giovedì 31 maggio 2012

Banche e politici gli sciacalli del
terremoto

A noi aumentano la benzina, gli istituti di credito non rinunciano alle commissioni sui bonifici e i politici si tengono il doppio stipendio


Bisogna aiutare i terremotati. Hanno perso tutto. Casa e lavoro. Il sistema produttivo delle zone colpite è in ginocchio e il governo trova subito una soluzione come dire, "montiana" per aiutarli: aumentare le accise sulla benzina di due centesimi e rinviare a settembre, solo per i terremotati, il pagamento di quella miriade di balzelli imposti dal governo. A partire dall'Imu. Insomma, la prima risposta è stata quella di aumentare le tasse. Insomma, il terremoto devono pagarlo tutti gli italiani. Inclusi, alla fine, chi ha perso tutto. Daalle prime misure adottate dal governo si capisce che intende fare tutto tranne mettere mano alla spesa pubblica e agli sprechi. Tra gli sprechi c'è sicuramente il doppio stipendio che molti politici emiliani si portano a casa.
Doppio stipendio  La legge 267 del 2000 permette agli eletti di raddoppiare lo stipendio cumulando l'impegno da consigliere comunale o provinciale con quello che di fatto non esercita più. Nel caso di un insegnante passato in politica, per esempio, in Emilia i Comuni pagano non solo il gettone di presenza ma anche lo stipendio da professore anche se il politico in questione non ha mai messo piede in aula. E poi ci sono le banche. Che, neanche davanti a situazioni di emergenza come questa, neanche davanti alla parola solidarietà, rinuncia ad incassare le commissioni sui bonifici dei donatori. Per cui si crea l'incresciosa situazione di persone che, già sotto pressione per la pesante situazione economica, decidono di fare delle donazioni, ma si trovano costretti a dover versare anche l'obolo della commissione alle banche (soprattutto se sono diverse da quelle in cui donatore ha un conto). Ma almeno in situazioni come queste le banche, e non solo non sempre i cittadini, potrebbero mettere da parte i propri interessi. 
http://www.liberoquotidiano.it/news/home/1028239/Banche-e-politici--gli-sciacalli-del-terremoto.html

sabato 26 maggio 2012



















Noi non ci rassegniamo. Il governo Monti sta suicidando troppi italiani e noi continuiamo a denunciarlo in ogni forma.
Sul mio blog www.storace.it e su tutte le mie pagine Facebook pubblico il video e le fotografie dell’azione con cui decine di militanti del partito, guidati da Giuliano Castellino, hanno messo in scena una nuova, civile ma forte protesta contro l’inerzia del governo rispetto alla tragedia che sta colpendo il nostro popolo.
Una quarantina di bare hanno “assediato” la sede del Parlamento europeo in via IV novembre a Roma, in pieno centro storico, a pochi passi da piazza Venezia.
Da novembre scorso ad oggi, ovvero da quando i “tecnici” al servizio dell’eurocrazia si sono impossessati di palazzo Chigi, 41 italiani si sono tolti la vita per ragioni economiche. Per loro non c’e’ “reintegro” ma solo disperazione fra quanti hanno lasciato a piangere, mentre il presidente del Consiglio più cinico che ci sia mai stato nel nostro Paese fa il gradasso con le statistiche sui suicidi in Grecia.
Cimiteuro, questa scritta sullo striscione appeso di fronte alla sede del Parlamento europeo, e’ indicativa di come gli italiani ormai vedono le istituzioni comunitarie, ormai al soldo della Banca centrale europea che fa e disfa i nostri destini, grazie a classi politiche servili e imbelli.
Non se ne può più, agenzia delle entrate, Equitalia, banche, tasse, articolo 18 sono espressioni che stanno strappando le nostre vite solo al sentirle pronunciare. La Destra, con la sua organizzazione, i suoi militanti, i suoi giovani, non intende subire passivamente quanto accade e chiama a lottare i cittadini italiani con proteste comunicativamente forti, ma pacifiche. Vogliamo dar voce all’indignazione di tanta gente senza scatenare l’estremismo come fa certa sinistra tollerata da chi vuol governare a partire dal 2013.
Noi saremo in campo con la forza delle nostre idee e la pulizia della nostra militanza. Domani e domenica, nella direzione nazionale che terremo a Subiaco, presso il monastero dei benedettini, lavoreremo al messaggio da lanciare all’Italia in vista della manifestazione che terremo a Napoli il prossimo 9 giugno, presso la Mostra d’Oltremare, che riempiremo in ogni ordine di posti.
La Destra non subisce l’onta di un’Europa monetarista; ma combatte per un’Europa sociale. Altrimenti, ognuno a casa sua, che si sta meglio.
Quella bandiera tricolore issata da un militante che si vede nel video sembra gridarlo a tutti: SOVRANITA’ NAZIONALE
http://www.storace.it/

mercoledì 23 maggio 2012

ONORE PER TUTTE LE VITTIME DELLA MAFIA

"L'unico tentativo serio di lotta alla mafia fu quello del prefetto Mori, durante il Fascismo, mentre dopo, lo Stato ha sminuito, sottovalutato o semplicemente colluso.
Sfidiamo gli antifascisti a negare che la mafia ritornò trionfante in Sicilia ed in Italia al seguito degli "Alleati" e degli antifascisti, in ricompensa dell'aiuto concreto che essa fornì per lo sbarco e la conquista dell'isola!"
GIOVANNI FALCONE a pag 103 del suo libro "cose di cosa nostra"
 



LA LORO VITA NELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA
MA SOPRATTUTTO CONTINUAZIONE DEL CAMMINO VERSO LA LEGALITÀ DA LUI INDICATO ED INTRAPRESO

Il 23 maggio, domani, ricorre il 20° anniversario della strage, avvenuta appunto il 23 maggio del 1992 a Capaci, e nella quale persero la vita Giovanni FALCONE, Francesca MORVILLO, Antonio MONTINARO, Rocco DI CILLO e Vito SCHIFANI (e rimase gravemente ferito l’autista COSTANZA, oggi Medaglia d’Oro al Valore Civile).



In ricordo di Giorgio Almirante.

Roma 22.05.1988 - Nacque a Salsomaggiore Terme il 27 giugno del 1914 da una famiglia di attori e di origine nobiliare molisana. Visse i suoi primi cinque anni seguendo la famiglia da una città all’altra, ma per alcuni anni si stabilirono a Torino, dove frequentò la scuola elementare “Fontana” e il Ginnasio - Liceo “Gioberti”. Successivamente, Giorgio Almirante, si trasferì con la famiglia a Roma, dove intraprese gli studi universitari presso la facoltà di Lettere e come cronista praticante presso “Il Tevere”, quotidiano fascista diretto da Telesio Interlandi. Nel 1937, conseguita la laurea e l’abilitazione all’insegnamento di materie classiche nelle scuole medie e nei licei, Giorgio Almirante, entrò nel giornalismo professionale nel 1938 collaborando con una nuova rivista “La difesa della razza”. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l’entrata in guerra dell’Italia, Giorgio Almirante, arruolato come sottotenente di complemento di fanteria in Sardegna, si offrì volontario per il fronte dell’Africa settentrionale diventando corrispondente di guerra fino al 1941 ottenendo la croce di guerra al valor militare e poi rioccupando il posto di caporedattore de “Il Tevere”. La mattina del 26 luglio 1943, con l’arresto di Benito Mussolini e la caduta del Governo Fascista, fu allontanato dalla redazione e nell’agosto fu richiamato alle armi. Con la notizia dell’armistizio di Cassibile dell’8 settembre, e con l’esercito allo sbando, fu costretto ad arrendersi con l’onore delle armi alle truppe tedesche e tornò a Roma come uomo libero. Quando Benito Mussolini, dalla radio di Monaco di Baviera, annunciò la nascita della Repubblica Sociale Italiana non esitò a presentarsi alla caserma della centoventesima legione della Mvsn per essere arruolato nella costituenda “Guardia Nazionale Repubblicana”. Il suo primo incarico fu la direzione del servizio intercettazioni radio, servizio particolarmente importante anche per altri Ministeri della Repubblica, e poi fu nominato capo gabinetto del Ministro della Cultura Popolare. Il 28 aprile 1945, quando Benito Mussolini e la sua compagna Claretta Petacci, furono fucilati a Dongo, Giorgio Almirante entrò in clandestinità fino al settembre del 1946 spostandosi tra le città di Milano, Torino e Roma. Nell’autunno del 1946 partecipò prima, alla fondazione dei “Fasci di Azione Rivoluzionaria”, e poi nel dicembre dello stesso anno, con i reduci della Repubblica Sociale Italiana, a Roma, alla riunione costitutiva del Movimento Sociale Italiano ricoprendo la carica di responsabile della segreteria organizzativa. Nel 1947, Giorgio Almirante, organizzò le prime uscite pubbliche del movimento e fu eletto in Parlamento fin dalla prima legislatura e sempre rieletto alla Camera dei Deputati. Il battesimo elettorale avvenne nell’aprile del 1948, quando il Movimento Sociale Italiano ottenne il due per cento alla Camera dei Deputati e lo zero e ottantanove per cento al Senato della Repubblica. Nel 1950, Giorgio Almirante, fu messo in minoranza, e la direzione del partito fu affidata prima a De Marsanich, fino al 1954, e poi ad Arturo Michelini fino al 1969 in seguito alla sua morte. Rinominato Segretario Nazionale all’unanimità, Giorgio Almirante, diresse le sorti del partito fino al giugno del 1987 in concomitanza con la sua ultima campagna elettorale, facendo poi spazio al giovane Segretario del Fronte della Gioventù, il trentacinquenne e traditore Gianfranco Fini. Proprio in quegl’anni, grazie alle sue abili strategie politiche e soprattutto alle sue grandi capacità oratorie, portò il partito non solo a diffondersi su tutto il territorio nazionale ma anche a raggiungere un risultato storico nelle elezioni politiche del 1972 con l’otto e sette per cento alla Camera dei Deputati e il nove e due per cento al Senato della Repubblica, eleggendo rispettivamente cinquantasei Deputati e ventisei Senatori. Nel gennaio del 1988, con la successione di Gianfranco Fini, l’ex Segretario Nazionale, Giorgio Almirante, fu nominato “Presidente Morale” per acclamazione della maggioranza del comitato centrale. Ma la sua carica durò solo quattro mesi a causa delle sua condizione di salute precarie, costringendolo ad un primo ricovero a Villa del Rosario, poi ad un intervento chirurgico a Parigi e infine altri due ricoveri sempre presso Villa del Rosario dove la domenica del 22 maggio 1988 alle ore dieci morì per emorragia cerebrale. Ai funerali, che si tennero il 24 maggio, nella chiesa di Sant’Agnese in Agone, in Piazza Navona, migliaia di militanti accorsero per l’ultimo saluto. Persino membri del Partito Comunista Italiano si recarono presso la camera ardente per rendere un ultimo omaggio. Giorgio Almirante fu sepolto nel cimitero di Verano in un sepolcro donato dal Comune di Roma.

