mercoledì 14 marzo 2012

FRANCIA 2012: MARINE LE PEN È IN CORSA PER L’ELISEO






Marine Le Pen parteciperà alle elezioni presidenziali in Francia. La leader dell’ultradestra francese ha infatti vinto la corsa contro il tempo e, a tre giorni dalla fine del tempo utile, ha ottenuto gli ultimi sostegni politici necessari per ufficializzare la sua corsa all’Eliseo. La Le Pen, forte nei sondaggi, che le accreditano un 16-18% di voti, sarà al primo turno del 22 aprile. Come tutti gli aspiranti alla presidenza, anche Marine Le Pen aveva l’obbligo di raccogliere 500 «patrocini», le firme cioè di 500 sindaci di tutta la Francia.
Fino allo scorso fine settimana gliene mancavano ancora quindici. La scadenza era fissata a venerdì prossimo, 16 marzo, ma per lei oggi è fatta. «La mia presenza alle elezioni è il risultato di una lunga battaglia. Milioni di cittadini possono ricominciare a sperare», ha detto la leader del Fronte Nazionale oggi a Lille. Da mesi accusava «i grandi partiti» di fare pressione sui sindaci per tenerla fuori dalla corsa elettorale.
Dopo aver ottenuto il mediatico appoggio dell’ex attrice Brigitte Bardot, irriducibile animalista, la Le Pen è dovuta ricorrere ad una società di televendite per pervenire al suo scopo, così come aveva fatto nel 2007 suo padre, Jean-Marie Le Pen, fondatore e storico leader del Fronte Nazionale. All’epoca la fattura era stata salata, ben 800.000 euro, ricorda oggi Le Monde.
Come faceva suo padre sin dal 1988, Marine Le Pen ha mantenuto la suspense sulle firme fino all’ultimo, contestando la legge francese che obbliga i politici firmatari a dichiararsi pubblicamente. Il Consiglio di stato, al quale aveva fatto ricorso, le aveva però dato torto. Il nodo è stato sciolto proprio nel momento in cui, per la prima volta, i due favoriti nella corsa all’Eliseo, Nicolas Sarkozy e Francois Hollande, hanno dichiarato che non sarebbe stato positivo che la Le Pen fosse rimasta fuori dalla corsa pur rappresentando la terza forza politica in Francia.
Da un sondaggio Opinion Way di ieri è emerso che anche una grande maggioranza di francesi (63%) ritiene che l’assenza della Le Pen sarebbe stata «grave per la democrazia». Proprio oggi, per la prima volta, un sondaggio ha annunciato il sorpasso del presidente Sarkozy sullo sfidante socialista, finora sempre in testa. (ANSA).

Tasse, l'allarme della Cgia: "Pressione reale al 54,4% Vola con l'aumento dell'Iva"


Il fardello delle tasse supera il 45%. Ma la Cgia di Mestre lancia l'allarme: "Nel 2012 la pressione schizzerà al 54,4%". La Corte dei Conti: "È troppo per i cittadini fedeli"



tasse


Il peso delle tasse punta a superare il 45%". Durante l'audizione alla commissione Bilancio di Montecitorio il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino ha lanciato l'allarme legato alla pressione fiscale accusando il sistema in vigore in Italia di essere disegnato "in modo da far gravare un carico sui contribuenti fedeli eccessivo". Sulla spinta dell’emergenza le manovre di aggiustamento varate nel 2011 hanno operato, a detta del presidente dei magistrati contabili, "sull’aumento della pressione fiscale piuttosto che sulla riduzione della spesa". Non solo. Se nel 2012 la pressione fiscale ufficiale è prevista al 45%, quella reale, qualora fosse confermato l’ulteriore aumento dell’Iva previsto per il prossimo autunno, dovrebbe toccare il 54,5%. "Un record che, purtroppo, non ha eguali al mondo", ha spiegato il segretario della Cgia di Mestre , Giuseppe Bortolussi.

