sabato 31 marzo 2012

POVERA ITALIA, ITALIA POVERA…

31 mar 2012
E’ un paese in difficoltà il nostro, e lo sapevamo. Ma quando arrivano impietosi i numeri a certificarlo, allora la nostra consapevolezza assume un altro valore, più drammatico.
L’Istat ha reso note le medie delle denunce dei redditi degli italiani, che sono pari a 19.250 euro annui. Sono le dichiarazioni 2011 su anno di imposta 2010, quindi in due anni di crisi che ancora non avevano visto il culmine del 2011-2012. Il che lascia molte preoccupazioni sui numeri futuri.
Fin qui la media degli italiani. Ma c’è un dato più allarmante: ben la metà dei nostri connazionali vive con uno stipendio sotto i 15.000 euro, e un terzo sotto i 10mila. E stiamo parlano di retribuzioni lorde. Ciò significa che, seppure con i dovuti distinguo sulle tassazioni, intere famiglie magari monoreddito vivono con mille euro o poco più al mese, e molte con ancora meno soldi.
E’ la fotografia di una paese malato sul quale si è abbattuto, sciagura su sciagura, un governo che consapevole di queste cifre (sono tecnici, volete che non le sappiano..?) decide di aumentare le tasse sui cittadini.
Lo hanno fatto con l’Irpef regionale, l’Imu dei comuni, l’accise della benzina, a breve l’Iva. Non contenti, i professori della Bocconi che sono al governo preparano la stangata di primavera: come pesce d’aprile, dal 1 del prossimo mese impongono aumenti sull’energia, con le tariffe del gas che saliranno dell’1,8% e quelle dell’energia elettrica del 5,8%.
Sono dei folli. Non capiscono che un Paese in crisi economica, in recessione come ci dicono, non può aumentare in questo modo i costi per le famiglie, perché ne consegue un blocco dei consumi e una crescita che non si verificherà mai.
Ma ai nostri attuali governanti interessa solo presentarsi in Europa dai loro colleghi banchieri e garantire che il popolo capirà i sacrifici imposti, che la credibilità sta tornando. Tanto a fine mese con le migliaia di euro che guadagnano non hanno certamente problemi ad arrivarci.
Se ciò non bastasse, però, dobbiamo anche sorbirci il teatrino dei costi della politica, con i presunti tagli che riducono “solo” a dieci anni i benefit degli ex presidenti delle Camere. Come se dieci anni di privilegi, ulteriori rispetto a quelli a cui già hanno diritto, fossero una bazzecola. E tralascio la patetica polemica di certi che si sentono defraudati di fronte a questi tagli, definendoli forcaioli, o di qualcuno evidentemente con le spalle coperte che si immola proponendo di rinunciarvi già da ora.
Non vedono, i signori del palazzo, che ogni giorno ci sono scene tragiche nel nostro paese, imprenditori o dipendenti che si suicidano con gesti clamorosi perché non solo afflitti dai debiti che non riescono a pagare, ma dai crediti che non riescono a riscuotere.
Sono intollerabili demagogia e fumo negli occhi degli italiani. Che però gli occhi li hanno aperti.
Poveri sì, ma fessi no.

http://www.storace.it/

venerdì 30 marzo 2012

Identificato il pirata della strada che ha
ucciso il pensionato: è fuggito all'estero

L'auto rubata a San Giorgio in Bosco. I carabinieri stanno
cercando i complici e stanno controllando le telecamere


di Marco Aldighieri
PADOVA - Identificato il pirata della strada che, mercoledì alle 18.40, in via Vicenza a Padova, ha investito e ucciso il pensionato di 76 anni Goffredo Macolino. L’uomo, che ha un vantaggio sugli inquirenti di 24 ore, potrebbe essere già all’estero. Le indagini, affidate dal pm Benedetto Roberti ai carabinieri del Nucleo investigativo coordinati dal tenente colonnello Francesco Rastelli, si stanno concentrando su più punti.

Gli uomini dell’Arma, con la sezione Scientifica, stanno analizzando il Suv Toyota Rav 4 (sotto sequestro), rubato a San Giorgio in Bosco (Padova) il 22 marzo in via Valsugana 16 a un falegname, che ha travolto e trascinato per almeno una decina di metri l’anziano che stava attraversando via Tirana sulle strisce. La macchina già prima dell’impatto mortale era senza parte del paraurti, perchè i ladri rubandola erano andati a sbattere sul cancello elettrico dell’abitazione in cui erano entrati. I carabinieri hanno raccolto molte impronte e alcune tracce ematiche lasciate dal conducente sull’airbag, che è esploso nello scontro con una Porsche Carrera e una Ford station wagon. Tutte prove che sono state spedite al Ris di Parma, ma che indicano una sola persona. Gli uomini dell’Arma stanno anche visionando diversi sistemi di videosorveglianza presenti sia in città e sia in provincia. Gli obiettivi principali sono le telecamere dei varchi e gli occhi elettronici presenti nei caselli autostradali. Gli inquirenti hanno anche raccolto
la testimonianza di molte persone che hanno assistito all’incidente.

Gli uomini del Nucleo investigativo stanno poi cercando di capire il perché della fuga da parte del conducente. Il pirata della strada si è lanciato a tutta velocità in contromano lungo via Tirana, nel tentativo di immettersi sul cavalcavia Chiesanuova, senza un motivo apparente. In zona infatti non si sono registrati atti criminali come furti, rapine o borseggi. L’unica possibilità è che l’uomo si sia spaventato. Forse ha incrociato una pattuglia dei carabinieri o della polizia impegnata nel controllo del territorio. Sulle sue tracce ci sono anche due squadre dei vigili urbani.

Intanto i carabinieri stanno passando al setaccio Padova e provincia. Ieri hanno arrestato l’albanese di 27 anni Fitim Dardha, perchè nella sua abitazione hanno trovato e sequestrato una pistola beretta calibro 7,65 con matricola abrasa completa di caricatore con cinque colpi. Dardha deve rispondere del reato di detenzione illegale di armi da sparo. Gli uomini dell’Arma non stanno cercando solo il pirata della strada, ma anche i suoi eventuali complici che lo stanno aiutando nella fuga.

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=188178&sez=NORDEST

mercoledì 28 marzo 2012

TERRIBILE
Si dà fuoco a Bologna davanti
all'Agenzia delle entrate: è gravissimo

L'uomo ha lasciato tre lettere. In una di queste, indirizzata
alla commissione tributaria, fa riferimento a dei debiti

BOLOGNA - Un uomo di 58 anni si è dato fuoco questa mattina alle 8 dentro una vettura parcheggiata davanti alla sede della agenzia delle entrate a Bologna.

E' gravissimo. L'uomo è ricoverato centro grandi ustionati di Parma, ha ustioni su tutto il corpo ed è gravissimo. Il sospetto è che a muoverlo siano stati problemi economici, giacché ha lasciato tre lettere, una proprio indirizzata alla commissione tributaria. In una delle missive l'uomo fa riferimento e pendenze tributarie: pare che si scusi, e dica di aver pagato le tasse. E annuncia l'intento di andarsene.

Le fiamme sono divampate attorno alle 8.20. L'uomo è uscito dalla vettura, parcheggiata in via Nanni Costa, e uno straniero ha cercato di salvarlo. Contemporaneamente alcuni passanti hanno chiamato la polizia municipale, impegnata nei pressi in operazioni di viabilità. Del caso si occupa il pm di turno Massimiliano Rossi. L'auto non è sequestrata ma verrà sottoposta ai rilievi scientifici.

http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=187918&sez=ITALIA
Preso a bastonate da 3
romeni Prof in coma
irreversibile

Ausonio Zappa, fondatore dell'accademia di Belle Arti di Milano e Viterbo picchiato nella sua villa a Viterbo. Volevano rapinarlo

in coma irreversibile il professor Ausonio Zappa, fondatore dell’Accademia di Belle Arti di Milano e di Viterbo. L'uomo, 82 anni, è rimasto vittima la notte scorsa di una violenta rapina nella sua casa a Bagnaia, in provincia di Viterbo, da parte di 3 persone che lo hanno picchiato a bastonate o con il calcio di una pistola chiedendo la consegna di denaro e gioielli. Questo, però, non è stato possibile perchè il professor Zappa ha immediatamente perduto i sensi. Nel frattempo i malviventi non si sono accorti che era scattato l’allarme collegato alla centrale operativa di una società privata di sorveglianza. Sono stati gli stessi vigilantes arrivati sul posto a soccorrere l'anziano e a chiedere l’intervento dei carabinieri della compagnia di Bagnaia e del reparto operativo provinciale di Viterbo. 