martedì 22 maggio 2012

Ciao Melissa! Prego per la tua anima e per la tua famiglia!
Vittima di un vile attentato avvenuto alla scuola superiore di Brindisi. Riposa in pace angelo!

sabato 19 maggio 2012

Bombe davanti alla scuola Morta
alunna, una è grave

E' successo all'istituto professionale Morvillo di Brindisi




Un'esplosione di fronte all'istituto professionale "Francesca Laura Morvillo-Falcone" di Brindisi che si trova vicino al Tribunale ha causato la morte di una studentessa di 16 anni, Melissa Bassi, originaria di Mesagne. La sua amica, Veronica Capodieci, è stata sottoposta a un delicato intervento chirurgico: le sue condizioni sono  gravissime. Ha ustioni su tutto il corpo e "uno squarcio all’addome". Altre sei studentesse che stavano entrando a scuola, appene scese dal bus, sono rimaste ferite e sono ricoverate in ospedale. L’esplosione è stata provocata da due ordigni rudimentali, costituiti da due bombole di gas, posizionate su un muro adiacente all'ingresso della scuola. A riferirlo sono fonti investigative, che smentiscono l’ipotesi che la bomba fosse stata piazzata all’interno di un cassonetto. L'obiettivo, dunque, dovrebbe essere proprio la scuola.
Forte potenziale - Le schegge prodotte dalle esplosioni hanno raggiunto negozi a duecento metri di distanza, scardinando addirittura una saracinesca, al di là del vialone, a trenta metri dal tribunale. Secondo i primi rilievi l'ordigno sarebbe stato costruito con due bombole di gas gpl collegate a un timer azionato a distanza. Sul posto è già arrivato il governatore della Puglia, Nichi Vendola e si attende l'arrivo del ministro dell'Istruzione Profumo.  Il Capo della Polizia, prefetto Antonio   Manganelli, d’intesa con il ministro dell’interno Cancellieri, ha   inviato a Brindisi, per seguire la vicenda dell’eplosionedell’ordigno, oltre al direttore centrale della Polizia Criminale, Francesco Cirillo, i vertici del Servizio Centrale Operativo, che andranno immediatamente ad affiancare un pool di investigatori già   presenti sul posto.
Coincidenze - Gli inquirenti fanno notare che nei giorni scorsi il cassonetto non era lì. Non si capisce ancora a chi possa essere addebitato l’incredibile gesto. Ma colpisce una coincidenza: oggi a Brindisi farà tappa la Carovana della legalità. Non solo: la scuola è dedicata alla moglie di Falcone rimasta uccisa nella strage di Capaci della quale il 23 maggio ricorrre il ventennale. La scuola, inoltre, si trova vicino al Tribunale di Brindisi. 
Criminalità organizzata - "Un attacco della criminalità organizzata senza precedenti". E’ il primo commento a TeleNorba del sindaco di Brindisi Cosimo Consales all’esplosione dell’ordigno davanti all’istituto professionale Morvillo Falcone. Nelle ultime settimane c'è stata una recrudescenza di fenomeni criminali con un attentato al presidente della commissione antiracket di Mesagne e l’allarme lanciato dalle istituzioni locali che ha anche portato a un incontro con il ministro dell’Interno.Tutti gli istituti scolastici della città di ogni ordine e grado sono stati evacuati per precauzione.  Dello stesso parere  il parroco della   Chiesa del Cristo a Brindisi. Troppe "coincidenze" per escludere che dietro l’esplosione non ci sia un attentato criminale. Il parroco riflette: "è significativa la data.  A giorni ricorrerà l’anniversario della strage di Capaci in cui   morirono Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo. Ebbene, non   mi pare casuale che la scuola dove è avvenuta l’esplosione sia   proprio intitolata a loro. E’ chiaro che non si è trattato di una bravata", insiste il sacerdote. Il parroco pensa anche alla collocazione dell’istuto: "lì   vicino sorge il Tribunale. Ripeto, ci sono troppe coincidenze. Andranno considerate".
http://www.liberoquotidiano.it/news/Italia/1018145/Ordigno-esplode-davanti-scuola--5-studenti-feriti.html

venerdì 18 maggio 2012



La superficialità e l'ignoranza fanno danni incalcolabili al senso della giustizia, leggevo un articolo di giornale dove le colpe di Equitalia sono scaricate tranquillamente sui cittadini che "non pagano". Si tratta di affermazioni inverosimili, scaricare su chi non può pagare interessi e commissioni da "strozzini legalizzati" è infame, scaricare sui cittadini la colpa di Equitalia di far pagare anche tasse o imposte già pagate è vergognoso, scaricare sui cittadini comportamenti ai limiti della decenza giuridica è pericoloso per la tenuta del buon rapporto tra lo Stato e i suoi cittadini. Nessuno pensa ( a Destra), di difendere furbi o Evasori, riteniamo però che certi comportamenti giuridici siano gravemente lesivi per lo Stato  e la  Democrazia stessa. Quando una struttura dello Stato si nasconde dietro i regolamenti e "suicida" i cittadini senza alcun rimorso morale o giuridico ..... c'è molto che non va.
Ovvio che la responsabilità nominale e giuridica non è dei funzionari onesti di Equitalia, ovvio che la legge ed i regolamenti, sono stati fatti dai "politici normali" che scappano come sempre dalle loro responsabilità. Equitalia applica la legge, la legge è stata fatta e rifatta varie volte dai vari ministri e governi che si sono succeduti dal 2006 in poi. Le responsabilità, sono chiare ed esplicite. Sia il Centrosinistra quanto i governi Berlusconi si sono "dilettati" a costruire e perfezionare il cappio che sta letteralmente uccidendo gli Italiani che non possono pagare Equitalia. Oggi i comuni hanno la possibilità di togliere l'appalto di riscossione ad Equitalia, Calalzo di Belluno ha dato l'esempio, altri comuni si stanno muovendo. Sarebbe già un buon segno.

Il vero segno però è quanto afferma Monica Nassisi, nostra Dirigente Nazionale,  una moratoria su Equitalia per permettere specialmente ad aziende ed alle famiglie di POTER PAGARE senza rinunciare a mangiare; si siamo arrivati alla conta delle calorie, non per vanità ma per possibilità. Il silenzio dei "politici normali" è assordante, umiliante per la politica, vergognoso per l'umanità, vigliacco per il concetto stesso di giustizia, scaricano in toto su degli impiegati le LORO RESPONSABILITÀ'.

