martedì 31 gennaio 2012

A noi chiede sacrifici, ma il Quirinale ci costa quattro volte Buckingham Palace


In Italia abbiamo un record: quello della presidenza della Repubblica più costosa al mondo. Il Quirinale, infatti, grava sulle tasche dei contribuenti per più di 200 milioni di euro all’anno, ossia quattro volte Buckingham Palace, solo per fare un esempio eclatante. Il doppio dell’Eliseo francese e ben otto volte il cancellierato tedesco.
La spesa contenuta nel bilancio previsionale non si è mai discostata in maniera significativa da un anno all’altro: 224 milioni nel 2006, 241 milioni nel 2007, 240 milioni nel 2008, 231 milioni nel 2009, 228 milioni di euro nel 2010, ancora 228 milioni nel 2011.
La promessa di uno stop alle spese folli dal 2008 in poi è stata mantenuta solo parzialmente: 12 milioni in meno dal 2008 al 2011, ma pur sempre 4 milioni in più rispetto al 2006.
In tempi di crisi e di sacrifici chiesti agli italiani, è un dato di una certa rilevanza: possibile che il Quirinale non riesca a risparmiare qualche milioncino in più?
Si direbbe di no. Anzi, succede l’esatto contrario, perché in questi ultimi dieci anni i costi si sono gonfiati del 91%. Facendo la tara dell’inflazione, un aumento netto pur sempre cospicuo, pari al 61%. In soli dieci anni.
Sono dati che si possono trovare anche all’interno del libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo “La Casta”, di cui pubblichiamo uno stralcio.
Al 31 agosto del 2000 il personale in servizio era composto da 931 dipendenti diretti più 928 altrui avuti per «distacco», per un totale di 1.859 addetti. Tra i quali i soliti 274 corazzieri, 254 carabinieri (di cui 109 in servizio a Castelporziano!), 213 poliziotti, 77 finanzieri (64 della Tenenza di Torvajanica, che è davanti alla tenuta presidenziale sul mare sotto Ostia, e 14 della Legione Capo Posillipo), 21 vigili urbani e 16 guardie forestali, ancora a Castelporziano. Numeri sbalorditivi. Il solo gabinetto di Gaetano Gifuni era composto da 63 persone. Il servizio Tenute e Giardini da 115, fra cui 29 giardinieri (…) e 46 addetti a varie mansioni.
Impietoso anche il raffronto tra il sito internet della monarchia britannica, in cui ogni anno sono pubblicati minuziosamente i rendiconti su spese della Regina e stipendi dei dipendenti, e quello del Quirinale, in cui si possono trovare solo numerose foto del presidente (attualmente Napolitano, ribattezzato “Re” dal New York Times) e nessun rendiconto di spesa. Si evince esclusivamente che, al di là degli oltre 1.000 dipendenti, il personale militare e delle forze di polizia distaccato per esigenze di sicurezza del Presidente ammonta complessivamente a 1.086 unità. Un apparato di sicurezza che difficilmente ha eguali nel mondo.
Ma il Re Giorgio Napolitano, l’uomo che più di tutti si è fatto portavoce dei dettami della Bce, cercando prima di tenere sotto scacco il precedente governo Berlusconi diventato numericamente debole, poi imponendo Mario Monti premier dopo averlo nominato senatore a vita, cosa ha fatto per ridurre questi sprechi?
Avendo più volte fatto capire che l’Italia è a rischio fallimento e che sono necessari sacrifici, qualche segnale deve pur averlo dato.
Invece no. Il suo è stato l’unico stipendio politico a non essere mai ridotto dal 2006 ad oggi. Anzi, è addirittura aumentato di circa 2mila euro lordi al mese.
Ora ammonta a 239.181 euro lordi, che netti sono 136.397,81. Niente male, per chi impone governi lacrime e sangue e chiede sacrifici.
Soltanto dopo la denuncia del quotidiano Libero, il Re Giorgio ad agosto di quest’anno ha deciso di rinunciare agli aumenti previsti per il 2012 e i primi mesi del 2013, quando scadrà il suo mandato.
Un passo compiuto malvolentieri, giusto perché Libero aveva rivelato il misfatto e nel frattempo, durante il mandato Napolitano, i parlamentari si sono prima ridotti l’indennità del 10% e poi hanno tagliato diaria e rimborso spese di segreteria di 1.000 euro.
Passi piccoli, certo, ma ben superiori a quelli del Quirinale.
Anche perché il comunicato diffuso dal Colle ha avuto persino la faccia tosta di annunciare in pompa magna la restituzione al Tesoro di 15.048.000 euro nel triennio 2012-2015 sotto forma di risparmi. Verrebbe da pensare che non sia un grande sforzo, trattandosi solo dell’applicazione delle norme sui contributi di solidarietà da applicare alle pensioni d’oro nel pubblico impiego, contenute nel decreto legge 98 del 2011. Invece è proprio una gentile concessione del Colle, che non è tenuto ad applicare la legge italiana a meno che non sia lo stesso presidente della Repubblica a deciderlo. E Giorgio Napolitano ha concesso agli italiani la grazia di firmare.
Per lo stesso motivo, anche i dipendenti del Quirinale sono ora sottoposti alle restrizioni sul pubblico impiego previste dal decreto legge 78 del 2010. Emanato il 31 maggio 2010, ben 14 mesi dopo Re Giorgio ha deciso che poteva essere applicato pure per il Quirinale. Quanta grazia!
Aveva ragione il New York Times: il presidente della Repubblica italiana è davvero un Re.


http://www.qelsi.it/2011/a-noi-chiede-sacrifici-ma-il-quirinale-ci-costa-quattro-volte-buckingham-palace/

