venerdì 20 gennaio 2012

20 Gennaio 1945 – In ricordo della famiglia Pendoli

 




La famiglia Pendoli viveva a Gianico, piccolo comune della Valle Camonica in provincia di Brescia. Il marito, Battista, militava nella Decima Brigata Nera, mentre la moglie, Rosa, gestiva un negozio di alimentari al centro del paese con la collaborazione dei suoi quattro figli: Pietro, Giovanni, Giuseppe e Maria. Il più grande Pietro, ventidue anni, era vice brigadiere di un reparto della divisione antiparacadutista e contraerea della Guardia Nazionale Repubblicana. Maria, invece, già da alcuni anni, aveva intrapreso la vita ecclesiastica. Tra i monti di Gianico, operavano diverse formazioni partigiane. Giacomo Cappellini comandante delle “Fiamme Verdi C.8”, Giulio Mazzon comandante delle “Fiamme Verdi C.1” nella Valle Verde, infine Luigi Macario comandante di un altro gruppo di partigiani denominato “54° Garibaldi” nella Valle Negra.
Il negozio della famiglia Pendoli era soggetto a continui saccheggi e furti ad opera di quei partigiani. Salumi e farina per polenta era all’ordine del giorno per continuare la clandestinità sulle montagne e portare a termine sabotaggi e attentati contro le Forze Armate. Il Tribunale Militare di Guerra, già dal 4 agosto del 1944, aveva spiccato un mandato di cattura contro Giacomo Cappellini, imputato di appartenere a bande armate fuorilegge.
La mattina del 15 gennaio 1945, intorno alle sette e trenta, il Vice Brigadiere, Vittorio Pedrini, e il Milite Scelto, Virgilio Piccini, appartenenti al Comando Provinciale del distaccamento della Guardia Nazionale Repubblicana di Brescia, dopo lunghe e pazienti ricerche in base anche a segnalazioni attendibili, individuarono la zona precisa dove gli elementi saltuariamente transitavano. In collaborazione con gli uomini dei distaccamenti di Capo di Ponte – Malonno – Cedegolo – Cividate iniziarono il rastrellamento su due colonne convergenti della zona montana del Comune di Lozio portando alla cattura del capobanda Cappellini nelle vicinanze della frazione di Loverno. Mentre tentava di sganciarsi dalla pattuglia che lo aveva attaccato, Giacomo Cappellini, facendo uso delle armi fu ammanettato riportando ferite al viso e alla spalla. Dopo le necessarie cure fu trasportato a Breno e adagiato su un carro. Intanto Pietro Pendoli, grazie ad un permesso di licenza breve, decise di tornare nel suo paese e trascorre qualche giornata spensierata con la famiglia.
La sera del 20 gennaio 1945 alcuni partigiani, a volto coperto, entrarono nel negozio di alimentari. All’interno vi era solo la madre, dietro al banco, mentre il figlio minore Giovanni, giocava presso l’oratorio e la figlia Maria si trovavano in convento. Alcuni fuorilegge cercarono di impossessarsi della solita farina e di alcuni tagli di stoffa rovistarono anche in camera da letto alla ricerca di soldi e oggetti preziosi, altri, invece, tenevano a bada l’anziana signora.
In quel momento giunse il figlio Pietro Pendoli all’oscuro della rapina in corso. Fu picchiato selvaggiamente e poi finito con un colpo di pistola alla nuca sulla soglia della porta, a tradimento, senza avere neanche la possibilità di difendersi. Il corpo, ormai senza vita, fu trascinato all’interno dove i partigiani continuarono ad infierire sul cadavere. La cosa sconvolgente fu, dopo ore dalla tragedia, il volto di Pietro Pendoli ancora con i segni degli scarponi. Ironia della sorte, dopo tre mesi dalla morte di Pietro Pendoli, il 21 aprile del 1945, gli stessi partigiani assassinarono il Padre Battista e il fratello minore Giovanni. La famiglia Pendoli fu sterminata per essersi opposta alla rapina di farina, oppure per vendicare la cattura e poi l’uccisione del capobanda partigiano? Intanto Giacomo Cappellini fu tradotto presso il carcere di Brescia e processato il 21 marzo dello stesso anno per sequestro di persona, distruzione di tralicci e binari ferroviari, violenza privata per aver tagliato i capelli a quattro donne. Confessò ogni addebito, cercando di giustificarsi adducendo il tutto alla confusione dopo l’otto settembre del 1943.
Fu condannato a morte con fucilazione all’alba del 25 marzo presso il Castello di Brescia. A guerra finita, il 9 ottobre del 1946, al Cappellini gli fu concessa anche una medaglia d’oro alla memoria. Invece la strage della famiglia Pendoli fu definita “opera di sbandati sconosciuti”, anche se in paese si sapeva i nomi degli assassini.

Nessun commento:

Posta un commento