A Montecitorio Giampaolino ha lanciato un chiaro appello al presidente del Consiglio Mario Monti affinché; una volta attenuatesi le condizioni di emergenza, si apra lo spazio ad una riduzione della pressione fiscale in modo da aiutare il rilancio dell’economia senza, tuttavia, comprometta l’equilibrio di bilancio. Per il numero uno della Corte dei Conti, è "necessario lavorare con tenacia e determinazione alla riduzione della spesa". Sempre salvaguardando, per quanto possibile, quella sua parte che ha effetti benefici sulla propensione alla crescita. La Banca d’Italia, per esempio, prevede che il calo del differenziale tra i Btp e i Bund tedeschi alla quota psicologica di 200 punti determinerà un aumento di un punto della crescita del prodotto interno lordo. "Questo da solo sarebbe sufficiente a determinare entrate fiscali aggiuntive di importo pari a quelle attese dal previsto innalzamento di due punti dell’aliquota Iva ordinaria - ha sottolineato Giampaolino - cioè risorse equivalenti a quelle necessarie per aumentare di circa un quarto la spesa per investimenti fissi delle pubbliche amministrazioni".

Più in generale il presidente della Corte dei Conti ha fatto notare che, se la crescita del pil dovesse assestarsi all’1% e il bilancio tornare in pareggio, nel giro di vent’anni il debito pubblico dovrebbe scendere al 65% del prodotto raggiungendo gli obiettivi dati dall'Unione europea. "Scartato" l’elevato livello raggiunto un aumento del prelievo ed essendo "impraticabile" una riduzione dello stesso per crescere resta solo "una redistribuzione del carico impositivo". Giampaolini ha, tuttavia, sottolineato che c'è "una elevata pressione fiscale" in Italia rispetto all’Europa e "una distribuzione del prelievo che penalizza i fattori produttivi rispetto alla tassazione dei consumi e dei patrimoni, una dimensione dell’evasione fiscale che colloca il nostro paese ai vertici delle graduatorie europee".

http://www.ilgiornale.it/interni/fisco_corte_contile_tasse_oltre_45/pressione_fiscale-contribuenti-crescita-tasse-corte_conti/13-03-2012/articolo-id=577162-page=0-comments=1