lunedì 30 gennaio 2012

30 Gennaio 1944 – In ricordo di Aldo Bormida





Con lo sbarco Alleato a Salerno, le forze italo tedesche furono costrette ad arretrare lungo la penisola formando la Linea Gustav. Si trattava di una serie di opere fortificate che si dispiegavano, per centoventi chilometri, da Minturno, a sud di Gaeta, fino alla costa Adriatica, a sud di San Vito/Ortona. Punto nodale della Linea Gustav fu Montecassino che, trasformato dai tedeschi in una fortezza naturale, vide infrangersi numerosi attacchi da parte Alleata.
La città laziale rappresentava l’unica agevole via di accesso dal sud al nord verso Roma. Per superare la Linea Gustav, gli Alleati, progettarono uno sbarco alle spalle della linea fortificata sulle coste di Anzio e Nettuno. L’operazione iniziò il 17 gennaio del 1944 con violenti bombardamenti sulla costa e solo nella notte del 22 gennaio, le truppe iniziarono a sbarcare. L’intera operazione fu una sorta di fallimento e le truppe Alleate finirono per impantanarsi sulla costa pontina. Solo il 23 maggio le Forze Alleate diedero l’avvio all’operazione “Buffalo” che aveva come obiettivo Cisterna di Latina. La conquista della cittadina laziale consentì al Sesto Corpo di Armata di riunirsi alle avanguardie americane del Secondo Corpo di Armata che, reduci da Montecassino, avanzavano da Terracina.
Nella memoria storica delle popolazioni della Pianura Pontina, le operazioni militari che seguirono allo sbarco, furono ricordate come un titanico scontro tra forze tedesche e forze americane. Ma ai combattimenti parteciparono i primi reparti organici delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana. Furono impegnati su quel fronte il Battaglione di Fanteria di Marina “Barbarigo”, il Gruppo di Artiglieria di Marina “San Giorgio” e i motoscafi d’assalto della Decima Flottiglia MAS. Inoltre, il Reggimento Arditi Paracadutisti “Folgore”, il Battaglione di formazione paracadutisti “Nembo”, il Gruppo Aerosiluranti “Carlo Emanuele Buscaglia”, il Secondo Battaglione Legionario SS, il Primo Battaglione Esplorante Legionario “Debica” e numerosi altri reparti minori. Si avvicendarono in terra pontina, dal gennaio al giugno del 1944, circa dieci mila soldati della Repubblica Sociale Italiana e centinaia di quelli, purtroppo, persero la vita. Nel dopoguerra, nelle città di Nettuno e Pomezia, furono costruiti i primi cimiteri militari dedicati ai soldati americani e tedeschi.
Differentemente, per gli italiani che osarono morire dalla parte “sbagliata” non vi furono cimiteri di guerra ma solo tombe private al Verano. Nel 1993 l’Associazione Decima Mas costruì a Nettuno, a proprie spese, un sacrario privato, meglio conosciuto con il nome di “Campo della Memoria”. Ma girando la Piana Pontina, furono costruiti altri modesti monumenti per ricordare i caduti della Repubblica Sociale Italiana su quel fronte. Ad Ardea fu costruita una lapide, mentre cippi commemorativi si trovavano a Campoverde e a Borgo Podgora. In particolare, nel territorio di Latina, in mezzo ad una pianura sconfinata, ricca di campi di grano, vigneti e verdi prati, fu costruita una umile colonna sulla quale furono impresse alcune frasi: “Aldo Bormida – diciannovenne studente Politecnico di Torino – Caduto per la Patria il 30 gennaio del 1944”.
Un anziano signore, Luciano Populin, reduce dal fronte di Anzio e Nettuno, decise di ritornare sul luogo per rendere omaggio all’amico Aldo Bormida. Così spiegava quei terribili giorni: «Alcuni giovani studenti universitari del Politecnico di Torino, furono inviati in Germania per uno scambio culturale. Ma dopo l’otto settembre del 1943, molti decisero di arruolarsi come volontari e inviati in Patria a combattere. Il 30 gennaio del 1944 avevo dodici anni e quattro mesi ed era per me la prima paurosa e sofferta esperienza di vita. Dal Borgo Podgora il 24 gennaio, dopo lo sbarco americano ad Anzio, ci trasferimmo alla Strada Della Croce, presso una famiglia di cloni che conoscevamo. Il nostro ampio cortile della casa nel Borgo era stato occupato, dopo due giorni dallo sbarco, dai mezzi corazzati della Divisione Tedesca giunti dal Brennero. Dalla finestra della casa del colono, il giorno 30 gennaio, vidi giungere in strada due camion di soldati che scesero, completarono l’armamento, e si prepararono ad affrontare il nemico. Gli americani erano sull’argine opposto del Canale, distante circa centocinquanta metri dalla nostra casa dove si era insediato un giovane ufficiale tedesco di origine altoatesina e da dove avvenivano sparatorie tra le due forze.
I militari italiani, che poi seppi erano giovanissimi volontari del Politecnico di Torino, si lanciarono contro il nemico e cominciarono a salire l’argine del Canale dalla nostra parte. Dai ricordi lontani mi sembra fossero circa quaranta. Gli americani, che erano appostati sull’argine opposto ad una distanza di trenta quaranta metri, li fecero arrivare alla sommità e inesorabilmente li falciarono con le armi. Il ricordo si ferma alla visione dei poveri ragazzi che cadevano, poi il terrore, la pena e la disperazione mi fecero nascondere nell’angolo più riparato della casa. Dalla casa non uscivamo tranne che per qualche istante poiché l’ufficiale tedesco che era con noi consigliava di farci vedere al pozzo a pompare l’acqua con la speranza che, vedendo dei civili, gli americani potessero risparmiare la distruzione della casa. Noi, dopo qualche giorno, fummo costretti a fuggire a piedi dietro suggerimento dell’ufficiale tedesco sperando così in una tregua che, fortunatamente, avvenne». Anche la famiglia Piva, proprietaria del terreno dove avvenne il massacro, spiegava così: «Abbiamo saputo che un solo ragazzo riuscì a salvarsi e dopo l’attacco si rifugiò nella nostra casa. Il giorno dopo anche noi fummo costretti ad abbandonare la tenuta mentre nei campi vi erano i cadaveri che rendevano l’aria irrespirabile. Tornammo dopo qualche mese ma ormai il campo era tutto minato. Un incendio spontaneo di sterpaglie aveva ridotto i corpi a resti ossei. Solo nel mese di giugno – luglio gli americani intervennero per recuperare i resti con sacchi bianchi. Dopo un periodo di tempo il superstite tornò sul luogo e ricordò il punto dove era caduto il giovane Aldo Bormida. Ecco perché lì è sorta la stele a ricordo di Bormida e dove, fino a qualche anno fa, veniva qualche familiare a fare visita. Ora non si presenta alcuna persone siamo noi che custodiamo la memoria». Un ragazzo nemmeno ventenne di nome Aldo Bormida venuto da Torino. Un soldato con una divisa grigio verde e con il desiderio di libertà, di onore e di fedeltà. Il primo martire della Repubblica Sociale Italiana, il sacrificio di un giovane i cui resti mortali furono tumulati per volere della famiglia sotto a un cippo di marmo bianco di fattura umile a ridosso della strada, coperto quasi completamente da erbacce. Una storia per ricordare uno dei tanti ragazzi che, educati al mito dell’amor di Patria, non si fecero indietro alla chiamata della Patria ma scelsero di non stare alla finestra a guardare.

venerdì 27 gennaio 2012










L’articolo di seguito riportato, a firma di Marcello Veneziani, è apparso sul quotidiano “Libero” il 11 Febbraio 2009. Esso non è degno di essere segnalato in quanto esempio di sano revisionismo ad opera di un giornalista antifascista, benchè etichettabile come appartenente ad una cultura di destra, quanto per il suo contenuto in gran parte inedito e sconosciuto ai più.
Quanto Veneziani rivela in questo articolo, per molti potrà apparire sorprendente ma in realtà è solo la minima parte di un insieme molto più vasto di atti concreti che il regime fascista compì in favore della comunità ebraica nazionale ed internazionale, prima, dopo e durante l’emanazione delle famigerate “Leggi razziali” del 1938.
Di tali Leggi, ancora oggi, si usa fare menzione quando si intende evocare il presunto carattere anti-semita e razzista in genere del Fascismo, accostandolo, per associazione di idee, alla persecuzione nazista nei confronti del popolo ebraico. Accostamento, questo, che riesce sempre ed anche con una certa facilità.
Peccato, però, che a voler giudicare quelle Leggi da un punto di vista storico e contestualizzato e a voler indagare seriamente sulle conseguenze reali che esse ebbero sugli ebrei italiani, ci si rende conto che gli effetti non andarono mai al di là di semplici atti e provvedimenti discriminatori e, semmai, per molto tempo costituirono un valido scudo alle persecuzioni naziste.
Ogni storico serio sa che Mussolini non fu mai razzista o antisemita e diversi atti politici, noti o occultati, ne danno continua dimostrazione.
E’ bene chiarire però che Mussolini non fu mai antisemita e non odiava gli ebrei per le stesse ragioni per le quali tutti noi oggi continuiamo a non esser tali, e sono ragioni di umanità e di giustizia, ragioni che hanno da sempre caratterizzato il Fascismo.
Tali ragioni, però, oggi come allora non ci impediscono di distinguere un dato di fatto ben chiaro e preciso: che il sionismo è ancora un nemico da abbattere, un nemico da sempre impegnato a permeare in tutto il mondo ogni centro di potere, sia esso politico che finanziario, al solo scopo di aggiudicare alla stirpe israelitica il pieno dominio sul resto dell’umanità.
Anche Mussolini ed il Fascismo furono infine costretti a prenderne atto e a regolarsi di conseguenza, non essendo inclini a porsi sotto il giogo massonico internazionale a cui avevano dichiarato guerra.