Oggi qualcuno fa capolino per sfruttare Equitalia dal punto di vista propagandistico ma non propone nulla di serio per risolvere il problema. Basta con i "politici normali", quelli che si nascondono nelle leggi, nei regolamenti del comune, nell'allargare le mani dicendo: "non posso farci nulla". Il politico ha l'arma giuridica per poter cambiare, è lui colui che fa le leggi, è lui che fa i regolamenti, è lui che non può limitarsi a scaldare la sedia e non assumersi responsabilità morali, amministrative e giuridiche. Questa brutta cloaca di persone deve finire, Equitalia ed il fisco sono esempi emblematici di come i "politici normali" facciano veramente schifo, vogliamo il ritorno alla responsabilità individuale e collettiva della politica, vogliamo uomini con il naturale coraggio di esistere. A Verona La Destra ha fatto ben tre conferenze su Equitalia e i diritti dei cittadini, tutte e tre snobbate anche dai media, che solo ora s'accorgono dei suicidi "di Stato", ora proponiamo la moratoria dei debiti e degli interessi caimani che si devono pagare. Solo la moratoria potrà dar respiro non solo ai cittadini, ma anche alla stessa economia dei piccoli e medi imprenditori. Dobbiamo farlo anche per EQUITA, mentre le banche pagano il denaro all'un per cento i cittadini pagano il loro "CAPPIO" a interessi e commissioni che sommate danno cifre a doppi numeri. Una vergogna. Altro che evasori.
Nello Alessio
Segretario Provinciale La Destra Verona

giovedì 17 maggio 2012

Lusi: "Ho dato soldi a Renzi,
proteggevo Rutelli"

L'ex tesoriere si difende in Senato: "Il sindaco mi chiese 120mila euro, gliene diedi 70". Contabilità truccata "per tutelare il segretario". Nelle casse aveva lasciato 20 milioni





Renzi su Twitter: "Mi hanno insegnato da piccolo a non aver paura dei ladri, figuratevi se inizio con Lusi". Bianco: "Tutto alla luce del sole"
Il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha richiesto dei soldi, circa 100mila, anzi 120mila euro suddivisi in tre fatture, poi Francesco Rutelli mi ha chiesto di non pagargli la terza e così ho dato a Renzi solo 70mila euro. E' questa una delle rivelazioni che l'ex tesoriere della Margherita e senatore Pd Luigi Lusi, apprende l’Agi, ha fatto durante la sua audizione alla Giunta delle immunità di palazzo Madama. Lusi, sul quale pende la richiesta di arresto della Procura di Roma, ha consegnato una memoria con numerosi allegati, rivelando di aver già detto tutto ai magistrati. Nella Margherita - ha raccontato Lusi secondo quanto viene riferito - facevo semplicemente ciò che mi veniva detto. Agivo su mandato dei dirigenti e tutelando le varie componenti. Immediata, via Twitter, la replica di Renzi: "Mi hanno insegnato da piccolo a non aver paura dei ladri. Figuriamoci se inizio adesso con Lusi. Mai preso un euro dalla Margherita. Mai - scrive il sindaco di Firenze. - C'è un solo modo per vedere chi mente. Pubblicare on line tutti i soldi della margherita (e dei Ds, del Pd, di An, dell'idv). Io sono per l'abolizione del finanziamenti ai partiti. Va abolito, subito. E su questa battaglia vado avanti, anche da solo...
Rutelli tutelato - Ma a sinistra tremano in tanti, non solo Renzi. L'ex tesoriere di Rutelli ha infatti sottolineato di aver dato dei soldi (avrebbe parlato di annualità e di mensilità) a varie fondazioni, tra cui quella dello stesso Rutelli e ad una fondazione chiamata Centocittà. All'ex ministro degli Interni Enzo Bianco, invece, veniva fornito - secondo il racconto di Lusi - un mensile di 3.000 euro, poi passato a 5.500. Ad una società di Catania legata al marito della segretaria di Bianco è stata fornita una cifra di circa 150mila euro, erogati - sempre secondo Lusi - tra il 2009 e il 2011. Secondo Lusi anche a Rutelli venivano fornite delle cifre ingenti in occasione delle elezioni. Tutte queste cifre, ha spiegato il senatore, venivano contabilizzate in modo da tutelare Rutelli.
Ciccio querela il "calunniatorre" -  "Lusi? Un ladro senza vergogna. Un mentitore e inquinatore pericolosissimo, ormai paragonabile nei comportamenti al ben noto calunniatore Igor Marini". Lo dichiara in una nota Francesco Rutelli. "Ha cambiato versione per la terza o quarta volta - continua Rutelli - Presenterò immediatamente una nuova denuncia alla Procura della Repubblica di Roma per le gravissime calunnie che, ho appreso, sono state pronunciate ieri notte davanti alla Giunta del Senato". "Io alla Margherita ho dato tantissimi denari - con i rimborsi elettorali conquistati, con i voti e con numerosissime iniziative di autofinanziamento e, direttamente, con i miei contributi personali - e non ho mai preso un centesimo per me", conclude Rutelli, "Ci vuole pazienza, ma chi ha sempre agito correttamente e onestamente otterrà giustizia, ed egli pagherà per tutte le sue malefatte, tenute nascoste per anni in modo malvagio", conclude Rutelli.
Trema la Margherita - Ad alcuni determinati dirigenti della Margherita venivano poi erogate altre somme, che non venivano controllate da Lusi qualora a chiederle fossero degli esponenti di primo piano del partito. Sempre secondo il racconto di Lusi altri soldi venivano dati, attraverso bonifici o contanti, quando i deputati portavano le ricevute fiscali dei taxi affinchè venissero rimborsate. Lusi ha parlato - secondo quanto si apprende - anche del fatto che molti dirigenti passati all’Api venissero pagati con i soldi della Margherita. Altro particolare rivelato: quando il tesoriere ha lasciato il suo incarico nelle casse della Margherita c'erano 20 milioni, soldi che - secondo l’accusa di Lusi - ora sono stati utilizzati da Rutelli affinchè vengano restituiti ai cittadini.

La replica di Bianco - "L'ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi ha ribadito ieri sera in Senato quanto già ampiamente diffuso attraverso i giornali, con malcelato scopo intimidatorio, il 3 e il 9 marzo scorsi", ha sottolineato in una nota Enzo Bianco. "Nel percorso che porta alla liquidazione della Margherita, infatti - spiega il senatore democratico - sono stati incentivati esodi, e il personale dipendente che lavorava per me è stato opportunamente sostituito da contratti di collaborazione e di prestazione di servizi. In modo assolutamente trasparente, con accrediti bancari, in forza di regolari contratti le cui spese sono documentabili sino all’ultimo centesimo, si è proceduto in questa direzione". "Io non ho trattenuto un solo centesimo - conclude Bianco - e se Lusi o chiunque altro afferma il contrario, lo trascinerò in tribunale. Tutto è stato fatto alla luce del sole, come è nella mia storia e nella mia tradizione politica. Cercare di distrarre l’attenzione dalle malversazioni messe in atto da Lusi o peggio ancora di intimidire (come hanno affermato con grande chiarezza la Procura di Roma e il Giudice delle indagini preliminari), suscita in me un sentimento di profonda indignazione".
http://www.liberoquotidiano.it/news/home/1016285/Lusi---Ho-dato-soldi-a-Renzi--proteggevo-Rutelli-.html

mercoledì 16 maggio 2012

Monti taglia l'assegno ai disabili

La Fornero pensa a una riduzione della pensione agli invalidi proprietari di case




Un'altra stangata dopo l'Imu per gli anziani e la stangata sui ciechi. Cgil e Cisl si oppongono: "Cercate soldi altrove"

Dopo l’Imu per i nonni disabili ricoverati o assistiti da un parente, dopo il ticket sanitario per diabetici, incontinenti, e intolleranti al glutine,  dopo il taglio dell’assistenza per i ciechi, arriva anche  la mazzata sui trattamenti economici per gli invalidi. Vale a dire la decurtazione della pensione sociale e dell’assegno di accompagnamento.
Il governo Monti, alla disperata ricerca di nuove entrate o di possibili tagli, ha pensato bene di affidare al ministero del Welfare la delicatissima pratica di rinfrescare i parametri dell’Isee, vale a dire l’Indicatore della situazione economica equivalente. Una ristrutturazione contenuta nel decreto Salva Italia (art. 5). L’altro ieri c’è già stata una riunione con i sindacati per avviare la discussione (che andrà conclusa entro il 31 maggio), e quello che è emerso dalla bozza di decreto della presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm), ha messo in allarme associazioni dei disabili e degli invalidi e sindacati. 
L’intenzione dell’esecutivo è di rivedere i parametri e le soglie di esenzione (e la concessione di benefici e assegni) che scatterebbero solo sotto i 15mila euro. Non basta viene anche “pompata” la ricchezza degli assistiti. Come? Lo spiega fumosamente una nota di via Flavia diffusa in tutta fretta ieri quando si è venuto a sapere - dopo le anticipazioni pubblicate da Repubblica - dell’incontro con il sottosegretario al Welfare, Maria Cecilia Guerra. In sostanza il nuovo «indicatore dovrà adottare una definizione di reddito più vicina a quella di reddito disponibile, mediante la considerazione sia dei redditi esenti che di quelli assoggettati a imposta a titolo definitivo, dare inoltre maggior peso alle componenti patrimoniali e prevedere una definizione di nucleo familiare differenziata in ragione della sua applicazione alle diverse prestazioni». La revisione in atto intende «prestare particolare attenzione alle famiglie con almeno tre figli e a quelle in cui sono presenti persone con disabilità».
Tralasciando il fatto che in Italia siamo ben lontani dai 3 figli per nucleo familiare (secondo l’Istat le donne residenti in Italia hanno in media 1,41 figli, con valori pari a 1,31 figli per le cittadine italiane e a 2,23 per quelle straniere), resta da vedere come e quanto peso darà il ministro Elsa Fornero (la professoressa torinese che ha partorito un esercito di esodati), alla componente patrimoniale. Detto in altri termini: il disabile che oggi gode di una pensione sociale e di un assegno di accompagnamento (meno di 900 euro al mese), ma possiede la casa dove vive e magari una vecchia stamberga nel paesino natio, potrebbe - computando il patrimonio con le nuove rendite catastali - non rientrare più nei parametri Isee e quindi vedersi cancellato l’assegno e le esenzioni sanitarie (visite mediche, farmaci, prestazioni assistenziali).
Evidente il fuoco di sbarramento dei sindacati ma anche degli stessi partiti che sostengono la maggioranza. A cominciare da Udc e Partito democratico. Per Margherita Miotto, capogruppo del Pd nella commissione Affari sociali di Montecitorio, proprio «non esistono più margini sociali in questo senso, anche perché i fondi statali e regionali che finanziavano i servizi sono stati azzerati. I trasferimenti monetari non sono equiparabili ad un reddito», mette le mani avanti la Miotto, «ma rappresentano un contributo sulle spese conseguenti alla condizione di invalidità totale». Di aver toccato un tasto delicato Fornero è consapevole e ieri ha gettato acqua sul fuoco: «Stiamo lavorando su tanti versanti, vedremo...», ha glissato. I sindacati - bruciati dalla riforma delle pensioni - fanno fronte compatto: per la Cgil «è bene che i tagli vadano in un’altra direzione», mentre l’Ugl commenta con un drastico: «Non supera le iniquità del modello precedente». Per la Cisl, infine, bisognerebbe «non tagliare, ma spostare risorse verso le famiglie». 
Monti sembra aver preso in parola Pier Luigi Bersani che nell’intervento per la fiducia al governo del 18 novembre Monti chiese: «Presidente se le rimanesse un solo euro in cassa lo spenda per un servizio per i disabili». Monti deve essersene ricordato: un euro e niente più. Ma forse in cassa non c’è neppure un euro...
di Antonio Castro
http://www.liberoquotidiano.it/news/Politica/1015743/Monti-taglia-l-assegno-ai-disabili.html

