martedì 22 novembre 2011

domenica, 30 ottobre 2011

QUANDO C’ERA LEI…

30 ott 2011


 

 

Nell’articolo pubblicato oggi su Il Giornale, partendo dalla mia dichiarazione di ieri “Con due milioni di lire si campava, con mille euro invece si fa la fame” si ragiona su un tema che è poi un dato di fatto ritenuto tale da tutti gli italiani.
L’attacco dell’opposizione a Berlusconi che ha semplicemente affermato una verità rispetto alla moneta unica dicendo che “non è capita” è irricevibile, soprattutto da parte di quella sinistra che l’euro l’ha sempre voluto, dall’allora presidente del Consiglio, Giuliano Amato, fino alle dichiarazioni dell’attuale leader dell’Idv, Di Pietro.
Eppure appare chiaro che gli italiani che hanno il mio stesso pensiero sono sicuramente molto, molto numerosi.

Cliccando sul link successivo si potrà leggere l’articolo de Il Giornale
Il Giornale


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sabato, 29 ottobre 2011

  

29 Ottobre 1975 – In ricordo di Mario Zicchieri

 


 La famiglia Zicchieri abitava in un appartamento, al secondo piano con due camere più servizi, in via Dignano D’Istria 29, borgata Prenestina periferia di Roma, una traversa stretta e tortuosa. Il marito, Germano, lavorava alla Stefer, azienda tranviaria, come impiegato. Taciturno e democristiano convinto.
        La moglie, Maria Lidia, invece, lavorava come commessa in una pasticceria di via Po, da “Pasquarelli”. Le figlie, Monica e Barbara, rispettivamente di tredici e dodici anni, frequentavano la scuola in via Aquilonia, dove le scuole medie e il liceo erano completamente attaccate. Infine, l’unico figlio maschio, Mario, diciassette anni, studente al terzo anno del corso per odontotecnici presso la scuola Eastman di via Galvani. Spesso l’orario di lezione si allungavano fino a tardi pomeriggio per le esercitazioni di laboratorioAveva fatto       il boy scout, era iscritto alla palestra pugilistica di Angelino Rossi e al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, presso la sezione di via Erasmo Gattamelata, nel cuore di uno dei più popolosi quartieri della Capitale, una specie di avamposto nel deserto dei tartari. La simpatia per il fascismo era arrivata a Mario Zicchieri non solo dal lato materno, il nonno di Maria Lidia, Bonifacio Albanesi, era podestà della cittadina sul litorale romano, Terracina, un personaggio sanguigno e forte, ma anche attraverso un’altra figura decisiva, il maestro elementare, un ex simpatizzante della Repubblica Sociale Italiana. In sezione tutti lo chiamavano “Cremino”.      
Quel soprannome non derivava dal colore della sua carnagione, ma dal fatto che era troppo     goloso dell’omonimo gelato Algida. Una settimana prima dell’agguato, Mario Zicchieri, era andato a raccogliere le firme per una petizione popolare che chiedeva l’istallazione degli impianti di illuminazione nel quartiere, insieme ad un altro missino e amico inseparabile, Marco Lucchetti. Era cresciuto in Australia dove il padre era emigrato come manovale. Ritornato a Roma, si era avvicinato al sezione del Movimento Sociale Italiano per fare amicizia e per ambientarsi. Intanto da giorni la guerriglia per il controllo del territorio era imperversa. 