14 Marzo 1947 – In ricordo di Franco De Agazio.



Il Partito Democratico Fascista poteva disporre, a Milano, di un giornale rigorosamente clandestino, “Lotta Fascista”, considerato il migliore tra i fogli di propaganda dei reduci della Repubblica Sociale Italiana. Migliore per cura grafica e soprattutto per il formato, piegato in due.
Il giornale veniva distribuito nei bar frequentati da ex repubblichini, e lasciato sulle poltrone dei cinema. A Roma, invece, sorsero numerosi fogli di propaganda ma destinati ai soli fascisti. Le pubblicazioni romane tirarono una media di cinquemila copie per ogni testata, molto diversi da “Lotta Fascista”.
Oltre ai fogli clandestini vi erano anche le riviste autorizzate. La più antica, Meridiano d’Italia, autorizzata nell’agosto del 1945 con il sottotitolo “Settimanale politico della produzione e del lavoro” e distribuito per la prima volta a Milano il 9 febbraio del 1946.
Un settimanale che si soffermava, con scrupolo, sulle pagine oscure di chi aveva sabotato il sacrificio di coloro che avevano risposto alla chiamata della Patria, di chi aveva approfittato delle drammatiche emergenze connesse al dopoguerra per lucrare in proprio. Direttore ed editore della rivista fu Franco De Agazio, giornalista e scrittore di alto profilo intellettuale e umano, ex giornalista della Stampa durante la Repubblica Sociale Italiana e liberato dal carcere di San Vittore grazie all’amnistia di Palmiro Togliatti.
Meridiano d’Italia si avvicinò alle posizioni del Movimento Sociale Italiano subito dopo la nascita del partito, nel dicembre del 1946. Il nipote, Franco Maria Servello, fu caporedattore fino al 1961, data che sancì definitivamente la fine delle pubblicazioni. Insegnante, giornalista professionista, Consigliere Comunale di Milano e di Vigevano, Deputato e Senatore dal 1958. Il passaggio di guardia, tra zio e nipote, avvenne in modo tragico. La sera del 14 marzo 1947 mentre rincasava in via Strambio 5 a Milano, Franco De Agazio fu freddato sulla porta di casa da un colpo di arma da fuoco da un commando della Volante Rossa.
In realtà si trattava di una vera e propria organizzazione criminale formata da ex partigiani comunisti e operai che ritenevano opportuno proseguire la Resistenza Italiana, insanguinando con le loro azioni il territorio del Nord Italia. L’omicidio di Franco De Agazio suscitò vasto eco nel Paese. La rivista Meridiano d’Italia, parlò di secondo delitto Matteotti. Alla camera un’interrogazione dell’Onorevole Benedetti del Partito Liberale Democratico, accese un vivace dibattito, dove il Ministro degli Interni, Scelba, si limitò a dare una risposta di circostanza.
Il 29 ottobre dello stesso anno, un altro gruppo di ex partigiani devastò la redazione di Meridiano d’Italia in via Cerva a Milano. Franco Maria Servello decise di trasferire la sede del giornale a Roma per qualche mese. Il Direttore Franco De Agazio fu giustiziato per essersi avvicinato a delle verità troppo scomode. Per aver individuato i responsabili di rapine, violenze e omicidi commessi in nome dell’ideologia antifascista imperante e con la protezione del Partito Comunista Italiano.
Per aver smascherato l’identità di Walter Audisio, conosciuto come il compagno “Valerio” che freddò Benito Mussolini sul lago di Como. Per essersi posto gli interrogativi su chi ordinò la fucilazione di Benito Mussolini e l’assassinio di Claretta Petacci. Quale organo giudiziario emise la sentenza di morte. Per dare una risposta a quei misteri, Franco De Agazio, si lanciò in una serie di coraggiose e sensazionali inchieste pubblicate sulla sua rivista. In particolare affrontò anche il discorso della sparizione dell’oro di Dongo.
Mentre la colonna di mezzi fascisti, con a bordo valori e preziosi, era in marcia lungo le rive del lago di Como alla fine dell’aprile del 1945, un gruppo di partigiani bloccò la strada sequestrando la merce e facendo perdere ogni traccia. Probabilmente fu quest’ultima inchiesta a segnare la sorte di Franco De Agazio. In occasione del quinto anniversario della scomparsa, durante la manifestazione commemorativa, il Maresciallo Rodolfo Graziano, consegnò personalmente una fotografia alla signora Rosina De Agazio, vedova del giornalista e fondatore del periodico.
In primo piano, il Viceré di Etiopia, in alta uniforme durante una nevicata sulle Alpi Occidentali nel 1945. Quella che rese unica fu la dedica vergata, con inchiostro di colore verde e firmata dallo stesso Graziani: “ Alla Signora Rosina De Agazio nella ricorrenza del supremo sacrificio dell’uomo che fu esempio di fede e di coraggio supremi. Roma, Marzo 1952”.
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martedì 13 marzo 2012

PRENDETELA A POMODORI 

13 mar 2012


Oggi Angela Merkel viene a Roma. Monti farà l’inchino, speriamo tutti di non fare la fine della Costa Concordia.
Questa donna non la sopportiamo proprio, pretende di dettarci le regole su come si vive e ogni volta che i nostri governanti la incrociano ci viene da tremare al solo pensiero di che cos’altro può succedere.
A palazzo Chigi le faranno vedere qualche cartuccella, per dimostrare alla padrona d’Europa che gli italiani sono brava gente e non imbrogliano. Non le faranno vedere la sofferenza della gente, non le parleranno delle vessazioni a cui e’ sottoposto un popolo a cui e’ stato inflitto un nugolo di imposte mai viste, la rassicureranno che Monti farà il suo dovere di tassator cortese.
Sarebbe da svaligiare le frutterie del centro storico della Capitale e prenderla a pomodori. Questa signora arrogante che ha bisogno di dimostrare quanto conta ai tedeschi che la vorrebbero cacciare dal governo, pretende che noi si viva i prossimi vent’anni esattamente come la Grecia, nella miseria e a colpi di ristrettezze inflitte dagli eurocrati di Bruxelles in accoppiata con i banchieri di Francoforte.
Sabato 3 marzo, in decine di migliaia abbiamo rappresentato un’Italia che non ci sta a questo modello europeo: un immenso fiume tricolore ha detto no agli ordini dell’Europa. Nonostante questo, Monti insiste e spinge, per far contenta la Merkel, sulla rapida approvazione e ratifica del fiscal compact, il patto di bilancio maledetto con cui l’Europa ci imporrà due decenni di finanziarie a colpi di una quarantina di miliardi d’euro l’anno.
Noi vogliamo, come accadde anni fa per altri trattati europei, una legge che consenta agli italiani di pronunciarsi con un referendum sugli accordi infami sottoscritti dal premier. Se siete convinti di avere consensi tra gli italiani, non ne abbiate paura. State scodellando al popolo l’Ems, il cosiddetto meccanismo europeo di stabilità che punta a soggiogare nazioni e parlamenti. Noi non ci stiamo e vi combatteremo, signori banchieri.
E a un partito che si fregia della parola popolo nel suo nome identitario, diciamo che non c’e’ bisogno di cambiarlo: e’ sufficiente onorarlo.

