domenica 20 novembre 2011

DI  CRISI SI MUORE
munchlurlooz6

Rovigo. Crisi, imbianchino si impicca:
«Grazie a chi non mi ha mai pagato»

ROVIGO (20 aprile) - Ha scelto il garage di casa, si è chiuso dentro e si è impiccato. Dario Brazzo, 50 anni, imbianchino di Villadose (Rovigo) si è ucciso lasciando un biglietto in cui chiede scusa ai figli e "ringrazia" le tre persone che, non avendogli mai dato i soldi che gli dovevano, hanno causato il suo dissesto finanziario, spingendolo a togliersi la vita.

L'uomo, che abitava con la moglie e i figli a Villadose, era titolare di una ditta individuale e faceva l'imbianchino per privati e aziende. Ma negli ultimi tempi il calo di lavoro, unito ai mancati pagamenti, ha mandato in crisi la sua attività, facendolo precipitare nella disperazione.

Dei suoi problemi non aveva parlato con nessuno, nemmeno con i suoi familiari, che ieri sera hanno scoperto il suo corpo appeso in garage: «Mio padre era un gran lavoratore che non ci ha mai fatto mancare nulla - racconta il figlio Andrea, 25 anni - ma da due mesi a questa parte si era chiuso in se stesso. Io gli chiedevo "cos'hai papà?", cercavo di spingerlo a confidarsi, lui però non lo ho mai fatto perché evidentemente non voleva farci pesare questa situazione»
postato da: sebastia11 alle ore 17:44 | link | commenti
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giovedì, 15 aprile 2010

PER NON DIMENTICARE,16-04-1973 ROGO DI PRIMAVALLE
NOI NON DIMENTICHIAMO STEFANO E VIRGILIO MATTEI
Tra la notte del 15 ed il 16 aprile del 1973 a Primavalle, quartiere periferico e molto popolare di Roma, tre esponenti di Potere Operaio (Achille Lollo, Manlio Grillo, Marino Clavo) misero in atto il più vile ed assurdo attentato degli anni di piombo.

Al terzo piano di via di Bibbiena abita Mario Mattei segretario di sezione del MSI di Primavalle, un nemico da abbattere, insieme alla sua famiglia (8 persone) che sta dormendo in 40 mq.

Sono circa le 3 del 16 aprile Achille Lollo scavalca l’inferriata per entrare nel giardino del Lotto e salire le scale fino al terzo piano mentre gli altri due fanno il palo e preparano il foglio d rivendicazione.

Giunto al pianerottolo piazza una bomba incendiaria rudimentale e versa la benzina con un piano inclinato sotto la porta per far entrare il materiale infiammabile così bruciare l’unica via di uscita.

Epilogo drammatico di quel gesto fu la morte di Virgilio Mattei (22 anni) e di Stefano Mattei (10 anni) carbonizzati, il grave ferimento di Mario Mattei avendo riportato ustioni sul corpo per tentar di salvare i suoi figli e di Silvia Mattei che per salvarsi si è lanciata dalla finestra cadendo rovinosamente sulle piante sottostanti; mesi in trazione e di gesso e la mala riabilitazione di quel tempo.

Per gli altri, Giampaolo il più piccolo e Antonella sono gli unici che sono riusciti a passare “incolumi” tra le fiamme della porta in braccio alla Mamma AnnaMaria.

Invece Lucia si è calata dal balcone ed è riuscita a passare a quello di sotto riportando poche ferite.

Quella notte cambiò il cammino personale di molte persone e la vita politica di una comunità come quella del MSI.

Le indagini si rivolsero da subito verso gli ambienti dell’extraparlamentarismo di sinistra, il 5 maggio dello stesso anno vengono diramati gli ordini di cattura per li esecutori con l’accusa di strage.

Da subito Manlio Grillo e Marino Clavo furono aiutati dalle proprie famiglie, Potere Operaio e da SOCCORSO ROSSO, organizzazione che comprendeva anche nomi importanti della scena politica e artistica di quel tempo, a nascondersi per poi scappare all’estero.

Mentre Achille Lollo veniva catturato e messo in carcere in attesa del processo.

La sentenza di primo grado stralciò tutte le prove che erano state raccolte a loro carico e li giudicò innocenti.

Questo permise la scarcerazione di Achille Lollo che la sera stessa fece un comizio in Trastevere a Campo de Fiori e poi festeggiò insieme alla intellighentia romana a Fregene in una villa la sua assoluzione.

Sentenza ebbe la forzatura di tutta l’informazione editoriale e politica di quel tempo partendo Pietro Secchia (PCI), Riccardo Lombardi (PSI) e Franca Rame , che diceva che era stata una faida interna al MSI e che un atto così vile, che non teneva conto che dentro l’appartamento c’erano dei bambini , era un gesto che solo i fascisti potevano fare e non i compagni.

Da quel momento fino ad oggi gli artefici furono sempre chiamati “latitanti” erroneamente perché lo stato italiano sapeva benissimo dove si trovassero gli esecutori materiali cominciando dall’articolo accorato di Moravia che sensibilizzava lo Stato Svedese a dare l’asilo politico a Manlio Grillo e Marino Clavo, mentre per Achille Lollo si sa che faceva l’inviato per conto del regista della RAI Di Stefani dall’Angola.

Poi si sa che dagli incartamenti della Mitrokhin che i servizi sapessero i movimenti di Achille Lollo in tutto il mondo e persino quanti soldi aveva in tasca e con chi si era incontrato (queste trasmissioni fanno riferimento nei primi anni 80).

L’Italia ormai si era convinta che Primavalle era una questione interna al MSI o addirittura che Mario Mattei stesse fabbricando un ordigno da usare contro i comunisti.

Questa controinformazione fece benissimo il suo lavoro nel tessuto sociale Italiano, e cosi la “giustizia” fece il suo passo tenendosi equidistante e venne fuori la sentenza ancor più scandalosa ed infamante della precedente, omicidio colposo detenzione di materiale esplodente e altri piccoli reati per un totale di 18 anni di reclusione.

Nel 2005 con la prescrizione del reato Achille Lollo si fece forza e dichiarò la VERITA’ su quella notte il suo coinvolgimento diretto chiamando alla sbarra anche altre tre persone che per 32 anni hanno vissuto tranquillamente e liberamente, Diana Perrone, Paolo Gaeta e Elisabetta Lecco.

Per assurdo questi ultimi sono indagati per strage che non è prescrittibile, comunque stiano tranquilli perché la Giustizia Italiana non ha fatto nulla anche perché il Brasile non da l’estradizione ad Achille Lollo per confermare le accuse ed anche perché Achille Lollo in una successiva dichiarazione diceva che ai giudici italiani non avrebbe confermato le sue dichiarazioni.

Questa dichiarazione di colpevolezza portò una parte della politica di sinistra ad avvicinarsi alla Strage di Primavalle con qualche pregiudizio in meno, anzi con la certezza del loro inconsapevole aiuto agli assassini di Stefano e Virgilio.

Il primo gesto fu, anche per la sua doppia veste politica e di sindaco di Roma, Walter Veltroni che provò a portare avanti l’iniziativa sull’intitolazione di una strada di Roma a Stefano e Virgilio, opposizione della Famiglia fu immediata e ferma, dicendosi onorati per l’iniziativa ma questa non era possibile sino al raggiungimento della VERITA’ e GIUSTIZIA.

Verità e Giustizia che latita ancora oggi e nei procedimenti giudiziari che sono ancora in corso, penali e civili.