Apparvero molte scritte sui muri ad opera di Avanguardia Operaia, persino sotto casa di Cremino, “Fascisti a Morte” con falce e martello. Il 29 ottobre del 1975 la scuola in via Galvani era in sciopero e Mario Zicchieri per arrotondare la paghetta aveva deciso di intrattenere per qualche ora il cuginetto. Gli zii più volte lo invitarono a fermarsi da loro ma Mario Zicchieri aveva degli impegni da rispettare. Infatti la sera prima era stato a cena insieme ad altri missini per organizzare un volantino e ricordare l’assassinio di Sergio Ramelli a Milano, preparare la manifestazione a favore degli sfrattati e aspettare il falegname per cambiare la serratura della sezione. Spesso era proprio Mario Zicchieri che disegnava i volantini, con lo stilo d’acciaio direttamente sulla matrice di cera.
Non era facile con la pallina tonda del pennino, bisognava stare molto attenti, anche se Mario Zicchieri era già abituato con i ferri da odontotecnico. Cremino era in sezione, davanti al ciclostile che sputava inchiostro e divorava carta. Alcuni missini, guardando la strada lo invitarono ad uscire per guardare delle ragazze. Marco Lucchetti era già sulla soglia della porta ed uscirono. Nemmeno a cinque metri dal marciapiede della sezione ad attenderli una macchina, centoventotto di colore verde targata Roma M 92808, con il motore acceso. Scesero due persone, pochi passi e spararono con fucili a pompa, cartucce da caccia misura 00, una pioggia di pallini, da quella distanza non vi era scampo. Mario Zicchieri fu il primo a essere ferito, colpito alle gambe e al pube, avvitandosi su se stesso cadde a terra agonizzante. L’altra fucilata, invece, fu per Marco Lucchetti, colpito, invece, alle gambe e a una mano, non in pericolo di vita. Il più grave era Cremino. 
Gli assassini avevano mirato al basso ventre, l’arteria era recisa e nel giro di pochi secondi già era in un lago di sangue. Il primo a soccorrerlo fu il tappezziere che aveva la bottega proprio al fianco della sezione missina. Subito si rese conto del problema dell’emorragia. Corse in negozio prese un giornale per tentare disperatamente di bloccare il sangue con dei tamponi improvvisati premendo sul bacino. Ma Mario Zicchieri era in stato di semincoscienza e quando fu trasportato all’ospedale era già clinicamente morto. Aveva appena diciassette anni. Proprio in quel momento, mentre partivano le fucilate, si trovava di passaggio un aviere in servizio, Vincenzo Romani. Il  militare si lanciò con la propria vettura all’inseguimento, ma dalla centoventotto si abbassarono i finestrini e spuntarono di nuovo le armi. Il militare fu costretto a ritirarsi. Al capezzale di Marco Lucchetti, il padre Alessandro, con il torace fasciato per le fratture che si era procurato in un incidente sul cantiere. La madre di Mario Zicchieri fu avvertita dal cognato mentre si trovava in pasticceria.
Il padre, Germano, invece, nella sua abitazione, poco dopo il rientro dall’ufficio, da un giornalista, subito colto da malore. I solenni funerali furono organizzati nella chiesa di San Leone Magno, al Prenestino, il 31 ottobre del 1975 alle ore sedici. Migliaia di persone arrivarono in corteo da via Erasmo Gattamelata, letteralmente ricoperta di fiori e di corone. Come al solito fu un rito di casa missina. In testa il Segretario Giorgio Almirante, Teodoro Buontempo e D’Addio, parlamentari del partito e consiglieri comunali. Tutti i ragazzi indossarono la fascetta del Movimento Sociale Italiano. In chiesa numerosi cartelli, quello più significativo del Fronte della Gioventù: “ Mario aveva diciassette anni, voleva vivere, voleva cambiare questa sporca Italia”.
 
