del 120 a 1. Gli americani del 110 a 1. Ma questa è un'altra storia. Oggi occorre ricordare questo piccolo ragazzo di cui si è preferito mai parlare e cercando in ogni modo di nascondere  la morte o anche di stravolgere la verità. Noi eleviamo a Dio la nostra preghiera per questa vittima innocente dell'odio certi che la giustizia divina è tutt'altra cosa rispetto a quella terrena.


Si chiamava Piero Zuccheretti. Non aveva ancora compiuto 13 anni. La mattina del 23 marzo 1944 si recava al lavoro in una ditta di ottica.Tragitto obbligatorio:...Via Rasella. L'esplosione della bomba posta nel carrettino delle immondizie ad opera dei comunisti Rosario Bentivegna,Carla Capponi,Amendola,Carlo Salinari,Pasquale Balsamo provocò la morte non solo dei 32 tedeschi del reparto Bozen ma anche del piccolo Piero.L'esplosione provocò anche la reazione tedesca che culminò in quella che viene ricordata come la strage delle Fosse Ardeatine.Da ricordare anche la leicità della rappresaglia tedesca in base all'art.42 della Convenzione dell'Aja. Da ricordare che i francesi attuarono la la rappresaglia del 30 e del 50 a 1.I russi del 120 a 1. Gli americani del 110 a 1. Ma questa è un'altra storia. Oggi occorre ricordare questo piccolo ragazzo di cui si è preferito mai parlare e cercando in ogni modo di nascondere la morte o anche di stravolgere la verità. Noi eleviamo a Dio la nostra preghiera per questa vittima innocente dell'odio certi che la giustizia divina è tutt'altra cosa rispetto a quella terrena.

venerdì 22 marzo 2013

I due marò tornano in India Ecco il retroscena sulla vergogna: Monti e Terzi ci hanno sputtanato





Errori sostanziali, oltre che di merito. Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ieri è stato "messo sotto processo" durante la riunione del Cisr (il comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) e alla fine della tesa riunione sul caso dei due marò Latorre e Girone rispediti in fretta e furia in India una cosa è certa: il governo ha scaricato lo stesso Terzi. "Palazzo Chigi e il Quirinale non sono stati coinvolti in modo adeguato nella decisione, non almeno al livello che sarebbe stato naturale per una decisione di questo tipo", racconta al Corriere della Sera chi ha assistito alla riunione. L'impressione, però, è che la posizione del premier Mario Monti sia dettata più dall'imbarazzo per la retromarcia che da altro: difficile, se non impossibile, è che Terzi abbia realmente fatto tutto da solo. 
L'ira di Napolitano - Eppure la linea ufficiale, fatta filtrare dalla riunione, parl di un Monti "irritatissimo", alla pari del sentimento di Giorgio Napolitano. Un'irritazione verso la Farnesina che sarebbe cresciuta negli ultimi giorni in maniera direttamente proporzionale con le reazioni indiane. E così alla fine si è ritenuto meglio fare la figuraccia della marcia indietro piuttosto che rompere i rapporti con gli indiani: rapporti non solo politici, ma anche commerciali e industriali. E così alla fine ieri, su carta intestata di Palazzo Chigi e non della Farnesina, viene divulgata la comunicazione (per qualche ora coperta da segreto di Stato) con cui il governo ha revocato la decisione.

http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/1209222/Il-retroscena-sulla-vergogna-maro----Terzi-ha-fatto-tutto-da-solo.html

giovedì 21 marzo 2013

GIORNATA CONTRO IL RAZZISMO:





DJEBALI MAHER di anni 26, responsabile delle violenze sessuali avvenute a Velletri il 2 e il 10 febbraio ai danni di due giovani donne.