Il raggiungimento della Verità su Primavalle porterebbe solo ad un atto di giustizia non solo per i fratelli Mattei ma per tutti quei ragazzi che da quella notte hanno visto cambiare la loro esistenza di militanti politici e di uomini.
CAMERATI STEFANO E VIRGILIO MATTEI  PRESENTI!!!!!!!
postato da: sebastia11 alle ore 17:31 | link | commenti
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Il libero mercato ha ancora fallito

Cronache dal migliore dei mondi possibile. Niente di nuovo. Un ennesimo fallimento. Tutto continuerà finché le politiche iperliberiste vengono avvallate, senza nessun tipo di dubbio o remora, ad ogni livello, grazie anche all'appoggio incondizionato dei grandi organismi economici e finanziari mondiali. Così quando assistiamo alla quotidiana litania mediatica dei nostri politici che si arrabattano e promettono di risolvere la recessione, noi li guardiamo un po' incuriositi. Fremono, annunciano, dibattono, declarano. Si struggono per noi. Quasi ci dispiace per loro. La crisi li ha colti di sorpresa. Erano certi fino a pochi mesi fa che l'invincibile mano del libero mercato avrebbe salvato l'umanità dal baratro della povertà. Erano convinti che il consumo infinito avrebbe reso l'umanità più libera dai bisogni. Erano sicuri che il capitalismo definendo il lavoro precario e flessibile, avrebbe realizzato il bene dell'umanità. E invece no. Tutto sbagliato.
 
 
Islanda: il libero mercato ha fallito
di Andrea Perrone


Un’altra Commissione parlamentare dovrà decidere ora l’azione legale da intraprendere nei confronti dei responsabili del disastro finanziario ed economico islandese. Caustico il giudizio sulla realtà delle cose dell’attuale primo ministro di Reykjavik, Johanna Sigurdardottir, che ha dichiarato: “Le banche private hanno fallito, il sistema di supervisione ha fallito, la politica ha fallito, l’amministrazione ha fallito, i media hanno fallito e l’ideologia di un mercato libero e non regolamentato ha fallito completamente”. La conclusione fondamentale degli estensori del rapporto è che la crescita nel settore bancario - 20 volte rispetto alle dimensioni originali nello spazio di sette anni - ha superato le capacità del Paese di coprire, di regolamentare e di monitorare il settore.

Il documento ha messo in luce che la banca centrale non ha mantenuto delle sufficienti riserve di valuta estera e il fondo di garanzia dei depositi era troppo piccolo per coprire eventuali guasti, per non parlare poi del fallimento di tutte e tre le principali banche islandesi: Glitnir, Landsbanki e Kaupthing. L’autorità di vigilanza finanziaria (FME), ha proseguito il rapporto: “Non ha fatto rispettare le disposizioni di legge che erano a sua disposizione, anche quando ha visto che le leggi venivano trasgredite”.
Gli estensori del rapporto hanno sottolineato che i più grandi azionisti delle banche erano anche i maggiori debitori dei loro istituti di credito, avendo fra l’altro un accesso troppo facile ai prestiti. A conferma di quanto dichiarato è emerso che Glitnir ha regolarmente prestato delle somme alla compagnia di investimento Baugur e le sue partecipazioni in un gruppo di compagnie dell’Alta finanza britannica. Uno dei principali attori della banca è stato anche il proprietario di Baugur.

La relazione ha fatto emergere anche delle interessanti notizie sul Regno Unito, cast lungo come un criminale nei suoi tentativi di recuperare il denaro perso nel crollo della ditta Icesave banking online Landsbanki. Il documento ha precisato infatti che, nel 2008, Landsbanki e il British Financial Services Authority (FSA) hanno tenuto lunghi colloqui sull’opportunità di ristrutturare Icesave come filiale nel Regno Unito piuttosto che come un ramo della società madre. Se infatti Landsbanki fosse andata avanti con il cambiamento avrebbe lasciato l’Islanda fuori dai guai, visto che i depositi delle assicurazioni britanniche avrebbero potuto evitare il disastro.

La relazione ha rilevato che Landsbanki invece si è mostrata assolutamente riluttante a mettere in atto la ristrutturazione, in quanto avrebbe significato che i fondi dei clienti non sarebbero stati più disponibili per l’utilizzo da parte dello stesso istituto di credito. La Commissione ha rilevato che i fondi presenti in talune banche sono stati ritirati da alcuni “insider”, pochi giorni prima che gli stessi istituti di credito chiudessero i battenti.

La relazione non ha fatto altro che evidenziare la giustezza delle critiche mosse dai cittadini islandesi, quando hanno chiesto un referendum - regolarmente tenuto nel mese di marzo - per opporsi a qualsiasi rimborso a britannici e olandesi dopo il fallimento di Icesave, sottolineando di non sentirsi responsabili e di non voler pagare gli errori dei banchieri.
da rinascita.info
si ringrazia il sito:http://luniversale.splinder.com/ per la sgnalazione
Un rapporto del governo islandese sulla crisi finanziaria del Paese punta il dito contro il libero mercato e i suoi fautori. Leader politici, banchieri e autorità per l’autoregolamentazione hanno compiuto atti di “estrema negligenza” portando il Paese al crollo finanziario del 2008. Sono le conclusioni di una relazione di 2.300 pagine, predisposta da un’apposita Commissione d’inchiesta del Parlamento islandese (Althingi), che ha criticato aspramente l’operato dell’ex primo ministro Geir Haarde (nella foto), del presidente della Banca centrale David Oddsson (fautore della privatizzazione del settore bancario nel 1990), dei ministri della Finanza e del Commercio, dei governatori della Banca centrale e dei responsabili delle autorità per la regolamentazione.
postato da: sebastia11 alle ore 14:46 | link | commenti
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sabato, 10 aprile 2010

Ronald McDonald è ora di andare in pensione!

Mandarlo a casa? Un simbolo del capitalismo globalizzante! Pure un po'inquietante che sembra uscito da un filo dell'orrore...Ma se la multinazionale è sempre stata paladina dei propri dipendenti e seria custode di una alimentazione sana ed equilibrata!...

Ronald McDonald è ora di andare in pensione!

Le ha combattute e ha vinto facendo approvare la riforma della sanità. Ora però, ironia della sorte, Obama si ritrova fianco a fianco con le lobby e soprattutto con la Corporate Accountability International, che ha lanciato una campagna per mandare in pensione dopo 50 anni di onorato servizio Ronald, il pagliaccio della catena di fast food McDonald's. Il povero clown è accusato di promuovere l'obesità infantile, contro la quale si è anche tanto battuta la first lady Michelle Obama.

Ronald McDonald, nato nel 1963, è solo l'ultima delle vittime di questa lobby che combatte gli abusi delle grandi multinazionali. Prima di lui, è passato a miglior vita il cammello Joe Camel, icona delle grandi multinazionali di tabacco.
L'iniziativa di pensionamento del clown più famoso al mondo, capace di avvicinare miliardi di bambini al fast food, è stata lanciata via web dove è possibile sottoscrivere l'iniziativa. Lo slogan? "Lui merita il riposo e anche noi".
Ma la catena di fast food americana non l'ha presa bene e ha replicato, attraverso la Cnn, che Ronald è un caro "ambasciatore del marchio" che tra le altre cose ha contribuito a numerose iniziative benefiche rivolte all'infanzia e soprattutto ai bambini malati. "Le iniziative sono senz'altro positive ma è un paradosso che nello stesso tempo promuovano cibo dannoso per la salute dei piccoli", replica la Corporate Accountability International. E ha ricordato i dati allarmanti sull'obesità infantile, triplicato negli Stati Uniti. E Ronald, insiste le lobby, è il colpevole di questa epidemia.  da: http://www.affaritaliani.it/
si ringrazia il sito http://luniversale.splinder.com/ per la segnalazione
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mercoledì, 07 aprile 2010

TREVISO 7-4-1944,IL BOMBARDAMENTO DEI LIBERATORI
Avevano avuto assegnazione in città e nella periferia gli uffici del ministero dell'Agricoltura del governo della R.S.I., e ciò aveva comportato un notevole aumento delle presenze nel Comune di Treviso. Al seguito dei dipendenti di tale ministero erano giunte molte famiglie, ed anche il contingente di militari si accrebbe notevolmente.
    Nei primi giorni di aprile vennero febbrilmente scavate parecchie postazioni d'artiglieria contraerea, formando una cintura a quattro-cinque chilometri dalla città; le batterie erano tedesche (con evidente comando germanico) e il personale ai pezzi prevalentemente italiano. Quando, nel corso degli allarmi, appariva qualche caccia avversario, erano guai per la popolazione perchè le schegge dei proiettili venivano a cadere anche nelle zone cui affluiva la gente all'uscita dalla Città; era quindi consigliabile rimanere in casa o recarsi sveltamente ai rifugi che, almeno per questo pericolo, erano sufficientemente resistenti.