Si presentò anche la fidanzata di Mario Zicchieri per la prima volta alla famiglia. Da via dei Volsci, sede di Autonomia San Lorenzo, un drappello di agitatori cercò più volte di interrompere la cerimonia. La situazione degenerò in assalti e contrassalti. Circa cinquecento missini, guidati da Signorelli e D’addio, si diressero verso il centro per assaltare il Ministero dell’Interno in via del Viminale, la sezione del Partito Comunista Italiano di via Cairoli, la sezione di lotta Continua in via dei Piceni. Quattro sconosciuti, a bordo di una Bmw, aggredirono a colpi di pistola, la sezione missina in via Etruria vicino a San Giovanni. Una centoventotto con quattro neofascisti fu data alle fiamme, per fortuna gli occupanti riuscirono miracolosamente a mettersi in salvo. Nella notte, i militanti missini, affissero in tutta la città manifesti in onore a Mario Zicchieri. Anche il Sindaco di Roma, Clelio Darida, dedicò la seduta alla giovane vittima. Germano Zicchieri, dal giorno della morte del figlio, lo sguardo si era pietrificato, era entrato in un tunnel, in un calvario di depressione che lo portò alla morte nel 1996. Monica e Barbara, le sorelle, con il contatto obbligato con i più grandi diventi per loro un inferno.
Addirittura inseguite, spintonate e insultate da alcuni ragazzi della sinistra extraparlamentare del liceo. Furono costrette a perdere l’anno scolastico e a iscriversi presso un nuovo istituto. Maria Lidia, invece, fu licenziata dalla pasticceria, per fortuna trovò occupazione in una fabbrica a Pomezia grazie all’aiuto di Michele Marchio, avvocato del Movimento Sociale Italiano. Si costituì parte civile nel processo giudiziario per la morte del figlio. Lo Stato fu assente. Ancora una volta non si videro assistenti sociali, istituzioni, psicologi, nessuno. Completamente abbandonati al loro dolore. Il 2 gennaio del 1978 fu devastata la lapide che i giovani del Fronte della Gioventù avevano affisso sul muro di via Gattamelata. Un chilo di polvere da mina e venti per cento di tritolo. Il 16 luglio dello stesso anno un’altra bomba esplose contro la sezione Prenestino. Intanto, la Magistratura brancolava nel buoi. Una descrizione approssimativa dei due assassini venne data dall’aviere e da Marco Lucchetti proprio durante il periodo di degenza.
 Il Questore, in un primo momento, aveva battuto la pista dei Nuclei Armati Proletari suscitando l’ira di Lotta Continua. In mancanza di necessari riscontri il Giudice Istruttore D’Angelo fu costretto ad archiviare l’inchiesta. Solo sette anni dopo, nel 1982, durante il processo Aldo Moro, le dichiarazioni di una brigatista pentita, portarono alla riapertura del caso. Emilia Libera sostenne che uccisero Mario Zicchieri per essere promossi brigatisti. In una riunione ristretta del Comitato Comunista di Centocelle si era parlato dell’omicidio di Mario Zicchieri. Gli esecutori furono Bruno Seghetti, Germano Maccari e Valerio Morucci detto Pecos, anni dopo considerati tutti organizzatori del sequestro Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse durante i cinquantacinque giorni del 1978. Le conferme arrivarono anche da altri brigatisti, Walter Di Cera e Antonio Savasta. Il giudizio per Mario Zicchieri fu inserito all’interno del processo Aldo Moro, insieme a tutti gli altri delitti compiuti dalle  Formazioni Comuniste Armate, ribattezzate Fac. La richiesta di rinvio a giudizio fu per omicidio premeditato. Il 20 febbraio del 1986 la seconda Corte d’Assise di Roma, presieduta da Sorichilli, emise il verdetto. Assoluzione piena per non aver commesso il fatto. Sconcerto per la famiglia Zicchieri e per la parte civile. Il processo di secondo grado si svolse meno di un anno dopo. Sette ore di camera di consiglio, il rappresentante della Pubblica Accusa, Procuratore Generale Labate, chiese e ottenne l’assoluzione per insufficienza di prove. Nel settembre dello stesso anno venne incredibilmente bocciato il ricorso in Cassazione e per la parte civile non ci fu più nulla da fare. I tre brigatisti furono condannati per altri reati ma non per l’omicidio di Mario Zicchieri. Strano che un  personaggio chiave come l’aviatore, Vincenzo Romani, testimone oculare dell’omicidio in via Gattamelata, non fu mai ascoltato dalla Corte. 

http://www.atuttadestra.net/?p=104115 
 
 

 
  

 

 
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‎1922 l'Italia marciava- 2011 l'Italia marcisce...
 