Il patto sconosciuto tra ebrei e Duce

Nel 1930, su impulso di Mussolini, il fascismo approvò il pieno riconoscimento delle comunità israelitiche. Grazie ad un giurista moderato: Nicola Consiglio
MARCELLO VENEZIANI
Sapevate che il primo riconoscimento giuridico degli ebrei in Italia, dopo secoli di semiclandestinità, avvenne con lo Stato fascista, sulla scia del Concordato?
E’ una storia che merita di essere raccontata. . Cominciamo dal Concordato. Ci volle addirittura il Duce, il fascismo e lo Stato Etico per ricucire la breccia di Porta Pia e la ferita tra la Chiesa e lo Stato italiano, l’11 febbraio del 1929.
Quando andavo a scuola, e non era sotto il regime fascista ma molto dopo, era ancora festa a scuola. La Conciliazione fu difesa pure dal leader comunista Palmiro Togliatti, che da Guardasigilli nel primo governo repubblicano difese tanto il Codice Rocco che i Patti Lateranensi tra Stato fascista e Chiesa.
Ernesto Galli della Loggia e Dino Messina sul Corriere della Sera hanno ricordato come un evento positivo quel Concordato, dove Mussolini era riuscito a realizzare quel che l’Italia liberale, da Cavour a `Giolitti, non era riuscita a fare.
Una Conciliazione che rinnegava le origini anticlericali del fascismo e del Mussolini socialista, ateo e rivoluzionario, e che gettava nella disperazione i futuristi, sognatori dello svaticanamento d’Italia; ma anche i tanti fascisti neopagani e gli idealisti che vedevano la religione come una specie di stadio infantile e popolare della filosofia. Da Evola a Spirito e Gentile, per intenderci.
Ma non voglio raccontarvi la storia che si sa, anche se magari si preferisce dimenticare. Vorrei invece dirvi di un capitolo segreto di quella storia. Accanto al vistoso concordato con la Chiesa Cattolica, lo Stato fascista realizzò anche un Concordato più nascosto: con gli ebrei.
E’ una scoperta che feci da ragazzino. Una volta mio padre mi porto a casa di un illustre vegliardo che viveva tra Roma e Bisceglie, nostro parente. Lo chiamava zio Nicola, ed era Nicola Consiglio, giurista, direttore generale degli Affari penali e anche degli Affari di culto, stretto collaboratore del ministro Rocco. Sulla parete di questa casa che sembrava imbalsamata, ferma all’Ottocento, trovai una medaglia d’oro che la Comunità israelitica aveva donato a lui nel 1930.
Chiesi notizia di quella strana decorazione e venni a sapere che gli ebrei avevano voluto manifestare la loro gratitudine a quel giurista che aveva portato a compimento il riconoscimento pieno, giuridico e morale, delle comunità israelitiche.
Fu — spiegò il vecchio don Nicola, che le governanti e i fattori chiamavano Sua Eccellenza – la Conciliazione tra Stato ed Ebrei, su impulso di Mussolini.
D’altra parte, ricordava don Nicola, che fascista non fu mai, molti erano stati i fascisti ebrei dalla Marcia su Roma in poi. In particolare ricordava Finzi (non c’é una zeta di troppo). Lo Stato pontificio del Papa re e poi lo Stato laico e liberale non avevano riconosciuto giuridicamente la comunità israelitica in Italia; toccò al fascismo rimediare a questa lacuna.
Non allineato
Nicola Consiglio era un cattolico liberale che come molti magistrati aveva conservato la sua autonomia durante il fascismo. Pur non essendo allineato, Mussolini e Rocco lo vollero a condurre le trattative con il Vaticano e poi con la Comunità degli ebrei. Già si era occupato con successo della spinosa vertenza sul santuario di Pompei dopo la morte di Bartolo Longo. Cosi fu chiamato a far parte del ristretto gruppo che doveva definire la Conciliazione.
Succeduto a Domenico Barone, Consiglio si riuniva con Rocco, con Pacelli, giurista della Chiesa e fratello del futuro papa, il cardinal Gasparri (che con Maurizio non c’entra un beato fico), e con monsignor Borgoncini Duca. Si vedevano di nascosto la sera, e la governante di don Nicola, vedendolo uscire come un ladro per incontri misteriosi, pensava a chissà quale relazione amorosa. Invece, vedeva giuristi e preti. A volte in quegli incontri c’era anche lui, il Ducione.
Grazie a Consiglio, come attestano i verbali, la durata dei Patti non fu limitata a soli 5 anni, fu sdoppiata giuridicamente la parrocchia in chiesa e patrimonio; furono letti in chiesa gli articoli del codice civile sul matrimonio. Consiglio era timido e spesso era lo stesso Mussolini che si spazientiva per la sua ritrosia a parlare, e una volta lo incoraggiò a mormorare, aggiungendo che in Italia era stata abolita la critica, ma non la mormorazione.
Un’altra volta si spazientì per la riservatezza di Consiglio che non beveva neanche un caffè e ordinò d’imperio alla sua governante Cesira una camomilla, che il timido don Nicola trangugiò doverosamente.
Ai nemici il Duce dava l’olio di ricino, ai magistrati la camomilla (consiglio per Silvio dopo la separazione delle carriere).
Quando il giorno fatale raggiunsero l’accordo, chiesero a don Nicola cosa bevesse per festeggiare. Lui chiese “acqua e zucchero” e Mussolini si associò: brindarono cosi con acqua (santa?) e zucchero al Concordato.
Gratitudine al Duce
Dopo la Conciliazione, Consiglio elaborò la legge sulle Comunità israelitiche. La commissione che se ne occupò fu salomonica: tre rappresentanti degli ebrei e tre giuristi, rappresentanti dello Stato italiano.
Scrive Renzo De Felice: “II governo fascista accetto pressoché in toto il punto di vista ebraico”. Il presidente del consorzio ebraico, Angelo Sereni, telegrafò a Mussolini “la vivissima riconoscenza degli ebrei italiani» e sulla rivista “Israel” Angelo Sacerdoti definì la nuova legge la migliore di quelle emanate in altri stati”.
Poi arrivarono l’alleanza con Hitler e le sciagurate leggi razziali. A tale proposito e da ricordare lo strano caso del giurista Gaetano Azzariti, che fu tra gli autori dei Codici e poi tra i firmatari del “Manifesto sulla razza”, divenendo presidente del Tribunale della razza. Ma nonostante questi trascorsi, fu ministro di Grazia e Giustizia del governo Badoglio, poi stretto collaboratore di Togliatti ministro della Giustizia, e infine, nominato dal capo dello Stato Giovanni Gronchi alla Corte Costituzionale, ne divento presidente, morendo in carica nel 1961.
Don Nicola si ricordava ancora, a 100 anni suonati, che Mussolini gli disse l’11 febbraio del 1929: “Lei passerà alla storia”. E lui rispose: “Sono stato semplicemente la mosca cocchiera”. Alla storia, in effetti, don Nicola non passò, ormai dimenticato; ma ottant’anni dopo non è male ricordare questo galantuomo risorgimentale, più vecchio del Duce e decisamente più antico, che cucì la pace tra Stato e Chiesa e tra l’Italia in camicia nera e gli ebrei.

http://pocobello.blogspot.com/2010/12/il-patto-sconosciuto-tra-ebrei-e-duce.html

L' ossessione del 27 gennaio non faccia cadere nell' antisemitismo e nel negazionismo.