    Ecco perchè il 7 aprile la popolazione venne in gran parte sorpresa entro le mura cittadine.

    Mancava poco alle 13 quando le sirene urlarono al pericolo incombente, e molti lasciarono le case per recarsi al rifugio. Gruppi di aerei da caccia sorvolarono la città dopo pochi minuti e le schegge dei proiettili dei cannoni antiaerei già fischiavano nella loro caduta. Suggerita da un presentimento, mia madre volle superare il ricovero di via D'Annunzio ove ci si recava abitualmente per riparare in quello che sorgeva in via Cesare Battisti (nell'area ora occupata dalla sede dell'INAIL), e lì vedemmo arrivare quei dannati bombardieri, in formazione perfetta e compatta, argentei come pesci in spensierata vacanza, alti per evitare il più possibile il tiro delle artiglierie che gli facevano fiorire tutt'intorno piccole nuvole provocate dagli scoppi, ed alti anche per l'evidente noncuranza di ricercare gli obiettivi che potessero avere una certa importanza militare.

    Vedemmo i primi grappoli di bombe e si udirono le prime esplosioni provenienti dai sobborghi di S. Antonino e di S. Lazzaro. Ci precipitammo entro il rifugio quando lo schianto avvolse tutta la città; lo spostamento violentissimo dell'aria ci sbatteva addosso togliendo il respiro e scaraventandoci gli uni sugli altri contro le pareti del precario ricovero; la terra sussultava con un ritmo incredibile quasi a spaccarsi ed inghiottirci. Urla di terrore, invocazioni, richiami di persone care, davano la convinzione che ormai non ci sarebbe stato scampo per alcuno.

    Il cupo rumore degli aerei non era ancora spento quando si sentì quello della seconda ondata. Le bombe ripresero a grandinare sulla città per altri pochi ma terrificanti minuti.

    Appena il frastuono diminuì, consentendo di capire qualcosa tra le grida che continuavano a riempire il ricovero ove mi trovavo, riuscii a cogliere la seguente scena di cui furono protagonisti due bambini di 8 e 9 anni. Giuliano B., aggrappato alla madre, urlava che non voleva morire; Giovannino T. lo guardava impassibile, quasi commiserandolo, finchè gli chiarì il motivo della sua calma: Mi, inveze, gò caro de morir, parchè cussì no vado più a scuola. (lo sventurato Giuliano morì qualche anno dopo la guerra, annegato nell'insidioso Sile che aveva affrontato con imprudenza; Giovannino è diventato un pezzo d'uomo qual’era il suo buon papà, e vive tuttora a Treviso).

    Il breve colloquio venne bruscamente interrotto dalla terza ondata di bombardieri che suscitò altre rovine e la disperata convinzione che Treviso e tutti noi saremmo spariti dal mondo.

    Terminati i laceranti scoppi, rimanemmo ammutoliti senza il coraggio di esprimere la speranza che il martellamento fosse concluso. Poi si udirono le prime urla provenire dall'esterno, e cautamente, quasi increduli, uscimmo all'aperto.

    La scena era spaventosa; sebbene la giornata fosse limpida, il sole quasi non si scorgeva perchè oscurato da una coltre di fumo e di polvere alimentata dagli incendi e dai muri delle case che continuavano a crollare.

    A pochi metri dal nostro ricovero una bomba aveva colpito la villa dell'on. Cappellotto; non sapevamo ancora quale strazio si era compiuto nel rifugio situato nel cortile dell'ex convento delle Cappuccine distante appena poche decine di metri. Ci andai pochi giorni dopo; erano morti persino i grossi topi che vi si erano installati forse vivendo di qualche avanzo alimentare lasciato cadere da coloro che lo frequentavano durante gli allarmi; dal vicino quartiere di S. Niccolò la gente, tra cui molti che sanguinavano, fuggivano inebetiti dal terrore.

    Una giovanetta correva urlando "mamma; mamma" tenendo stretta al petto, quasi volesse portarla a salvamento la testa della madre.

    Non fu possibile raggiungere la nostra casa, situata nei pressi del rifugio che solitamente frequentavamo e che era stato colpito massacrando due terzi delle persone che vi si trovavano; lo spostamento d'aria, incanalatosi nella parte non crollata del rifugio smembrò letteralmente parecchi corpi.

    Una nostra vicina diventata madre dopo anni di ansiosa attesa, impietrita dal dolore cullava tra le braccia il suo bambino di pochi mesi rimasto senza la testa finita chissà dove.

    Per arrivare alla casa che pur danneggiata si scorgeva in piedi, dovemmo ritornare verso via Battisti, attraversare piazza del Duomo seminata di macerie, seguire il Calmaggiore, superare l'enorme gradino venuto a crearsi davanti alla Cassa di Risparmio e che era ciò che rimaneva della ceduta facciata del palazzo dei Trecento; via XX Settembre era pur ingombra di rovine, davanti all'albergo "Stella d'Oro" quasi totalmente crollato, situato nell’area ora occupata dalla sede della Banca Commerciale e dall'inizio di via Toniolo ~ i tedeschi (sapremo poi il perchè) ci facevano sveltamente allontanare. L'edificio occupato dal Provveditorato agli Studi (pregevole palazzo, occupato a pianterreno da un negozio di calzature, che esisteva tra le vie Diaz e Collalto) era un rogo impressionante, e qui venimmo trattenuti da un ufficiale della "compagnia della morte" che, fuori di senno dal terrore, gridava "tutti nel fuoco; tutti nel fuoco" con l'assurda pretesa che senza un goccio d'acqua noi si potesse fermare l'incendio che insieme devastava documenti scolastici e scarpe preziosissime, anche se aventi la tomaia di tela da sacchi.

    Fu necessario proseguire per il corso, fino quasi alla chiesa di S. Martino completamente distrutta, girare per via Cadorna ove erano state abbattute case e danneggiate le scuole "Gabelli" e il monumento ai Caduti, infilarci per via Avogari giungendo infine a casa e predisporsi a partire con le poche cose che era possibile portare con sè.

    Bastò il motore di un piccolo aereo da ricognizione, che sorvolò la città in quei momenti, per diffondere nuovamente il terrore: i xe qua ancora! Uomini, donne, bambini urlanti, salivano e scendevano i cumuli di macerie come formiche impazzite : per andare dove?