 


 
‎28 ottobre 1922 le camice nere Marciano su Roma...Onore a quei grandi uomini. 
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mercoledì, 26 ottobre 2011

L'eroe generale tricarico ridà a sarkò la legion d'onore

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l generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, non ci sta. E per manifestare tutto il suo sdegno compie uno dei gesti più significativi che un ex generale può fare. Tricarico ha restituito oggi alla Francia la "Legion d'Honneur", la Legion d'Onore, ordine cavalleresco istituito da Napoleone Bonaparte nel 1802, nonché una delle più prestigiose onorificenze francesi. L'alto riconoscimento gli era stato assegnato per il ruolo svolto durante il conflitto in Kosovo. E così il generale italiano per onorare il nostro Paese, disconosce gli onori che lui stesso si è guadagnato sul campo di guerra. E' il suo atto di protesta contro  "l'irriguardoso comportamento" del presidente francese Nicolas Sarkozy durante il siparietto ridanciano con la collega tedesca Angela Merkel a Bruxelles.

Comportamento irriguardoso - Oggi Tricarico, come riferiscono le agenzie di stampa, ha restituito la Legion d'Onore all'ambasciatore francese in Italia, insieme ad una lettera nella quale ricorda di aver ricevuto dal presidente Jacques Chirac una onorificenza "della quale - scrive - sono oggi costretto a privarmi con rammarico e dispiacere di fronte al comportamento irriguardoso dell'attuale Presidente francese nei confronti dell'Italia".

La lettera - La lettera si chiude con un post scriptum in cui Tricarico ricorda un aneddoto legato proprio al cognome di monsieur le Président. "Il 25 novembre 1916 il nostro leggendario aviatore, il capitano Francesco Baracca​, abbatté il ricognitore austro-ungarico del tenente Kalman Sarkozy, che fu preso prigioniero. Pur essendo incerto il legame di parentela di quell'aviatore ungherese con l'attuale Presidente, l'episodio indica che gli Italiani - affrancati dalle peculiarità di un sistema che tarpa loro le ali - sanno vincere le loro battaglie. Anche quando di fronte abbiamo un Sarkozy".

 http://www.libero-news.it/news/853639/Gen-Tricarico-contro-Sarkozy-restituisce-la-Legion-d-Onore.html 
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martedì, 25 ottobre 2011

Comandante Mario Bordogna: presente!

 


 
Il Guardiamarina F.M. Bordogna Mario
E' PARTITO PER L'ULTIMA MISSIONE
Milano ore 13,15 del 23 ottobre 2011

Per volontà del nostro Presidente scomparso, sono vietati labari, bandiere, vessilli e guidoni di qualsiasi Associazione. Ai funerali presenzierà solo il Labaro della Decima Flottiglia Mas con Alfiere Veterano scortato da due iscritti del Gruppo J.V.Borghese. I presenti sono invitati a mettere i baschi della propria appartenenza militare. Le decisioni saranno fatte rispettare dal Servizio d'Ordine della Decima Mas. DECIMA COMANDANTE.

MARIO BORDOGNA
Istruttore Paracadutista
Aiutante del Comandante M.O. J.V. Borghese
Combattente della Repubblica Sociale Italiana
Volontario del Battaglione Barbarigo
Presidente Associazione Combattenti X MAS


Funerale: domani, martedi 26 ottobre, alle ore 11.00, nella Chiesa di Santa Eufemia in Corso Italia a Milano

Avendo ricevuto parecchie telefonate con la richiesta di poter presenziare alle esequie del Presidente con labari e vessilli vari, ribadisco che per rispettare le Sue volontà si può indossare solo ed esclusivamente il basco delle propria appartenenza militare oppure il basco della Decima Flottiglia Mas. Divieto assoluto di qalsiasi Vessillo, Labaro, Bandiere o Guidoni. Intendo far rispettare categoricamente le volontà del ns. Presidente e non sarà permessa nessuna eccezione. Il labaro e il vessillo che saranno presenti sono già stati concordanti in precedenza dal ns. stesso, defunto, Presidente.

SEMPRE DECIMA.

Vice Presidente Vicario
Sergio Pogliani

http://www.associazionedecimaflottigliamas.it/xmas/
 
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lunedì, 24 ottobre 2011

Marine Le Pen a Milano: una "Fiamma" di speranza per l'Europa!