Bene, anche quest' anno è arrivato 'sto 27 gennaio. Ossessivamente, come se il dramma della Shoah sia una colpa del Fascismo. Sappiamo che non è così: in altre nazioni, incominciando dalla Francia di Vichy, le responsabilità furono ben maggiori, come le vittime.  Ci si dimentica in fretta che in Italia, nonostante le Leggi Razziali, che restano vergognose, anche se poco applicate, fino all' 8 settembre del 1943 restò attiva LEGALMENTE la DELASEM, ovvero la Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei, con il beneplacito di Benito Mussolini e larghi strati della Chiesa Cattolica, con il Cardinale Schuster in testa. Senza l' approvazione del Duce, tale organizzazione non avrebbe potuto operare, così come nè Perlasca nè Palatucci avrebbero potuto fare nulla. Onestà storica dovrebbe far riferimento ai motivi che spinsero l' Italia Fascista nelle braccia della Germania NazionalSOCIALISTA, ma in questa Italia odierna, divisa in fazioni su tutto, dal Fascismo/antiFascismo, passando attraverso l' antiberlusconismo/berlusconismo, ed arrivando al tifo calcistico, non si riesce mai a fare discorsi sopra le parti. D' altro canto vedo invece molti Camerati reagire in modo decisamente errato a questo ossessivo martellamento mediatico, che esiste e non si può negare il contrario; con affermazioni spesso confinanti con l' antisemitismo ed il negazionismo, due posizioni che danneggiano in modo totale chi cerchi di fare del Revisionismo documentato. A volte ho letto cose allucinanti, come la pretesa di fare il computo statistico dei morti, come se un milione di morti o centomila possano cambiare quello che rimane come uno dei peggiori crimini attuati dal genere umano, atto conclusivo della Rivoluzione Francese in coabitazione coi gulag comunisti. Purtroppo anche in siti Cattolici o presunti tali, ignorando che poi proprio i Cattolici sarebbero stati future vittime della follia neo-pagana spalleggiata da certe fazioni luterane tedesche. Ed invece di concentrare le forze intellettive allo scopo di far conoscere non solo le motivazioni di cui sopra ma anche di diffondere il ruolo esercitato da Mussolini verso la protezione di tanti sventurati compatrioti di religione Israelita, offrono nuovo materiale a chi, non contento di leggi liberticide come la Scelba e la Mancino, pensa bene di proporre una legge contro il Negazionismo. Che resta qualcosa di non solo negativo e controproducente, ma anche vergognoso. Ma da combattere con le idee, non con la limitazione delle stesse. Al tempo stesso comprendo che certe posizioni poco propense al dialogo da parte Israelita non facilitino tale discussione, ma bisogna armarsi di pazienza. Da tutte le parti. Lasciando perdere comparazioni improponibili come la Guerra in atto da secoli in Terra Santa tra Ebrei e Filistei (palestinesi), che non c' entra proprio un emerito accidente.
E se qualcuno, a seconda delle posizioni, voglia considerare questa mia nota antisemita o filosemita, invece che dettata dal buonsenso e dalle letture storiche di ogni fonte, mi cancelli pure dalle proprie amicizie...
tratto dal camerata G.M.R.


Stiamo vivendo una fase che le ultime generazioni non hanno mai ha conosciuto in passato; un periodo di crisi finanziaria, politica, intellettuale, ma soprattutto etica e morale. Anche se abituati alla parola crisi, intesa quale fase congiunturale di un ciclo economico, ora siamo più che mai investiti da qualcosa di mai visto e sempre più virulento, in tutti i suoi risvolti. Da anni si vuole che la "cosa" Italia sia in passivo, continuando a trascinarsi avanti in un sistema capestro, così come quando ci si accanisce a non voler chiudere l’azienda di famiglia che, pur in perdita, continua a pagare contributi e competenze bancarie senza rendersi conto che più tempo passa più il fallimento avrà conseguenze devastanti. Ma nonostante ciò, visto che si riesce ancora a mangiare, a fare benzina, i più fortunati a lavorare, qualcuno afferma ancora che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e di conseguenza siamo costretti a sorbirci le nauseanti giustificazioni a questa assurda ed evitabile manovra finanziaria come ad esempio: Qualcuno doveva metterci la faccia!;>>

giovedì 26 gennaio 2012

Ezra Pound calpestato due volte

Restituite a Casa Pound la possi­bilità di usare il nome del poeta. Primo, perché se i geni sono universa­li ognuno è libero di venerare il genio che vuole

di Marcello Veneziani
 
 
 
Ezra Pound
 
Ezra Pound
 
 
Restituite a Casa Pound la possibilità di usare il nome del poeta. Primo, perché se i geni sono universali ognuno è libero di venerare il genio che vuole. Secondo, perché non si tratta di appropriazione indebita o di uso distorto del poeta. Lo dico a sua figlia Mary che è ricorsa ai giudici, lo dico agli intellettuali che hanno firmato il solito 'giù le mani da' Ezra Pound perché poeta universale (ma lo scoprono solo ora, fino a ieri lo dannavano perché fascista). Dov'è lo scandalo se i 'fascisti' si richiamano a Pound? Come potete dimenticare i suoi discorsi appassionati e deliranti - ma i poeti a volte delirano - alla radio a sostegno del fascismo e poi della repubblica sociale, in piena guerra? E dopo la caduta del fascismo, come potete ignorare i versi dei canti pisani su 'Ben e la Clara a Milano', appesi per le calcagna? E i Cantos donati di persona a Mussolini, il libro 'Jefferson e Mussolini', le sue battaglie contro l'usura? Come potete dimenticare quei giorni bestiali nel campo di concentramento di Coltano in cui il poeta fu esposto in gabbia, sotto i fari, costretto pure a defecare davanti a tutti, come una scimmia, proprio perché considerato fascista? E poi fu internato in un manicomio criminale negli Stati Uniti, che lo condusse davvero alla follìa e al mutismo... Persino l'ultimo, vecchio Pound accompagnato da Piero Buscaroli in visita a Ferrara, che accarezza silente i fasci littori di Palazzo Diamanti... Non potete calpestarlo due volte, la prima per fargli pagare il suo fascismo, la seconda per negarlo.
Maxi-retata di No Tav Preso
anche un ex Br



Quaranta arresti in 15 province per gli scontri della scorsa estate in Val di Susa, dove restarono feriti 200 agenti e manifestanti
scattata questa mattina all'alba in 15 province l'operazione della Polizia per l'arresto di persone ritenute responsabili di aver partecipato agli incidenti della scorsa estate in Val Susa contro la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Oltre che Torino, l'operazione riguarda le province di Asti, Milano, Trento, Palermo, Roma, Padova, Genova, Pistoia, Cremona, Macerata, Biella, Bergamo, Parma e Modena.
La Polizia sta notificando quaranta provvedimenti di custodia cautelare in carcere, 15 misure di obbligo di dimora, un provvedimento di custodia cautelare ai domiciliari e una misura di divieto di dimora nella provincia di Torino. Tra gli arrestati c'è anche l'ex brigatista Maurizio ferrari e Giorgio Rossetto, leader storico del centro sociale torinese "Askatasuna". I reati contestati al termine delle indagini condotte dalla Digos della Questura di Torino sono resistenza, violenza, lesioni, danneggiamento aggravati in concorso per i fatti avvenuti in Val Susa, nell'area del cantiere di Chiomonte della Tav, il 27 giugno e il 3 Luglio scorso, quando in incidenti fra le frange violente del movimento No Tav e le forze dell'ordine, rimasero feriti oltre 200 uomini di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza oltre a decine di manifestanti.
http://www.liberoquotidiano.it/news/918852/Maxi-retata-di-No-Tav-Preso-anche-un-ex-Br.html

mercoledì 25 gennaio 2012

Liberalizzazioni, Ugl Trasporti: “Più che ‘ottime e abbondanti’, pericolose e insufficienti per le ferrovie"





“Più che ‘ottime e abbondanti’, le norme sulla liberalizzazione del settore ferroviario contenute nel decreto legge licenziato dal Governo ci sembrano pericolose e insufficienti”.
Così il segretario nazionale Ugl Trasporti, Fabio Milloch, e il segretario nazionale Ugl Trasporti-Attività ferroviarie, Umberto Nespoli, commentano le dichiarazioni rilasciate dall’ad di Ferrovie dello Stato Italiane, Mauro Moretti, spiegando che “come sindacato, siamo da sempre favorevoli alla libertà di accesso alla rete di tutti gli operatori, al fine di garantire un servizio di qualità agli utenti e assicurare che le nostre imprese siano in grado di competere a livello internazionale, salvaguardando i posti di lavoro in Italia. Ma la competizione deve basarsi su progetti industriali, non sul dumping contrattuale”.
“In questa ottica, riteniamo che una vera liberalizzazione del settore – spiegano i sindacalisti – non possa essere raggiunta senza un percorso di confronto e di condivisione con le parti sociali, né tantomeno con l’esenzione dall’obbligo di applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro per le imprese operanti nel comparto ferroviario, che invece apre a pericolosi scenari d’incertezza perché priva le lavoratrici e i lavoratori delle importanti garanzie date da un riferimento normativo comune, soprattutto in materie sensibili come la sicurezza del lavoro e dei servizi. Inoltre, si allontana la possibilità di realizzare il Contratto unico della Mobilità, sostenuto da una trattativa pluriennale e con scioperi nazionali di tutte le categorie dei Trasporti”.
“Ci auguriamo che, in sede di conversione del decreto – aggiungono -, le nostre osservazioni e le istanze dei lavoratori del settore siano tenute nella giusta considerazione”.


http://www.ugl.it/2012/01/liberalizzazioni-ugl-trasporti-piu-che-ottime-e-abbondanti-pericolose-e-insufficienti-per-le-ferrovie/
Truffe per 174 mila euro scoperte da Gdf di Cuneo.