I carabinieri del comando provinciale di Viterbo hanno fermato tre romeni che al momento sono sotto interrogatorio. Analogo episodio si era verificato due notti fà nel frusinate, dove due anziani, sempre a colpi di bastone, erano stati rapinati nel cuore della notte, legati e imbavagliati. Il bottino questa volta è stato di circa 8mila euro.
http://www.liberoquotidiano.it/news/968512/Preso-a-bastonate-da-3-romeni-Prof-in-coma-irreversibile.html

lunedì 26 marzo 2012

FINALMENTE

La Resistenza accusata di genocidio

La Corte internazionale dell’Aia accoglie il ricorso del figlio di un milite della Repubblica sociale assassinato senza processo dai partigiani comunisti. Chiede giustizia per altri 400 caduti

La malinconica profezia espressa da Piero Buscaroli nel suo bel libro, Dalla parte dei vinti (Mondadori) secondo la quale la memoria degli sconfitti del 1945 sarebbe stata per sempre condannata all’oblio non si avvererà.
                                             
Luis Moreno Ocampo, procuratore capo della Corte penale internazionale dell’Aia ha accolto la domanda che chiede l’apertura di un’inchiesta per la morte di Lodovico Tiramani (milite scelto della Guardia nazionale repubblicana) e di altri quattrocento appartenenti alla Repubblica sociale, trucidati dalle bande partigiane. L’ipotesi di reato è genocidio. Il Tribunale dell’Aia ha risposto così al figlio di Tiramani, Giuseppe, che, attraverso la consulenza del suo legale Michele Morenghi, ha chiesto l’apertura del procedimento tramite una memoria dove si sostiene che: «Mio padre fu prelevato nei pressi di casa sua a Rustigazzo nel piacentino nel luglio del ’44 da un gruppo partigiano della brigata Stella Rossa, fu processato e condannato a morte senza un giudice, senza un comandante partigiano e senza una sentenza a verbale. Fu fucilato poche ore dopo nei pressi del Monte Moria. Mia madre lo trovò crivellato di colpi. Io non voglio vendette, ho già perdonato tutti coloro che uccisero mio padre, abitavano nel mio paese e li ho conosciuti personalmente dopo la guerra. Chiedo sia fatta giustizia per il suo caso e per tutti gli altri combattenti della Repubblica sociale uccisi in quegli anni nel piacentino».
In questo modo, l’International Criminal Court, la cui competenza si estende a tutti crimini più gravi che riguardano la comunità internazionale, come il genocidio appunto, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, potrebbe intervenire su una vicenda italiana che per tanti decenni è rimasta volutamente occultata dalla storiografia ufficiale ed è sopravvissuta solo grazie alla memoria dei sopravvissuti. Fino alla comparsa dei libri di Giampaolo Pansa (un grande giornalista che sa bene di storia), quanti italiani conoscevano le tristi vicende della caccia al repubblichino, che si aprì dopo il 25 aprile 1945 per protrarsi fino al 1946 e al 1947? Pochi, pochissini. Soltanto i parenti delle vittime o quanti di noi avevano un amico, un conoscente che visse personalmente quella tragedia. A me capitò di avere questa triste «fortuna» e di apprendere dell’uccisione di un proprietario agricolo dell’Emilia, fucilato insieme al nipote dodicenne, con l’accusa di vaghe simpatie fasciste; della morte di un contadino del bellunese fatto fuori dopo aver rifiutato di vettovagliare una banda partigiana; e del linciaggio di alcuni giovanissimi «ragazzi di Salò» che ora giacciono interrati nel Campo X al cimitero di Musocco a Milano. Ma di tutto questo fino a pochissimo tempo fa neanche un rigo sui libri di storia e ancora oggi nessun accenno nei manuali di scuola che vanno in mano ai nostri giovani.
Eppure autorevoli testimoni di quella guerra fratricida, che si trasformò in tiro al piccione, sapevano. Sapevano e tacquero. Benedetto Croce, ad esempio. Dalla lettura dei Taccuini di guerra del vecchio filosofo, editi solo nel 2004, emerge con forza il timore che la guerra partigiana possa trasformarsi in una rivoluzione «comunistico-socialista», che, in breve, avrebbe consegnato l’Italia a un altro totalitarismo, forse più spietato, come andava dimostrando con abbacinante chiarezza la «liberazione» di Polonia, Ungheria e degli altri paesi danubiani e balcanici, operata dalle truppe sovietiche, coadiuvate dalle formazioni partigiane comuniste. La rivelazione della strage di Katyn, avvenuta da parte dell’Armata Rossa, tra marzo e maggio del 1940, confermava in Croce questo timore, quando anche in Italia si era appreso dell’«eccidio fatto dai russi di migliaia di ufficiali polacchi, che erano loro prigionieri». La minaccia di una sovietizzazione imposta con la violenza, scriveva il filosofo, si avvicinava anche al nostro paese. Era già attiva nelle regioni orientali esposte alle violenze delle «bande di Tito». La si scorgeva serpeggiare nella gestione dell’epurazione antifascista delle strutture statali «maneggiata dai commissari comunisti» che tentavano di attuare «un’infiltrazione del comunismo», perpetrata «contro le garanzie statutarie, conto le disposizioni del codice, per modo che nessuno è più sicuro di non essere a capriccio fermato dalla polizia, messo in carcere, perquisito».
Tutto questo avveniva, in ossequio alla «rivoluzione vagheggiata e sperata». E sempre in ossequio a quel progetto eversivo, le regioni settentrionali dell’Italia, controllate dagli elementi estremisti del Cnl, divenivano il teatro di stragi di massa contro fascisti, ma più spesso contro vittime del tutto innocenti. L’8 agosto 1945 la famiglia Croce riceveva la visita di un conoscente «che ci ha commossi col racconto del fratello incolpevole, non compromesso col fascismo, ucciso con molti altri a furia di popolo a Bologna». Nella stessa pagina del diario, si annotava: «In quella città gli uccisi sono stati due migliaia e mezzo, tra questi trecentocinquanta non identificati».
Tra il vero antifascismo e resistenza si scavava, con questa testimonianza, un abisso profondo. Si alzava uno steccato, che soltanto la costruzione di una memoria contraffatta di quegli anni terribili ha potuto per molto tempo celare.eugeniodirienzo@tiscali.it
http://www.ilgiornale.it/cultura/la_resistenza_accusata_genocidio/12-03-2010/articolo-id=428859-page=0-comments=1
VERGOGNA