    Mentre le squadre dell'UNPA, dei vigili del fuoco, della Croce Rossa, sacerdoti, volontari accorsi anche dalla provincia e da altre città venete, si prodigavano prontamente e con esemplare generosità nell'opera di soccorso e di recupero delle salme, l’esodo delle famiglie superstiti divenne quasi totale. Con la lenta ripresa del pur necessario lavoro (ad eccezione di gran parte degli uffici pubblici definitivamente stabilitisi nei vari paesi della Marca) parecchie persone ritornarono in città nei giorni successivi per rientrare alla sera nei paesi in cui erano sfollate le famiglie. 

    Valutare l'entità delle vittime è impossibile ed estremamente difficile quella dei danni.

    All'indomani del bombardamento si fecero cifre grosse, affermando che i morti furono cinquemila, ma è da ritenere che le vittime non siano state superiori ai duemila, di cui 1200 circa tra gli abitanti del Comune e i restanti tra militari ed altre persone non anagraficamente residenti a Treviso.

    Un mese dopo l’attacco terroristico del Venerdi Santo, Radio Londra e le stazioni satelliti diramarono il seguente comunicato "Reuter":

    L'ATTACCO CONTRO LA CITTA' DI TREVISO E' AVVENUTO DURANTE L'INCONTRO GRAZIANI-VON RIBBENTROP, MENTRE SI SVOLGEVA UNA GRANDE PARATA MILITARE IN ONORE DEL MINISTRO GERMANICO.

    Questa è una menzogna colossale, anche se a Treviso erano effettivamente presenti più militari del solito, e pur ritenendo credibile la presenza di Graziani che pare si sia allontanato appena dato il segnale d'allarme.

    Una riunione militare di un certo livello era forse indetta quel giorno presso l’albergo "Stella d'Oro". Venne anche sussurrato che sul tetto di questo albergo ci fosse stato un uomo-travestito da donna e poi trovato cadavere tra le macerie - che faceva segnali luminosi per indicare agli aerei l’edificio in cui si svolgeva tale incontro, e che egli non abbia fatto in tempo a salvarsi poiché gli aerei hanno buttato giù bombe senza alcuna preoccupazione oltre a quella di vedere cancellato il segnale e quindi anche l’albergo. Certo è che in quelle rovine lavorarono soltanto militari germanici e la popolazione venne tenuta alla larga;

    Cinque feretri (con una feritoia per l’identificazione) sono stati portati via dai tedeschi, e pare che vi fossero dentro i corpi di altrettanti generali. Le salme dell'albergatore Luciano Voegelin, abbastanza noto anche come scrittore, della moglie e di altri otto congiunti vennero portate a Cortina d'Ampezzo.

    Sicuramente molti erano i dipendenti del ministero dell’Agricoltura che da tempo erano presenti nella zona di Treviso (risale a quell'occasione la venuta della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, che rimane tuttora l'unica dipendenza, di questo importante istituto di credito, che opera nella tre Venezie), ma evidentemente non può essere ritenuto un successo bellico quello di aver soppresso dieci tra funzionari e dipendenti del ministero e della Corte dei Conti, e quattordici loro familiari. Mori' anche il sindacalista Giuseppe Tarchi (fratello del ministro dell'Economia Corporativa Angelo Tarchi) con la madre e altri due congiunti.

    Trovarono la morte a Treviso due dipendenti dell'Istituto Nazionale di Statistica, uno dell'EIAR ente radiofonico, e non pochi parenti di trevigiani qui giunti per le festività pasquali, oltre a molti sventurati (da Conegliano, Spercenigo, Maserada) che quelgiorno vennero a trovarsi a Treviso. 

    Numerosi dovrebbero essere stati i morti tedeschi nell'unica caserma che venne colpita; un lungo corteo di carri lasciò l’edificio, con il macabro carico, nel corso della notte tra il sabato e la domenica di Pasqua.

    E' dunque impossibile valutare il numero dei morti. Certo è che non furono pochi i carri (molto usate furono le carriole da verdura, di lunghezza idonea, a due ruote) con i quali i parenti delle vittime residenti fuori del Comune di Treviso vennero a ritirare i corpi dei propri cari.

    La drammatica incombenza di dover provvedere al seppellimento dei propri congiunti fu frequente in quei giorni. Le ricerche avvenivano nelle chiese dove erano state deposte le vittime, prevalentemente in quella di S. Leonardo, nella Cattedrale, e nel battistero di S. Giovanni.

    Erano corpi anneriti, spesso mutilati ed irriconoscibili, membra e brani umani di chissà chi, tra cui una testa di bambina (raccolta in via Ortazzo) con una manina pure stroncata e disperatamente appesa ai riccioli biondi.

    Tra questo scempio accadeva anche che diversi gruppi familiari si disputassero un povero morto nel quale ravvisavano un proprio congiunto; dubbi che sorgevano perchè i tremendi spostamenti d'aria avevano spesso provocato, oltre all'irreparabile lacerazione dei polmoni, l'asportazione delle vesti.

    Un mio vicino di casa dovette confezionare con le sue mani la bara ove poi collocarono il figlio portandolo di persona al cimitero.

    La carenza di casse da morto, per l'imprevedibile occorrenza che esaurì le scorte anche nei paesi vicini, determinò dei problemi; si dice che vennero frettolosamente costruite bare a più posti, talvolta ricorrendo al misero legno ricavato dalle cassette, per la futta. Certo è che anche al camposanto di S. Lazzaro non ci fu posto per i seppellimenti, e si dovette ricorrere ai cimiteri frazionali.

    Sui ruderi degli edifici distrutti cominciarono ad apparire scritte di violenta protesta. Vi aveva provveduto l'ufficio di propaganda dei reggitori d'allora, ma è indubbio che interpretassero lo sdegno di tutta la cittadinanza.

    Furono parecchi coloro che a causa delle ferite morirono dopo varie settimane, malgrado l'encomiabilissima dedizione dei medici di Treviso che - nei posti di soccorso istituiti nei vari punti della città - nell’ospedaletto approntato nella zona di S. Antonino vennero accolti 150 feriti gravi ed altrettanti di leggeri - riuscirono a salvare un gran numero. Qui e negli ospedali della provincia fu assiduamente presente, per recare espressioni di conforto, il Vescovo mons. A. Mantiero che con i suoi collaboratori fu visto tra le macerie della città ancor prima della cessazione dell'allarme.

    Un giovane sordomuto venne estratto salvo -dopo oltre tre giorni- dalle rovine della sua casa in via Pescatori. Il padre era morto all'istante, e la madre -vissuta fino alla domenica di Pasqua- gli aveva fatto schermo col proprio corpo per proteggerlo dalla possibile caduta di altri materiali.

    Durissimo il bilancio degli edifici distrutti o gravemente danneggiati. 

    Il palazzo dei Trecento, il più prestigioso monumento civile di Treviso, era quasi totalmente crollato; una enorme trave si era infilata attraverso il pavimento fuoriuscendo dal soffitto della sottostante solidissima loggia.

    Gravemente colpiti in molti casi irreparabilmente furono la sezione ospedaliera di Cafoncello, il Duomo, il palazzo Da Noal, la chiesa di S. Martino, il tempio votivo della Madonna Ausiliatrice, l'edificio della Borsa, il battistero di S. Giovanni, la stazione ferroviaria, il politeama "Garibaldi", il patronato S. Nicolò, l'orfanotrofio "G. Emiliani" e la vicina scuola industriale, il liceo ginnasio "Canova", la scuola "De Amicis", la Corte d' Assise e il palazzo degli Agolanti, numerose case quattrocentesche con le pareti affrescate che costituivano un aspetto caratteristico, quasi esclusivo della città.

    Le località più sconvolte risultaronoquelle periferiche di S. Lazzaro, Fiera e S. Antonino; in città il quartiere di S. Nicolò,piazzalee via Cesare Battisti, via Giordani (via Pescatori), Tezzon, via Dotti, via Fra' Giocondo.