Extracomunitari che intascavano l’assegno sociale dell’Inps pur essendo rientrati nei loro paesi d’origine, un figlio che che riceveva i soldi della madre morta, altri che avevano fatto figurare requisiti inesistenti: sono le truffe scoperte dalla Guardia di Finanza di Cuneo ai danni dell’istituto previdenziale per un totale di 174 mila euro.
Dalle indagini e’ emerso che 35 cittadini extracomunitari intascavano l’assegno senza essere in Italia. Nove le persone denunciate, 26 sanzionate. (ANSA)
http://www.imolaoggi.it/?p=10518

martedì 24 gennaio 2012

IL 4 FEBBRAIO CHIEDEREMO DI STACCARE LA SPINA

24 gen 2012




In questo video,
durante un appuntamento organizzato da Marco Corinaldesi, ho avuto modo di affrontare i temi che porteremo alla grande manifestazione del prossimo 4 febbraio.
A partire dal fatto che il nostro è il partito col tricolore più grande del simbolo: ci teniamo più di tutti a quel tricolore. E teniamo più di tutti al popolo italiano. Ecco perché scenderemo in piazza quel sabato 4 febbraio: per sconfiggere la rassegnazione al peggio, e accendere la speranza, perché si rischia di vivere disperati.
Quando in quel giorno i nostri militanti inizieranno ad arrivare da tutta Italia con i tricolori e abbracceranno col sorriso decine di migliaia di romani per iniziare questa bellissima manifestazione, allora tutta Italia avrà capito che non c’è un popolo bue e che sta zitto. C’è un popolo che si sta facendo delle domande.
C’è, infatti, una larga parte di popolo che ha votato Berlusconi nel 2008 che ancora si sta chiedendo perché a palazzo hanno deciso di togliere quello che hanno votato,  senza chiedermi il permesso. Perché devo vedere un governo sostenuto da quelli che ho votato io insieme a quelli che ho combattuto io? In Parlamento non c’è opposizione, e meno male che non ci siamo.
In questo periodo abbiamo conosciuto la parola “spread”, e ci avevano detto che dopo Berlusconi tutto sarebbe migliorato: ebbene né cala questo spread, né vediamo il miracolo tanto declamato.
Vedete, prima con un milione di lire si campava, oggi con mille euro si fa la fame. Poi arriva Napolitano, fa senatore a vita Monti, che non avrà problemi di pensione. E che fa Monti? Individua ministri, come Patroni Griffi che compra una casa a due passi dal Colosseo a prezzo irrisorio, e ancora ci abita. Non solo, questi ministri hanno una grande idea: aumentano la benzina, aumentano l’Iva, l’Irpef. E chiedo: quando strangolerete i pensionati ? Visto che li avete trattati come evasori fiscali, costringendoli ad aprire conti corrente per riscuotere la pensione. Se ci fossimo messi insieme tutti noi avremmo fatto una manovra sicuramente più educata, altro che professori dell’università Bocconi!
Ora basta però, e il popolo del 4 febbraio lo griderà. Ma loro invece insistono, e puntano alla crescita: se la prendono con i tassisti, i farmacisti. Però non toccano assicurazioni, banche, energia. E nessuna di queste ultime categorie sfilerà con noi quel sabato 4 febbraio.
Dobbiamo dimostrare di non essere rassegnati a un governo che tra l’altra si impiccia di cose che non lo riguardano, lanciando l’amnistia visto che le carceri sono piene. Se è così, liberatele dei detenuti stranieri e rimandateli nei loro paesi, sicuramente risparmiamo. Poi si sono inquietati al governo perché gli immigrati pagano una tassa sul permesso di soggiorno, e bisogna diminuirla o eliminarla. Noi italiani le tasse le dobbiamo pagare, gli immigrati no. Invece di Equitalia, è come se ci fosse Equimondo. Noi vogliamo che le tasse le paghi chi le deve pagare, chi non le vuole pagare, e magari Equitalia stia più attenta con chi non le può pagare.
Mi chiedono: cade il governo con questo corteo? Magari, l’avremmo fatto ieri. Ma quella manifestazione deve essere talmente affollata per capire a quale interlocutore parliamo, e a lui voglio rivolgermi in nome dei cittadini di questo Paese: deve finire il sostegno a questa sciagurata operazione antipopolare. Voglio poter dire a Berlusconi: stacca la spina a questo governo. Basta con questa avventura, basta con le tasse.
Oppure si può fare altro: si può anche prevedere, alla luce dei 1900 miliardi di debito, che possiamo fare sacrifici. Li chiedano al popolo però, in campagna elettorale. Allora il cittadino apprezza, perché gli dici la verità, e non lo inganni.
In Consiglio regionale, a proposito di costi della politica, abbiamo deciso di presentare una proposta di legge per abolire l’assegno di fine mandato, che deve essere abolito. E poi, visto che la politica guadagna troppo, abbiamo proposto uno stipendio di 5000 euro per i consiglieri: campano bene ugualmente. Basta con i super stipendi della politica. E ho già detto a chi non la voterà questa proposta che dovrà renderne conto al popolo, perché farò i manifesti con la sua foto, e non potrà più prendere voti perché dovrà vergognarsi.
Questa è la nostra destra. Vi chiediamo di credere nei fatti che compiamo: abbiamo rinunciato a stare in parlamento nel 2008 per restare fedeli a un’idea, dopo 4 anni tutta Italia ha scoperto che su Fini avevamo ragione noi, e torto lui. E di questo ne sono orgoglioso.
Anche per questo il 4 febbraio dovremo essere numerosi a quella manifestazione per dare un segnale di grande vita di questo popolo.



http://www.storace.it/

domenica 22 gennaio 2012

DeMagistris Il grande
accusatore è indagato
Sindaco a processo per
l'affaire Why Not

Il primo cittadino di Napoli a giudizio con Genchi: abuso di ufficio, da pm avrebbe spiato Prodi e Mastella senza l'autorizzazione




l sindaco di Napoli Luigi De Magistris e il consulente informatico Gioacchino Genchi saranno processati a Roma per le acquisizioni illecite dei tabulati telefonici di alcuni esponenti politici, avvenute nell’ambito dell’inchiesta della procura di Catanzaro denominata Why not e di cui era titolare lo stesso De Magistris prima di entrare in politica. Lo ha deciso il Gup Barbara Callari che, accogliendo le richieste della procura di Roma, ha fissato il processo al 17 aprile prossimo davanti alla seconda sezione penale del tribunale. De Magistris e Genchi devono rispondere di concorso in abuso d'ufficio. Stando all'ipotesi dell'accusa, tra le utenze acquisite illecitamente (nel 2006), cioè senza aver richiesto la necessaria autorizzazione alla camere di appartenenza, figurano quelle dell’allora premier Romano Prodi, dell'ex ministro della Giustizia Clemente Mastella e poi di alcuni parlamentari come Francesco Rutelli e Giancarlo Pittelli. "Sono amareggiato - è il primo commento di De Magistris -, no me lo aspettavo. L'infondatezza dei fatti è evidente".