Paradosso del Governo Monti: doppia IMU per anziani che vivono in ospizio


26 marzo – Oltre al danno la beffa. Gli anziani che sono ricoverati per un lungo periodo negli ospizi, dovranno pagare una doppia Imu perché l’ospizio viene considerato come seconda casa. Ossia il doppio: 7,6% per mille contro il 4 dovuto per l’abitazione principale. A rivelare la beffa è stato il sindacato dei pensionati Sei Cgil che ha analizzato bene la norma in cui si stabilisce che anche si sia in possesso di una seconda abitazione ma abbia la residenzaa altrove, deve pagare l’imposta nella versione maxi prevista per la seconda casa. Se il governo non corregge la norma, o non emana una circolare interpretativa – scrive La Stampa – per 300mila anziani arriverà una stangata di parecchie migliaia di euro.
Salasso ingiusto Insomma, gli anziani ricoverati a vita negli ospizi, che un tempo erano esentati dal pagamento dell’Ici, a giugno potrebbero trovarsi a pagare olte all’imposta suhli immobili anche le addizionali comunali: il tutto si traduce per loro in una stangata tra i 1.500 e i 2000 euro in più rispetto a quello che avrebbeo pagato se l’imposta fosse stata calcolata sulla prima casa. Un dato preoccupante se si associa a un’altra rilevazione della Cgil secondo cui le rette per poter alloggiare in un ospizio a carico di un anziano è salita in media a circa duemila euro al mese mentre nelle strutture pubbliche, il ticket viaggia sui 1400 euro. Insomma, la tegola che sta per abbattersi sugli anziani è insostenibile se si considera che la pensione media è di 800 euro.
http://www.imolaoggi.it/?p=14838

domenica 25 marzo 2012


AFGHANISTAN, ATTACCO A BASE ITALIANA: 1 MORTO, 5 FERITI


    •                               
    • Un militare italiano e' Un morto oggi in un attacco a colpi di mortaio in Afghanistan. Lo si e' appreso da fonti della Difesa. Altri 5 militari italiani sono rimasti feriti. L'attacco - informa lo Stato maggiore della Difesa - è avvenuto alle 18.00 circa (in Italia 14.30), contro la Fob (Forward Operative Base) "Ice" in Gulistan, nel settore Su...d- Est dell'area di responsabilità italiana, assegnata alla Task Force South-East, su base del 1 Reggimento Bersaglieri. Il personale ferito è stato subito soccorso e trasferito in elicottero all'ospedale militare da campo della Coalizione più vicino. Sono in corso le azioni per informare i familiari dell'accaduto.

      da
      http://ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2012/03/24/visualizza_new.html_156038836.html 

  • sabato 24 marzo 2012

    STORACE
    LAVORO: STORACE A MONTI, STOP TIRASSEGNO CONTRO CHI LAVORA (ANSA) - ROMA, 23 MAR - «Mario Monti non ha mai avuto quello che evidentemente considera il privilegio di uno stipendio a 1200 euro al mese. Cessi il tirassegno contro chi lavora». È quanto dichiara Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra.(ANSA). PAE 23-MAR-12 18:15 NNN S
    RESPINTO ASSALTO ANTIFASCISTA ALLA SEDE di CasaPound a Casal Bertone. 

    ENNESIMA FIGURACCIA DEI SERVI DEL SISTEMA


    Gli antifascisti arrivano armati per assaltare la sede di CasaPound a Casal Bertone. In mattinata, dopo aver aggredito la madre di un militante di CasaPound la tensione è salita in tutto il quartiere.. Gli antifascisti fanno gruppo e provano l'assalto alla sede. Ma vengono respinti.


    venerdì 23 marzo 2012

    L'IMBOSCATA DI VIA RASELLA Ma questa era guerra?



    LA TESTA DECAPITATA DEL POVERO RAGAZZO Pietro Zuccheretti DI ANNI 12
     

     

       Nella ricorrenza del venticinquesimo anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento, avvenuta a Milano il 23 marzo 1919, un gruppo del movimento clandestino di resistenza romano preparò e attuò un temerario attentato contro i tedeschi, che ebbe tragiche conseguenze di sangue per la popolazione romana e scosse profondamente la coscienza nazionale. 
        Il 23 marzo 1944 alle ore 15 circa, nell'interno della città aperta di Roma, in pieno centro storico, in via Rasella, all'altezza di palazzo Tittoni, mentre passava un reparto di 156 uomini della 11a Compagnia del Reggimento "Bozen", comandato dal maggiore Helmut Dobbrick - che da quindici giorni era solito percorrere quella strada per rientrare in caserma dopo le esercitazioni - scoppiava una bomba a miccia ad alto potenziale collocata in un carrettino per la spazzatura urbana, confezionata con 18 chilogrammi di esplosivo frammisto a spezzoni di ferro. La tremenda esplosione causò la morte di trentadue militari tedeschi e di due civili italiani di cui un bambino di dieci anni. 

        Subito dopo lo scoppio una squadra di appoggio, che sostava tra via del Boccaccio e via del Traforo, lanciava delle bombe a mano contro la coda del reparto per disorientare i militari e quindi si dileguava verso via dei Giardini allontanandosi rapidamente dalla zona. 

        Coloro che presero parte all'azione furono: Rosario Bentivegna che, travestito da spazzino, trasportò la bomba con la carretta; Franco Calamandrei, che si tolse il berretto per indicare a Bentivegna che il reparto aveva imboccato via Rasella e che la miccia per l'esplosione doveva essere accesa; Carla Capponi, che aspettava Bentivegna all'angolo di via delle Quattro Fontane; e poi Carlo Salinari, Pasquale Balsamo, Guglielmo Blasi, Francesco Cureli, Raoul Falciani, Silvio Serra e Fernando Vitagliano. Questi giovani (tra i 20 e i 27 anni) facevano parte di uno dei tanti gruppi denominati di Azione Patriottica (Gap) e dipendevano dalla Giunta militare, emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale (Cln), di cui erano responsabili Giorgio Amendola (comunista), Riccardo Bauer (azionista) e Sandro Pertini (socialista). L'ordine di eseguire l'imboscata di via Rasella, preparata nei minimi particolari da Carlo Salinari, fu dato dai responsabili della Giunta militare. Successivamente Bauer e Pertini dichiararono di non essere stati preventivamente informati e che l'ordine venne dato da Amendola a loro insaputa. Amendola stesso, qualche tempo dopo, confermò la versione, rivendicando a se stesso la responsabilità di aver dato ai "gappisti" l’ordine operativo per l'attentato. 

        La sera del 26 marzo i giornali pubblicarono il testo del comunicato ufficiale germanico. In uno stile freddo, burocratico, la cittadinanza romana viene a sapere che: "Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bombe contro una colonna tedesca di polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata trentadue uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti-badogliani. Sono ancora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l'attività di questi banditi scellerati. Il Comando tedesco ha perciò ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci comunisti-badogliani saranno fucilati: quest'ordine è stato eseguito". 

        Processo Kappler. Tribunale Militare di Roma, 20 luglio 1948. Momento drammatico di alta tensione in aula quando, nel corso dell'udienza, esce dal pubblico una voce straziante di donna che investe violentemente Rosario Bentivegna presente in aula in qualità di testimone: "Assassino, codardo! Ho la mia creatura alle Fosse Ardeatine, perché non ti sei presentato, vigliacco?". È un’invettiva che esce dal cuore lacerato di una madre. Scottante, crudele. Essa pone il problema morale della guerriglia e solleva un dubbio atroce: si poteva evitare la rappresaglia dei tedeschi? In altre parole, se i responsabili materiali dell'attentato si fossero presentati, il Comando tedesco avrebbe ugualmente deciso la rappresaglia? 

        Il presidente del Tribunale, gen. Euclide Fantoni, pone la domanda a uno dei protagonisti presenti, Rosario Bentivegna, appunto. Il teste risponde che la presentazione degli attentatori non fu esplicitamente richiesta dai tedeschi. “Se ci fosse stata - afferma - mi sarei presentato". E aggiunge: "la colonna tedesca costituiva un obiettivo militare. Facevano rastrellamenti e operavano arresti. Erano soldati. Ho avuto l'ordine di attaccarli e li ho attaccati". 

        "No, - ribatte Kappler - l’eccidio avrebbe potuto essere evitato se si fosse presentato l'attentatore o se fosse venuta un'offerta della popolazione. D’altra parte, da mesi erano affissi manifesti per gli attentati con l'indicazione della rappresaglia da uno a dieci".

        "No, - dice l'accusa - i manifesti di cui parla l'imputato Kappler erano stati affissi due mesi prima e lasciati esposti per soli due giorni". 

        Il punto da chiarire, quindi, non era tanto quello di sapere se la rappresaglia ci sarebbe stata oppure no. Era noto alle autorità politiche e amministrative, e a larga parte della popolazione, che ad ogni attentato le rappresaglie c'erano sempre, puntualmente. Quello che bisognava appurare era se un avviso, un comunicato fosse stato diramato dal Comando tedesco agli esecutori dell'attentato per invitarli a presentarsi onde evitare una strage di persone innocenti. Come abbiamo visto dagli atti del processo, Bentivegna lo esclude.  Ma Domenico Anzaldi di Roma, in una lettera al settimanale "Panorama" (n. 414 del 28 marzo 1974) afferma: "Senza voler entrare nella polemica sulle responsabilità della strage delle Fosse Ardeatine, desidero testimoniare che la sera dell'attentato di via Rasella è stato affisso sui muri di Roma, e io l'ho letto, un manifesto preannunciante che il Comando tedesco avrebbe fatto uccidere dieci «comunisti badogliani» per ogni militare tedesco morto" .