Lega, Bossi indagato con i figli Renzo e Riccardo

Il Senatùr è indagato per truffa ai danni dello Stato in concorso con Belsito. Renzo e Riccardo Bossi e il senatore Stiffoni indagati per appropriazione indebita

La Lega Nord è di nuovo nel ciclone. La procura di Milano ha notificato a Umberto Bossi un avviso di garanzia nella sede di via Bellerio.
Umberto e Renzo Bossi
Umberto e Renzo Bossi
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Bossi è indagato per truffa allo Stato in concorso con l’ex tesoriere Francesco Belsito. L’accusa fa riferimento ai rimborsi elettorali che la Lega avrebbe ottenuto, secondo gli inquirenti, con un rendiconto infedele presentato nell’agosto del 2011. Secondo i pm Bossi sarebbe stato consapevole della distrazione dei fondi del partito ("Umberto Bossi firmava i rendiconti del partito", aveva detto ai pm la responsabile amministrativa di via Bellerio, Nadia Dagrada). Le dichiarazioni della dirigente sarebbero uno degli elementi su cui si fonda l’accusa di truffa a carico del Senatùr. "Bossi risponde come segretario federale che redige i conti - ha spiegato il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati - e abbiamo elementi utili per dire che c’è sotto una sua consapevolezza".
Indagati anche i figli di Bossi, Renzo e Riccardo, e il senatore Piergiorgio Stiffoni (già espulso dal gruppo del Carroccio). Su Stiffoni hanno pesato anche le dichiarazioni rese a verbale del capogruppo a Palazzo Madama del Carroccio, Federico Bricolo. Quest’ultimo avrebbe detto ai magistrati che i conti del gruppo del Carroccio a Palazzo Madama, gestiti da Stiffoni, non tornavano.
Il reato contestato a Riccardo e Renzo è quello di appropriazione indebita dei soldi provenienti dai rimborsi elettorali del partito. A Stiffoni, invece, è contestata l’accusa di peculato per l’uso dei fondi del movimento politico del Senato. Per Paolo Scala, l'imprenditore che risultava già iscritto nel registro degli indagati di Milano, c'è un nuovo reato contestato, quello di riciclaggio. Restano ancora al vaglio dei magistrati le posizioni della senatrice Rosi Mauro e della moglie di Bossi, Manuela Marrone.
Poche ore prima della "notizia bomba" Roberto Maroni sulla propria bacheca di Facebook aveva scritto: "Voglio una LEGA UNITA, voglio una LEGA FORTE, voglio una LEGA VIVA. Una Lega che si concentra sulle cose da fare e non sulle menate interne, che progetta e governa, che dà risposte. LARGO AI GIOVANI E A CHI È CAPACE. Per faccendieri, ladri e ciarlatani non c’è posto nella Lega del futuro".
http://www.ilgiornale.it/interni/bossi_indagato_truffa_stato/bossi_indagato-umberto_bossi-lega_nord/16-05-2012/articolo-id=588101-page=0-comments=1

I PROF CI TASSANO E POI FRODANO IL FISCO

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini accusato di aver aiutato alcuni imprenditori a realizzare una frode fiscale. È il terzo scivolone dell'esecutivo

Un membro del «governo delle tasse» accusato di frode fiscale è come un cieco messo a fare il vigile o un astemio in casa Antinori. Non ci si crede. Non c’azzecca nulla, direbbe Antonio Di Pietro.
Andrea Zoppini
Andrea Zoppini
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Peggio: ti rovina l’immagine, demolisce in un attimo quello che hai costruito. Ecco, nel tecnoesecutivo dei professori, tra i ministri che hanno innalzato la pressione fiscale a livelli borbonici, non c’era soltanto un sottosegretario (Carlo Malinconico, presidenza del Consiglio) ospitato in vacanze di lusso da un imprenditore indagato per tangenti che sghignazzava nella notte del terremoto in Abruzzo. O un secondo sottosegretario (Roberto Cecchi, Beni culturali) che per la Corte dei conti dovrebbe restituire 600mila euro all’erario per il discusso acquisto di un crocifisso attribuito a Michelangelo.
C’era anche un terzo sottosegretario (alla Giustizia) sotto indagine per il sospetto di aver truffato l’erario. Il quale ieri ha ricevuto un avviso di garanzia e un invito a comparire, e dopo un breve giro di telefonate ha dovuto dare le dimissioni. Il suo nome, sconosciuto ai più fino a ieri sera, è Andrea Zoppini, romano, 47 anni, docente di Diritto privato all’università di Roma Tre, studi a Cambridge, Heidelberg, Yale e New York, avvocato cassazionista, collaboratore del Sole24Ore. Il ministro Paola Severino gli aveva attribuito deleghe quali «l’assegnazione di reperti confiscati di interesse storico-archeologico-scientifico» o il «conferimento onorificenze al Corpo di polizia penitenziaria».
Secondo la procura di Verbania, il professor Zoppini attraverso le sue attività di consulenza avrebbe aiutato alcuni imprenditori del Piemonte orientale a realizzare una frode fiscale internazionale e avrebbe ottenuto compensi in nero versati su conti esteri. L’iscrizione nel registro degli indagati sarebbe stata presa dopo l’esame di documenti «extracontabili» della ditta Giacomini (produttrice di rubinetterie e impianti di raffreddamento) acquisiti dalla Guardia di finanza durante un’ispezione fiscale. «Ho piena fiducia nell’operato della magistratura e ritengo di poter chiarire ogni aspetto che mi riguarda – ha detto Zoppini – ma la situazione che si è creata è incompatibile con la funzione di sottosegretario».
Malinconico, Cecchi, Zoppini. Tre scivoloni gravi per il governo dei risanatori d’Italia. Tre sottosegretari (due dimissionari) con imbarazzanti scheletri negli armadi. E si potrebbe aggiungere la polemica sul ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, proprietario di una casa vicina al Colosseo acquistata dall’Inps a un quarto del suo valore effettivo di mercato. Ma quest’ultimo è il caso più clamoroso: nel governo che tartassa gli italiani e si gioca tutta la sua autorevolezza nella lotta agli evasori fiscali, con i contribuenti drammaticamente spremuti dalle agenzie di riscossione, sedeva un professore accusato di aver frodato il fisco, di aver intascato soldi in nero e su conti esteri.
Zoppini è il meno noto al grande pubblico, ma non alla nomenklatura romana. I maligni mormorano che il suo asso nella manica sia lo stretto rapporto professionale e di amicizia con il professor Giulio Napolitano, secondogenito del capo dello Stato, anch’egli docente di Diritto a Roma Tre (il cui rettore, Giulio Fabiani, è parente della signora Clio). I due hanno anche scritto assieme un apprezzato saggio giuridico, Le Autorità al tempo della crisi (Il Mulino, introduzione di Enrico Letta). Zoppini è stato anche consulente della lista Prodi e della Banca d’Italia, consigliere giuridico della presidenza del Consiglio scelto dal sottosegretario Enrico Letta e confermato nell’incarico dal governo Berlusconi.
Ma, come ha scritto in febbraio il settimanale Panorama, Zoppini era già inciampato tre volte da quando è approdato in via Arenula. A metà gennaio aveva presentato – e ritirato precipitosamente – un emendamento in materia di deliberazioni societarie che si sarebbe applicato soltanto al caso dell’impresa Salini, un gigante delle costruzioni dilaniato da una contesa sulla proprietà che avrebbe beneficiato uno dei due rami della famiglia. Successivamente si è saputo che il professore era impegnato come arbitro in una lite tra Ferrovie e Fiat sui lavori per i binari ad alta velocità tra Novara e Milano.
Ai membri del governo è vietato ricoprire incarichi o funzioni in enti pubblici come le Fs. Alle accuse di conflitto d’interessi Zoppini replicò con un telegrafico «Valuterà l’Antitrust». Secondo Panorama gli arbitrati del docente sarebbero una decina, per un valore di alcuni milioni. Infine, nel pieno della bagarre sul caso Lusi (il parlamentare accusato di essersi appropriato dei soldi della Margherita di cui era tesoriere), saltò fuori che proprio in virtù di un parere «pro veritate» di Zoppini l’allora presidente del partito, Enzo Bianco, convocò soltanto 12 dei 398 membri dell’assemblea federale per discutere del bilancio del partito.
http://www.ilgiornale.it/interni/i_prof_ci_tassano_e_poi_frodano_fisco/16-05-2012/articolo-id=587960-page=0-comments=1