http://www.liberoquotidiano.it/news/915526/DeMagistris-Il-grande-accusatore-è-indagato-Sindaco-a-processo-per-l-affaire-Why-Not.html

venerdì 20 gennaio 2012

Tutti gli errori di Mario sulle
liberalizzazioni

Dai carburanti ai farmaci, dalle tariffe ai trasporti, dalle Poste fino all'energia: punto per punto, ecco perché i prezzi non scenderanno








liberalizzazione non sempre fa rima con diminuzione. Basti pensare che per far scendere i costi di alcuni servizi bancari (come conti correnti e bancomat), settore aperto e libero in cui moltissimi soggetti si contendono il mercato, piuttosto che liberalizzare il governo ha deciso di intervenire con un atto dirigistico che prevede per legge il taglio delle commissioni sulle carte di debito e l’introduzione di un conto bancario di base low cost. Anche nel settore dei rifiuti il paradosso rispunta fuori: alcune norme che dovrebbero aprire al mercato le attività di raccolta, vendita, trasporto e stoccaggio di imballaggi usati (bottiglie, lattine) prevedono per i produttori un balzello di 0,20 euro a pezzo. Ebbene la norma stabilisce che sia «obbligo dei venditori al dettaglio ritirare dai consumatori finali» la somma. Insomma, paghiamo noi.
La materia è complicata. E la sensazione è che il governo abbia scelto di puntare di più su alcuni settori simbolici, la cui liberalizzazione non avrà però grande impatto sui consumatori, che su quelli realmente da ridisegnare. La separazione del Bancoposta, che offre prodotti e servizi finanziari, dalle Poste, che si occupano di spedizioni, era comparsa nelle prime bozze e poi sparita. Quella della rete ferroviaria (Rfi) dalle Fs, che in un primo momento si pensava fosse immediata con il passaggio delle azioni al Tesoro, è stata affidata ad una successiva valutazione della nuova authority per i trasporti. In altre parole, non si farà. Quanto alla rete del gas, il provvedimento la prevede, ma fra due anni e mezzo, e senza chiarire quale sarà il nuovo assetto societario di Snam. Per il resto, tra le misure che dovrebbero finire oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri ci sono molti interventi dagli effetti benefici tutt’altro che certi. Ecco i principali.
Taxi. Gli interventi del governo sono ancora oggetto di trattative con la categoria, ma in sostanza l’idea è quella di affidare alla nuova autorità dei trasporti il compito di adeguare i livelli di offerta del servizio taxi, delle tariffe, della qualità delle prestazioni ai diversi contesti urbani per garantire il diritto alla mobilità degli utenti. Si tratta, in sostanza di incrementare il numero delle licenze e di concedere ai tassisti maggiore libertà tariffaria per far scendere i costi per i consumatori. Il problema è che sia il numero delle licenze sia le tariffe già sono sostanzialmente in linea con quelle europee. Un intervento più efficace sarebbe stato forse quello per abbattere il costo del gasolio (16% in più della media Ue), il peso delle tasse (3% in più), il prezzo dell’assicurazione (58% in più).
Benzina. Il decreto prevede la possibilità per i gestori degli impianti di distribuzione di rifornirsi liberamente da qualsiasi produttore o rivenditore (a prescindere dal marchio dell’impianto). I titolari degli impianti e i gestori degli stessi, da soli o in società o cooperative, possono anche accordarsi  per l’effettuazione del riscatto degli impianti da parte del gestore stesso. L’obiettivo della norma è accrescere la concorrenza e ridurre i prezzi al consumo. Non sarà così. La filiera distributiva incide infatti solo per l’8% sul prezzo finale del carburante. Il 60% arriva da accise e imposte e il resto dalla materia prima. Semmai si doveva intervenire sulle norme regionali, che impongono ai nuovi distributori obblighi onerosi che bloccano l’avvio delle attività per pompe senza marchio e grande distribuzione.
Tariffe. La norma è chiara e semplice: sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime. In più i professionisti saranno obbligati a fornire un preventivo. Avvocati e notai low cost per tutti? Non proprio. L’effetto sarà quello di affidare ai giudici la decisione sulle parcelle da riconoscere al professionista quando non c’è accordo tra le parti o in cui si tratti di incarichi fissati dalla Pa, ovvero gli unici casi in cui oggi si utilizzano le tariffe professionali. Quanto al preventivo, la norma provocherà o l’innalzamento delle spese complessive o l’inserimento da parte dei professionisti di clausole che permettano di alzare a volontà le cifre pattuite, soprattutto in settori dove il numero e il tipo di interventi sono difficilmente prevedibili.
Farmaci. Il pacchetto del governo prevede liberalizzazioni degli orari, aumento delle farmacie, libertà di sconti, possibilità di vendita dei farmaci di fascia c negli esercizi commerciali e indicazione del generico nella ricetta del medico. L’obiettivo è quello di far risparmiare i consumatori (anche perché il servizio sanitario già rimborsa solo il prezzo più basso a cui è venduto un farmaco). L’effetto sarà, forse, di lasciare tutto com’è, visto che la legge già prevede che il farmacista sia obbligato a segnalare il generico, che l’Italia è uno dei Paesi europei con più farmacie per abitante e che le farmacie spesso si accordano su determinati prezzi per evitarne eccessive oscillazioni. A farne le spese saranno piuttosto le parafarmacie, da cui tra l’altro è arrivato nel 2010 il volume maggiore di sconti sui prodotti.
Energia. Per quanto l’operazione sarà molto dilazionata nel tempo (circa 2 anni e mezzo), il governo è intenzionato a prevedere la separazione proprietaria della rete del gas (Snam rete gas) dalla società di produzione (Eni). L’obiettivo è quello di sviluppare una maggiore concorrenza e uno sviluppo infrastrutturale in modo che i clienti finali possano avere contratti a prezzi più vantaggiosi. È difficile sostenere che togliere la rete del gas dal controllo del monopolista possa produrre effetti dannosi sul mercato. Bisogna, però, considerare che Eni ha già messo in atto una separazione funzionale e che è relativamente semplice garantire, attraverso il controllo del regolatore, la libertà d’accesso alla rete. La questione è, dunque, quella di essere certi che anche la politica di investimenti abbia un’impostazione pro-concorrenziale e non ceda alla tentazione di rinunciare a investimenti teoricamente remunerativi, ma tali da pregiudicare rendite di monopolio. Se questo è il problema l’ipotesi, molto probabile, di mettere tutto in pancia alla Cdp (che controlla l’Eni) potrebbe non essere risolutiva.
di Sandro Iacometti


http://www.liberoquotidiano.it/news/914393/Tutti-gli-errori-di-Mario-sulle-liberalizzazioni.html
4 FEBBRAIO: LE RIVENDICAZIONI FOLLI DELLA SINISTRA ANTIFASCISTA...
CRONACA DI UNA FOLLIA
FOIBE: GRANDE CORTEO, 4 FEBBRAIO
La sinistra antagonista fiorentina lancia, per il 4 febbraio, un corteo “antifascista” per opporsi al ricordo dei martiri delle foibe promosso dal centro-destra che, come ogni anno, sfilerà in un composto fiume tricolore e ascolterà l’intervento dell’ex Ministro della Gioventù Giorgia Meloni, partendo alle ore 17 da Piazza Savonarola. Nel comunicato che accompagna il contro-evento della sinistra radicale si parla di una destra revisionista, amica degli stragisti, vicina ad un esponente politico (Giorgia Meloni) che ha avrebbe avuto il solo merito di elargire fondi al mondo dell’estremismo di destra (sic!). Così tante baggianate tutte insieme, francamente, non le avevamo mai lette.