        In una intervista Bentivegna dichiara: "Non credo che se mi fossi costituito la rappresaglia non sarebbe avvenuta..." ("Oggi" n. 52 del 24 dicembre 1946). 

        Ma due avvenimenti tragicamente analoghi a quello di via Rasella, al contrario di quello sublimati dall'olocausto di quattro innocenti, mettono in una luce diversa l’affermazione di Bentivegna. Quello di Palidoro, in provincia di Roma, avvenuto nel settembre 1943, è noto. Avendo i tedeschi catturato ventidue ostaggi per consumare su di essi la rappresaglia in seguito allo scoppio di una bomba nella locale caserma, il vicebrigadiere dei Carabinieri, Salvo d'Acquisto, con grande eroismo e coraggio si presentò al Comando tedesco dichiarandosi, sebbene innocente, autore dell'attentato. Venne fucilato, ma col suo sacrificio salvò la vita di ventidue innocenti che stavano per essere fucilati; medaglia d'oro al valor militare. Meno noto è quello di Fiesole, in provincia di Firenze, svoltosi nell'agosto 1944. Tre carabinieri della locale stazione - Vittorio Marandola, Alberto La Rocca e Fulvio Sbarretti - per salvare le vite di dieci innocenti ostaggi si presentarono ai nazisti che li fucilarono immediatamente contro un muro dell'albergo Aurora; medaglie d'oro al valor militare. 

        Dice Bentivegna: "La colonna tedesca costituiva un obiettivo militare. Facevano rastrellamenti e operavano arresti. Erano soldati. Ho avuto l'ordine di attaccarli e li ho attaccati". Al processo Kappler si apprese, invece, che il reparto di 156 militari preso di mira dai "gappisti" romani non era di truppe combattenti, ma era formato da riservisti altoatesini che non operavano rastrellamenti e arresti ma erano destinati a compiti di ordine pubblico, compatibili con le norme che regolavano il funzionamento della città aperta di Roma. 

        In un giornale di Milano, nell'edizione romana del 19 febbraio 1978, in un servizio dal titolo: "Parla uno dei partigiani di via Rasella per l'attentato del 23 marzo 1944", Pasquale Balsamo sottolinea: "È stata universalmente riconosciuta una azione di guerra". Il Tribunale Militare di Roma, che il 20 luglio 1948 condannò Kappler all'ergastolo, pur stigmatizzando duramente il massacro perpetrato alle Cave Ardeatine, sia per la sua sproporzione che per l'inaudita crudeltà e ferocia usata verso le inermi e innocenti vittime, trattate peggio delle bestie da mattare, dovette prendere atto che, secondo il diritto internazionale (art. I della Convenzione dell'Aia del 1907), l’attentato di via Rasella fu un fatto illegittimo. Chi invece considerò l'imboscata di via Rasella "un'azione legittima di guerra" fu la Magistratura ordinaria, che con sentenza della Corte di Cassazione dell' 11 maggio 1957 non accolse le richieste di risarcimento avanzate dai parenti delle vittime, già respinte dal Tribunale e dalla Corte d'Appello civili di Roma, e sentenziò definitivamente che ogni attacco contro i tedeschi costituiva un “atto di guerra". In seguito, l’attentato fu sempre rivendicato come azione di guerra da tutte le autorità dello Stato.

        La condanna all'ergastolo inflitta a Kappler dalla Magistratura militare fu invocata non per la rappresaglia seguita all'azione di via Rasella; non per aver fatto uccidere dieci italiani per ognuno dei trentadue "tedeschi" morti in via Rasella, eseguendo un ordine superiore, ma per il delitto di omicidio volontario per aver fatto fucilare 15 persone in più: 335 anziché 320. Dieci per il trentatreesimo militare altoatesino deceduto successivamente in ospedale (senza aver ricevuto specifico ordine dal gen. Maeltzer, suo superiore diretto), e cinque per errore contabile sul numero delle persone contenuto in una lista delle vittime designate. Nella condanna fu anche considerato il reato di requisizione arbitraria di beni per avere, nel settembre del 1943, estorto agli ebrei romani 50 chilogrammi di oro. 

        Scrive Jo Di Benigno nel suo libro "Occasioni mancate": "Era ormai cosa nota a tutti che per ogni tedesco ucciso, dieci italiani venivano sacrificati. L'attentato di via Rasella non ha nulla di glorioso". 

        Ripa di Meana scrive sull'organo clandestino della Resistenza "L'ltalia nuova" del 4 aprile 1944: "Per Roma intera la deplorazione dell'attentato fu unanime; perché assolutamente irrilevante ai fini della guerra contro i tedeschi nella quale il nostro paese è impegnato; perché insensato, dato che il maggior danno ne sarebbe certamente derivato alla popolazione italiana; per quell'ampio senso di umanità che distingue noi latini e che non si estingue neppure durante gli orrori di una guerra e per il quale ogni inutile strage non può trovare la sua giustificazione nell'odio ma solo nella necessità". 

     

    Ivaldo Giaquinto

    mercoledì 21 marzo 2012

    LIBERI SUBITO




    Omniroma-MARÒ, LA DESTRA MANIFESTA SOTTO AMBASCIATA INDIA (OMNIROMA) Roma, 21 MAR - Sventolando bandiere tricolore circa 200 persone circa stanno manifestando davanti all'ambasciata indiana di via XX Settembre per chiedere la liberazione de...i due maró arrestati in India. «Liberate i nostri marò vergognosamente detenuti in India» recitano gli striscioni esposti durante la manifestazione organizzata da Radio ti ricordi e da La Destra a cui stanno partecipando molti ascoltatori della stazione radiofonica. «Chiediamo di far ritornare al più presto in Italia i nostri ragazzi» dice Luca Casciani, conduttore della radio. In piazza anche il capogruppo della Destra in Campidoglio, Dario Rossin. «È la seconda volta che la Destra viene a manifestare qui davanti - dice Rossin - abbiamo giá raccolto 7mila firme a Roma per richiedere la liberazione dei nostri marinai che manderemo al ministro degli Esteri sperando che lo Stato ponga fine a questo silenzio assordante». Alla manifestazione stanno partecipando anziani, giovani e alcuni bambini da varie zone della città. kia 211531 MAR 12Visualizza altro

    

    martedì 20 marzo 2012

    SIGNORAGGIO, LA GRANDE TRUFFA


    Su internet ho ritrovato questo video, in cui parlo di signoraggio bancario e spiego quella che è la madre di tutte le truffe.
    Una battaglia che faremo noi e no la sinistra, troppo impegnata nei salotti, mentre noi siamo dalla parte del popolo.
    Vi ricordate le 10mila lire? Quelle avevano lo stesso costo per chi doveva stamparle, ovvero lo Stato attraverso Bankitalia, che diceva che quel pezzo di carta che costa mezza lira per me vale 10mila lire.
    Quella differenza era il signoraggio dello Stato per pagare beni e servizi, ovvero il lucro sulla moneta. Lo Stato incassava, poi se spendeva di più in beni e servizi allora si creava il debito pubblico.
    Poi, con i tempi moderni, e l’arrivo dell’Euro, si è deciso che Bankitalia non dovesse più essere pubblica, che ci dovesse essere una Banca europea formata da tante banche nazionali.
    Ora, la differenza tra il valore effettivo della moneta euro e quello che non lo Stato ma le banche gli hanno attribuito, non è più il signoraggio a favore dello Stato, ma il signoraggio a favore delle banche. Beni e servizi, infatti, li paghiamo dieci volte tanto: Bankitalia dagli utili della Bce incassa il 12%, di cui allo Stato vanno solo le tasse: il debito sono soldi nostri che ci devono restituire.
    Un presidente americano disse: guai se il popolo dovesse scoprire cosa si sta combinando.
    Noi glielo faremo scoprire, perché non abbiamo nulla da nascondere.
    PER L'ENNESIMA VOLTA LE NOSTRE AUTORITA NON PARLANO DELL'ATROCE DELITTO CONTRO UNA FAMIGLIA ITALIANA,VERGOGNA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