 


Venerdì scorso, Palazzo Mezzanotte (sede della Borsa di Milano e splendido esempio di architettura fascista) ha ospitato un grande evento politico internazionale, ovvero la doppia intervista, realizzata da Vittorio Feltri (de Il Giornale), all'On. Daniela Santanchè (Sottosegretario del Governo guidato da Silvio Berlusconi, Segretaria Nazionale del Movimento per l’Italia e Dirigente Nazionale del Popolo della Libertà) e l'On. Marine Le Pen (figlia ed erede politica di Jan Marie Le Pen, Segretaria del Front National francese, eurodeputata e prossima candidata alle elezioni presidenziali). L’eccezionale evento (a porte chiuse e riservato alla stampa, per motivi di opportunità politica e sicurezza) è stato organizzato dalla Associazione Vox Populi di Roberto Perticone e dalla Fondazione Radici Europee di Diego Zarneri. Alla iniziativa ha subito aderito, con entusiasmo, Roberto Jonghi Lavarini, da sempre “lepenista” convinto, da quando, tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, come Dirigente e poi Segretario Provinciale del Fronte della Gioventù di Milano, tramite lo storico eurodeputato missino “romualdiano”, On. Franco Petronio (vice-presidente delle Destre Europee), ha incominciato a tessere rapporti politici e personali con gli esponenti dei movimenti nazionalisti ed anticomunisti europei e mondiali.



Il promotore, Roberto Perticone (noto esponente della destra sociale lombarda, già dirigente missino, poi di AN, ex Segretario Regionale de La Destra di Francesco Storace, esperto di Ezra Pound e di relazioni internazionali, amico personale della famiglia Le Pen), in realtà, prima, aveva proposto la sua iniziativa ad altri esponenti politici nazionali del PDL provenienti dal MSI ma nessuno di questi ha avuto i necessari “attributi” per accettare questa sfida, a differenza di Daniela Santanchè che, avrà pure i suoi difetti, ma, certamente, non manca di coraggio, fregandosene altamente di perbenisti e benpensanti. Prima di lei, solo l'eurodeputato leghista, On. Mario Borghezio, aveva avuto il coraggio politico di esporsi con il Fronte Nazionale. Purtroppo, gli ex misini, pieni di complessi di colpa e di inferiorità, giunti ai vertici del potere, salvo rare eccezioni, sono diventati i più ligi interpreti del “politicamente corretto”, e, in questo caso, hanno temuto di essere etichettati come lepenisti, “estremisti e razzisti”.



Grazie, dunque, a Daniela Santanchè, che ha fatto sua questa proposta, oltre che per farsi pubblicità personale, anche e soprattutto per far conoscere (quindi implicitamente “sdoganare”, legittimare e sostenere) il Fronte di Marine Le Pen, candidata all’Eliseo, per la vera destra nazional-popolare, in contrapposizione a Nicolas Sarkozy. Marine Le Pen ha dimostrato di avere il carisma e la determinazione del padre, una notevole dose di simpatia ed autoironia, grande fascino femminile e, soprattutto, idee chiare sul presente e sul futuro della Francia e dell’Europa. La vera contrapposizione politica è, secondo la leader della destra radicale francese, fra i veri patrioti (sociali ed identitari) ed il mondialismo (capitalista e liberal-socialista), fra l’Europa cristiana dei popoli e delle nazioni ("dei castelli e della cattedrali") e quella dei banchieri e dei burocrati, fra l’autodeterminazione dei popoli e l’imperialismo della finanza internazionale che (come ad esempio in Libia) con la scusa della democrazia, è interessato solo al petrolio ed allo sfruttamento delle ricchezze altrui. Da questa analisi le proposte del Fronte sul blocco totale della immigrazione extraeuropea, sulla revisione della moneta unica e sulla costruzione di una Europa Nazione, politicamente e militarmente forte, libera ed indipendente dagli interessi USA. Il nuovo Fronte Nazionale è si moderato nella forma e moderno nell’estetica ma ribadisce tutta la sua potente tradizione valoriale e controrivoluzionaria. Quanto espresso nel corso dell'intervista è tutto contenuto nel libro autobiografico e programmatico di Marine Le Pen, "Controcorrente", in Italia edito dalle edizioni de Il Borghese, con la prefazione del giornalista di destra Fabio Torriero.