PER NEGAR DEI MORTI, SE NE STRUMENTALIZZANO ALTRI…

Il corteo “antifascista”, che ha come scopo quello di innalzare il livello di tensione e contrastare la diffusione di una verità storica come il dramma degli italiani infoibati, è una triste strumentalizzazione politica, fatta nel nome di Samb Modou e Diop Mor, i due senegalesi uccisi dalla follia omicida di Gianluca Casseri lo scorso 13 dicembre.

Le realtà della destra fiorentina che saranno in piazza il 4 febbraio hanno condannato con ogni mezzo quel gesto, dialogando e solidarizzando con la comunità senegalese e portando avanti una politica identitaria che non ha mai avuto niente a che fare col razzismo e con la discriminazione, ma solo con l’amore per la propria terra e con la valorizzazione delle differenze e delle specificità dei popoli, nel rispetto della solidarietà e della socialità. Le centinaia di iniziative prodotte in questi anni sono una testimonianza tangibile in tal senso, semmai ce ne fosse bisogno. E’ evidente che c’è chi soffia sul fuoco al solo scopo di ravvivare un odio sopito e di riaggregare delle forze disperse, anche a costo di usare una tragedia come scudo.

La destra fiorentina, il 4 febbraio, sarà in piazza per ricordare i martiri delle foibe e non per alimentare quelle “guerre tra poveri” che, invece, sono alla base di ogni mobilitazione che abbia come scopo quello di contrapporsi alle idee altrui, cosa che il nostro ambiente politico, a differenza di chi ci accusa, non ha mai fatto in alcun modo. Saremo in piazza pacificamente, silenziosamente e con composto cordoglio, come si addice a chi ha intenzione di ricordare dei morti e di rendere parte della memoria collettiva di un popolo l’orribile pagina dello sterminio e dell’esodo patito dai nostri connazionali per mano dei titini. Tutto questo, per chi ci accusa, sarebbe revisionismo. Già, perché la verità dovrebbe essere quella di chi ha sempre negato l’esistenza di questo massacro, trincerandosi dietro all’omertà di quei dogmi marxisti che hanno mosso le mani dei carnefici e distrutto decine di migliaia di vite.

In pratica si strumentalizza la morte di due persone per negare quella di altri trentamila. Un’operazione macabra e vile.

COMUNITA’ GIOVANILI E DINTORNI…

E’ curioso, poi, il giudizio che si dà di Giorgia Meloni, uno dei pochi esponenti politici di questo paese che abbia realmente provato a smuovere le acque di una burocrazia grigia e incolore attraverso decine di iniziative nobili e trasversali, portate avanti con costanza e con impegno. Il suo era un Ministero senza portafoglio e la proposta di legge sulle comunità giovanili, quella che viene richiamata dal comunicato “antifascista”, non è mai stata approvata per come era auspicato.

E’ curioso che ad opporsi a questa proposta, poi, siano i militanti di quella sinistra radicale che per decenni si sono riempiti la bocca di parole come “condivisione, libertà, autogestione degli spazi e riqualificazione”. E’ curioso e sfacciato opporsi preventivamente ad un provvedimento che tende a riqualificare aree urbane fuori uso per destinarle al popolo, per riempirle di iniziative, per creare sinergie e legami solidali, per ridestinare il degrado del moderno alla dimensione della comunità, del dono, dello sport, dell’arte e della vita.

Inutile dire che i finanziamenti alle associazioni di destra, poi, sono quanto di più lontano possa esistere da quella logica, dal momento che – trattandosi di fondi statali – qualunque indirizzo politico espressamente dichiarato farebbe decadere il senso del progetto. Le sedi della destra giovanile, come quella di Casaggì, sono interamente pagate dagli sforzi economici di chi le frequenta. I prestiti presi in banca dai nostri militanti e i video girati durante i sei mesi di lavori per la ristrutturazione dei locali ne sono esempio lampante. Come del resto le rate di affitto puntualmente pagate ogni mese tra gli sforzi e i sacrifici di chi porta avanti il proprio attivismo quotidiano senza chiedere niente a nessuno e lo autofinanzia per mezzo di concerti, cene e attività metapolitiche svolte ogni santo giorno di propria iniziativa e senza sponsor.

FUORI DAL TEMPO, FUORI DI TESTA…

Quando abbiamo visto il manifesto che accompagna il corteo “antifascista” del 4 febbraio abbiamo seriamente pensato che se non avessero apposto per intero la data dell’evento ci saremmo certamente convinti di essere davanti ad un pezzo di propaganda uscito di fresco da qualche museo della guerra civile. Partigiani armati sullo sfondo e una retorica vecchia di sei decenni abbondanti. Parole che lo stesso PCI aveva brillantemente superato quando i promotori di questo evento non erano neanche venuti al mondo.

Resta evidente la totale inadeguatezza di certi soggetti al tempo corrente. E non perché ci si richiami all’antifascismo, ma perché lo si pratichi con tanto infantilismo e con tanta malafede, così da renderlo uno spauracchio da sventolare in ogni buona occasione, senza interrogarsi sui modi, sui metodi e sulle pratiche che questo comporta, sulla lontananza che questo abbia dalla realtà sociale di questo paese, sulla totale estraneità di quest’ultimo da un evento – quello del ricordo dei martiri delle foibe – che non ha niente a che fare con alcun tipo di discriminazione, ma che anzi è nato col preciso scopo di creare una memoria condivisa e trasversale, lontana dai rancori e dalle fratture del Novecento.

E così, con la scusa di contrastare presunte discriminazioni si finisce col discriminare. Con la scusa di contrastare presunte violazioni della libertà si finisce per ledere le libertà altrui. Con la scusa di ricordare due vittime si finisce per dimenticarne trentamila.

IL LINK AL COMUNICATO "ANTIFASCISTA"

20 Gennaio 1945 – In ricordo della famiglia Pendoli

 