    Perugia, fermati gli assassini di Luca Rosi
    Il padre della vittima: «Sono delle bestie»

    Sono due romeni che farebbero parte di una banda specializzata negli assalti alle ville

    svolta nelle indagini sull'omicidio del bancario ucciso il 2 marzo
    Perugia, fermati gli assassini di Luca Rosi
    Il padre della vittima: «Sono delle bestie»
    Sono due romeni che farebbero parte di una banda specializzata negli assalti alle ville

     
    MILANO - A inchiodarli è stata la testimonianza, determinante, di una donna romena che i carabinieri di Perugia seguivano da giorni. Il resto lo hanno fatto le indagini senza risparmio di forze, visto l'allarme che avevano seminato tra i residenti delle villette attorno a Perugia. E alla fine i risultati sono arrivati. Sono stati identificati e fermati due dei presunti responsabili di almeno tre rapine in villa e soprattutto di quella avvenuta a Ramazzano il 2 marzo scorso, nel corso della quale venne brutalmente ucciso un bancario di 38 anni, Luca Rosi, intervenuto per difendere la compagna.  Sono due giovani romeni, Iulian Ghiorgita e Rosu Aurel, ufficialmente incensurati. I carabinieri li hanno bloccati al confine tra Italia e Slovenia. A quanto pare dopo l'ultimo colpo erano scappati in Romania ma non si sa bene perché stessero rientrando in Italia.

    lunedì 19 marzo 2012

    SAREBBE ORA

    Proposta: Ritirare la patente a chi fuma o ha fumato “cannabis”


    Il capo del dipartimento antidroga che fa riferimento alla presidenza del Consiglio, Giovanni Serpelloni, è convinto che usare la cannabis danneggi in modo permanente il cervello. Per combattere questo potenziale pericolo quindi sarebbe opportuno ritirare la patente di guida a chi fuma o ha fumato l’erba, a prescindere dallo stato nel quale si trova al momento in cui guida.
    L’intenzione di Serpelloni è quindi quella di punire con il ritiro della patente qualsiasi persona che risulti positivo all’utilizzo della cannabis, presente o passata.
    La notizia è stata riporta dal sito della Aduc, che riferisce delle dichiarazioni di Serpelloni rilasciate durante un convegno con un’associazione americana dal profilo fortemente proibizionista.
    L’uso abituale della cannabis nei giovani tra i 15 e i 21 anni ha effetti anche a lungo termine sul cervello, modificandone stabilmente il “modellamento cognitivo e simbolico”. E’ quanto ha reso noto, durante il seminario tra esperti e autorità italiane e statunitensi promosso dal dipartimento Antidroga della presidenza del Consiglio, la ricercatrice americana Merelyn Huestis. Oltre all’effetto “classico” a breve termine, l’uso abituale di Thc creerebbe secondo diversi test sia tossicologici sia psicologici un’alterazione strutturale dell’encefalo, come difficoltà di memorizzazione e apprendimento, di coordinamento motorio, di percezione della realtà, calo di motivazione nell’affrontare i problemi.
    “Ciò porterà anche ad effetti pratici sulla vita quotidiana, avverte Serpelloni: solo cambiando il tipo di analisi sui consumatori di cannabis, da quelle del sangue a quelle delle urine, si potrà verificare l’abitualità dell’assunzione e dunque un sanzionamento in caso di guida anche fuori dal primo effetto a breve termine. “Noi proporremo – afferma il capo del dipartimento – di riconsiderare il tipo di esame per il ritiro della patente”.
    Non si è fatta attendere la protesta dei Radicali: “Il capo del Dipartimento Politiche Antidroga, Giovanni Serpelloni ‘ha annunciato di voler cambiare il tipo di analisi sui consumatori di cannabis, fermati dalle forze dell’ordine alla guida di veicoli, per verificare l’abitualità dell’assunzione e dunque un sanzionamento in caso di guida anche fuori dal primo effetto a breve termine”. Lo affermano in una nota Marco Perduca, senatore radicale, e Giulio Manfredi, della direzione dei Radicali Italia. “In parole povere – sottolineano – Serpelloni vuole punire indiscriminatamente con il ritiro della patente chi fuma cannabis e non gia’, come e’ giusto, chi guida in stato alterato, mettendo in pericolo la sicurezza sua e di terzi. Sarebbe come se Serpelloni volesse punire tutti coloro che bevono alcolici e non solo quelli positivi all’etilometro”.

    Verona, violenza sessuale su una 13enne:
    in manette due marocchini pregiudicati

    Hanno seguito la ragazzina, che era in compagnia della cugina 11enne, e poi l'hanno palpeggiata minacciandola

                                                       
     
    07:25 - Due pregiudicati marocchini sono stati arrestati a Peschiera del Garda (Verona) con l'accusa di aver violentato una 13enne. La minore, in compagnia della cugina di 11 anni, si stava recando in un supermercato, quando i due, dopo averle inseguite, le hanno bloccate. Dopo averle minacciate verbalmente, uno degli indagati le ha stretto con una mano il seno, ansimando e proferendo parole incomprensibili, mentre la cuginetta, dal terrore, ha perso i sensi.
    La 13enne, urlando dal dolore, è riuscita a divincolarsi e a chiedere aiuto ai passanti, mentre i due violentatori sono fuggiti. La ragazzina, dopo aver prestato soccorso alla cugina, ha tentato di rincorrere i due immigrati chiamando nel frattempo con il cellulare i carabinieri. I militari dell'Arma hanno poi rintracciato i due marocchini, arrestandoli.
     

    giovedì 15 marzo 2012

    L'economia va peggio: Monti ci è o ci fa?

    Gli indicatori statistici inchiodano il governo: Pil, disoccupazione e debito pubblico peggiorano mese su mese e anche su base annua