lunedì 12 marzo 2012

IN MEMORIA DI ANGELO MANCIA 12-03-1980 / 12-03-2010

30 ANNI SENZA GIUSTIZIA!!!

Roma, 12 Marzo 1980
Una data impressa a fuoco, nella lunga e travagliata storia della nostra repubblica. Il luogo è questo: una strada qualunque della periferia nord di Roma, la Bufalotta. Un cancelletto di acciaio bianco socchiuso e un muretto.

12-03-‘80
Angelo Mancia esce di casa alle 8.20 del mattino, per andare a lavorare al “Secolo d’Italia”, dove lavorava come dipendente. Sta per salire sul motorino ma basta un colpo d’occhio. Anni di piombo, si vive nell’inquietudine, qualcosa non va: c’è un furgone bianco davanti al portone, lo sportello si apre, escono due tizi vestiti da infermieri. Sono (si scoprirà poi) di un gruppo mai sentito prima, “Compagni organizzati in volante rossa”. Hanno passato la notte chiusi nel pullmino, con cui si allontaneranno, dopo l’azione, per passare poi a una Mini Minor rossa, darsi alla fuga, dissolversi nel nulla. Intanto Angelo pensa: forse ce la faccio. Forse ce la posso ancora fare …

Angelo era figlio di una famiglia di piccoli commercianti, e se non avesse sentito l’irresistibile richiamo della giungla della politica, probabilmente avrebbe realizzato uno dei suoi desideri, cioè aprire un negozio di alimentari nel quartiere. Era tifoso sfegatato della Lazio, seguiva sempre la squadra, quando poteva anche in trasferta. A ventisette anni, come gli ripete la madre, “è senza arte né parte”. Ma è un militante vero. E’ l’immagine di un ragazzo temerario, un po’ guascone, ma che quando accompagna Almirante in giro per l’Italia si presenta come “Angelo, della sezione Talenti, la mejo de Roma”. Un giovane appassionato e irruento. Amato e rispettato dai suoi camerati, inviso e temuto dagli autonomi che fanno riferimento al Collettivo di Val Melaina. E proprio loro, a seguito del barbaro omicidio di Valerio Verbano da parte dei NAR, decidono di vendicarsi su Mancia. Chiunque sia il vero assassino, per una sorta di responsabilità territoriale, è Angelo a finire nel mirino della sinistra extraparlamentare, anche se ovviamente non c’entra niente.

12-03-‘80
L’unica cosa che gli viene in mente, ad Angelo, è tirargli addosso il motorino. E infatti il Benelli vola contro gli aggressori. Il primo colpo, a vuoto, infrange una vetrina.

Ma Angelo non era uno che si può raccontare con le categorie di oggi. Era uno unico, diverso, un camerata che non aveva paura di nulla, ma non certo un insensibile. Sono i ricordi di chi l’ha conosciuto. Di chi con lui, tre giorni prima che l’ammazzassero, stava cenando in una pizzeria. E la mente riporta alla luce l’attentato a Verbano e che i comunisti avevano deciso che quello da far fuori era lui. La sezione Talenti letteralmente ricoperta di scritte, insulti, minacce di morte di cui la più tenera era qualcosa del tipo: “Mancia è giunta la tua ora, ti ammazzeremo come un cane”. Il suo amico era preoccupato davvero e lo pregò: “Ma che fai, non ti proteggi? Stai attento!” E lui: “Mannò, non è niente … Io nun c’ho paura”. Ma verso la fine della cena, complici due o tre bicchieri, guardando il suo amico in faccia, con una strana luce negli occhi, invece di tranquillizzarlo, all’ennesima insistenza, gli chiese: “Ma tu che dici? Noi fascisti, quando moriamo dove annamo a finì? All’inferno o in paradiso?” In questi anni non c’è tempo nemmeno per i morti, figuriamoci per i vivi; eppure spesso sopravvivere è più difficile che morire.