    I ricoveri colpiti furono otto tra cui quello detto "dei Bagni"; era un vicolo interrato che attraversava il giardino dei conti Avogadro e che era stato dotato di una copertura di calcestruzzo : divenne una raccapricciante tomba per coloro che vi si rifugiarono.

    Sull'antenna della torre di piazza dei Signori venne issata - a carattere permanente e a mezz'asta - una bandiera tricolore.

***

    Tra le tante cose preziose perdute dai sinistrati sono da ricordare le carte annonarie, e la Sezione provinciale dell'alimentazione ordinò il rilascio di duplicati. 

    Nei giorni immediatamente successivi al bombardamento venne disposta la distribuzione, per persona, di 100 grammi di burro, 100 grammi di formaggio fuso, 300 grammi di marmellata, 70 grammi di salumi, 50 grammi di conserva di pomodoro, e un certo numero di candele steariche; il pane poteva venire ritirato nei panifici anche senza la carta annonaria ( previa annotazione con riserva di ritirare il bollino) nella normale misura di 150 grammi giornalieri. Venne autorizzata la distribuzione straordinaria di 100 grammi, per persona, di carne in conserva e latte condensato. 

    Provvedimenti di assistenza vennero adottati con prontezza, e in pochi giorni vennero raccolti fondi per L. 1.500.000: la cassa di Risparmio erogò, il 10 aprile, centomila lire di cui 50.000 messe a disposizione dell'autorità civile e 50.000 assegnate al proprio personale maggiormente sinistrato. 

    Notizia comprensibilmente accolta con gioia fu quella dell'aumento di 50 grammi, dal 20 aprile, della razione giornaliera di pane, che risultò pertanto la seguente: 200 grammi per i normali consumatori, 275 grammi per i giovani dai 9 ai 18 anni, 375 grammi per i lavoratori manuali, 475 grammi per gli operai addetti ai lavori pesanti e di 575 grammi per gli addetti ai lavori pesantissimi.

    Anche la razione di pasta e riso venne aumentata : tre chilogrammi al mese complessivamente. Il tasso di abburrattamento della pasta venne ridotto dal 90 all’80 per cento.

    Poichè le scuole del capoluogo erano state chiuse, il capo della provincia prese accordi con il provveditore agli Studi e il 13 aprile emise un decreto col quale

    Tutti gli studenti delle classi 1926-27-28residenti a Treviso, debbono considerarsi mobilitati al servizio del lavoro e presentarsi al Comando provinciale dell'U.N.P.A presso la Prefettura di Treviso, alle dipendenze del quale resteranno per tutto il periodo di emergenza necessario al riassetto del capoluogo e ripresa della vita cittadina.

    Gli studenti che non ottempereranno tale ordine, non verranno presi in considerazione ai fini degli scrutini finali e saranno deferiti al Tribunale di guerra.

    Con detta ordinanza venne richiesto l'invio a Treviso, a disposizione del Genio Civile, di tutti gli automezzi non impiegati per industrie di guerra o approvvigionamenti alimentari, e la requisizione di tutti i carri agricoli dei Comuni situati a una distanza non superiore ai quindici chilometri da Treviso. Ciò per il periodo di emergenza necessario alla riattivazione della vita cittadina.

    Ripresero a funzionare presso il Seminario vescovile, dopo la distruzione del vicino patronato di S. Nicolò il refettorio che distribuiva minestra, per i meno abbienti, a cura delle organizzazioni religiose.

    Il 16 aprile Domenica in Albis - in tutte le chiese della provincia vennero celebrati riti di suffragio per le vittime dell'incursione. Nel tempio di S. Francesco a Treviso ha celebrato la Messa il vescovo mons. Antonio Maniero.

***

    Fervevano intanto le operazioni di sgombero delle macerie tra le quali -anche dopo un mese- vennero rinvenute alcune salme.

***

    Poichè solitamente riparavo con la famiglia nel ricovero allestito a poche decine di metri da casa -e che venne colpito in pieno- si diffuse la notizia, avvalorata dal fatto che la pur traballante abitazione era rimasta deserta nei giorni successivi, che anche noi fossimo morti. Messe di suffragio vennero fatte celebrare, per noi, da famiglie amiche.

    Un ricordo personale di maggiore interesse risale a pochi mesi dopo la conclusione della guerra. E' necessario premettere che, trentacinque anni addietro, la famiglia di mia madre abitava in una grande casa nel cui androne erano situati gli ingressi di due abitazioni; in una di queste alloggiava la famiglia di un bambino di 7-8 anni il quale era compagno di giochi della mia futura mamma, e che successivamente emigrò con la sua famiglia negli Stati Uniti.

    Il ragazzetto trevigiano divenne cittadino americano, con tutti i conseguenti diritti doveri, e il 7 aprile -quale sottufficiale dell'aeronautica americana- era lassù, in uno di quei maledetti bombardieri che stavano fracassando Treviso. Conclusa la guerra e trovandosi in Italia, tornò alla casa natia per avere notizie dell’Angelina, la compagna di giochi dell'infanzia ormai lontana.

    Non trovò mia madre ma altri parenti che erano subentrati nell'abitazione situata ai margini della città. Riferì l'angoscia provata quel giorno per la certezza di aver recato danni irreparabili alla sua città, per il dubbio atroce di aver contribuito a dilaniare anche la bambina che, nella sua mente, era rimasta impressa tra le cose più care della sua terra d'origine, della sua Patria diventata nemica. Informò anche -e questo è il motivo che qui interessa- che l'azione contraerea aveva notevolmente contrastato l'incursione su Treviso; le schegge dei proiettili esplodenti a poca distanza dagli aerei schizzavano entro le fusoliere, per cui le formazioni rientrarono con alcune decine di morti a bordo e numerosi feriti. Non ci fu possibile incontrarlo. Gli bastò sapere che era cessato almeno uno dei suoi motivi di rimorso, e partì.

TRATTO DA:Avevano avuto assegnazione in città e nella periferia gli uffici del ministero dell'Agricoltura del governo della R.S.I., e ciò aveva comportato un notevole aumento delle presenze nel Comune di Treviso. Al seguito dei dipendenti di tale ministero erano giunte molte famiglie, ed anche il contingente di militari si accrebbe notevolmente.

    Nei primi giorni di aprile vennero febbrilmente scavate parecchie postazioni d'artiglieria contraerea, formando una cintura a quattro-cinque chilometri dalla città; le batterie erano tedesche (con evidente comando germanico) e il personale ai pezzi prevalentemente italiano. Quando, nel corso degli allarmi, appariva qualche caccia avversario, erano guai per la popolazione perchè le schegge dei proiettili venivano a cadere anche nelle zone cui affluiva la gente all'uscita dalla Città; era quindi consigliabile rimanere in casa o recarsi sveltamente ai rifugi che, almeno per questo pericolo, erano sufficientemente resistenti.

    Ecco perchè il 7 aprile la popolazione venne in gran parte sorpresa entro le mura cittadine.

    Mancava poco alle 13 quando le sirene urlarono al pericolo incombente, e molti lasciarono le case per recarsi al rifugio. Gruppi di aerei da caccia sorvolarono la città dopo pochi minuti e le schegge dei proiettili dei cannoni antiaerei già fischiavano nella loro caduta. Suggerita da un presentimento, mia madre volle superare il ricovero di via D'Annunzio ove ci si recava abitualmente per riparare in quello che sorgeva in via Cesare Battisti (nell'area ora occupata dalla sede dell'INAIL), e lì vedemmo arrivare quei dannati bombardieri, in formazione perfetta e compatta, argentei come pesci in spensierata vacanza, alti per evitare il più possibile il tiro delle artiglierie che gli facevano fiorire tutt'intorno piccole nuvole provocate dagli scoppi, ed alti anche per l'evidente noncuranza di ricercare gli obiettivi che potessero avere una certa importanza militare.