    il governo tecnico dietro alla lavagna. L'esecutivo che l'Europa e la finanza ci hanno imposto per portare l'Italia fuori dal pantano della crisi economica viene inchiodato da tutti i principali indicatori statistici. Mario Monti stringe le mani a leader europei che s'inchinano al cospetto del presunto salvatore della patria, viene celebrato dalla stampa nostrana e non, raccoglie consensi e complimenti a tutte le latitudini, viene proposto ai vertici delle più alte istituzioni continentali. Un plebiscito. Eppure, oltre alle parole e alle pacche sulle spalle, ci sarebbero anche i numeri, che dicono che il Professore e la sua squadra tecnica sono stati bocciati in economia. I dati sul Pil, su debito pubblico, occupazione (e anche quelli sullo spread) lo condannano.
    Debito pubblico - La cifra più fresca è quella relativa al debito pubblico. Poche ore fa il verdetto di Bankitalia, che nel supplemento al bollettino statistico di finanza pubblica ha sottolineato come il debito pubblico sia salito di 37,9 miliardi rispetto al mese precedente. Ritoccato il record: il debito registrato a gennaio è pari a 1.935,8 miliardi. Via Nazionale spiega come l'incremento del debito rifletta principalmente l'accumulo delle disponibilità del Tesoro presso Bankitalia, pari a 32,6 miliardi, che sono aumentate come regolarmente avviene in questo periodo dell'anno. In un confronto anno su anno, però, il confronto è impietoso: a marzo del 2011 il debito pubblico ammontava a 1.868 miliardi di euro, e rispetto al precedente febbraio era diminuito di 7 miliardi di euro. Il confronto è ancor più impietoso rispetto all'ultima rilevazione, quella di dicembre 2011, quando il debito pubblico ammontava a 1.897,946 miliardi di euro.
    Pil - Il secondo indicatore negativo è il Pil. Da subito è stato chiaro che le manovre dall'impatto recessivo varate da Mario Monti avrebbero avuto ripercussioni negative su consumi e produzione. Alla fine del primo trimestre 2011 l'Istat aveva rivelato una crescita del prodotto interno lordo pari allo 0,1% rispetto al trimestre precedente, mentre su base annua, rispetto al corrispondente trimestre del 2010, la crescita era stata di 1 punto percentualie. Gli ultimi dati disponibili sul Pil italiano sono quelli - disastrosi - diffusi da Ocse e Fondo monetario internazionale. Secondo le stime delle organizzazioni, nel primo trimestre del 2012 il prodotto interno lordo del Belpaese è crollato dello 0,7 per cento, una flessione decisamente più acuta rispetto a quella del precedente trimestre, quando il calo si era attestato allo 0,2 per cento. L'Italia è ufficialmente in recessione tencica, circostanza certificata anche dall'Istat. Per il 2010, inoltre, la Commissione Ue ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del Pil dello scorso autunno (+0,1%), precipitate a una flessione pari all'1,3 per cento. Peggio di noi soltanto Grecia (-4,4%) e Portogallo (-3,3%).
    Disoccupazione - Il terzo capitolo riguarda i dati relativi all'occupazione. Le ultime rilevazioni statistiche sono quelle relative a gennaio 2010: il tasso di disoccupazione rilevato dall'Istat si è assestato al 9,2%, in rialzo di 0,2 punti percentuali rispetto a dicembre e di un punto percentuale pieno su base annua. Nel dettaglio si tratta del tasso più alto da gennaio 2004, quando iniziarono le serie storiche mensili. A gennaio in Italia c'erano 2,312 milioni di disoccupati: in termini numerici, il numero di disoccupati è schizzato del 2,8% rispetto a dicembre, pari a 64mila unità (ancor più drammatico il confronto su base annua: 286mila disoccupati in più, per un balzo del 14,1 per cento). Il tasso di disoccupazione giovanile, tra i 15 e i 24 anni, si è attestato al 31,1%, in rialzo di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011.
    Spread - Il professor Monti è stato spinto a Palazzo Chigi a furor di spread. Il differenziale tra il rendimento dei Btp italiani e gli omologhi Bund tedeschi ha spianato la corsa del professore verso i piani più alti dei palazzi della politica. Nei giorni dell'insediamento dell'ex bocconiamo lo spread veleggiava intorno ai 520 punti base: una lunga rincorsa iniziata alla metà di luglio. Alla metà di marzo 2011, in pieno governo Berlusconi, il differenziale era intorno ai 160 punti base, ben al di sotto dei 290 punti basi attorno ai quali si muove nelle ultime ore. Certo, Monti ha fatto un gran lavoro per ricacciare a livelli sostenibili l'indicatore più osservato negli ultimi mesi, ma fino a prova contraria la guerra allo spread avrebbe pure combatterla qualcun altro.

    http://www.liberoquotidiano.it/news/958471/Monti-professore-bocciato-dati-economici-peggiorano.html

    mercoledì 14 marzo 2012

    FRANCIA 2012: MARINE LE PEN È IN CORSA PER L’ELISEO






    Marine Le Pen parteciperà alle elezioni presidenziali in Francia. La leader dell’ultradestra francese ha infatti vinto la corsa contro il tempo e, a tre giorni dalla fine del tempo utile, ha ottenuto gli ultimi sostegni politici necessari per ufficializzare la sua corsa all’Eliseo. La Le Pen, forte nei sondaggi, che le accreditano un 16-18% di voti, sarà al primo turno del 22 aprile. Come tutti gli aspiranti alla presidenza, anche Marine Le Pen aveva l’obbligo di raccogliere 500 «patrocini», le firme cioè di 500 sindaci di tutta la Francia.
    Fino allo scorso fine settimana gliene mancavano ancora quindici. La scadenza era fissata a venerdì prossimo, 16 marzo, ma per lei oggi è fatta. «La mia presenza alle elezioni è il risultato di una lunga battaglia. Milioni di cittadini possono ricominciare a sperare», ha detto la leader del Fronte Nazionale oggi a Lille. Da mesi accusava «i grandi partiti» di fare pressione sui sindaci per tenerla fuori dalla corsa elettorale.
    Dopo aver ottenuto il mediatico appoggio dell’ex attrice Brigitte Bardot, irriducibile animalista, la Le Pen è dovuta ricorrere ad una società di televendite per pervenire al suo scopo, così come aveva fatto nel 2007 suo padre, Jean-Marie Le Pen, fondatore e storico leader del Fronte Nazionale. All’epoca la fattura era stata salata, ben 800.000 euro, ricorda oggi Le Monde.
    Come faceva suo padre sin dal 1988, Marine Le Pen ha mantenuto la suspense sulle firme fino all’ultimo, contestando la legge francese che obbliga i politici firmatari a dichiararsi pubblicamente. Il Consiglio di stato, al quale aveva fatto ricorso, le aveva però dato torto. Il nodo è stato sciolto proprio nel momento in cui, per la prima volta, i due favoriti nella corsa all’Eliseo, Nicolas Sarkozy e Francois Hollande, hanno dichiarato che non sarebbe stato positivo che la Le Pen fosse rimasta fuori dalla corsa pur rappresentando la terza forza politica in Francia.
    Da un sondaggio Opinion Way di ieri è emerso che anche una grande maggioranza di francesi (63%) ritiene che l’assenza della Le Pen sarebbe stata «grave per la democrazia». Proprio oggi, per la prima volta, un sondaggio ha annunciato il sorpasso del presidente Sarkozy sullo sfidante socialista, finora sempre in testa. (ANSA).

    Tasse, l'allarme della Cgia: "Pressione reale al 54,4% Vola con l'aumento dell'Iva"


    Il fardello delle tasse supera il 45%. Ma la Cgia di Mestre lancia l'allarme: "Nel 2012 la pressione schizzerà al 54,4%". La Corte dei Conti: "È troppo per i cittadini fedeli"



    tasse


    Il peso delle tasse punta a superare il 45%". Durante l'audizione alla commissione Bilancio di Montecitorio il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino ha lanciato l'allarme legato alla pressione fiscale accusando il sistema in vigore in Italia di essere disegnato "in modo da far gravare un carico sui contribuenti fedeli eccessivo". Sulla spinta dell’emergenza le manovre di aggiustamento varate nel 2011 hanno operato, a detta del presidente dei magistrati contabili, "sull’aumento della pressione fiscale piuttosto che sulla riduzione della spesa". Non solo. Se nel 2012 la pressione fiscale ufficiale è prevista al 45%, quella reale, qualora fosse confermato l’ulteriore aumento dell’Iva previsto per il prossimo autunno, dovrebbe toccare il 54,5%. "Un record che, purtroppo, non ha eguali al mondo", ha spiegato il segretario della Cgia di Mestre , Giuseppe Bortolussi.

    A Montecitorio Giampaolino ha lanciato un chiaro appello al presidente del Consiglio Mario Monti affinché; una volta attenuatesi le condizioni di emergenza, si apra lo spazio ad una riduzione della pressione fiscale in modo da aiutare il rilancio dell’economia senza, tuttavia, comprometta l’equilibrio di bilancio. Per il numero uno della Corte dei Conti, è "necessario lavorare con tenacia e determinazione alla riduzione della spesa". Sempre salvaguardando, per quanto possibile, quella sua parte che ha effetti benefici sulla propensione alla crescita. La Banca d’Italia, per esempio, prevede che il calo del differenziale tra i Btp e i Bund tedeschi alla quota psicologica di 200 punti determinerà un aumento di un punto della crescita del prodotto interno lordo. "Questo da solo sarebbe sufficiente a determinare entrate fiscali aggiuntive di importo pari a quelle attese dal previsto innalzamento di due punti dell’aliquota Iva ordinaria - ha sottolineato Giampaolino - cioè risorse equivalenti a quelle necessarie per aumentare di circa un quarto la spesa per investimenti fissi delle pubbliche amministrazioni".