12-03-‘80
Una pallottola ce l’hai già nello stomaco, la seconda ti perfora il torace, ma sei vivo. Allora corri zoppicando verso il portone, basterebbe un momento: ma mentre lo pensi arriva un altro proiettile e ti schianta a terra. Manca poco.

I “Compagni organizzati in volante rossa” furono una sigla pressoché sconosciuta agli inquirenti. Le loro tracce sono labili e incerte, se non addirittura misteriose. Ebbero il loro triste battesimo del fuoco nel 1979, con un attentato in cui sono rimasti gravemente feriti un medico missino e suo figlio. Il 7 maggio 1980 hanno colpito ancora, stavolta con un attentato dinamitardo contro la tipografia Alternativa, la stessa dove si stampa –oltre a diversi periodici socialisti e democristiani- il Secolo d’Italia. Il 9 marzo dello stesso anno, attaccano i locali della famosa sezione di via Sommacampagna, quella di Teodoro Bontempo, Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri. Se i due futuri dirigenti e l’ex presidente di An sono ancora vivi si deve a una pura coincidenza. Un militante è entrato in un ripostiglio per prendere un barattolo di colla e si è ritrovato davanti a un ordigno ad orologeria collegato a sei chili di polvere da mina. Poteva essere una strage. Il 13 marzo un altro attentato, stavolta contro il redattore capo del Secolo d’Italia e un’altra strage evitata per miracolo. Il 2 settembre i terroristi fanno saltare per aria anche la libreria Europa, il cuore editoriale della corrente rautiana. Poi più niente. Venti mesi di attentati pianificati con cura meticolosa e attenta graduazione degli obiettivi, per poi sparire senza lasciar tracce, come volatilizzati nel nulla.

12-03-‘80
In terra un lago di sangue. Tendi la mano verso il portone, ti manca il fiato, non ce la fai. Uno dei due killer ti arriva alle spalle, la pistola in mano. Solo un colpo alla nuca, poi il buio. Contro il corpo sono stati esplosi sei colpi di pistola calibro 7,65 che, rivelerà l’autopsia, sono andati tutti a segno. L’ultimo è stato quello di grazia. L’attentato viene rivendicato da una telefonata a la Repubblica: “Qui Compagni organizzati in volante rossa. Abbiamo ucciso noi il boia Mancia”.

Un boia? No! Nella memoria di chi lo conosceva, un puro, d’animo e di cuore. Uno che non guardava in faccia a nessuno. Un leader vero. Un capo che ti motivava e che scendeva per primo nelle strade a lottare per un ideale. Un ragazzone buono ma determinato. Era una tigre, e non a caso in quei giorni, in cui spopolava sui teleschermi “Sandokan”, se ne uscì con un gigantesco bandierone sulla sua 500, con scritto sopra: MANCIOKAN. Era così Angelo.

Il giorno del funerale di Mancia, dopo la cerimonia, si verificano incidenti per le strade del centro cittadino: restano ferite dodici persone. Il partito è un calderone ribollente di rabbia. Il cadavere è ancora caldo, la piazza ancora una volta piena, il comizio di Giorgio Almirante incandescente: “Al bestiale e blasfemo urlo dei barbari noi opponiamo le grida degli uomini forti e vivi che per ogni caduto sono pronti a combattere nel tuo nome, Angelo, con il metodo della libertà, per la libertà."