La famiglia Pendoli viveva a Gianico, piccolo comune della Valle Camonica in provincia di Brescia. Il marito, Battista, militava nella Decima Brigata Nera, mentre la moglie, Rosa, gestiva un negozio di alimentari al centro del paese con la collaborazione dei suoi quattro figli: Pietro, Giovanni, Giuseppe e Maria. Il più grande Pietro, ventidue anni, era vice brigadiere di un reparto della divisione antiparacadutista e contraerea della Guardia Nazionale Repubblicana. Maria, invece, già da alcuni anni, aveva intrapreso la vita ecclesiastica. Tra i monti di Gianico, operavano diverse formazioni partigiane. Giacomo Cappellini comandante delle “Fiamme Verdi C.8”, Giulio Mazzon comandante delle “Fiamme Verdi C.1” nella Valle Verde, infine Luigi Macario comandante di un altro gruppo di partigiani denominato “54° Garibaldi” nella Valle Negra.
Il negozio della famiglia Pendoli era soggetto a continui saccheggi e furti ad opera di quei partigiani. Salumi e farina per polenta era all’ordine del giorno per continuare la clandestinità sulle montagne e portare a termine sabotaggi e attentati contro le Forze Armate. Il Tribunale Militare di Guerra, già dal 4 agosto del 1944, aveva spiccato un mandato di cattura contro Giacomo Cappellini, imputato di appartenere a bande armate fuorilegge.
La mattina del 15 gennaio 1945, intorno alle sette e trenta, il Vice Brigadiere, Vittorio Pedrini, e il Milite Scelto, Virgilio Piccini, appartenenti al Comando Provinciale del distaccamento della Guardia Nazionale Repubblicana di Brescia, dopo lunghe e pazienti ricerche in base anche a segnalazioni attendibili, individuarono la zona precisa dove gli elementi saltuariamente transitavano. In collaborazione con gli uomini dei distaccamenti di Capo di Ponte – Malonno – Cedegolo – Cividate iniziarono il rastrellamento su due colonne convergenti della zona montana del Comune di Lozio portando alla cattura del capobanda Cappellini nelle vicinanze della frazione di Loverno. Mentre tentava di sganciarsi dalla pattuglia che lo aveva attaccato, Giacomo Cappellini, facendo uso delle armi fu ammanettato riportando ferite al viso e alla spalla. Dopo le necessarie cure fu trasportato a Breno e adagiato su un carro. Intanto Pietro Pendoli, grazie ad un permesso di licenza breve, decise di tornare nel suo paese e trascorre qualche giornata spensierata con la famiglia.
La sera del 20 gennaio 1945 alcuni partigiani, a volto coperto, entrarono nel negozio di alimentari. All’interno vi era solo la madre, dietro al banco, mentre il figlio minore Giovanni, giocava presso l’oratorio e la figlia Maria si trovavano in convento. Alcuni fuorilegge cercarono di impossessarsi della solita farina e di alcuni tagli di stoffa rovistarono anche in camera da letto alla ricerca di soldi e oggetti preziosi, altri, invece, tenevano a bada l’anziana signora.
In quel momento giunse il figlio Pietro Pendoli all’oscuro della rapina in corso. Fu picchiato selvaggiamente e poi finito con un colpo di pistola alla nuca sulla soglia della porta, a tradimento, senza avere neanche la possibilità di difendersi. Il corpo, ormai senza vita, fu trascinato all’interno dove i partigiani continuarono ad infierire sul cadavere. La cosa sconvolgente fu, dopo ore dalla tragedia, il volto di Pietro Pendoli ancora con i segni degli scarponi. Ironia della sorte, dopo tre mesi dalla morte di Pietro Pendoli, il 21 aprile del 1945, gli stessi partigiani assassinarono il Padre Battista e il fratello minore Giovanni. La famiglia Pendoli fu sterminata per essersi opposta alla rapina di farina, oppure per vendicare la cattura e poi l’uccisione del capobanda partigiano? Intanto Giacomo Cappellini fu tradotto presso il carcere di Brescia e processato il 21 marzo dello stesso anno per sequestro di persona, distruzione di tralicci e binari ferroviari, violenza privata per aver tagliato i capelli a quattro donne. Confessò ogni addebito, cercando di giustificarsi adducendo il tutto alla confusione dopo l’otto settembre del 1943.
Fu condannato a morte con fucilazione all’alba del 25 marzo presso il Castello di Brescia. A guerra finita, il 9 ottobre del 1946, al Cappellini gli fu concessa anche una medaglia d’oro alla memoria. Invece la strage della famiglia Pendoli fu definita “opera di sbandati sconosciuti”, anche se in paese si sapeva i nomi degli assassini.

giovedì 19 gennaio 2012

 


Manifestano padri di famiglia, non figli di papà

Marcello de Angelis
 
 
 
 
 
Se i movimenti di protesta si sviluppano da Roma in giù, la stampa ha una sorta di riflesso pavloviano. Se alla risposta “chi c’è dietro?” non si può rispondere “partiti e sindacati”, li si stigmatizza da subito come sospetti. Si dice che sono localistici, infiltrati o addirittura manipolati dal crimine organizzato. Ovviamente altra cosa rispetto ai “movimenti” che per tre anni hanno fatto da contrappunto all’esperienza governativa del Centrodestra. Gli indignados sono fashion e quando si danno alle violenze è perché – come disse Draghi – si preoccupano del loro futuro. Le ragazzine sbraitanti di cento scioperi e cortei contro la Gelmini facevano simpatia alla telecronista pashminata, che rivedeva in lei il proprio impegno di adolescente. Poi c’erano le migliaia di signore annoiate del “Se non ora quando”. Proteste mediatiche, ben organizzate e – diciamolo – piene di soldi. I tassisti invece si battono “per interessi particolari” (chissà perché i no-tav invece no?), i camionisti siciliani sono marionette di interessi occulti, i pescatori e agricoltori sono arretrati. Ma a vedere bene, uno non porta sui binari moglie e figli col rischio di farseli tirare sotto dal treno per logiche così contorte. A noi sembrano persone che protestano perché devono mantenere una famiglia, non perché devono andare in video. Forse dopo qualche giorno questi padri di famiglia se ne torneranno a casa, magari con le pive nel sacco. Ma se stavolta non lo facessero?
 

FORCHETTE ROMANE E FORCONI SICILIANI

 
 
 
 
Una intera regione si blocca spontaneamente per protesta contro il governo delle tasse, e i cittadini solidali con i trasportatori che non ce la fanno più a lavorare in queste condizioni, appoggiano lo sciopero, non si lamentano e anzi la fanno propria e la sostengono.
E’ incredibile quello che sta accadendo in Sicilia. E’ la summa dello stato di malessere e insofferenza che sta attraversando tutta l’Italia.
Aumentano le accise sul carburante (anche se il prezzo del barile non subisce impennate da tempo), aumenta il prezzo di benzina e gasolio ai distributori, aumentano le tariffe autostradali e di conseguenza i prezzi dei prodotti al destinatario finale: il popolo.
Gli agricoltori, dai quali è nata la mobilitazione che poi si è fusa con le posizioni dell’Aias, creando un nuovo soggetto di protesta col nome di Forza d’Urto, devono subire i rincari dei prodotti per la coltivazione.
La Sicilia non ci sta, e non ce la fa più: raffina sul proprio territorio il 40% della produzione nazionale di petrolio, e le resta poco di questa ricchezza, a partire dai più che logici sconti sul carburante, e tanto dei danni ambientali causati da questa lavorazione.
Oggi la merce inizia a scarseggiare nei supermercati, e molte attività abbassano le saracinesche. Ma il dato allarmante, per i signori della politica chiusi a palazzo, per quelle che potremmo definire le forchette romane, è che la gente sta con loro. Il popolo si ribella e si unisce nella mobilitazione.
Gli italiani sono esasperati, e nelle istituzioni giocano con i numeri per guadagnare qualche seggio in più. Signori, ma avete capito che non avete più voti?! Avete capito che il popolo è stanco di subire, e ha alzato la testa?
La vergogna della censura di una intera regione è stata aggirata dalla rete. Le informazioni viaggiano sui social network, si moltiplicano con il passaparola, e non serve poi recuperare in extremis con qualche servizio nei tg al terzo giorno di sciopero.
C’è un’Italia che questo governo non lo vuole. E non lo vuole in Sicilia oggi, non lo voleva ieri a Roma e Napoli con i tassisti in sciopero. Il fatto che si rifiuti un incontro col governo, che furbescamente chiedeva in cambio il “cessate il fuoco” siciliano, esprime non solo l’assenza di fiducia in questo esecutivo che nessuno ha votato, ma soprattutto l’esasperazione delle gente.
E’ inutile fare finta di non vedere questa situazione: il popolo s’è stufato!
Il 4 febbraio a Roma daremo noi la voce alle categorie, ai lavoratori: agli italiani!
Saremo migliaia a sfilare per le vie della Capitale, di ogni settore produttivo e sociale.
E sono sicuro che ci saranno anche rappresentanti del movimento dei forconi.
Dalla Sicilia al Triveneto l’Italia unita urlerà il suo no al governo delle banche!

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I furbetti della sinistra chic: anche Veltroni e Bindi hanno preso case super scontate


affaroni immobiliari I furbetti della sinistra chic: anche Veltroni e Bindi hanno preso case super scontate
Oltre al prezzo vantaggioso della casa al Colosseo del ministro Patroni Griffi sono molti gli esponenti politici che hanno acquistato case dalla Scip a prezzi ben inferiori al valore di mercato. Nella tabella ecco i numerosi esponenti della sinistra che hanno usufruito quasi aggratis di prestigiosi appartamenti nella capitale.
Gli sconti sul prezzo al metro quadro andavano dal 47,12 per cento per la casa a piazza del Popolo della Bindi fino al 75,71 per cento della Ingrao. Il tesoro ha dunque incassato ben 22 milioni di euro in meno di quanto previsto.
I soliti furbastri della sinistra che di sprechi e privilegi sono ormai protagonisti da anni, nel silenzio generale. Con tanti saluti alla storica vicinanza ideale ai poveri…