Venti di guerra per la Merkel: Mosca schiera cinque fregate che tengono a tiro Cipro

I diktat tedeschi mettono a rischio prelievo forzoso i 24 miliardi di euro depositati dai russi nelle banche cipriote. Così Mosca minaccia: pattugliate le coste dell'isola






I russi mostrano i muscoli di fronte all’esproprio bancario promosso dall’Europa tedesca in quel di Cipro. Almeno cinque fregate terranno a tiro utile le coste dell’isola levantina «permanentemente». Così, quello che sta succedendo al largo di Cipro dimostra per l’ennesima volta che il petrolio, il debito e i soldi si difendono con il deterrente delle armi. Non a caso gli americani hanno chiara l’idea che, qualunque cosa possa accadere, dovranno avere la superiorità tecnologica delle armi. Altrimenti, diventerebbero marionette nelle mani dei cinesi. In gran parte possessori del debito Usa. Domenica notte Viktor Viktorovich Chirkov, comandante in capo della marina russa, ha dichiarato che almeno cinque fregate rimarranno «permanentemente» nel Mediterraneo. Per la precisione tra Cipro e le coste vicine alla Siria. La flotta era già stata dispiegata ufficialmente per una esercitazione, con l’obiettivo di osservare più da vicino le mosse attorno a Damasco. Mentre la scelta di domenica notte è un chiaro messaggio a chi crede che i soldi degli oligarchi russi siano come quelli del monopoli: facili da stracciare. 
Mosca, come ovvio, non ha appreso di buon cuore l’ipotesi di un prelievo forzoso sui conti ciprioti. E ancor meno sarebbe contenta di scoprire che come suggerito dalla numero uno del Fmi, Christine Lagarde, la confisca una tantum potrebbe raggiungere il 30% sopra i 500mila euro di deposito. Le banche russe sono a oggi esposte per 9 miliardi di euro e le aziende russe per altri 15 miliardi. Sarebbero dunque le più colpite. Ma la scorsa settimana nessuno a Bruxelles né a Berlino ha pensato di invitare al tavolo delle trattative un rappresentante del governo russo. Vladimir Putin ha fatto sapere che la tassa forzosa sarebbe «sleale, non professionale e pericolosa». Il primo ministro Dmitri Medvedev ha fatto eco al presidente dichiarando che «qualche Stato membro della Ue ha preso una strana decisione che sa tanto di confisca dei soldi del popolo». Concludendo che se ciò avvenisse, «dovremo riconsiderare i nostri rapporti con Cipro». Un messaggio diretto ad Angela Merkel, promotrice dell’intera linea di austerity.  Ed è  in effetti difficile dare torto ai russi.  Primo, più di un rappresentante tedesco ha fatto notare che salvare le banche di Nicosia solo con aiuti Ue sarebbe stato un regalo alla mafia russa. A quel punto perché non usare qui soldi «ripuliti»?  Peccato che poi quando c’è stato da andare a dirlo a Putin, nessuno ha avuto il coraggio. Ci andrà domani il ministro delle Finanze di Nicosia. E non sarà facile. Secondo, nel 2011 ci sono stati numerosi segnali di pericolo, tutti ignorati come con la Grecia. Eppure a differenza della Grecia si sapeva che il 75% del debito cipriota era blindato da contratti anglosassoni che vietano l’haircut. 
Bruxelles che ha fatto? Ha spinto Cipro tra le braccia di Mosca. Tanto che nel 2011, Mosca – da sola – ha fatto un salvataggio da 2,5 miliardi di euro. Terzo, durante le trattative, Bce, Ue e tedeschi hanno fatto sapere al premier cipriota che era meglio non toccare i depositi dei cittadini o quelli sotto i 100mila euro. Ma penalizzare solo gli stranieri. Così facendo il giorno dopo l’unico sostentamento di Cipro, l’industria finanziaria offshore, sarebbe svanito. Lasciando sul lastrico circa 8mila famiglie. 
Dal punto di vista russo, la domanda sarebbe invece molto semplice: Perché la Ue ha consentito che un Paese risaputamente offshore entrasse nella Ue? Ha concesso che tutti i soldi degli oligarchi arricchissero Cipro senza dire nulla? Perché era d’accordo, risposta. Basti pensare che solo nel 2011 sono transitati attraverso l’isola ben 80 miliardi di euro provenienti da Mosca. E anche alla Ue facevano comodo, evidentemente. Così come fa comodo che Malta abbia asset bancari pari a 8 volte il proprio Pil e con quegli asset dia da mangiare a 10mila dipendenti. (Altro che Cipro caso isolato...). E quindi perché mai sarebbe giusto cambiare le carte in tavola ed espropriare i capitali esteri? Oltre a quelli dei poveri ciprioti. Verosimilmente i russi accetteranno una mediazione al ribasso sul prelievo. In cambio di cosa? Sono circolate voci sulla possibilità che Nicosia concedesse a Gazprom diritti sui giacimenti di gas a largo delle coste. Non ci sono conferme. Ma se fosse vero, il mancato sostegno a Cipro sarebbe il penultimo (o l’ultimo?) chiodo della bara che sta accogliendo il vecchio continente. Niente più autonomia energetica, ma dipendenza totale da Mosca. La Turchia è sempre più forte, il Medioriente è in subbuglio e noi europei abbandoniamo al proprio destino uno degli snodi geopolitici più delicati del Mediterraneo. Si chiama cecità mortale.

