martedì 17 aprile 2012

Il sacrificio dei fratelli Mattei smascherò trame e natura di una sinistra truce e golpista



La strage di Primavalle del 1973 rappresentò un punto di svolta decisivo nella storia del Paese che in quelle drammatiche circostanze, e negli sviluppi che ne seguirono, ebbe modo di riconoscere la reale natura della sinistra italiana ed i suoi veri obiettivi. L’eccidio dei fratelli Mattei avvenne in una stagione che era molto più prossima al dopoguerra, 18 anni, di quanto non sia vicino a noi che distiamo 39 anni da quel tragico avvenimento e quasi 60 dalla fine delle ostilità.
Era un’altra Italia, completamente diversa da quella che le nostre generazioni conoscono. Il boom economico aveva trasformato troppo in fretta un Paese agricolo in una potenza industriale, sconvolgendo mentalità, tradizioni, abitudini della gente. Chi andava a piedi, passò alla bicicletta, poi allo scooter Vespa o Lambretta che fosse, un mezzo di locomozione concepito da noi, ma che si impose rapidamente in tutto il globo come parte di quel “miracolo economico” che stupì il mondo.
Poi arrivò la motorizzazione di massa con la Fiat 600, oppure con Lancia ed Alfa Romeo per quelli che potevano permettersele. La gente che lavorava cominciò a comprarsi casa ed a riempirla con ogni sorta di elettrodomestico, dal televisore dallo schermo piccolo e cassone enorme al frigorifero. Sembrava un’epoca felice, nella quale ogni anno era migliore del precedente, per cui sarebbe bastato avere pazienza per vedere tutti i sogni avverarsi progressivamente, come le ferie al mare in albergo o le scampagnate di Pasquetta in macchina, il guardaroba pieno di vestiti “buoni”, matrimoni, battesimi e compleanni sempre più fastosi. Sembrava che la crescita fosse inarrestabile, ma non fu così.
L’esodo dalle campagne, l’inurbamento di enormi masse di gente in cerca di occupazione, l’industrializzazione sempre più diffusa crearono problemi nella società e nei posti di lavoro che il Paese non era né preparato a risolvere, né ancora capace a gestire. Lo spettro della fame, delle malattie, delle carestie e delle sofferenze in guerra e nell’immediato dopoguerra era ancora troppo vivo nella gente perchè fosse sottovalutato. Tante ferite ancora aperte e difficili da rimarginare.
Dalla società si levarono istanze per invocare equità, giustizia, pace, lavoro e benessere per tutti. Il malcontento dilagava, e subito ci fu chi prese a cavalcarlo per trasformarlo in irragionevole e demagogico antagonismo. In quella stagione il PCI era insoddisfatto ed insofferente, e si riteneva abbondantemente in credito con un Paese ingrato nel quale molti, tacciati come reazionari, tardavano a riconoscerne i meriti, ed altri, bollati come fascisti, che addirittura li disconoscevano. Si erano arrogati meriti esclusivi : la lotta partigiana, la caduta del Regime Fascista (loro!), la raggiunta capacità di radunare in piazza folle oceaniche delle quali godevano del consenso pieno ed incondizionato che potevano indirizzare a piacimento (la scolarità era bassa e l’analfabetismo era ancora una piaga aperta), il totale controllo dei sindacati, addirittura vantavano di avere evitato una guerra civile quando il loro leader Togliatti fu oggetto di un attentato.