lunedì 14 maggio 2012

Marcia per la Vita: le ragioni di uno straordinario successo


(di Roberto de Mattei) Sono passati quasi trentacinque anni da quando l’aborto fu legalizzato in Italia, con la legge 194 del 22 maggio 1978.  Quella legge ha un peccato d’origine: essa fu firmata dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dal presidente della Repubblica Giovanni Leone, entrambi democristiani, che per salvare il governo si arresero ad una esigua ed improvvisata maggioranza parlamentare di orientamento laicista.
Il peccato di origine della “ragion politica” ha pesato sul trentennio successivo, in cui la classe politica cattolica, ma anche alcuni ambienti della Conferenza Episcopale Italiana, hanno considerato la 194 come una legge da “migliorare”, piuttosto che da abrogare, senza  comprendere che sarebbe stato impossibile raggiungere il risultato minimale di una restrizione della legge, senza proporsi l’obiettivo massimale della sua cancellazione. Mentre in tutto il mondo, e soprattutto negli Stati Uniti, nascevano movimenti pro-life all’insegna di una lotta all’aborto senza compromessi, in Italia il Movimento per la Vita di Carlo Casini, , ha condotto, per oltre un trentennio, una strategia di negoziazione sui princìpi che non ha ottenuto, fino ad oggi, nessun risultato.
Giovanni Paolo II fu eletto pochi mesi dopo l’approvazione della 194 e si stupì della mancanza di combattività del movimento pro-life italiano. La promulgazione della Evangelium Vitae il 25 marzo 1995 fu una frustata, diretta in primis ai cattolici minimalisti. In quel documento, il Papa ammoniva a non usare mai termini equivoci come “interruzione della gravidanza”: “l’aborto procurato – ribadiva – è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita” (n. 58); la sua approvazione legislativa costituisce un “crimine” commesso in nome del “relativismo etico” (n. 70).
Quando, per un “tragico oscuramento della coscienza collettiva“, il relativismo giunge a porre  in dubbio i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico è “scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrastanti interessi”.  Ripetendo le parole di Giovanni Paolo II, i cattolici devono la 194 come  una legge ”iniqua” priva “di  validità giuridica” perché “quando una legge civile legittima l’aborto o l’eutanasia, cessa per ciò stesso, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante” (n. 72).
Sono questi princìpi, ribaditi da Benedetto XVI, ad aver guidato la Marcia per la Vita che si è svolta con straordinario successo il 13 maggio a Roma. L’iniziativa è nata spontaneamente, dalla base cattolica, stanca della politica di tergiversazione del Movimento per la Vita e desiderosa di condurre una battaglia contro l’aborto a viso aperto, come accade in tutti i Paesi di Occidente. Un cardinale statunitense il Prefetto della Segnatura Apostolica Raymond Leo Burke ha testimoniato con la sua presenza la vicinanza della Chiesa ai pro-life italiani.
Molti vescovi italiani, anche tra i più autorevoli, hanno inviato messaggi di adesione e di incoraggiamento, altri hanno assunto un atteggiamento di prudente attesa, per verificare l’esito della iniziativa. Il  successo, per molti inaspetttato,  è  particolarmente significativo per il fatto che la Marcia per la Vita, a cui hanno aderito centocinquanta associazioni di diversa importanza, è completamente libera, anche sul piano economico, da condizionamenti politici o ecclesiali.
Non sono stati ammessi simboli e slogan di partito, proprio al fine di evitare le facili strumentalizzazioni degli avversari ideologici privi di argomenti per affrontare la discussione. In fondo si tratta proprio di questo: di mostrare che il dibattito sull’aborto è ancora aperto e che in Italia esiste un popolo della vita pronto a scendere in piazza per proclamare le proprie convinzioni, Il 13 maggio ha segnato una svolta nella storia del movimento pro-life italiano. Ora l’appuntamento è a maggio dell’anno prossimo. Ci attende un anno di mobilitazione in difesa della vita. (Roberto de Mattei)
http://www.corrispondenzaromana.it/marcia-per-la-vita-le-ragioni-di-uno-straordinario-successo/

domenica 13 maggio 2012

PIERO OPERTI CAPO PARTIGIANO SCRIVE
Piero Operti
Queste sono le parole con cui Piero Operti, antifascista e partigiano, difese i suoi giovani studenti universitari reduci dell’esercito repubblicano, nell’immediato dopoguerra.
Si, O SIGNORI, io son quel desso. Son colui che distinguete col nome di “Repubblichino”. Appartenni alle Forze Armate della R.S.I. Voi vedete in me la sentina di tutte le colpe, il ricettacolo di tutti gli errori, la pattumiera di tutte le iniquità. Infatti tenni fede alla parola data alla Patria quando la vostra saggezza aveva, quella parola, per chiffon de papier; credetti quando tutto comandava lo scetticismo; quando l’imboscamento veniva aureolato di gloria volli continuare a combattere. Son colui che distinguete col nome di “Repubblichino”.
Fui soldato dell’onore – sostantivo maschile derivato dal latino “honor, honoris” della terza declinazione regolare – e, mentre voi radiavate dal dizionario questo vocabolo come contrastante con l’eclettismo della itala gente dalle molte vite e dalle molte casacche, ricordai che i Romani divinizzarono l’ONORE e il VALORE e li venerarono in un medesimo tempio; e mentre la Fortuna giungeva a voi sulle ali dei «Liberators» io ricordai che i Romani, dopo la rotta di Canne, edificarono un tempio alla Fortuna Virile, e che conferendo maschiezza alla fortuna essi ne fecero non un dono del caso bensì una conquista del valore.
Perciò il 5 giugno 1944, quando voi alzavate inni di giubilo per la «liberazione» di Roma, io piansi le più cocenti lagrime della mia vita e invidiai i camerati del «Barbarigo» caduti sulla via dell’Urbe opponendosi con le bombe a mano, come il Maggiore Rizzati, all’avanzata degli «Sherman».
E, mentre a Trieste voi gridavate: «Meglio gli slavi che i fascisti» e Radio Bari annunziava l’avanzata dei partigiani jugoslavi lungo la costa istriana, chiamandola «litorale sloveno», io sostenni nella selva di Tarnova, contro le bande dì Tito e gli ausiliari di Togliatti, un aspro combattimento nel quale quasi tutti i miei compagni del «Fulmine» persero la vita.
Fui soldato dell’Italia ritornata espressione geografica e sperai di chiudere per sempre gli occhi per non vedere la sua plebe d’ogni rango sciamare intorno ai vincitori, offrendogli i suoi fiori e le sue donne e azzuffandosi per raccattar le sigarette gettate dall’alto dei carri.
Quando, infranta la linea gotica, nelle vostre città voi apprestavate archi di trionfo e vi gettavate ai linciaggi, io sparai sul Senio sino alla mia ultima cartuccia e coi camerati superstiti del «Lupo» ricevetti dal nemico l’onore delle armi, come Kosciusko a Macovje, qualcuno in quel luogo e in quell’ora pronunziò le parole: «finis Italiae».
Sono, o signori, il temerario ribelle alle suggestioni della liberazione e della capitolazione.
Rimasi al fianco del tedesco perché la guerra non è un giro di valzer e con lui l’avevo incomincìata, perché sapevo ch’egli ci era nel presente e ci sarebbe stato nel futuro meno nemico degli alleati, e perché prevedevo che costoro, essendo buoni sportivi, ci avrebbero in qualunque caso meglio giudicati e trattati se non piantavamo in asso il compagno di squadra nell’ora più dura della partita. Per questo compagno avevo la stima che non può negarsi al valore e che schiettamente egli ricambiava a tutti i buoni soldati. Come in Grecia, in Russia, in Africa rimasi al suo fianco in Italia e accanto a lui sanguinante camminai nel mio sudore e nel mio sangue avendo di fronte lo schieramento del nemico, sulla R.A.F., alle spalle le fucilate dei partigiani; e spesso dovevo chiedere a lui le munizioni, essendo le mie inservibili perché sabotate nelle fabbriche.
Venuto il mio turno, rifiutai la licenza, sapendo che al paese mi attendeva l’agguato, e volevo morire contrastando all’invasore la mia terra e non assassinato da un italiano.
MI STRINSI AL CUORE L’ULTIMO LEMBO DELLA BANDIERA, quando voi ne davate i brandelli ai negri perché li adoperassero come pezze da piedi. Nulla mi sembrò più orribile del proclamarsi vincitori in una patria disfatta e bruciai la mia anima nel rogo dell’Italia delle cui ceneri avete fatto il Vostro Piedistallo.
Ebbi l’inaudita protervia di vedere fra i ciechi, di udire fra i sordi, di camminare fra i paralitici, di piangere sulla fine della mia Patria mentre voi tripudiavate sul principio della vostra trionfale carriera. Risparmiato dalla guerra e dalla guerriglia, scampato alla ecatombe liberatoria, sopravvissuto a Coltano e alla galera, vengo dinanzi a Voi, o signori, a confessare il cumulo dei miei delitti.
So bene che nessun castigo da Voi inflittomi potrà adeguarsi ad essi; valga nondimeno ai vostri occhi la mia prontezza a pagare il fio di tanti misfatti.
«Molto deve esserle perdonato perché molto ha amato», disse della Maddalena il Redentore, e giustamente disse, poiché la donna piangeva sul suo passato; così giustizia vuole che avendo molto amato nulla a me sia perdonato, poiché il mio cuore, duro come una pietra, è insensibile al pentimento.     E’ questa in verità, o Signori, la mia ultima colpa, più grave da sola che tutto il carico delle colpe passate: «NON SONO PENTITO». Ma avendo militato nell’opposta trincea io non posso pronunciare questo discorso e perciò lo passo a qualche antico avversario il quale mi sia oggi fratello nell’amore per l’Italia, affinché se ne serva quando inciampa in quella domanda che io ho incontrata».
http://athenasophia.bloog.it/