    Vedemmo i primi grappoli di bombe e si udirono le prime esplosioni provenienti dai sobborghi di S. Antonino e di S. Lazzaro. Ci precipitammo entro il rifugio quando lo schianto avvolse tutta la città; lo spostamento violentissimo dell'aria ci sbatteva addosso togliendo il respiro e scaraventandoci gli uni sugli altri contro le pareti del precario ricovero; la terra sussultava con un ritmo incredibile quasi a spaccarsi ed inghiottirci. Urla di terrore, invocazioni, richiami di persone care, davano la convinzione che ormai non ci sarebbe stato scampo per alcuno.

    Il cupo rumore degli aerei non era ancora spento quando si sentì quello della seconda ondata. Le bombe ripresero a grandinare sulla città per altri pochi ma terrificanti minuti.

    Appena il frastuono diminuì, consentendo di capire qualcosa tra le grida che continuavano a riempire il ricovero ove mi trovavo, riuscii a cogliere la seguente scena di cui furono protagonisti due bambini di 8 e 9 anni. Giuliano B., aggrappato alla madre, urlava che non voleva morire; Giovannino T. lo guardava impassibile, quasi commiserandolo, finchè gli chiarì il motivo della sua calma: Mi, inveze, gò caro de morir, parchè cussì no vado più a scuola. (lo sventurato Giuliano morì qualche anno dopo la guerra, annegato nell'insidioso Sile che aveva affrontato con imprudenza; Giovannino è diventato un pezzo d'uomo qual’era il suo buon papà, e vive tuttora a Treviso).

    Il breve colloquio venne bruscamente interrotto dalla terza ondata di bombardieri che suscitò altre rovine e la disperata convinzione che Treviso e tutti noi saremmo spariti dal mondo.

    Terminati i laceranti scoppi, rimanemmo ammutoliti senza il coraggio di esprimere la speranza che il martellamento fosse concluso. Poi si udirono le prime urla provenire dall'esterno, e cautamente, quasi increduli, uscimmo all'aperto.

    La scena era spaventosa; sebbene la giornata fosse limpida, il sole quasi non si scorgeva perchè oscurato da una coltre di fumo e di polvere alimentata dagli incendi e dai muri delle case che continuavano a crollare.

    A pochi metri dal nostro ricovero una bomba aveva colpito la villa dell'on. Cappellotto; non sapevamo ancora quale strazio si era compiuto nel rifugio situato nel cortile dell'ex convento delle Cappuccine distante appena poche decine di metri. Ci andai pochi giorni dopo; erano morti persino i grossi topi che vi si erano installati forse vivendo di qualche avanzo alimentare lasciato cadere da coloro che lo frequentavano durante gli allarmi; dal vicino quartiere di S. Niccolò la gente, tra cui molti che sanguinavano, fuggivano inebetiti dal terrore.

    Una giovanetta correva urlando "mamma; mamma" tenendo stretta al petto, quasi volesse portarla a salvamento la testa della madre.

    Non fu possibile raggiungere la nostra casa, situata nei pressi del rifugio che solitamente frequentavamo e che era stato colpito massacrando due terzi delle persone che vi si trovavano; lo spostamento d'aria, incanalatosi nella parte non crollata del rifugio smembrò letteralmente parecchi corpi.

    Una nostra vicina diventata madre dopo anni di ansiosa attesa, impietrita dal dolore cullava tra le braccia il suo bambino di pochi mesi rimasto senza la testa finita chissà dove.

    Per arrivare alla casa che pur danneggiata si scorgeva in piedi, dovemmo ritornare verso via Battisti, attraversare piazza del Duomo seminata di macerie, seguire il Calmaggiore, superare l'enorme gradino venuto a crearsi davanti alla Cassa di Risparmio e che era ciò che rimaneva della ceduta facciata del palazzo dei Trecento; via XX Settembre era pur ingombra di rovine, davanti all'albergo "Stella d'Oro" quasi totalmente crollato, situato nell’area ora occupata dalla sede della Banca Commerciale e dall'inizio di via Toniolo ~ i tedeschi (sapremo poi il perchè) ci facevano sveltamente allontanare. L'edificio occupato dal Provveditorato agli Studi (pregevole palazzo, occupato a pianterreno da un negozio di calzature, che esisteva tra le vie Diaz e Collalto) era un rogo impressionante, e qui venimmo trattenuti da un ufficiale della "compagnia della morte" che, fuori di senno dal terrore, gridava "tutti nel fuoco; tutti nel fuoco" con l'assurda pretesa che senza un goccio d'acqua noi si potesse fermare l'incendio che insieme devastava documenti scolastici e scarpe preziosissime, anche se aventi la tomaia di tela da sacchi.

    Fu necessario proseguire per il corso, fino quasi alla chiesa di S. Martino completamente distrutta, girare per via Cadorna ove erano state abbattute case e danneggiate le scuole "Gabelli" e il monumento ai Caduti, infilarci per via Avogari giungendo infine a casa e predisporsi a partire con le poche cose che era possibile portare con sè.

    Bastò il motore di un piccolo aereo da ricognizione, che sorvolò la città in quei momenti, per diffondere nuovamente il terrore: i xe qua ancora! Uomini, donne, bambini urlanti, salivano e scendevano i cumuli di macerie come formiche impazzite : per andare dove?

    Mentre le squadre dell'UNPA, dei vigili del fuoco, della Croce Rossa, sacerdoti, volontari accorsi anche dalla provincia e da altre città venete, si prodigavano prontamente e con esemplare generosità nell'opera di soccorso e di recupero delle salme, l’esodo delle famiglie superstiti divenne quasi totale. Con la lenta ripresa del pur necessario lavoro (ad eccezione di gran parte degli uffici pubblici definitivamente stabilitisi nei vari paesi della Marca) parecchie persone ritornarono in città nei giorni successivi per rientrare alla sera nei paesi in cui erano sfollate le famiglie. 

    Valutare l'entità delle vittime è impossibile ed estremamente difficile quella dei danni.

    All'indomani del bombardamento si fecero cifre grosse, affermando che i morti furono cinquemila, ma è da ritenere che le vittime non siano state superiori ai duemila, di cui 1200 circa tra gli abitanti del Comune e i restanti tra militari ed altre persone non anagraficamente residenti a Treviso.

    Un mese dopo l’attacco terroristico del Venerdi Santo, Radio Londra e le stazioni satelliti diramarono il seguente comunicato "Reuter":

    L'ATTACCO CONTRO LA CITTA' DI TREVISO E' AVVENUTO DURANTE L'INCONTRO GRAZIANI-VON RIBBENTROP, MENTRE SI SVOLGEVA UNA GRANDE PARATA MILITARE IN ONORE DEL MINISTRO GERMANICO.

    Questa è una menzogna colossale, anche se a Treviso erano effettivamente presenti più militari del solito, e pur ritenendo credibile la presenza di Graziani che pare si sia allontanato appena dato il segnale d'allarme.

    Una riunione militare di un certo livello era forse indetta quel giorno presso l’albergo "Stella d'Oro". Venne anche sussurrato che sul tetto di questo albergo ci fosse stato un uomo-travestito da donna e poi trovato cadavere tra le macerie - che faceva segnali luminosi per indicare agli aerei l’edificio in cui si svolgeva tale incontro, e che egli non abbia fatto in tempo a salvarsi poiché gli aerei hanno buttato giù bombe senza alcuna preoccupazione oltre a quella di vedere cancellato il segnale e quindi anche l’albergo. Certo è che in quelle rovine lavorarono soltanto militari germanici e la popolazione venne tenuta alla larga;

    Cinque feretri (con una feritoia per l’identificazione) sono stati portati via dai tedeschi, e pare che vi fossero dentro i corpi di altrettanti generali. Le salme dell'albergatore Luciano Voegelin, abbastanza noto anche come scrittore, della moglie e di altri otto congiunti vennero portate a Cortina d'Ampezzo.