Nonostante tutto questo, però, il PCI doveva stare a guardare gli altri governare, in prossimità della soglia, ma sempre fuori dalle stanze del potere. Non andava bene. Cominciò così a sinistra una escalation per accreditare il PCI come forza democratica e di governo che mobilitò tutti quelli disponibili a farsi strumentalizzare: giornalisti, magistrati, professori, lavoratori, pensionati, cittadini. Ovunque fosse possibile si creavano “cellule comuniste” con il compito di fare proselitismo, di condurre campagne di stampa denigratorie dei cattolici e delle forze al governo, vere e proprie guerriglie nelle fabbriche ed all’interno dei posti di lavoro.
Tra gli obbiettivi dichiarati i più importanti erano l’antifascismo che pagava sempre, l’ingresso al governo dei “rappresentanti degli interessi della classe operaia”, l’anticlericalismo. Tanto fecero, che alla fine i comunisti riuscirono pian piano ad accreditarsi come le icone della politica seria, rigorosa, morale e disinteressata (lo dicono pure adesso che hanno i Tedesco, i Penati, i Vendola, i Pisapia, figuriamoci allora), i soli tutori degli interessi veri della collettività, i depositari di tutte le verità, i dietrologhi capaci di svelare tutte le trame di biechi rivoluzionari affamatori del popolo. Ma vollero strafare, dimostrando in troppe occasioni di poter disporre e colpire esemplarmente i nemici del popolo ed i fascisti, fidando nella loro aurea di impunibilità.
E fu in questo contesto che si colloca la strage di Primavalle. Come la Stele di Rosetta permise nel 1822 la decifrazione dei geroglifici egizi grazie ad una 
iscrizione accanto alla quale c’è la sua rappresentazione in demotico e la traduzione in greco, così il tragico rogo di Primavalle permise di svelare il vero volto e la natura del comunismo. Dopo il fatto, tutti a Roma sapevano chi fossero esecutori e mandanti della strage. Come conferma il brigatista rosso Valerio Morucci nel suo libro “Ritratto di un terrorista giovane”, il vertice di Potere Operaio era al corrente dei fatti e riferisce di un “interrogatorio” al termine del quale ottenne un’ammissione di responsabilità da parte di Marino Clavo, uno dei tre accusati della strage. Ma si decise lo stesso di adottare la linea del diniego totale, dello scarico di qualsiasi responsabilità, della negazione di ogni evidenza dei fatti, assecondando un’inclinazione alla menzogna ed all’insabbiamento che appartiene ed è parte integrante della cultura di sinistra e del suo modo di creare verità soggettive funzionali ai disegni da contrapporre a quelle oggettive e verificabili.
Insomma, il fine con qualsiasi mezzo.
E si cominciò a depistare sino addirittura ad inventare una pista fascista, descritta in un libercolo dal titolo “Controinchiesta”, che rappresentava in ogni (inventato) dettaglio una faida intena alla sezione del Msi Giarabub di Primavalle, a capo della quale era Mario Mattei, padre delle due vittime arse vive.
Ma le prove erano talmente schiaccianti che non si potè fare a meno di intentare un procedimento penale, in parallelo al quale venne condotta una ignobile campagna di sostegno degli assassini. Nel libro “Collettivo di Potere Operaio. Primavalle: incendio a porte chiuse” si scrisse:

La montatura sull’incendio di Primavalle non si presenta come il risultato di un meccanismo di provocazione premeditato a lungo e ad alto livello, tipo “strage di stato”; “Primavalle” è piuttosto una trama costruita affannosamente, a “caldo” (si noti l’aggettivo ignobilmente sarcastico trattandosi di rogo omicida, ndr) da polizia e magistratura, un modo di sfruttare un’occasione per trasformare un “banale incidente” o un oscuro episodio – nato e sviluppatosi nel vermiciaio della sezione fascista del quartiere – in un’occasione di rilancio degli opposti estremismi.
Molti gli intellettuali ed i giornali che si schierarono a difesa degli imputati. Tra i più autorevoli quotidiani a prendere queste posizioni si segnalò il Messaggero (Repubblica ancora non c’era e non potè partecipare al lancio del fango), il più diffuso di Roma, il cui editore Alessandro Perrone era il padre di quella Diana Perrone militante di Potere Operaio e successivamente coinvolta nelle indagini. Anche Franca Rame, moglie di Dario Fo, volle dare il suo contributo alla causa ancor prima del perfido vignettista Jacopo Fo di Dario, indirizzando una lettera dell’organizzazione Soccorso Rosso di cui lei era esponente per assicurare impunità e soldi a Lollo, uno degli assassini, come poi lui stesso confesserà di essere stato, di Primavalle. Al di fuori del Tribunale di Roma, durante le udienze, ci furono continue manifestazioni della sinistra che chiedevano il proscioglimento dei tre militanti di Potere Operaio incriminati. Manifestazioni organizzate e strumentalizzate per coprire una verità evidente, ma che non poteva essere riconosciuta tale in quanto negata da gente di sinistra, quindi seria e degna di rispetto a priori.
Anche a destra si manifestava per avere giustizia e nel corso di un pacifico sit in i valorosi compagni riuscirono ad ammazzare l’inerme ed innocuo studente greco Mikis Mantakas, simpatizzante del Fuan-Caravella. Alla squallida e pretestuosa campagna innocentista in favore dei tre indagati contribuirono anche alcuni autorevoli personaggi della sinistra italiana, tra i quali il senatore Umberto Terracini, uno dei tre firmatari della Costituzione Italiana!, talmente autorevole da mentire spudoratamente sapendo di farlo, nonchè il celebrato scrittore Alberto Moravia, che però non fu convincente come Dario Fo, che invece più tardi vide premiata la sua infamia col Nobel della letteratura del 1997.
Capite da che situazione si è dovuto in qualche modo recuperare questo Paese? Ma come andò a finire questa storia tutta italiana e tutta di sinistra? Al termine del processo di secondo grado Achille Lollo, Marino Clavo (quello che ammise le sue responsabilità al capo terrorista Morucci) e Manlio Grillo furono condannati a 18 anni di galera italiana, cioè quella che si dà, ma non si sconta. Lollo fu rilasciato prima del processo d’appello e riparò in Brasile come adesso Battisti, con la differenza che Lollo si salvò per colpa della magistratura italiana che “tardò” (!!) a richiederne l’estradizione, mentre l’assassino Battisti non viene estradato per colpa dei comunisti di Lula.
Grillo si rifugiò nel Nicaragua protetto e coccolato dai guerriglieri sandinisti, una specie di brigatisti rossi al cubo, mentre del reo confesso Clavo si persero le tracce. Ma la cosa più inquietante fu che dopo tutte quelle campagne a difesa dei terroristi di Potere Operaio, per le quali si scomodarono politici ed intellettuali, nel 2005 accaddero queste cose: Lollo ammise in una intervista al Corsera la propria colpevolezza e quella degli altri due condannati, aggiungendo molti particolari alla vicenda, tra l’altro rivelando che alla spedizione in effetti parteciparono in 6 non in 3, facendo i nomi di Diana Perrone, Paolo Gaeta e Elisabetta Lecco.
Franco Piperno, all’epoca dei fatti segretario nazionale di Potere Operaio, ammise a Repubblica (si vede che di terroristi se ne intende visto che si confessano tutti là da Scalfari, ndr) confermò che il vertice del movimento era al corrente ed informato di tutto. Manlio Grillo ammise per la prima volta, guarda un po’ a chi, a Repubblica, che la sentenza di condanna che lo riguardava era perfetta quanto a ricostruzione dei fatti e delle responsabilità.
E si scoprì che Morucci, di lì a poco capo brigatista rosso, era all’epoca informato dei fatti non per aver “interrogato” Marino Clavo, ma perchè era il mandante di quella strage. Tutti i responsabili identificati, alcuni condannati, autori di quell’infame ed atroce delitto sono a piede libero, alcuni addirittura svolgono compiti di rilievo nell’informazione pubblica e nella pubblicistica, altri sono latitanti, altri non rintracciabili.
Questa è la sinistra in Italia; questa è la magistratura che amministra la “giustizia” nel Paese.

http://www.qelsi.it/2012/il-sacrificio-dei-fratelli-mattei-smaschero-trame-e-natura-di-una-sinistra-truce-e-golpista/

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