JP Morgan annuncia buco di due miliardi: torna l'allarme derivati

di Marco Valsania
Uno «schiaffo» da due miliardi di dollari a JP Morgan e al suo amministratore delegato James Dimon, finora celebrato come il nuovo re di Wall Street. E un boccone amaro anche per tutte le grandi banche americane, che hanno assicurato di aver migliorato enormemente la gestione del rischio e denuciano il pericolo di strette troppo severe nella regolamentazione.
Le scioccanti perdite rivelate giovedì notte dalla più grande banca americana nel trading di derivati, che potrebbero salire a tre miliardi nel clima di volatilità dei mercati, hanno scosso la finanza e la politica: hanno riaperto il dibattito sugli eccessi speculativi e i pericoli che seminino nuove crisi. Il colossale passo falso di JP Morgan – una super-scommessa sbagliata sul miglioramento della salute di un gruppo di aziende – ha scatenato tensioni in Borsa: JP Morgan, ha ceduto quasi il 10% per poi assestarsi a un calo dell'9,3 per cento. E la prima bocciatura arriva da Fitch, che ha tagliato la valutazione su JP Morgan ad «A+» da «AA-».
L'agenzia di rating ritiene i 2 miliardi di dollari di perdite «gestibili» ma evidenzia come la «magnitudine delle perdite» implichi una mancanza di liquidità e sollevi dubbi sull'appettito per il rischio e la supervisione della banca. E Moody's, che ha minacciato declassamenti di 17 banche globali per metà giugno, potrebbe calcare di più la mano sugli istituti americani. A Washington, intanto, si moltiplicano le richieste di accelerare le riforme del settore, a cominciare dalla Volcker Rule che colpisce il trading speculativo delle banche.
«È difficile sostenere oggi che le banche non abbiano bisogno di nuove norme per evitare azioni irresponsabili», ha detto il deputato Barney Frank, autore della legge Dodd-Frank. Il Senatore Carl Levin ha aggiunto che «le banche chiamano hedging scommesse rischiose che non dovrebbero mai fare». Scompiglio è filtrato anche tra le authority: la Sec ha avviato un esame del caso e il suo presidente Mary Schapiro ha affermato che tutti gli organismi di controllo sono «concentrati» su JP Morgan. La Fed, secondo gli operatori, potrebbe fermare i piani di dividendi e buyback azionari da parte degli istituti nonostante abbiano passato gli stress test.
JP Morgan, in realtà, può assorbire i costi immediati della debacle: solo nel primo trimestre ha intascato profiti per 5,4 miliardi. Dimon si è inoltre affrettato da giovedì sera, in una conference call, a offrire un mea culpa: ha negato che le riforme avrebbero impedito lo smacco e parlato piuttosto di «grossolani errori» nella strategia di hedging, di «cattiva esecuzione e supervisione». Il disastro d'immagine e gli interrogativi che solleva, però, sono più pesanti delle cifre. Anzitutto sulla trasparenza dei rischi e della loro gestione: alcune banche, ad esempio, potrebbero finire sotto osservazione per aver di recente aumentato l'esposizione a Paesi in difficoltà del Vecchio Continente.
Non sono, inoltre, solo le autorità americane a voler fare luce: la Fsa britannica si sta muovendo dopo che al centro della vicenda è emerso l'ufficio di Londra del Chief Investment Office della banca, l'oscura divisione paradossalmente incaricata della protezione dal rischio e guidata dalla 55enne Ina Drew, molto vicina a Dimon. Un suo trader, il francese Bruno Michel Iksil che in passato aveva generato guadagni da cento milioni l'anno, ha orchestrato le scommesse ora mostratesi fallimentari. Ha ammassato una posizione da cento miliardi in derivati, in particolare su un indice legato ai corporate default, il CDX.NA.IG.9, che comprende 121 grandi società nordamericane. Vendendo credit default swap, protezione, sull'indice ha puntato su un miglioramento delle condizioni per le aziende. Quando è accaduto il contrario, nelle ultime sei settimane sono scattate le perdite. Iksil era stato già in aprile battezzato dai media americani la London Whale, la Balena di Londra, per le dimensioni delle sue operazioni in grado di influenzare il mercato. Non tutta la finanza ha però perso con lui: accettando la scommessa di JP Morgan, puntando cioè contro la premessa di Iksil, una dozzina di hedge fund ha guadagnato 30 milioni ciascuno.http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-12/morgan-torna-allarme-derivati-081157.shtml?uuid=AbyEtRbF

sabato 12 maggio 2012

Una domanda a Fini, l'uomo con la cravatta dal colore del cane in fuga

L’ultima volta che ho incrociato lo sguardo di Gianfranco Fini è stato a un semaforo. Io aspettavo l’autobus e lui era nella sua auto blu, sulla corsia interna di via Gregorio VII, a Roma. Ci siamo guardati un istante. Giusto il tempo di riconoscerci reciprocamente (così, almeno, spero, perché forse l’ho riconosciuto solo io, non riconoscendo nulla di ciò che era stato lui). Era stato, lui, quanto di peggio la destra potesse essere in un’Italia attardata negli anni 70 del secolo scorso. Era banale e normale. Non capiva la Voce della fogna. Non sapeva neppure chi fosse Alain de Benoist. Non apriva un libro e predicava il Fascismo del Duemila. Diocenescampi quant’era ordinario Fini, specie in tema di fascismo (a proposito: i ragazzi di CasaPound, oggi, sbagliano con “fascismo del Terzo millennio”, rischiano di restare nel solco di Fini). E se fosse utile scovare le stupidaggini ideologiche, in quel leader – così incrostato di destrismo, dove tutto il cascame della propaganda piccolo-borghese vi faceva alloggio – basterebbe svelarne la biografia: dalle simpatie per i regimi sudamericani alle gite da Saddam Hussein, fino ad arrivare alla campagna contro gli immigrati. Lo ricordo come fosse oggi, così comiziava a Montesilvano: “Devono imparare l’uso del sapone”.

Era il civilizzatore, dopo di che, certo, tutto si aggiusta. A maggior ragione si aggiustano le biografie. Ed è cambiato, Fini. Ha cominciato a non farsi riconoscere più parlando la lingua sofisticata di quelli che erano stati i suoi avversari interni. Quando si farà la storia della Destra in Italia verrà fuori tutto un mondo interessante, quello degli antifiniani, quello di Flavia Perina, di Umberto Croppi, di Fabio Granata e di Tomaso Staiti di Cuddia. Discendevano da radici importanti che erano i Pino Rauti, i Pino Romualdi, i Beppe Niccolai, e che erano tre diversi modi di buttarsi alle spalle il fascismo, quello di Rauti era “lo sfondamento a sinistra”, quello di Romualdi era il conservatorismo e quello di Niccolai, invece, era il socialismo tricolore. Si cambia e Fini, per dire, non poteva accettare uno come Romualdi che, pur essendo stato vicesegretario del Partito fascista a Salò, odiava il nostalgismo. Romualdi, raffinato e cosmopolita, spiegava sempre, non senza quella sua bella parlata predappiese: “Dopo il fascismo, sono i cretini che se ne vanno a fare i fascisti”. Fu anche il promotore “dell’idea occidentale”, Romualdi.

E Beppe Niccolai, il pisano, predicava un’Italia dove ai missini doveva essere dato il compito di difendere Adriano Sofri dalle accuse di assassinio e dove perfino Piazzale Loreto potesse finalmente trasfigurarsi, nella memoria, in un atto d’amore… Nulla di tutto ciò era in Gianfranco Fini, scelto da Giorgio Almirante, imposto in luogo di una figura straordinaria qual è Marco Tarchi, destinato a cambiare anche grazie a tutte quelle personalità – Granata, Croppi, Perina, Staiti oggi non più – un tempo irriducibilmente avversarie, quando in quello sfilacciarsi degli anni 70 e poi ancora negli anni 80, Fini restava l’Italiano in Lebole. Ed è cambiato, Fini. E’ stato anche un bravo ministro degli Esteri (niente a che vedere con Franco Frattini o, peggio, con l’attuale ministro). Aveva un ruolo alla Farnesina, era calato nella parte, e aveva un ottimo collaboratore, ovvero Salvatore Sottile che non è quello delle donne, suvvia, lo sapete bene. Lui, Salvo, è piuttosto quello che ha pagato un prezzo ingiusto senza mai chiedere di essere ripagato.