http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/1206440/Venti-di-guerra-per-la-Merkel---Mosca-schiera-cinque-fregate--che-tengono-a-tiro-Cipro.html

lunedì 18 marzo 2013

UE, accordo per gli aiuti a Cipro: Tassa 9% sui depositi bancari


eurobur2

BRUXELLES, 16 mar  – I ministri delle Finanze della zona euro hanno trovato nella notte l’accordo per un piano d’aiuti per Cipro. Lo rendono noto fonti vicine alla trattativa. L’importo degli aiuti sarà di “massimo 10 miliardi di euro”, specifica una fonte diplomatica.
La somma è nettamente inferiore ai 17,5 miliardi di euro chiesti inizialmente da Nicosia. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) dovrebbe contribuire con 1 miliardo di euro al piano d’aiuti per Cipro, specifica la stessa fonte. Il programma di assistenza finanziaria comprende una tassa eccezionale fino al 9,9% sui depositi bancari nelle banche cipriote, così come una ritenuta alla fonte sugli interessi.
Il prelievo sui depositi bancari previsto dal piano di aiuti per Cipro porterà 5,8 miliardi di euro, spiega il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Il prelievo eccezionale sui depositi bancari sarà del 6,75% per quelli inferiori a 100.000 euro e del 9,9% per quelli oltre tale cifra. “La situazione di Cipro è unica” in ragione del suo “settore bancario ipertrofico”, ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo, ed è per questo che “abbiamo ritenuto giustificato il tassare i depositi”, ha sostenuto. ansa
http://www.imolaoggi.it/?p=44411

venerdì 15 marzo 2013

Anche questo è scritto nella storia d'Italia

di Yehoshua Porat


Mussolini salvò la vita a migliaia di ebrei





Questo articolo è uscito il 30 novembre scorso sul più diffuso quotidiano israeliano "Yediot Aharonot" a proposito della visita di Gianfranco Fini a Gerusalemme.

L'articolo, a firma dello storico Yehoshua Porat e intitolato "Anche questo è scritto nella storia d'Italia", ripercorre la storia delle leggi razziali in Italia sottolineando come sotto il regime fascista gli ebrei soffrirono una persecuzione assai blanda e spesso furono al contrario difesi e aiutati. Quindi "Fini fa rabbia ai nemici di Israele", si legge nel sommario dell'articolo "soprattutto per via delle sue posizioni nel presente" più che per il suo passato.

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Anche questo è scritto nella storia d'Italia - Di Yehoshua Porat

La vìsita in Israele di Gianfranco Fini, vice Presidente del Consiglio italiano, ha suscitato polemiche e sensazioni scomode in certi circuiti poiché, in passato, Fini adorava -Mussolini. Tossi Sarid, ad esempio, scriveva su Haaretz del 24 novembre 2003 che chi invita Fini a visitare Israele non ha il diritto, almeno dal punto di vista morale, di combattere l'antisemitismo che dilaga oggi nel mondo arabo e nell'Europa occidentale. Tuttavia questa posizione ignora la verità storica.