    Sicuramente molti erano i dipendenti del ministero dell’Agricoltura che da tempo erano presenti nella zona di Treviso (risale a quell'occasione la venuta della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, che rimane tuttora l'unica dipendenza, di questo importante istituto di credito, che opera nella tre Venezie), ma evidentemente non può essere ritenuto un successo bellico quello di aver soppresso dieci tra funzionari e dipendenti del ministero e della Corte dei Conti, e quattordici loro familiari. Mori' anche il sindacalista Giuseppe Tarchi (fratello del ministro dell'Economia Corporativa Angelo Tarchi) con la madre e altri due congiunti.

    Trovarono la morte a Treviso due dipendenti dell'Istituto Nazionale di Statistica, uno dell'EIAR ente radiofonico, e non pochi parenti di trevigiani qui giunti per le festività pasquali, oltre a molti sventurati (da Conegliano, Spercenigo, Maserada) che quelgiorno vennero a trovarsi a Treviso. 

    Numerosi dovrebbero essere stati i morti tedeschi nell'unica caserma che venne colpita; un lungo corteo di carri lasciò l’edificio, con il macabro carico, nel corso della notte tra il sabato e la domenica di Pasqua.

    E' dunque impossibile valutare il numero dei morti. Certo è che non furono pochi i carri (molto usate furono le carriole da verdura, di lunghezza idonea, a due ruote) con i quali i parenti delle vittime residenti fuori del Comune di Treviso vennero a ritirare i corpi dei propri cari.

    La drammatica incombenza di dover provvedere al seppellimento dei propri congiunti fu frequente in quei giorni. Le ricerche avvenivano nelle chiese dove erano state deposte le vittime, prevalentemente in quella di S. Leonardo, nella Cattedrale, e nel battistero di S. Giovanni.

    Erano corpi anneriti, spesso mutilati ed irriconoscibili, membra e brani umani di chissà chi, tra cui una testa di bambina (raccolta in via Ortazzo) con una manina pure stroncata e disperatamente appesa ai riccioli biondi.

    Tra questo scempio accadeva anche che diversi gruppi familiari si disputassero un povero morto nel quale ravvisavano un proprio congiunto; dubbi che sorgevano perchè i tremendi spostamenti d'aria avevano spesso provocato, oltre all'irreparabile lacerazione dei polmoni, l'asportazione delle vesti.

    Un mio vicino di casa dovette confezionare con le sue mani la bara ove poi collocarono il figlio portandolo di persona al cimitero.

    La carenza di casse da morto, per l'imprevedibile occorrenza che esaurì le scorte anche nei paesi vicini, determinò dei problemi; si dice che vennero frettolosamente costruite bare a più posti, talvolta ricorrendo al misero legno ricavato dalle cassette, per la futta. Certo è che anche al camposanto di S. Lazzaro non ci fu posto per i seppellimenti, e si dovette ricorrere ai cimiteri frazionali.

    Sui ruderi degli edifici distrutti cominciarono ad apparire scritte di violenta protesta. Vi aveva provveduto l'ufficio di propaganda dei reggitori d'allora, ma è indubbio che interpretassero lo sdegno di tutta la cittadinanza.

    Furono parecchi coloro che a causa delle ferite morirono dopo varie settimane, malgrado l'encomiabilissima dedizione dei medici di Treviso che - nei posti di soccorso istituiti nei vari punti della città - nell’ospedaletto approntato nella zona di S. Antonino vennero accolti 150 feriti gravi ed altrettanti di leggeri - riuscirono a salvare un gran numero. Qui e negli ospedali della provincia fu assiduamente presente, per recare espressioni di conforto, il Vescovo mons. A. Mantiero che con i suoi collaboratori fu visto tra le macerie della città ancor prima della cessazione dell'allarme.

    Un giovane sordomuto venne estratto salvo -dopo oltre tre giorni- dalle rovine della sua casa in via Pescatori. Il padre era morto all'istante, e la madre -vissuta fino alla domenica di Pasqua- gli aveva fatto schermo col proprio corpo per proteggerlo dalla possibile caduta di altri materiali.

    Durissimo il bilancio degli edifici distrutti o gravemente danneggiati. 

    Il palazzo dei Trecento, il più prestigioso monumento civile di Treviso, era quasi totalmente crollato; una enorme trave si era infilata attraverso il pavimento fuoriuscendo dal soffitto della sottostante solidissima loggia.

    Gravemente colpiti in molti casi irreparabilmente furono la sezione ospedaliera di Cafoncello, il Duomo, il palazzo Da Noal, la chiesa di S. Martino, il tempio votivo della Madonna Ausiliatrice, l'edificio della Borsa, il battistero di S. Giovanni, la stazione ferroviaria, il politeama "Garibaldi", il patronato S. Nicolò, l'orfanotrofio "G. Emiliani" e la vicina scuola industriale, il liceo ginnasio "Canova", la scuola "De Amicis", la Corte d' Assise e il palazzo degli Agolanti, numerose case quattrocentesche con le pareti affrescate che costituivano un aspetto caratteristico, quasi esclusivo della città.

    Le località più sconvolte risultaronoquelle periferiche di S. Lazzaro, Fiera e S. Antonino; in città il quartiere di S. Nicolò,piazzalee via Cesare Battisti, via Giordani (via Pescatori), Tezzon, via Dotti, via Fra' Giocondo.

    I ricoveri colpiti furono otto tra cui quello detto "dei Bagni"; era un vicolo interrato che attraversava il giardino dei conti Avogadro e che era stato dotato di una copertura di calcestruzzo : divenne una raccapricciante tomba per coloro che vi si rifugiarono.

    Sull'antenna della torre di piazza dei Signori venne issata - a carattere permanente e a mezz'asta - una bandiera tricolore.

***

    Tra le tante cose preziose perdute dai sinistrati sono da ricordare le carte annonarie, e la Sezione provinciale dell'alimentazione ordinò il rilascio di duplicati. 

    Nei giorni immediatamente successivi al bombardamento venne disposta la distribuzione, per persona, di 100 grammi di burro, 100 grammi di formaggio fuso, 300 grammi di marmellata, 70 grammi di salumi, 50 grammi di conserva di pomodoro, e un certo numero di candele steariche; il pane poteva venire ritirato nei panifici anche senza la carta annonaria ( previa annotazione con riserva di ritirare il bollino) nella normale misura di 150 grammi giornalieri. Venne autorizzata la distribuzione straordinaria di 100 grammi, per persona, di carne in conserva e latte condensato. 

    Provvedimenti di assistenza vennero adottati con prontezza, e in pochi giorni vennero raccolti fondi per L. 1.500.000: la cassa di Risparmio erogò, il 10 aprile, centomila lire di cui 50.000 messe a disposizione dell'autorità civile e 50.000 assegnate al proprio personale maggiormente sinistrato. 

    Notizia comprensibilmente accolta con gioia fu quella dell'aumento di 50 grammi, dal 20 aprile, della razione giornaliera di pane, che risultò pertanto la seguente: 200 grammi per i normali consumatori, 275 grammi per i giovani dai 9 ai 18 anni, 375 grammi per i lavoratori manuali, 475 grammi per gli operai addetti ai lavori pesanti e di 575 grammi per gli addetti ai lavori pesantissimi.