All’incontro, oltre a decine di giornalisti, erano presenti anche alcuni, selezionati esponenti politici, forniti di invito numerato e nominale, fra questi: Attilio Carelli (Dirigente Nazionale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, guidato da Luca Romagnoli, unico movimento politico italiano ufficialmente alleato del Front National), Generoso Melorio, Massimo Parise e Valeria Valido (dirigenti del Movimento per l’Italia), Franco Seminara (del sindacato nazionale Unione Generale del Lavoro), Francesco Filippo Marotta e Mario Mazzocchi Palmieri (del comitato Destra per Milano), Flavio Nucci (del movimento Destrafuturo), Carlo Lasi (segretario del movimento Patria Sociale), il Prof. Giuseppe Manzoni di Chiosca (presidente del Centro Studi Europa 2000) e storici militanti della destra milanese come Remo Casagrande e la contessa Elena Manzoni di Chiosca e Poggiolo (una delle promotrici della "maggioranza silenziosa").







http://www.google.it/#hl=it&sugexp=kjrmc&cp=8&gs_id=o&xhr=t&q=marine+le+pen&gs_sm=&gs_upl=&um=1&ie=UTF-8&tbo=u&tbm=nws&source=og&sa=N&tab=wn&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.,cf.osb&fp=54a0eb6f4c98c0a8&biw=1024&bih=494

http://www.google.it/search?hl=it&sugexp=kjrmc&cp=8&gs_id=o&xhr=t&q=marine+le+pen&gs_sm=&gs_upl=&um=1&ie=UTF-8&sa=N&tab=nw&biw=1024&bih=494&cad=cbv&sei=iP2iTsCNIs7EtAbo1cnsAg

http://www.google.it/search?hl=it&sugexp=kjrmc&cp=8&gs_id=o&xhr=t&q=marine+le+pen&gs_sm=&gs_upl=&um=1&biw=1024&bih=494&ie=UTF-8&tbm=isch&source=og&sa=N&tab=wi

http://www.il-borghese.it/LibriBorghese/Controcorrente_LePen.html

http://it.euronews.net/2011/02/18/marine-le-pen-l-unione-europea-e-morta/

http://www.frontnational.com/ - www.marinelepen.com/

tratto da:
http://destrapermilano.blogspot.com/2011/10/marine-le-pen-milano-una-fiamma-di.html 

tratto da 
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Quanto è bello Sarkò che se la ride. Ma non ride mica per la bambina che gli è appena nata, figlia tra l'altro di un'italiana (anche se rinnegata). Ma no, Nicolà, come lo chiamerebbero a Bari Vecchia, ride per il nostro Paese, lo fa tanto sbellicare l'Italia che non cresce, chissà quante risate si saranno fatti in privato lui e l'amichetta Angela in una birreria al confine franco-tedesco.



Presidenti francesi col vizietto - Anche a noi però Sarkono-Sarkozy ci fa ridere. Sì, per quanto è penoso. Vuole fare il galletto francese, ma dentro gli armadietti dell'Eliseo nasconde degli scheletri mica da poco. Se lo ricorda Nicolino il suo predecessore George Pompidou, che faceva vita scabrosa all'Eliseo, quasi quanto la marchesa Pompadour? Il buon George si trovò coinvolto in un giallo in stile pulp insieme alla moglie: di mezzo c'erano sequenze porno e un cadavere della guardia del corpo di Alain Delon, amico del primo ministro. Non che il successore Giscard D'Estaing fosse meglio. Anzi, con il presidente tecnocrate si avviò ufficilamente l'immagine del capo di Stato tombeur e "trombeur" de femmes. D'Estaing era un habituè del "Le petit coq aux champs" (il galletto sfrenato), albergo di campagna dal nome significativo. Tanto per restare in fattoria, lui veniva soprannominato"il coniglio", visti gli appetiti sessuali.