Nei primi sedici anni del regime fascista in Italia (1922-1938) gli ebrei italiani godevano di piena parità di diritti. Il cambiamento è avvenuto più tardi, in seguito all'annessione dell'Austria, che ha suscitato nell'animo di Mussolini la paura di Hitler. Appena allora Mussolini ha provveduto ad una legislazione anti-ebraica, la cui applicazione, comunque, è avvenuta senza entusiasmo e soltanto in maniera parziale. E' molto importante il fatto che il regime fascista italiano abbia salvato migliaia di ebrei in due regioni conquistate dal suo esercito, nell'ambito dell'alleanza con la Germania nazista: il sud-est della Francia e la Croazia jugoslava.

Nella prima zona di occupazione, gli italiani si sono astenuti dal compiere qualsiasi passo anti-ebraico, e hanno anche impedito all' Amministrazione civile francese in questa regione di applicare le leggi anti-ebraiche del governo Petain. Di conseguenza quella regione divenne una terra d' asilo richiestissima, quasi un paradiso, per gli ebrei francesi. Molti di loro affluirono in quella zona fino all'estate del 1943, quando l'Italia si ritirò dalla guerra e i nazisti presero il controllo della zona.

Anche in Croazia gli italiani hanno frenato gli antisemiti locali e hanno persino creato difficoltà per i tedeschi nel realizzare la loro "Soluzione Finale" in tutta la sua portata. Anzi, al suo ritiro dalla Croazia, avvenuto anch'esso nell'estate del 1943, l'esercito italiano fu accompagnato da migliaia di profughi ebrei italiani, che sono approdati prima a Corfù e poi in Italia, salvandosi dalle grinfie dei nazisti.

Tutta questa attività si svolse su ordine dell'Amministrazione fascista italiana, impartito al comandante dell'esercito, in risposta alla sua domanda su come avesse dovuto comportarsi nei confronti degli ebrei, e con l'esplicita approvazione di Mussolini. Tutti i dettagli di questa vicenda si trovano nel libro dello storico Menachem Shelach "Un conto di sangue - il salvataggio degli ebrei di Croazia per mano degli italiani, 1941 - 1943 ". La persona di Menachem Shelach è probabilmente accettabile a Saride e i personaggi del suo stampo: era membro del movimento giovanile (di sinistra) Hashomer Hatzair, membro del kibbutz Mishmar Ha'emeke, chissà, forse è addirittura membro di Meretz.

Gianfranco Fini fa rabbia ai nemici di Israele in Italia e in Europa non tanto per il suo passato, ma per le sue posizioni del presente. E' un vero amico dello Stato di Israele.Peccato che nel coro di ostilità levino la voce anche quei soliti israeliani di cui sopra.
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Yediot Aharonot, nome che significa "Ultime notizie", è edito a Tel Aviv ed è distribuito su tutto il territorio nazionale. E' il quotidiano più diffuso del Paese.

E' il classico quotidiano d'informazione che si occupa di cronaca, politica, costume e attualità. E' pubblicato in formato tabloid e ha 24 pagine, ma presenta anche numerosi inserti che portano il totale delle pagine a circa 70. Costa 0,88 euro. A EIiat, sul Mar Rosso, costa però solo 0,75 euro.

Fondato alcune decine di anni fa dalla famiglia Moses che ne mantiene tuttora la proprietà, non ha tendenze politiche dichiarate anche se una Moses è moglie dell'attuale ministro degli Esteri Shalom Silvan. L'attuale direttore è Arnon Moses.

L'autore dell'articolo, Yehoshua Porat, è un noto storico israeliano, specialista in storia dell'Islam e del Medio Oriente. Insegna all'università ebraica di Gerusalemme.


