Quella ricetta di Mussolini che salvò l'Italia dalla crisi
Nel nuovo libro di Vespa vengono analizzate in chiave attuale le misure che il Duce introdusse per tirare fuori il Paese dal baratro. Molte sarebbero d'esempio anche oggi
Nel nuovo libro di Vespa vengono analizzate in chiave attuale le misure che il Duce introdusse per tirare fuori il Paese dal baratro. Molte sarebbero d'esempio anche oggi
Per farvi fronte, non volendo rinunciare alla parità aurea nonostante la svalutazione del dollaro e della sterlina, Mussolini fu costretto in cinque anni a dimezzare le riserve d’oro della Banca d’Italia. Gli inasprimenti fiscali raggiunsero il picco nel 1934 con l’aggravio delle imposte sugli scambi e sulle successioni. Fu lì che il Duce disse «basta», con una frase che suonerebbe ancor oggi di notevole buonsenso: «La pressione fiscale è giunta al suo limite estremo e bisogna lasciare per un po’ di tempo assolutamente tranquillo il contribuente italiano e, se sarà possibile, bisognerà alleggerirlo, perché non ce lo troviamo schiacciato e defunto sotto il pesante fardello ». (...) La diffusione delle biciclette e delle tramvie extraurbane aveva favorito il pendolarismo tra campagna e città, cosicché si formò una potenziale nuova classe lavoratrice che i sindacati cercarono di arginare, difendendo gli operai urbani. I sindacati fascisti chiesero la riduzione dell’orario lavorativo settimanale a 40 ore a parità di salario: l’Italia fu il primo paese al mondo a introdurre tale misura fin dal 1934, una scelta così avanzata che è ancora in vigore quasi ottant’anni dopo. (…)
Nel 1933 il regime modificò radicalmente il sistema assicurativo pubblico creando l’Istituto nazionale fascista della previdenza sociale (Infps), dotato di gestione autonoma. Prima della fine del decennio, furono approntati diversi ammortizzatori sociali,come l’assicurazione contro la disoccupazione, gli assegni familiari e le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a orario ridotto. Per compensare i sacrifici chiesti ai lavoratori e alle loro famiglie con le riduzioni salariali, il regime predispose «una serie di servizi sociali e di possibilità ricreative, sportive, culturali, sanitarie, individuali e collettive, sino allora sconosciute o quasi in Italia e che influenzarono largamente il loro atteggiamento verso il fascismo e soprattutto quello dei giovani che più ne usufruirono». (...) In un paese ancora povero, in cui pochissimi bambini potevano permettersi le vacanze al mare, fu provvidenziale l’istituzione delle colonie estive, i cui ospiti passarono da 150mila nel 1930 a 475mila nel 1934. Nel 1926, un anno dopo la sua costituzione, l’Opera nazionale dopolavoro contava 280mila iscritti, che un decennio più tardi erano saliti a 2 milioni 780mila, per raggiungere i 5 milioni alla vigilia della seconda guerra mondiale: quasi il 20 per cento dell’intera popolazione italiana. Gli aderenti godevano di alcune forme di assistenza sociale integrativa oltre a quella ordinaria, della possibilità di fruire di sconti e agevolazioni e, soprattutto, di partecipare a una lunga serie di attività sportive, ricreative e culturali.
Agli adulti la tessera del dopolavoro dava diritto a forti sconti su ogni tipo di svago: dai cinema ai teatri, dai viaggi alle balere, dagli abbonamenti ai giornali alle partite di calcio. Tutti, iscritti e non, avevano diritto se bisognosi- alla refezione scolastica, a libri e quaderni gratuiti,all’accesso a colonie marine, ai campeggi estivi e invernali, all’assistenza nei centri antitubercolari. (...) Rexford Tugwell, l’uomo più di sinistra dell’amministrazione americana, pur collocandosi ideologicamente agli antipodi del fascismo, riconosceva che il regime stava ricostruendo l’Italia «materialmente e in modo sistematico. Mussolini ha senza dubbio gli stessi oppositori di Roosevelt, ma controlla la stampa e così costoro non possono strillare le loro fandonie tutti i giorni. Governa un paese compatto e disciplinato, anche se con risorse insufficienti. Almeno in superficie, sembra aver compiuto un enorme progresso. Il fascismo è la macchina sociale più scorrevole e netta, la più efficiente che io abbia mai visto. E ne sono invidioso».
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