Oggi, nel trentennale della morte di Angelo Mancia, quelle parole non si sono asciugate nell’inchiostro di un manifesto o nel rito della commemorazione. E’ un epigrafe che diventa grido, urlo. Contro un martirio che da trent’anni aspetta risposta. Che non ha giustizia. Perché nessuno verrà mai arrestato, nessuno verrà mai indagato o processato. Nessuno si pentirà mai o parlerà. Eppure chi fossero gli assassini era chiaro a tutti. Avevano firmato perfino un manifesto il giorno seguente il vile attentato, con cui vigliaccamente avevano tappezzato il quartiere. Eppure le autorità non fecero niente. Ma noi non dimentichiamo, e nella nostra memoria è inciso come segno indelebile, l’esempio del suo estremo sacrificio. E allora una piccola rivincita, doniamogliela noi, col cuore puro. Perché a trent’anni di distanza e per mille anni ancora, leviamo sempre forte quella voce, che senta bene fra le stelle, che chi cade combattendo non muore mai:

“CAMERATA ANGELO MANCIA … PRESENTE!”
 
 
http://quadrarocinecitta.blogspot.com/2010/03/in-memoria-di-angelo-mancia-12-03-1980.html

domenica 11 marzo 2012

L’eroe che salvò Padova dalle bombe. Il pilota della Rsi Giovanni Boscutti

Gianfranco de Turris, L’eroe che salvò Padova dalle bombe. Il pilota della Rsi Giovanni Boscutti nel ’44 fronteggiò con la sua squadriglia di 38 aerei ben 300 velivoli alleati. Un attacco suicida che impedì la distruzione della città e una strage. Ma c’è chi lo disprezza, in «Il Giornale», 23 aprile 2010.





Un mese fa l’Anpi di Roma ha denunciato per «apologia di fascismo» un gruppo di persone che al sacrario della Rsi di Nettuno hanno deposto una corona di alloro con un nastro tricolore e la scritta «il mio onore si chiama fedeltà». In precedenza esponenti della Cgil, del Pd e, ahinoi, anche di An «vicini a Fini» (così si è letto), hanno protestato perché nel programma di storia del quinto anno dei nuovi licei dedicato allo «studio dell’epoca contemporanea» si parla di formazione e tappe dell’Italia repubblicana» ma non si citano esplicitamente le parole «resistenza» e/o «movimento di liberazione»: non che il loro studio sia stato escluso, ci mancherebbe, ma non si citano esplicitamente i nomi. «Volevo contribuire ad una sorta di pacificazione lessicale» ha affermato il professor Sergio Belardinelli, docente di sociologia della cultura dell’ateneo di Bologna. Buona intenzione, però subito rimangiata. Dunque, le cose stanno purtroppo ancora così e dopo le fatidiche affermazioni sul «Male assoluto» dell’attuale presidente della Camera e della sua scoperta che «l’antifascismo è un valore», appena un anno e mezzo fa, le cose a 65 anni dalla fine della guerra mondiale e civile diventano sempre più difficili e complicate. La «pacificazione nazionale» non avverrà mai se i «buoni» continueranno ancora e sempre ad essere da una parte ed i «cattivi» dall’altra per principio e per definizione. Ancora oggi i «militari combattenti» superstiti della Rsi che non si macchiarono di alcun crimine specifico se non quello di essere stati «dalla parte sbagliata», sono privi di una minima pensione e non hanno mai visto restituite le medaglie che si meritarono per i loro atti di valore nel 1943-1945 (una proposta di legge in questo senso non è stata mai portata avanti, ovviamente, per le proteste dell’Anpi ecc. ecc.). Furono dunque dei «traditori», dei «servi dei nazisti», dei «responsabili morali dell’olocausto». Una condanna generica. Vediamo di approfondire la questione parlando specificatamente di una forza armata, l’Aviazione Repubblicana, e poi pensiamoci un attimo su. Molte lacrime si sono sparse sul recente libro dal romantico titolo Le ali del mattino di Thomas Childers (Mursia) che narra la tragica vicenda dei coraggiosi membri dell’equipaggio dell’ultimo bombardiere americano che ebbe la disgrazia di essere abbattuto sulla Germania il 21 aprile 1945: evidentemente nei successivi 15 giorni, sino alla fine della guerra, non ne furono colpiti altri a dimostrazione che gli aerei alleati potevano indisturbati spargere morte sulle città tedesche ormai sostanzialmente indifese. Si trattò di sfortunati eroi che combattevano per la democrazia. Veniamo ad altri aviatori. Ad esempio, Giovanni Battista Boscutti, pilota dell’Aeronautica Repubblicana, abbattuto l’11 marzo 1944 mentre con il suo caccia Macchi 205 Veltro cercava di contrastare i bombardieri alleati. La sua squadriglia, l’«Asso di Bastoni» comandata dal capitano Visconti (ucciso dai partigiani a Milano che gli spararono alle spalle dopo il 25 aprile come ha raccontato di recente Giampaolo Pansa), 38 aerei con quelli tedeschi, si alzò contro 300 fortezze volanti giunte per bombardare a tappeto Padova: uno contro dieci dunque, quasi certi di morire. La sua storia, e la storia del ritrovamento dei resti suoi e del suo velivolo, sono raccontate da Madina Fabretto in Con tutte le mie forze con allegato un CD del gruppo musicale «La Compagnia dell’Anello» che ha composto una canzone in suo ricordo e onore (il volume è stato sponsorizzato dalla Provincia di Padova, alla quale si può richiedere). Ebbene: Boscutti fu un lacché di Hitler, un traditore della Patria, un rappresentante nel suo piccolo del «Male assoluto», oppure un vero eroe, disinteressato e misconosciuto, che si sacrificò consapevolmente, come quasi tutti i piloti da caccia della Rsi, per contrastare i bombardamenti terroristici alleati sulle città italiane del Nord, certo non obiettivi militari, che fecero decine di migliaia di morti? Nessuno osa raccontare la loro storia e quella del capo di Stato Maggiore della AR, Beppe Baylon, asso della guerra di Spagna, che ai suoi superiori chiese soltanto aerei da caccia per contrastare gli attacchi dei Liberators su paesi e città, e non bombardieri per colpire le truppe nemiche. Cosa furono allora questi militari? Come definirli dopo 65 anni? Come parlarne nei libri scolastici? Come trattare i superstiti? Mi piacerebbe una risposta da parte soprattutto dei politici, in specie quelli sui più alti scranni, che soltanto a parole cercano una «riconciliazione nazionale». E sapere anche se queste affermazioni significano fare dell’esecrato revisionismo revanscista, o magari addirittura apologia di fascismo, per cui venire denunciati e nei cui confronti è necessaria una levata di scudi del nuovo «arco costituzionale» che va dalla sinistra radicale ai finiani.  