Da Libero del 9 dicembre 2003

In due mesi 'spariti' 10mila nuovi negozi

A gennaio e febbraio impressionante crollo delle nuove aperture: -167 al giorno. E' il dato peggiore degli ultimi 20 anni. Record negativo per Roma e Torino





Sono ormai 500.000 gli esercizi sfitti in tutta Italia. Hanno chiuso più di 9.500 tra bar, ristoranti e simili, per un saldo finale negativo di 6.401 unità dall'inizio del 2013
La crisi stringe in una morsa il settore del commercio. Nessuno vuole rischiare quel poco che ha, e la voglia di fare impresa sfuma sotto il peso di tasse e burocrazia.
A gennaio e febbraio di quest'anno nel solo settore della distribuzione commerciale sono spariti quasi 10.000 negozi, con un vistoso crollo (-50%) delle aperture di nuove attività rispetto al 2012. Lo afferma la Confesercenti segnalando che si tratta del dato peggiore degli ultimi 20 anni. Praticamente sono sparite 167 imprese al giorno. Se tale trend restasse invariato, dice la Confesercenti, a fine anno si avrebbe la scomparsa di 60.000 negozi.

Secondo i dati del suo Osservatorio, la perdita di negozi svuota le città: sono ormai 500.000 gli esercizi sfitti in tutta Italia. E anche i pubblici esercizi vivono un momento disastroso: in questi due mesi ne hanno chiuso più di 9.500 tra bar, ristoranti e simili, per un saldo finale negativo di 6.401 unità. La Confesercenti si prepara a lanciare il 17 marzo una mobilitazione in piazza per firmare contro le aperture domenicali. "Oltre al saldo molto negativo, si conferma un altro allarmante fenomeno: quello del crollo di nuove aperture. Nel primo trimestre nel settore del commercio al dettaglio, secondo le nostre proiezioni, saranno in tutto 5.988: si tratta di un risultato del 50% inferiore alle 12.321 che hanno aperto nei primi tre mesi del 2012, che rappresenta il dato peggiore degli ultimi 20 anni. Se estendiamo lo sguardo ai dati di aperture del primo trimestre 2011 e del primo trimestre 2010 in effetti, si conferma un crescente calo delle nuove iscrizioni, mentre le cessazioni restano sostanzialmente costanti, intorno alle 20-22 mila ogni anno. Il fenomeno dimostra come la crisi non incide solo sul numero di chiusure, ma anche e soprattutto sulla possibilità di aprire una nuova impresa". 
A Roma e Torino tocca il record di chiusure; Sud e Isole tengono invece più del Centro-Nord, che registra 7.885 chiusure a fronte di 2.054 aperture; Sud e Isole sembrano resistere un po' di più, con 5.890 cessazioni e 1.938 nuove iscrizioni. Tra le maggiori città, maglia nera va a Roma, con 553 chiusure per un saldo negativo di 392 unità. Seguono Torino (306 cessazioni, saldo negativo di 231 unità) e Napoli, dove le attività commerciali che hanno abbassato la serranda sono state 238, per un saldo finale che ha visto scomparire 133 imprese.
Secondo i dati del suo Osservatorio, la perdita di negozi svuota le città: sono ormai 500.000 gli esercizi sfitti in tutta Italia. E anche i pubblici esercizi vivono un momento disastroso: in questi due mesi ne hanno chiuso più di 9.500 tra bar, ristoranti e simili, per un saldo finale negativo di 6.401 unità. La Confesercenti si prepara a lanciare il 17 marzo una mobilitazione in piazza per firmare contro le aperture domenicali. "Oltre al saldo molto negativo, si conferma un altro allarmante fenomeno: quello del crollo di nuove aperture. Nel primo trimestre nel settore del commercio al dettaglio, secondo le nostre proiezioni, saranno in tutto 5.988: si tratta di un risultato del 50% inferiore alle 12.321 che hanno aperto nei primi tre mesi del 2012, che rappresenta il dato peggiore degli ultimi 20 anni. Se estendiamo lo sguardo ai dati di aperture del primo trimestre 2011 e del primo trimestre 2010 in effetti, si conferma un crescente calo delle nuove iscrizioni, mentre le cessazioni restano sostanzialmente costanti, intorno alle 20-22 mila ogni anno. Il fenomeno dimostra come la crisi non incide solo sul numero di chiusure, ma anche e soprattutto sulla possibilità di aprire una nuova impresa".
A Roma e Torino tocca il record di chiusure; Sud e Isole tengono invece più del Centro-Nord, che registra 7.885 chiusure a fronte di 2.054 aperture; Sud e Isole sembrano resistere un po' di più, con 5.890 cessazioni e 1.938 nuove iscrizioni. Tra le maggiori città, maglia nera va a Roma, con 553 chiusure per un saldo negativo di 392 unità. Seguono Torino (306 cessazioni, saldo negativo di 231 unità) e Napoli, dove le attività commerciali che hanno abbassato la serranda sono state 238, per un saldo finale che ha visto scomparire 133 imprese.
Carola Parisi