Ecco, forse ci ha messo un carico di buona fede, Fini.
Lo voglio credere mentre se ne va via con la sua macchina, immagino reduce dalla sua nuova dimora di Val Cannuta. E però devo confessarlo che mi è venuto difficile scrivere questo pezzo perché, insomma, tutto s’è consumato mentre l’ho riconosciuto dietro quel vetro. E il suo modo di buttarsi alle spalle una storia è stato certo il peggiore di tutti i modi. L’antifascismo non è omeopatia, è un veleno. Altrettanto quanto può esserlo, giusta caricatura berlusconiana, l’anticomunismo. Praticare l’antifascismo oggi è un rinfocolare una guerra civile che gli italiani avevano già conclusa nel 1971, nell’anno della vittoria elettorale del Msi in Sicilia. Avrei voluto dirglielo se fosse durato ancora un minuto il semaforo rosso. E’ cambiato, certo, ma come i parvenu che ragliano al cielo la propria festosa mutazione, continua a cambiare fino a diventare uno scarto di Pier Ferdinando Casini. E ha gettato nel cesso della storia un mondo fatto di almeno tre milioni di italiani. E’ riuscito, lui, con le sue cravatte sbagliate, a distruggere un partito – un ambiente, una comunità – che da Bolzano a Trapani aveva superato le persecuzioni, l’ostracismo e l’indifferenza.

L’altra domanda, quella che magari riesco a recapitargli con queste righe, è questa: “Segretario, lo hai fatto un bilancio?”. Sicuramente sì, l’avrà fatto. E si sarà detto, sottovoce, di aver perso l’asino con tutte le carrube. Avrà fatto mente locale e capito – una volta per tutte – di non avere la stima e il rispetto di tre milioni scaricati nelle fogne. E si sarà aggiustata, ben annodata al collo, la sua cravatta il cui colore è quello del cane in fuga, bandiera di un’ambizione stritolata.

giovedì 10 maggio 2012

10 Maggio 1945 – In ricordo dei fratelli Govoni.


La famiglia Govoni viveva a Pieve di Cento, in provincia di Bologna, ai confini con le provincie di Modena e Ferrara, paese immerso nella grande campagna padana. Contadini da generazioni, il Padre, Cesare Govoni, e la madre, Caterina Gamberini, avevano cresciuto, a fatica, otto dei loro figli. Il primogenito, Dino, quarantuno anni, sposato e padre di due figli, artigiano falegname di professione, era iscritto al Partito Fascista Repubblicano.
Marino, trentatre anni, anche lui aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana, mai nessuna accusa era stata portata nei loro confronti per delitti o soprusi commessi. Maria, sposata si era trasferita da tempo in un piccolo paese a pochi chilometri, Argelato. Emo, trentadue anni, viveva con i vecchi genitori e non si interessava di politica, così come Giuseppe, trent’anni, sposato e padre di un bambino di tre mesi.
Augusto, ventisette anni e Primo di ventidue, celibi e contadini. Infine l’ultimogenita, Ida, vent’anni, appena sposata e madre di un bambino, Sergio, di due mesi. Il 10 maggio del 1945, a guerra ufficialmente terminata, ex partigiani comunisti appartenenti alla seconda Brigata Paolo e ad altre formazioni, in nome della resistenza e della liberazione dal nazifascismo, iniziarono la loro vendetta.
La sera stessa alcuni uomini armati di mitra bussarono alla porta di casa Govoni. Sette fratelli furono prelevati per sostenere un breve interrogatorio allo scopo di raccogliere informazioni. Luogo, del carcere e poi del supplizio, fu una casa colonica, adibita a magazzino, intestata regolarmente ad un contadino del luogo, Emilio Grazia, a Voltareno Argelato. Seviziati, massacrati e uccisi a colpi di roncole, vanghe e zappe, e successivamente seppelliti, alcuni dei quali ancora vivi, in una fossa anticarro, non molto distante dalla casa colonica.
La mattina successiva, altre dieci persone furono sequestrate a San Giorgio di Piano e condotte nella stessa prigione dei fratelli Govoni. Tre appartenenti alla famiglia Bonora, Alberto, Cesarino e Ivo, diciannove anni, rispettivamente nonno, padre e nipote. Inoltre Bonvicini Alberto, Caliceti Giovanni, Mattioli Guido, Pancaldi Guido, Testoni Vinicio e Malaguti Giacomo. Tutte persone rispettate in paese per la loro onestà.
L’ultimo, Malaguti Giacomo, ventidue anni, sottotenente di artiglieria dell’esercito dell’Italia del sud, aveva combattuto contro i tedeschi a Cassino, rimanendo ferito, si trovava in licenza presso la famiglia. Aveva però manifestato posizioni contrarie al comunismo. Fu denunciato alla polizia partigiana, interrogato e rilasciato. Gli altri, dopo le torture, furono strangolate con il filo telefonico e gettati in una fossa comune. Negli anni successivi il silenzio assoluto. I genitori dei fratelli Govoni cercarono di risalire alla verità senza ottenere risultati.
Poi lentamente, si mosse la macchina della giustizia. L’indagine della Magistratura stabilì la ferocia degli aguzzini. Nessuna delle vittime morì per colpi di arma da fuoco e quando, molti anni dopo, furono rinvenuti i cadaveri, si accertò che i corpi presentavano fratture multiple e incrinature. Nel febbraio del 1953, la Corte d’Assise di Bologna, condannò quattro militanti all’ergastolo.
Alcuni indiziati riuscirono ad espatriare con l’aiuto dell’organizzazione predisposta dal Partito Comunista Italiano. Altri ancora, pur riconosciuti come responsabili dell’eccidio, grazie al ricorso in Cassazione, in breve tempo furono rimessi in libertà. A Cesare Govoni e Caterina Gamberini lo Stato Italiano, dopo lunghe esitazioni, decise di corrispondere, per la perdita dei figli, una pensione di settemila lire mensili. Mille lire per ogni figlio assassinato.
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PENA DI MORTE

Choc in Gran Bretagna: 9 uomini condannati per lo stupro di oltre 600 ragazzine

Le vittime prelevate nelle case di accoglienza da una rete di stupratori, drogate e violentate. Due sono morte

LA SENTENZA A LIVERPOOL
Choc in Gran Bretagna: 9 uomini condannati per lo stupro di oltre 600 ragazzine
Le vittime prelevate nelle case di accoglienza da una rete di stupratori, drogate e violentate. Due sono morte

Le foto di otto dei nove uomini condannati per lo stupro di 631 ragazzine (Afp)Le foto di otto dei nove uomini condannati per lo stupro di 631 ragazzine (Afp)
MILANO - Centinaia di ragazzine, 631 per l'esattezza, sono state sistematicamente violentate in Inghilterra nel corso degli ultimi cinque anni da una rete organizzata di uomini che le prelevava dalle case di accoglienza per minori. Lo scrive oggi il Times che svela una dimensione molto più grave delle violenze sessuali perpetrate dal gruppo di nove uomini di origine pakistane che martedì sono stati giudicati colpevoli da una corte di Liverpool. Le case di accoglienza per minori, che danno ospitalità a 1800 ragazze, hanno registrato - scrive il Times - 631 casi di adolescenti tra i 12 e i 16 anni "usate" per fare sesso, di cui 187 solo negli ultimi dieci mesi.
UN DRAMMA CHE SI POTEVA EVITARE - Una notizia che ha sconvolto l'Inghilterra. E non solo. Secondo il Times, due di queste ragazzine provenienti dai centri di Manchester e Rochdale sarebbero morte a seguito degli abusi sessuali. Le ragazzine venivano prelevate dai centri, drogate o ubriacate e poi trasportate in giro in appartamenti, locali, pub e taxi di Greater Manchester, Lancashire e West Yorkshire (nord dell'Inghilterra). Una delle vittime ha raccontato che «gli uomini si passavano le ragazze come una palla». Secondo l'accusa, a volte le ragazzine sarebbero state costrette a fare sesso con più uomini in uno stesso giorno. In un caso, una ragazzina di 15 anni è stata costretta a stare in un solo giorno con 60 uomini di origini asiatiche. Le vittime venivano adescate con la scusa di portarle fuori per una pizza o un kebab. Questo dramma avrebbe potuto essere «limitato» e fermato anni fa, se fosse stato dato seguito a una prima denuncia nel 2008 di un responsabile dei servizi di assistenza sociale che aveva parlato di «prove evidenti di sfruttamento sessuale organizzato nelle case di accoglienza per ragazze minori».
LE TESTIMONI NON CREDUTE - Nello stesso periodo la testimonianza di una ragazzina 15enne, che aveva denunciato di essere stata violentata da decine di uomini era stata considerata poco attendibile dalla polizia. Per il processo presso il tribunale di Liverpool la polizia ha interrogato 56 uomini e ne ha arrestati 26. I nove uomini giudicati colpevoli - Adil Khan, Mohammed Amin, Abdul Rauf, Mohammed Sajid, Abdul Aziz, Abdul Qayyum, Hamid Safi e Kabeer Hassanieri - hanno tra i 22 e i 59 anni, otto sono britannici di origine pakistana, un altro è un richiedente asilo afghano. Alcuni di loro si sono difesi dicendo che nel loro paese «è legale fare sesso con ragazzine minorenni». La polizia di Manchester, la procura e i servizi sociali di Rochdale hanno presentato le loro scuse ieri per tutti gli errori che hanno «portato dei bambini a finire nelle mani dei violentatori».
M.Ser.

mercoledì 9 maggio 2012

 
 
 
 
 
“Dalla Grecia un’Alba d’Oro si leva
sull’Europa”

Oristano, 9 maggio 2012

Luca Cancelliere
Non è costume di EreticaMente occuparsi delle vicende dei partiti, dei risultati elettorali e più in generale di tutto quanto concerne la cronaca politica.
Accade però che un evento politico contingente riesca a trascendere la dimensione occasionale delle circostanze di spazio e di tempo sue proprie, per imporsi come manifestazione tangibile e cronologicamente individuata di una visione del mondo, di un’idea metastorica già apparsa nel passato e che si proietta verso l’avvenire. In questo senso, riacquista valore e attualità il vecchio insegnamento secondo cui certi eventi storici, a prescindere dalla consapevolezza degli stessi protagonisti, costituiscono l’irruzione nella realtà storica di verità metafisiche e valoriali assolute.