 

sabato 10 marzo 2012

NO ALL'EUROPA DELLA FINANZA E DELLE BANCHE SI ALLEUROPA DELLE TRADIZIONI E DELLA SUA STORIA E CULTURA MILLENARIA



Olanda, l’estrema destra chiede un referendum
per uscire dall’Euro


Uno studio dimostrerebbe che i cittadini olandesi perdono 2700 euro l'anno dall'adozione della moneta unica. Ma lo studio, secondo la stampa, fa acqua da tutte le parti. Tuttavia lo strappo minaccia non solo l'integrità dell'Euro ma anche la stabilità dell'Olanda, chiamata a tagli per 16 miliardi di euro. E i referendum euroscettici si moltiplicano in Europa
Geert Wilders, leader del partito di estrema destra Pvv
 
“Se Herman van Rompuy pensa che l’euro sia sexy, noi al contrario pensiamo che il fiorino sia sexy”. Parole che se non fossero dette con la proverbiale serietà di Geert Wilders, leader dell’estrema destra in Olanda, farebbero quasi ridere. Ma da sorridere c’è poco visto che Wilders ha chiesto un referendum popolare contro l’euro per tornare alla moneta nazionale, il fiorino olandese. Una cosa è certa: l’esito di una consultazione popolare in Olanda, oggi come oggi, potrebbe riservare davvero una brutta sorpresa per l’Europa e la sua quasi ritrovata stabilità finanziaria.

Sventolando uno studio di 25 pagine dal titolo emblematico, The Netherlands and the Euro, Wilders non ha dubbi: “L’Euro è un progetto fallito”. Questo perché, secondo il report, “i benefici legati alla moneta unica ammonterebbero a circa 800 euro l’anno per ogni cittadino olandese, mentre gli svantaggi sarebbero di ben 2.700 euro”, complici soprattutto i “127 miliardi di euro” che lo studio stima essere “lo sforzo sostenuto dall’Olanda per salvare Paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo”, una pillola che al cittadino medio olandese non va proprio giù. E non è finita. Per Wilders, l’introduzione dell’euro ha rallentato la crescita economica e ha ridotto i consumi nel Paese. “Uscire dalla moneta unica ci costerebbe 51 miliardi di euro il primo anno, ma questa cifra sarebbe più che compensata dai 125 miliardi di euro che l’Olanda dovrà pagare, tra il 2012 e il 2015, per salvare i partner indebitati”.