giovedì 14 marzo 2013

Marò, bloccato l'ambasciatore italiano
L'India: «Mancini non lasci il paese»

La Corte Suprema: «Chiarisca entro il 18 la decisione di non far tornare i due militari»


NEW DELHI - La Corte Suprema indiana ha inviato oggi una comunicazione all'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini in merito alla vicenda dei marò, chiedendogli di «non lasciare il Paese» . Consultata dall'Ansa, una fonte diplomatica italiana a New Delhi ha detto al riguardo: «Siamo al corrente degli sviluppi della situazione, ma non abbiamo ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale».

La Corte Suprema ha chiesto all'ambasciatore Mancini di fornire una spiegazione del entro il 18 marzo. Lo riferisce una tv indiana. I giudici hanno fissato per il giorno dopo un'udienza per esaminare il caso. Il massimo organo giudiziario di New Delhi ha precisato che non è necessario che il diplomatico italiano si presenti di persona, ma sarà sufficiente che fornisca una memoria. La Corte intende avere spiegazioni sulla decisione dell'Italia di non far ripartire per l'India i marò dopo la licenza di quattro settimane, contrariamente a quanto promesso nella dichiarazione giurata firmata dall'ambasciatore. Ieri il politico Subramanian Swamy, presidente del partito dell'opposizione Janata Party, aveva presentato una petizione alla Corte Suprema per chiedere un'azione legale contro l'ambasciatore italiano per il reato di «oltraggio alla Corte».

Terzi. «Abbiamo una posizione molto solida, di cui siamo perfettamente convinti non solo noi ma anche molti importanti partner della comunità internazionale, sul fatto che agiamo nel piano rispetto dell'ordinamento giuridico internazionale e del diritto internazionale, pattizio e consuetudinario», ha ribadito il ministro degli Esteri Giulio Terzi che non ha voluto commentare la decisione di oggi della Corte suprema indiana: «Non ritengo - ha spiegato - di entrare nei dettagli e nelle cose che stiamo facendo». «Mi ha fatto piacere e condivido pienamente l'appello del Segretario generale delle Nazioni Unite, riferito da suo portavoce ieri a New York e da me ripreso in una mia dichiarazione, ovvero l'appello a risolvere questa controversia per via diplomatica, sulla base del dialogo e sui principi del diritto internazionale. Questa è la nostra ferma convinzione», ha aggiunto.


http://www.gazzettino.it/mondo/mar_bloccato_ambasciatore_italiano_india_mancini_non_lasci_il_paese/notizie/258197.shtml

martedì 12 marzo 2013

La vita dei bambini greci ai tempi della crisi “Gli alunni svengono a scuola per la fame”

Rapporto dell'Unicef: i minori poveri nel Paese ellenico sono mezzo milione. Sono debilitati e abbandonano la scuola: le famiglie li mandano a lavorare. Mentre gli adulti restano disperati: in due anni oltre 1700 suicidi. L'ultimo era un farmacista in pensione: "I tagli hanno azzerato la mia capacità di sopravvivere. Non trovo alternative a una conclusione dignitosa prima di finire a rovistare tra la spazzatura"