Si perdoni l’enfasi, ma questo è quanto ci sembra che sia accaduto con la sorprendente affermazione del movimento politico nazionalista “Alba d’Oro” (Χρυσή Αυγή, “Chrysi Avgi”) alle elezioni politiche greche dello scorso 6 maggio 2012 (6,97% dei voti). Il lusinghiero risultato si colloca un contesto di reazione nazionale contro le forze governative che hanno accettato di sottostare alle drastiche e penalizzanti misure finanziarie imposte alla Grecia dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale.
E’ appena il caso di ricordare che la crisi economica che attualmente sta attanagliando non solo la Grecia, ma anche la nostra Italia, è totalmente ascrivibile alle forze mondialiste che controllano la finanza internazionale e la speculazione borsistica.
Queste forze hanno poi imposto alla nazione ellenica, tramite gli organismi sovranazionali da esse controllati, un piano economico e finanziario che ha definitivamente affossato la crescita del prodotto interno lordo, aggravato ulteriormente la crisi del deficit e del debito greci e conseguentemente accresciuto in misura ancora maggiore il potere ricattatorio degli usurai internazionali sul governo di Atene.
Sono le stesse forze che nel tentativo di scardinare l’unità e l’omogeneità etnica delle Nazioni europee, ultimo baluardo della coscienza e della volontà popolare contro il disegno del potere assoluto delle lobbies mondialiste, hanno prodotto l’invasione di massa di milioni di immigrati africani e asiatici sul suolo europeo: in Grecia, la sola forza che ha levato la propria voce contro l’invasione allogena e a tutela dei confini nazionali è stato il movimento “Alba d’Oro”.
Il coraggio e la determinazione di questi uomini ha prodotto il miracolo di un movimento nazionalista, sempre osteggiato tanto dalle oligarchie politiche, finanziarie e mediatiche al potere ad Atene e nel mondo, quanto dai provocatori e teppisti dell’estrema sinistra, in realtà utili idioti e lacchè di quelle oligarchie, che nel giro di tre anni è passato dal 0,29% al 6,97% dei consensi dell’elettorato greco.
Come ogni movimento rivoluzionario, “Alba d’Oro” si identifica plasticamente nella figura del suo Capo, Nicholaos Michaloliakos. Nato nel 1957 e già militare delle forze speciali dell’esercito ellenico, Michaloliakos fu militante in gioventù del “Partito del 4 Agosto” (Κόμμα 4ης Αυγούστου, “Komma 4is Avgoustou”).
Questa formazione, esistita tra il 1965 e il 1977, prendeva il suo nome dal giorno del 1936 in cui avvenne l’instaurazione del regime di Ioannis Metaxas, generale che dal 1936 al 1941 guidò un governo autoritario, nazionalista e sociale in Grecia. A Metaxas va ricondotta la paternità dell’ideale, proprio anche dei nazionalisti greci odierni, della “Terza Civiltà Ellenica” (terza dopo quella della Grecia classica e di Bisanzio).
Incidentalmente, bisogna ricordare che come nel resto d’Europa, anche in Grecia il periodo tra le due guerre vide una fioritura di partiti e movimenti di ispirazione sia nazionalista, sia fascista o nazionalsocialista. Tra questi si ricordino in particolare i seguenti: il “Partito dei Liberi Pensatori” (Kόμμα των Ελευθεροφρόνων, “Komma ton Elefteronsfronon”), fondato dal generale Ioannis Metaxas nel 1922 e capace di ottenere il 15,78% dei voti alle elezioni politiche del 1926; la “Unione Nazionale di Grecia” (Εθνική Ένωσις Ελλάδος, Ethniki Enosis Ellados) fondata nel 1927 a Salonicco da profughi dell’Asia Minore; il “Partito Nazional Socialista greco” (Ελληνικό Εθνικό Σοσιαλιστικό Κόμμα, “Elliniko Ethniko Sosialistiko Komm”, fondato nel 1932; la “Organizzazione Patriottica Nazional Socialista” (Εθνικο-Σοσιαλιστική Πατριωτική Οργάνωσις, "Ethniko-Sosialistiki Patriotiki Organosis") fondata nel 1941 durante l’occupazione italo-tedesca.
Nel 1980, Michaloliakos fondò la rivista “Alba d’Oro”, intorno alla quale cominciò a raccogliersi una embrionale comunità politica.
Questo gruppo aderì nel 1984 alla “Unione Politica Nazionale” (Εθνική Πολιτική Ένωσις, “Ethniki Politiki Enosis”), contribuendo nello stesso anno al miglior risultato elettorale mai ottenuto da questo movimento (2,29% alle elezioni europee).
Dal 1985, Michaloliaakos organizzò i suoi camerati come “Movimento Nazionalista Popolare dell’Alba d’Oro”, registrato nel 1993 come partito politico. Negli anni Novanta e nel primo decennio del XXI secolo, “Alba d’Oro” era uno dei tanti piccoli movimenti della scena nazionalista greca. Tra questi movimenti possiamo ricordare: il “Fronte Nazionale” (Eθνικό Mέτωπο, “Ethniko Metopo”); il “Partito dell’Ellenismo” (Κόμμα Ελληνισμού, “Komma Ellenismou”) e il “Fronte Ellenico” (Ελληνικό Μέτωπο, “Elleniko Metopo”), poi confluiti entrambi nel “Raggruppamento Popolare Ortodosso” nel biennio 2004-2005; la “Linea del Fronte” (Πρώτη Γραμμή, “Proti Grammi”), con cui “Alba d’Oro” collaborò alle elezioni europee del 1999.
Dopo aver collaborato, tra il 2005 e il 2007, con il movimento “Alleanza Patriottica”, “Alba d’Oro” ha riacquistato la propria autonomia e libertà d’azione, affermandosi sempre più come l’unica e irriducibile forza di opposizione nazionale della Grecia, a discapito soprattutto dei nazional-conservatori del “Raggruppamento Popolare Ortodosso” (in greco Λαϊκός Ορθόδοξος Συναγερμός, “Laikós Orthódoxos Synagermós”) che dal 2009 al 2012 sono calati dal 5,63% al 2,9% dei voti.
L’affermazione di “Alba d’Oro” nelle elezioni politiche greche del 2012 è stata un vero e proprio trionfo della volontà di “Alba d’Oro”, oltre che della significativa parte del popolo greco che ha dato fiducia al movimento nazionalista, ottenuta contro preponderanti forze avverse, eterogenee nella loro natura ma tutte di chiara matrice anti-nazionale.
Ricordiamo che il mondo
ellenico, dopo aver lasciato alle nazioni civili l’eredità culturale e spirituale della Grecia classica e di Bisanzio, anche successivamente è stato antesignano dei grandi movimenti dello spirito europeo.
La grande stagione dei risorgimenti nazionali del diciannovesimo secolo, preparata dall’elaborazione culturale dei grandi autori del romanticismo europeo e culminata con le riunificazioni italiana e tedesca, si aprì proprio con la Guerra d’Indipendenza greca (1821-1832).
Il Risorgimento ellenico, cui contribuirono in alcune occasioni anche i nostri volontari garibaldini, era animato dalla dottrina della “Grande Idea” (Μεγάλη Ιδέα, “Megali Idea”), come fu chiamato il progetto di includere tutte le popolazioni greche dei Balcani, dell’Asia Minore, di Creta, di Cipro e delle isole minori in un grande Stato unitario, con Costantinopoli capitale al posto di Atene.
I nazionalismi europei dei primi due decenni del ventesimo secolo, dal cui incontro con le correnti sindacaliste rivoluzionarie e socialiste scaturirono le grandi rivoluzioni nazionali europee degli anni Venti e Trenta, ebbero una delle sue prove fondamentali nelle Guerre Balcaniche del 1912-13, in cui la Grecia ebbe un ruolo centrale. Anche in questo 2012, pertanto, salutiamo la nuova “Alba d’Oro” che dalla Grecia si leva sull’Europa, fiduciosi che l’esempio dei patrioti greci venga seguito dai patrioti italiani e di tutto il continente europeo.
Luca Cancelliere
http://www.ereticamente.net/2012/05/dalla-grecia-unalba-doro-si-leva.html