    Anche la razione di pasta e riso venne aumentata : tre chilogrammi al mese complessivamente. Il tasso di abburrattamento della pasta venne ridotto dal 90 all’80 per cento.

    Poichè le scuole del capoluogo erano state chiuse, il capo della provincia prese accordi con il provveditore agli Studi e il 13 aprile emise un decreto col quale

    Tutti gli studenti delle classi 1926-27-28residenti a Treviso, debbono considerarsi mobilitati al servizio del lavoro e presentarsi al Comando provinciale dell'U.N.P.A presso la Prefettura di Treviso, alle dipendenze del quale resteranno per tutto il periodo di emergenza necessario al riassetto del capoluogo e ripresa della vita cittadina.

    Gli studenti che non ottempereranno tale ordine, non verranno presi in considerazione ai fini degli scrutini finali e saranno deferiti al Tribunale di guerra.

    Con detta ordinanza venne richiesto l'invio a Treviso, a disposizione del Genio Civile, di tutti gli automezzi non impiegati per industrie di guerra o approvvigionamenti alimentari, e la requisizione di tutti i carri agricoli dei Comuni situati a una distanza non superiore ai quindici chilometri da Treviso. Ciò per il periodo di emergenza necessario alla riattivazione della vita cittadina.

    Ripresero a funzionare presso il Seminario vescovile, dopo la distruzione del vicino patronato di S. Nicolò il refettorio che distribuiva minestra, per i meno abbienti, a cura delle organizzazioni religiose.

    Il 16 aprile Domenica in Albis - in tutte le chiese della provincia vennero celebrati riti di suffragio per le vittime dell'incursione. Nel tempio di S. Francesco a Treviso ha celebrato la Messa il vescovo mons. Antonio Maniero.

***

     TRATTO DA:http://www.italia-rsi.org/alleatidichi/bombardamentitreviso.htm


 

postato da: sebastia11 alle ore 14:44 | link | commenti
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venerdì, 02 aprile 2010

BUONA PASQUA
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AUGURI!!!!!
postato da: sebastia11 alle ore 18:11 | link | commenti
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mercoledì, 31 marzo 2010

Istat, disoccupazione giovanile al 28,2%

lavoro
Nel febbraio 2009, il tasso era all'8,8%. Lo comunica l'ufficio di statistica europeo Eurostat, rilevando che rappresenta il picco record per i 16 paesi della moneta unica dall'agosto del 1998. Nell'Unione europea, la disoccupazione a febbraio si è attestata al 9,6%, rispetto al 9,5% di gennaio. Nel febbraio 2009 era all'8,3%. In Italia, il tasso di disoccupazione a febbraio è stato dell'8,5%. Eurostat stima che 23,019 milioni di uomini e donne nella Ue a 27, di cui 15,749 milioni nei 16 Paesi della moneta unica, erano senza lavoro in febbraio. Rispetto al mese di gennaio, i disoccupati sono cresciuti di 131 mila nella Ue-27 e di 61 mila nella zona dell'euro. Rispetto al febbraio 2009, i disoccupati sono aumentati di 3,139 milioni nella Ue-27 e di 1,844 milioni nella zona dell'euro. Tra gli Stati membri, il tasso più basso di disoccupazione si registra in Olanda (4%) e Austria (6%) mentre quello più alto in Lettonia (21,7%) e in Spagna (19%). Rispetto ad un anno fa, tutti gli stati membri hanno perso posti di lavoro. L'aumento più basso del tasso di disoccupazione è stato osservato in Lussemburgo (da 5,4% a 5,5%) e Belgio (da 7,7% a 8%), mentre gli aumenti più consistenti hanno riguardato la Lettonia (da 13,2 a 21,7%), l'Estonia (da 7,6% a 15,5%) e la Lituania (da 8,1% a 15,8%). In un anno, tra febbraio 2009 e febbraio 2010, il tasso di disoccupazione maschile è aumentato dall'8,5% al 10% nella zona dell'euro e dall'8,2% al 9,8% nella Ue. Il tasso di disoccupazione femminile è aumentato dal 9,2% al 10% nella zona dell'euro e dall'8,4% al 9,3% nella Ue-27. Il tasso di disoccupazione giovanile (sotto i 25 anni) in febbraio è stato del 20% nella zona dell'euro e del 20,6% nella Ue-27. Un anno prima era del 18,4% in entrambe le aree. Il tasso più basso è stato registrato in Olanda (7,3%) mentre il più alto in Lettonia (41,3%) e in Spagna (40,7%).
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lunedì, 29 marzo 2010

E SE FOSSE IL CONTRARIO?????
"Italiano di m..." è meno grave
dello stesso insulto a un nero
punto interrogativoL'espressione "italiano di m...", pur essendo un'ingiuria, non ha l'aggravante dell'odio razziale. Come l'espressione "Negro di m...". E' quanto si deduce da una sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna al pagamento di una multa di 900 euro inflitta dal giudice di pace di Pordenone ad un extracomunitario per ingiuria, percosse e minaccia nei confronti di un italiano. L'imputato, in particolare, si era rivolto alla parte offesa chiamandolo 'italiano di m..', ma il giudice non aveva ritenuto di dover applicare nei suoi confronti l'aggravante della connotazione razzista.

Contro tale verdetto si era rivolto alla Cassazione il procuratore generale di Trieste, chiedendo una pena più severa per l'imputato, ma i supremi giudici, hanno ritenuto infondato il suo ricorso specificando che  una precedente pronuncia sull'l'espressione 'sporca negra' integrasse invece "gli estremi di ingiuria aggravata dalle finalità di discriminazione o di odio etnico e razziale, in quanto essa era correlata nell'accezione corrente, adottata nel nostro territorio, proprio ad un pregiudizio di inferiorità razziale".

Nel caso in esame, però, spiegano nella sentenza, "non si desume che la frase ingiuriosa 'italiano di m..' fosse stata pronunciata consapevolmente per finalità di discriminazione, di odio nazionale razziale o di conflitto tra persone a causa dell'etnia, non risultando che l'imputato avesse manifestato, nel contesto in cui erano state profferire, odio e sentimenti similari connaturati ad una situazione di inferiorità degli italiani. Anche perchè - osservano i giudici di piazza Cavour - non si può ritenere che il riferimento all'italiano, nel nostro territorio, possa dare luogo ad un pregiudizio corrente di inferiorità".
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venerdì, 26 marzo 2010

GIOVENTU DI IERI
fascisti
GIOVENTU D'OGGI
rave party sidicinum(2)
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martedì, 23 marzo 2010

23-03-1919 L INIZIO DELLA NUOVA ERA52_1_sbl
LA RIVOLUZIONE FASCISTA DIEDE AL POPOLO ITALIANO PER LA PRIMA VOLTA L ORGOGLIO DI SENTIRSI ITALIANO,IL PRIVILEGIO DI APPARTENENZA AD UNA COMPAGINE NAZIONALE CAMPIONE DI ORDINE, DI VALORI ,DI SOCIALITA ,DI PATRIOTTISMO,UNICA NEL SUO GENERE;GRAZIE AL SUO ISPIRATORE IL DUCE BENITO MUSSOLINI ,UOMO DI POPOLO,FU LA PIU GRADE RIVOLUZIONE CHE LA NOSTRA STORIA RICORDI E IL DECATENTE PERIODO ATTUALE PREGNO DI LADRONERIA,AMORALIA,MENEFREGHISMO, NON PUO ASSOLUTAMENTE PERMETTERSI DI GIUDICARE
ONORE E GLORIA ALLA RIVOLUZIONE FASCISTA
CAMERATA SEBA
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