    Più in generale il presidente della Corte dei Conti ha fatto notare che, se la crescita del pil dovesse assestarsi all’1% e il bilancio tornare in pareggio, nel giro di vent’anni il debito pubblico dovrebbe scendere al 65% del prodotto raggiungendo gli obiettivi dati dall'Unione europea. "Scartato" l’elevato livello raggiunto un aumento del prelievo ed essendo "impraticabile" una riduzione dello stesso per crescere resta solo "una redistribuzione del carico impositivo". Giampaolini ha, tuttavia, sottolineato che c'è "una elevata pressione fiscale" in Italia rispetto all’Europa e "una distribuzione del prelievo che penalizza i fattori produttivi rispetto alla tassazione dei consumi e dei patrimoni, una dimensione dell’evasione fiscale che colloca il nostro paese ai vertici delle graduatorie europee".

    http://www.ilgiornale.it/interni/fisco_corte_contile_tasse_oltre_45/pressione_fiscale-contribuenti-crescita-tasse-corte_conti/13-03-2012/articolo-id=577162-page=0-comments=1





    14 Marzo 1947 – In ricordo di Franco De Agazio.



    Il Partito Democratico Fascista poteva disporre, a Milano, di un giornale rigorosamente clandestino, “Lotta Fascista”, considerato il migliore tra i fogli di propaganda dei reduci della Repubblica Sociale Italiana. Migliore per cura grafica e soprattutto per il formato, piegato in due.
    Il giornale veniva distribuito nei bar frequentati da ex repubblichini, e lasciato sulle poltrone dei cinema. A Roma, invece, sorsero numerosi fogli di propaganda ma destinati ai soli fascisti. Le pubblicazioni romane tirarono una media di cinquemila copie per ogni testata, molto diversi da “Lotta Fascista”.
    Oltre ai fogli clandestini vi erano anche le riviste autorizzate. La più antica, Meridiano d’Italia, autorizzata nell’agosto del 1945 con il sottotitolo “Settimanale politico della produzione e del lavoro” e distribuito per la prima volta a Milano il 9 febbraio del 1946.
    Un settimanale che si soffermava, con scrupolo, sulle pagine oscure di chi aveva sabotato il sacrificio di coloro che avevano risposto alla chiamata della Patria, di chi aveva approfittato delle drammatiche emergenze connesse al dopoguerra per lucrare in proprio. Direttore ed editore della rivista fu Franco De Agazio, giornalista e scrittore di alto profilo intellettuale e umano, ex giornalista della Stampa durante la Repubblica Sociale Italiana e liberato dal carcere di San Vittore grazie all’amnistia di Palmiro Togliatti.
    Meridiano d’Italia si avvicinò alle posizioni del Movimento Sociale Italiano subito dopo la nascita del partito, nel dicembre del 1946. Il nipote, Franco Maria Servello, fu caporedattore fino al 1961, data che sancì definitivamente la fine delle pubblicazioni. Insegnante, giornalista professionista, Consigliere Comunale di Milano e di Vigevano, Deputato e Senatore dal 1958. Il passaggio di guardia, tra zio e nipote, avvenne in modo tragico. La sera del 14 marzo 1947 mentre rincasava in via Strambio 5 a Milano, Franco De Agazio fu freddato sulla porta di casa da un colpo di arma da fuoco da un commando della Volante Rossa.
    In realtà si trattava di una vera e propria organizzazione criminale formata da ex partigiani comunisti e operai che ritenevano opportuno proseguire la Resistenza Italiana, insanguinando con le loro azioni il territorio del Nord Italia. L’omicidio di Franco De Agazio suscitò vasto eco nel Paese. La rivista Meridiano d’Italia, parlò di secondo delitto Matteotti. Alla camera un’interrogazione dell’Onorevole Benedetti del Partito Liberale Democratico, accese un vivace dibattito, dove il Ministro degli Interni, Scelba, si limitò a dare una risposta di circostanza.
    Il 29 ottobre dello stesso anno, un altro gruppo di ex partigiani devastò la redazione di Meridiano d’Italia in via Cerva a Milano. Franco Maria Servello decise di trasferire la sede del giornale a Roma per qualche mese. Il Direttore Franco De Agazio fu giustiziato per essersi avvicinato a delle verità troppo scomode. Per aver individuato i responsabili di rapine, violenze e omicidi commessi in nome dell’ideologia antifascista imperante e con la protezione del Partito Comunista Italiano.
    Per aver smascherato l’identità di Walter Audisio, conosciuto come il compagno “Valerio” che freddò Benito Mussolini sul lago di Como. Per essersi posto gli interrogativi su chi ordinò la fucilazione di Benito Mussolini e l’assassinio di Claretta Petacci. Quale organo giudiziario emise la sentenza di morte. Per dare una risposta a quei misteri, Franco De Agazio, si lanciò in una serie di coraggiose e sensazionali inchieste pubblicate sulla sua rivista. In particolare affrontò anche il discorso della sparizione dell’oro di Dongo.
    Mentre la colonna di mezzi fascisti, con a bordo valori e preziosi, era in marcia lungo le rive del lago di Como alla fine dell’aprile del 1945, un gruppo di partigiani bloccò la strada sequestrando la merce e facendo perdere ogni traccia. Probabilmente fu quest’ultima inchiesta a segnare la sorte di Franco De Agazio. In occasione del quinto anniversario della scomparsa, durante la manifestazione commemorativa, il Maresciallo Rodolfo Graziano, consegnò personalmente una fotografia alla signora Rosina De Agazio, vedova del giornalista e fondatore del periodico.
    In primo piano, il Viceré di Etiopia, in alta uniforme durante una nevicata sulle Alpi Occidentali nel 1945. Quella che rese unica fu la dedica vergata, con inchiostro di colore verde e firmata dallo stesso Graziani: “ Alla Signora Rosina De Agazio nella ricorrenza del supremo sacrificio dell’uomo che fu esempio di fede e di coraggio supremi. Roma, Marzo 1952”.
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    martedì 13 marzo 2012

    PRENDETELA A POMODORI 

    13 mar 2012


    Oggi Angela Merkel viene a Roma. Monti farà l’inchino, speriamo tutti di non fare la fine della Costa Concordia.
    Questa donna non la sopportiamo proprio, pretende di dettarci le regole su come si vive e ogni volta che i nostri governanti la incrociano ci viene da tremare al solo pensiero di che cos’altro può succedere.
    A palazzo Chigi le faranno vedere qualche cartuccella, per dimostrare alla padrona d’Europa che gli italiani sono brava gente e non imbrogliano. Non le faranno vedere la sofferenza della gente, non le parleranno delle vessazioni a cui e’ sottoposto un popolo a cui e’ stato inflitto un nugolo di imposte mai viste, la rassicureranno che Monti farà il suo dovere di tassator cortese.
    Sarebbe da svaligiare le frutterie del centro storico della Capitale e prenderla a pomodori. Questa signora arrogante che ha bisogno di dimostrare quanto conta ai tedeschi che la vorrebbero cacciare dal governo, pretende che noi si viva i prossimi vent’anni esattamente come la Grecia, nella miseria e a colpi di ristrettezze inflitte dagli eurocrati di Bruxelles in accoppiata con i banchieri di Francoforte.
    Sabato 3 marzo, in decine di migliaia abbiamo rappresentato un’Italia che non ci sta a questo modello europeo: un immenso fiume tricolore ha detto no agli ordini dell’Europa. Nonostante questo, Monti insiste e spinge, per far contenta la Merkel, sulla rapida approvazione e ratifica del fiscal compact, il patto di bilancio maledetto con cui l’Europa ci imporrà due decenni di finanziarie a colpi di una quarantina di miliardi d’euro l’anno.
    Noi vogliamo, come accadde anni fa per altri trattati europei, una legge che consenta agli italiani di pronunciarsi con un referendum sugli accordi infami sottoscritti dal premier. Se siete convinti di avere consensi tra gli italiani, non ne abbiate paura. State scodellando al popolo l’Ems, il cosiddetto meccanismo europeo di stabilità che punta a soggiogare nazioni e parlamenti. Noi non ci stiamo e vi combatteremo, signori banchieri.
    E a un partito che si fregia della parola popolo nel suo nome identitario, diciamo che non c’e’ bisogno di cambiarlo: e’ sufficiente onorarlo.

    lunedì 12 marzo 2012

    IN MEMORIA DI ANGELO MANCIA 12-03-1980 / 12-03-2010

    30 ANNI SENZA GIUSTIZIA!!!

    Roma, 12 Marzo 1980
    Una data impressa a fuoco, nella lunga e travagliata storia della nostra repubblica. Il luogo è questo: una strada qualunque della periferia nord di Roma, la Bufalotta. Un cancelletto di acciaio bianco socchiuso e un muretto.

