lunedì 30 gennaio 2012

30 Gennaio 1944 – In ricordo di Aldo Bormida





Con lo sbarco Alleato a Salerno, le forze italo tedesche furono costrette ad arretrare lungo la penisola formando la Linea Gustav. Si trattava di una serie di opere fortificate che si dispiegavano, per centoventi chilometri, da Minturno, a sud di Gaeta, fino alla costa Adriatica, a sud di San Vito/Ortona. Punto nodale della Linea Gustav fu Montecassino che, trasformato dai tedeschi in una fortezza naturale, vide infrangersi numerosi attacchi da parte Alleata.
La città laziale rappresentava l’unica agevole via di accesso dal sud al nord verso Roma. Per superare la Linea Gustav, gli Alleati, progettarono uno sbarco alle spalle della linea fortificata sulle coste di Anzio e Nettuno. L’operazione iniziò il 17 gennaio del 1944 con violenti bombardamenti sulla costa e solo nella notte del 22 gennaio, le truppe iniziarono a sbarcare. L’intera operazione fu una sorta di fallimento e le truppe Alleate finirono per impantanarsi sulla costa pontina. Solo il 23 maggio le Forze Alleate diedero l’avvio all’operazione “Buffalo” che aveva come obiettivo Cisterna di Latina. La conquista della cittadina laziale consentì al Sesto Corpo di Armata di riunirsi alle avanguardie americane del Secondo Corpo di Armata che, reduci da Montecassino, avanzavano da Terracina.
Nella memoria storica delle popolazioni della Pianura Pontina, le operazioni militari che seguirono allo sbarco, furono ricordate come un titanico scontro tra forze tedesche e forze americane. Ma ai combattimenti parteciparono i primi reparti organici delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana. Furono impegnati su quel fronte il Battaglione di Fanteria di Marina “Barbarigo”, il Gruppo di Artiglieria di Marina “San Giorgio” e i motoscafi d’assalto della Decima Flottiglia MAS. Inoltre, il Reggimento Arditi Paracadutisti “Folgore”, il Battaglione di formazione paracadutisti “Nembo”, il Gruppo Aerosiluranti “Carlo Emanuele Buscaglia”, il Secondo Battaglione Legionario SS, il Primo Battaglione Esplorante Legionario “Debica” e numerosi altri reparti minori. Si avvicendarono in terra pontina, dal gennaio al giugno del 1944, circa dieci mila soldati della Repubblica Sociale Italiana e centinaia di quelli, purtroppo, persero la vita. Nel dopoguerra, nelle città di Nettuno e Pomezia, furono costruiti i primi cimiteri militari dedicati ai soldati americani e tedeschi.
Differentemente, per gli italiani che osarono morire dalla parte “sbagliata” non vi furono cimiteri di guerra ma solo tombe private al Verano. Nel 1993 l’Associazione Decima Mas costruì a Nettuno, a proprie spese, un sacrario privato, meglio conosciuto con il nome di “Campo della Memoria”. Ma girando la Piana Pontina, furono costruiti altri modesti monumenti per ricordare i caduti della Repubblica Sociale Italiana su quel fronte. Ad Ardea fu costruita una lapide, mentre cippi commemorativi si trovavano a Campoverde e a Borgo Podgora. In particolare, nel territorio di Latina, in mezzo ad una pianura sconfinata, ricca di campi di grano, vigneti e verdi prati, fu costruita una umile colonna sulla quale furono impresse alcune frasi: “Aldo Bormida – diciannovenne studente Politecnico di Torino – Caduto per la Patria il 30 gennaio del 1944”.
Un anziano signore, Luciano Populin, reduce dal fronte di Anzio e Nettuno, decise di ritornare sul luogo per rendere omaggio all’amico Aldo Bormida. Così spiegava quei terribili giorni: «Alcuni giovani studenti universitari del Politecnico di Torino, furono inviati in Germania per uno scambio culturale. Ma dopo l’otto settembre del 1943, molti decisero di arruolarsi come volontari e inviati in Patria a combattere. Il 30 gennaio del 1944 avevo dodici anni e quattro mesi ed era per me la prima paurosa e sofferta esperienza di vita. Dal Borgo Podgora il 24 gennaio, dopo lo sbarco americano ad Anzio, ci trasferimmo alla Strada Della Croce, presso una famiglia di cloni che conoscevamo. Il nostro ampio cortile della casa nel Borgo era stato occupato, dopo due giorni dallo sbarco, dai mezzi corazzati della Divisione Tedesca giunti dal Brennero. Dalla finestra della casa del colono, il giorno 30 gennaio, vidi giungere in strada due camion di soldati che scesero, completarono l’armamento, e si prepararono ad affrontare il nemico. Gli americani erano sull’argine opposto del Canale, distante circa centocinquanta metri dalla nostra casa dove si era insediato un giovane ufficiale tedesco di origine altoatesina e da dove avvenivano sparatorie tra le due forze.
I militari italiani, che poi seppi erano giovanissimi volontari del Politecnico di Torino, si lanciarono contro il nemico e cominciarono a salire l’argine del Canale dalla nostra parte. Dai ricordi lontani mi sembra fossero circa quaranta. Gli americani, che erano appostati sull’argine opposto ad una distanza di trenta quaranta metri, li fecero arrivare alla sommità e inesorabilmente li falciarono con le armi. Il ricordo si ferma alla visione dei poveri ragazzi che cadevano, poi il terrore, la pena e la disperazione mi fecero nascondere nell’angolo più riparato della casa. Dalla casa non uscivamo tranne che per qualche istante poiché l’ufficiale tedesco che era con noi consigliava di farci vedere al pozzo a pompare l’acqua con la speranza che, vedendo dei civili, gli americani potessero risparmiare la distruzione della casa. Noi, dopo qualche giorno, fummo costretti a fuggire a piedi dietro suggerimento dell’ufficiale tedesco sperando così in una tregua che, fortunatamente, avvenne». Anche la famiglia Piva, proprietaria del terreno dove avvenne il massacro, spiegava così: «Abbiamo saputo che un solo ragazzo riuscì a salvarsi e dopo l’attacco si rifugiò nella nostra casa. Il giorno dopo anche noi fummo costretti ad abbandonare la tenuta mentre nei campi vi erano i cadaveri che rendevano l’aria irrespirabile. Tornammo dopo qualche mese ma ormai il campo era tutto minato. Un incendio spontaneo di sterpaglie aveva ridotto i corpi a resti ossei. Solo nel mese di giugno – luglio gli americani intervennero per recuperare i resti con sacchi bianchi. Dopo un periodo di tempo il superstite tornò sul luogo e ricordò il punto dove era caduto il giovane Aldo Bormida. Ecco perché lì è sorta la stele a ricordo di Bormida e dove, fino a qualche anno fa, veniva qualche familiare a fare visita. Ora non si presenta alcuna persone siamo noi che custodiamo la memoria». Un ragazzo nemmeno ventenne di nome Aldo Bormida venuto da Torino. Un soldato con una divisa grigio verde e con il desiderio di libertà, di onore e di fedeltà. Il primo martire della Repubblica Sociale Italiana, il sacrificio di un giovane i cui resti mortali furono tumulati per volere della famiglia sotto a un cippo di marmo bianco di fattura umile a ridosso della strada, coperto quasi completamente da erbacce. Una storia per ricordare uno dei tanti ragazzi che, educati al mito dell’amor di Patria, non si fecero indietro alla chiamata della Patria ma scelsero di non stare alla finestra a guardare.

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