Quatrocentotrentanovemila tra bambini e ragazzi nella miseria, alunni che svengono a scuola perché affamati e il cui corretto sviluppo psicofisico è considerato seriamente a rischio. Sono alcuni degli angoscianti contenuti del recente rapporto realizzato da Unicef Grecia e Università di Atene che accende i riflettori su una delle categorie da sempre e ovunque più a rischio in situazioni di crisi economica: quella dei minori. I bambini presi in esame fanno parte di quel 20% di famiglie greche considerate povere dalle statistiche ufficiali. Nuclei familiari che si trovano ad affrontare problemi come l’impossibilità di riscaldare la casa a sufficienza (nel 37% dei casi), il dover abitare in abitazioni malsane (50%) o addirittura l’insufficienza dell’alimentazione (21%). Il rapporto stigmatizza anche l’incremento degli abbandoni scolastici dovuto probabilmente anche al fatto che circa 100 mila minori sono costretti a lavorare per contribuire al sostegno della famiglia.
Il problema è però anche un altro: lo studio si basa sulle statistiche ufficiali europee che sono ferme al 2010 e incorpora pertanto solo in parte gli effetti della crisi andata intensificandosi nel corso del 2011. Lo scorso anno il Pil è calato del 7%, la disoccupazione è balzata dal 14 al 21% (50% quella giovanile) e secondo la Commissione Ue i salari si sono ridotti mediamente del 22%. Per di più pensioni, stipendi pubblici e prestazioni sociali sono stati tagliati con l’accetta per venire incontro alle richieste di Unione europea, Bce ed Fmi. Le stime di Bruxelles presentano inoltre un rischio: viene infatti considerato povero chi vive con meno del 60% del reddito medio nazionale. Pertanto se tutti guadagnano meno e il reddito medio si abbassa scende anche la soglia di indigenza e dunque il numero di “ufficialmente poveri” non cambia. Questo spiega perché non ci siano praticamente variazioni rispetto ai valori pre-crisi.
Rilevazioni più accurate hanno calcolato la povertà ancorando il reddito ai valori del 2009. Risulta così come solo nel 2010 con un Pil in calo del 4,5% oltre mezzo milione di greci, il 5% della popolazione, sia scivolato nella povertà. E’ probabile che nel 2011 sia accaduto lo stesso se non peggio. Appaiono dunque ragionevoli stime che collocano la quota di poveri almeno al 30% della popolazione. Significa che quasi 3 milioni e mezzo di persone, ossia un cittadino greco ogni tre, vivono una situazione di grave indigenza. Di questi almeno 500mila sono bambini o ragazzi.
Il deterioramento delle condizioni sociali è fotografato anche da altri indicatori indiretti. Una ricerca della rivista The Lancet segnala un grave deterioramento delle condizioni sanitarie del paese dal 2007 ad oggi. Mentre le strutture mediche pubbliche hanno subito tagli nell’ordine del 40% quasi un greco su tre si rivolge ai presidi sanitari delle organizzazioni non governative originariamente pensati per gli immigrati. In forte aumento anche il consumo di eroina, salito del 20% mentre i programmi di sostegno e recupero per tossicodipendenti sono stati ridotti di un terzo.
Non può stupire che l’insofferenza verso le misure di austerità imposte per tentare di risanare i conti sia in crescita esponenziale. Un’insofferenza che o esplode in proteste e scontri di piazze o trascina le persone nella più cupa disperazione. Secondo un’indagine del Parlamento greco da inizio 2010 si sono registrarti 1725 suicidi, con un aumento del 40% all’anno. L’ultimo a togliersi la vita è stato un farmacista in pensione che si chiamava Dimitris Christoulas. Si è ucciso mercoledì scorso davanti al Parlamento lasciando un biglietto indirizzato al governo in cui si legge “i tagli hanno azzerato la mia capacità di sopravvivere, basata su una pensione rispettabile che avevo versato in 35 anni. Non trovo alternative a una conclusione dignitosa prima di finire a rovistare tra la spazzatura per vivere”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/08/alunni-svengono-scuola-perche-hanno-fame-dramma-bambini-poveri-dopo-crisi-greca/203149/