    12-03-‘80
    Angelo Mancia esce di casa alle 8.20 del mattino, per andare a lavorare al “Secolo d’Italia”, dove lavorava come dipendente. Sta per salire sul motorino ma basta un colpo d’occhio. Anni di piombo, si vive nell’inquietudine, qualcosa non va: c’è un furgone bianco davanti al portone, lo sportello si apre, escono due tizi vestiti da infermieri. Sono (si scoprirà poi) di un gruppo mai sentito prima, “Compagni organizzati in volante rossa”. Hanno passato la notte chiusi nel pullmino, con cui si allontaneranno, dopo l’azione, per passare poi a una Mini Minor rossa, darsi alla fuga, dissolversi nel nulla. Intanto Angelo pensa: forse ce la faccio. Forse ce la posso ancora fare …

    Angelo era figlio di una famiglia di piccoli commercianti, e se non avesse sentito l’irresistibile richiamo della giungla della politica, probabilmente avrebbe realizzato uno dei suoi desideri, cioè aprire un negozio di alimentari nel quartiere. Era tifoso sfegatato della Lazio, seguiva sempre la squadra, quando poteva anche in trasferta. A ventisette anni, come gli ripete la madre, “è senza arte né parte”. Ma è un militante vero. E’ l’immagine di un ragazzo temerario, un po’ guascone, ma che quando accompagna Almirante in giro per l’Italia si presenta come “Angelo, della sezione Talenti, la mejo de Roma”. Un giovane appassionato e irruento. Amato e rispettato dai suoi camerati, inviso e temuto dagli autonomi che fanno riferimento al Collettivo di Val Melaina. E proprio loro, a seguito del barbaro omicidio di Valerio Verbano da parte dei NAR, decidono di vendicarsi su Mancia. Chiunque sia il vero assassino, per una sorta di responsabilità territoriale, è Angelo a finire nel mirino della sinistra extraparlamentare, anche se ovviamente non c’entra niente.

    12-03-‘80
    L’unica cosa che gli viene in mente, ad Angelo, è tirargli addosso il motorino. E infatti il Benelli vola contro gli aggressori. Il primo colpo, a vuoto, infrange una vetrina.

    Ma Angelo non era uno che si può raccontare con le categorie di oggi. Era uno unico, diverso, un camerata che non aveva paura di nulla, ma non certo un insensibile. Sono i ricordi di chi l’ha conosciuto. Di chi con lui, tre giorni prima che l’ammazzassero, stava cenando in una pizzeria. E la mente riporta alla luce l’attentato a Verbano e che i comunisti avevano deciso che quello da far fuori era lui. La sezione Talenti letteralmente ricoperta di scritte, insulti, minacce di morte di cui la più tenera era qualcosa del tipo: “Mancia è giunta la tua ora, ti ammazzeremo come un cane”. Il suo amico era preoccupato davvero e lo pregò: “Ma che fai, non ti proteggi? Stai attento!” E lui: “Mannò, non è niente … Io nun c’ho paura”. Ma verso la fine della cena, complici due o tre bicchieri, guardando il suo amico in faccia, con una strana luce negli occhi, invece di tranquillizzarlo, all’ennesima insistenza, gli chiese: “Ma tu che dici? Noi fascisti, quando moriamo dove annamo a finì? All’inferno o in paradiso?” In questi anni non c’è tempo nemmeno per i morti, figuriamoci per i vivi; eppure spesso sopravvivere è più difficile che morire.

    12-03-‘80
    Una pallottola ce l’hai già nello stomaco, la seconda ti perfora il torace, ma sei vivo. Allora corri zoppicando verso il portone, basterebbe un momento: ma mentre lo pensi arriva un altro proiettile e ti schianta a terra. Manca poco.

    I “Compagni organizzati in volante rossa” furono una sigla pressoché sconosciuta agli inquirenti. Le loro tracce sono labili e incerte, se non addirittura misteriose. Ebbero il loro triste battesimo del fuoco nel 1979, con un attentato in cui sono rimasti gravemente feriti un medico missino e suo figlio. Il 7 maggio 1980 hanno colpito ancora, stavolta con un attentato dinamitardo contro la tipografia Alternativa, la stessa dove si stampa –oltre a diversi periodici socialisti e democristiani- il Secolo d’Italia. Il 9 marzo dello stesso anno, attaccano i locali della famosa sezione di via Sommacampagna, quella di Teodoro Bontempo, Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri. Se i due futuri dirigenti e l’ex presidente di An sono ancora vivi si deve a una pura coincidenza. Un militante è entrato in un ripostiglio per prendere un barattolo di colla e si è ritrovato davanti a un ordigno ad orologeria collegato a sei chili di polvere da mina. Poteva essere una strage. Il 13 marzo un altro attentato, stavolta contro il redattore capo del Secolo d’Italia e un’altra strage evitata per miracolo. Il 2 settembre i terroristi fanno saltare per aria anche la libreria Europa, il cuore editoriale della corrente rautiana. Poi più niente. Venti mesi di attentati pianificati con cura meticolosa e attenta graduazione degli obiettivi, per poi sparire senza lasciar tracce, come volatilizzati nel nulla.

    12-03-‘80
    In terra un lago di sangue. Tendi la mano verso il portone, ti manca il fiato, non ce la fai. Uno dei due killer ti arriva alle spalle, la pistola in mano. Solo un colpo alla nuca, poi il buio. Contro il corpo sono stati esplosi sei colpi di pistola calibro 7,65 che, rivelerà l’autopsia, sono andati tutti a segno. L’ultimo è stato quello di grazia. L’attentato viene rivendicato da una telefonata a la Repubblica: “Qui Compagni organizzati in volante rossa. Abbiamo ucciso noi il boia Mancia”.

    Un boia? No! Nella memoria di chi lo conosceva, un puro, d’animo e di cuore. Uno che non guardava in faccia a nessuno. Un leader vero. Un capo che ti motivava e che scendeva per primo nelle strade a lottare per un ideale. Un ragazzone buono ma determinato. Era una tigre, e non a caso in quei giorni, in cui spopolava sui teleschermi “Sandokan”, se ne uscì con un gigantesco bandierone sulla sua 500, con scritto sopra: MANCIOKAN. Era così Angelo.

    Il giorno del funerale di Mancia, dopo la cerimonia, si verificano incidenti per le strade del centro cittadino: restano ferite dodici persone. Il partito è un calderone ribollente di rabbia. Il cadavere è ancora caldo, la piazza ancora una volta piena, il comizio di Giorgio Almirante incandescente: “Al bestiale e blasfemo urlo dei barbari noi opponiamo le grida degli uomini forti e vivi che per ogni caduto sono pronti a combattere nel tuo nome, Angelo, con il metodo della libertà, per la libertà."

    Oggi, nel trentennale della morte di Angelo Mancia, quelle parole non si sono asciugate nell’inchiostro di un manifesto o nel rito della commemorazione. E’ un epigrafe che diventa grido, urlo. Contro un martirio che da trent’anni aspetta risposta. Che non ha giustizia. Perché nessuno verrà mai arrestato, nessuno verrà mai indagato o processato. Nessuno si pentirà mai o parlerà. Eppure chi fossero gli assassini era chiaro a tutti. Avevano firmato perfino un manifesto il giorno seguente il vile attentato, con cui vigliaccamente avevano tappezzato il quartiere. Eppure le autorità non fecero niente. Ma noi non dimentichiamo, e nella nostra memoria è inciso come segno indelebile, l’esempio del suo estremo sacrificio. E allora una piccola rivincita, doniamogliela noi, col cuore puro. Perché a trent’anni di distanza e per mille anni ancora, leviamo sempre forte quella voce, che senta bene fra le stelle, che chi cade combattendo non muore mai:

    “CAMERATA ANGELO MANCIA … PRESENTE!”
     
     
    http://quadrarocinecitta.blogspot.com/2010/03/in-memoria-di-angelo-mancia-12-03-1980.html