Ma a ben guardare lo studio di Wilders fa acqua da tutte me parti. Almeno secondo il quotidiano olandese De Volkskrant, che definisce il rapporto “tendenzioso”, dal momento che l’istituto “non ha saputo fugare i dubbi iniziali sull’imparzialità dello studio”. Il quotidiano aggiunge che il rapporto “non è abbastanza convincente nel dimostrare i vantaggi di un ritorno al fiorino”. “Scarse”, inoltre, “le informazioni sui costi legati all’uscita dall’eurozona”, come “gli effetti negativi sulle esportazioni e sulla crescita economica”.

E poi va fatta un’altra precisazione. Lo studio in questione è stato commissionato alla società britannica Lombard Street Research, già autrice di studi per altri partiti euroscettici, lo scorso autunno, quando l’Euro si trovava sotto forte pressione. Inutile aggiungere che commissionare uno studio sull’Euro ad una società di ricerca britannica con sede al 30 di Watling Street, nel cuore della City di Londra, non è esattamente il primo indice di affidabilità. E sì che Wilders non dovrebbe avere uno stretto feeling con il Regno Unito, almeno da quando, il 10 febbraio 2009 è stato “bandito” dalla Gran Bretagna dall’allora Segretario di Stato per gli Affari Interni Jacqui Smith per le sue e posizioni estremiste e razziste. “La sua presenza avrebbe potuto accendere tensioni tra le nostre comunità e portare a scontri religiosi”, era stata la posizione ufficiale della Corona.

Sta di fatto che oggi Wilders “la tensione” la porta nel cuore dell’Europa, solo qualche giorno dopo l’approvazione a Bruxelles del faticoso fiscal compact, il nuovo patto di bilancio dell’Unione. E questo non solo perché il referendum olandese potrebbe portare a risultati indesiderati per l’Euro stesso, ma perché la spaccatura di Wilders potrebbe costituire un problema per il governo olandese, costretto in questi giorni ad approvare una manovra finanziaria non facile. L’Olanda, entrata in recessione a gennaio, deve tagliare il suo deficit che per quest’anno si assesta al 4.5%, e nel 2015 al 3,3%. Se queste cifre fossero confermate, non centrerà il target del 3% il prossimo anno, come fissato da Bruxelles. Ecco che la maggioranza di destra guidata dal Premier Mark Rutte deve operare un taglio di bilancio di 16 miliardi di euro. Questo non solo per rispettare le provvisioni del fiscal compact, ma anche per difendere la tripla A di rating, insieme a Germania e Finlandia.

E piaccia oppure no, il Partito della Libertà (Pvv) di Geert Wilders conta eccome, visto che con i suoi 24 deputati (su 150) sostiene da esterno il Governo formato dai liberali del Vvd e dai democristiani della Cda. Il Primo ministro, Mark Rutte, cerca di riassicurare gli animi (e i mercati): anche se i negoziati “saranno difficili, c’è la volontà di raggiungere un accordo”.

Di sicuro, anche se riuscirà a mantenere la maggioranza in parlamento, probabilmente grazie all’appoggio dell’opposizione, così com’è accaduto in Germania per il voto sul fiscal compact, il Governo dovrà poi vedersela con un’opinione pubblica in subbuglio (disoccupazione record del 6%) in caso il referendum sull’Euro si facesse davvero. Un rischio, quello del referendum “euroscettico” che sta sbocciando in tempi diversi in più parti d’Europa, dall’Irlanda (sul fiscal compact), alla Francia (ritorno al franco chiesto da Marine Le Pen), passando per il Regno Unito (per uscire addirittura dall’Ue) e la Grecia (sulle misure di austerità imposte dalla Troika). Insomma, almeno su questo Wilders non è da solo.