Il malato di sesso Mitterand -  Ma il vero presidente del sesso fu Mitterand: con lui l'Eliseo diventò la sede dei vizi, con un via vai di donne, che nemmeno negli harem orientali. Il peso delle corna veniva tristemente sopportato, a capo chino, dalla moglie Danielle. Ignara dell'esistenza di una figlia segreta, del presidente, la bella Mazarine, nata dalla relazione con Anne Pingeot. Con Chirac l'atmosfera dell'Eliseo sembrava tornata alla sobrietà dei tempi di De Gaulle. In realtà, voci insistenti parlavano di relazioni extraconiugali del capo di Stato francese, tra cui quella con  un'italiana adottata dalla Francia (ben prima di Carlà): l'attrice Claudia Cardinale. Ma il vero scandalo di Chirac fu la vicenda dei fondi illeciti a favore del partito Rpr (Rassemblement pour la République). Diversi funzionari vennero assunti dal Comune di Parigi nel periodo in cui Chirac era sindaco, ma poi avrebbero  lavorato in realtà per l’Rpr: da cui le accuse di ricettazione e abuso di potere.

Ministri pedofili e figli raccomandati - Ma oggi Sarkò non se la passa meglio. Da un Mitterand all'altro, oggi il presidente francese ha a che fare con il ministro Frédéric Mitterrand che, in un  libro autobiografico, ha fatto l'elogio della pedofilia. Dicendosi anch'egli frequentatore delle bambine e dei bambini thailandesi. Non sta messo meglio Sarkò con i suoi eredi. Giulia è ancora troppo piccola, ma intanto il presidente ha già provato a sistemare il figlio, Jean Sarkozy, alla guida dell'Epad, l'organo pubblico che gestisce il grande quartiere d'affari della Defense alla periferia di Parigi. Caso di nepotismo scandaloso, subito condannato dall'opionione pubblica francese, che ha chiesto la revoca della nomina.

Se Battisti è libero, è colpa sua - Con il nostro Paese, poi, Nicolas, dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Nel 2008 il Capo dell'Eliseo ha negato l'estradizione in Italia al terrorista Cesare Battisti, che allora viveva in Francia e oggi se la spassa sulle spiagge di Copacabana. Prima ancora di Lula, se Battisti è ancora libero, la colpa è di Sarkò. Glielo spiega lui ad Alberto Torreggiani, costretto da Battisti su una sedia a rotelle, che lo Stato francese non lo riteneva un terrorista?

Prossimo perdente alle elezioni - Oggi, per rifarsi una reputazione, Sarkozy ha deciso di guidare la colazione Nato contro la Libia. Ne voleva uscire come un eroe, poi abbiamo visto che hanno combinato a Gheddafi i suoi amici "ribelli". Ma non si preoccupi troppo, Sarkozy. Tanto, alle prossime elezioni francesi nel 2012, tutti lo danno per stra-sconfitto. Il socialista Hollande sta già sistemando le valigie negli armadietti pieni di scheletri dell'Eliseo. Allora, sì che ci faremo una grassa risata, Nicolà.

di Gianluca Veneziani

 http://www.libero-news.it/news/852059/Gli-scheletri-nell-armadio-dell-Eliseo.html 
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sabato, 22 ottobre 2011

ASSASSINI ROSSI

 

L'articolo pubblicato oggi da Il Giornale sui black bloc, a firma Stefano Zurlo, è agghiacciante. Parla di un universo anarchico insurrezionalista che in un documento stilato dalla maggiore sigla del movimento teorizza la violenza rossa in maniera netta e sfrontata. Uomini e donne pronti a tutto, e dopo i "successi" di Roma oggi si trema alla vigilia di quanto potrebbe accadere in Val di Susa, per la manifestazione No Tav. Il documento shock degli anarchici descrive tecniche di attacco che vanno dal lancio di molotov all'assassinio. Sfrontati, esaltati e pronti a tutto. Con lo spettro della manifestazione indetta per il prossimo 5 novembre dal Pd in piazza San Giovanni, che rischia di tirare la volata a questi violenti. Una data storica, quella in cui un gruppo di cattolici in Inghilterra tentarono di far saltare il Parlamento cercando di assassinare re Giacomo, e suggestivamente riportata in auge dal film "V per vendetta" di pochi anni fa. Riferimento inquietante che rivive nell'immagine di Guy Fawkes, uno dei protagonisti di quell'insurrezione, la cui maschera oggi viene proprio indossata dagli antagonisti. Cliccando sul link successivo sarà possibile leggere l'articolo de Il Giornale Il Giornale

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Il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca (Pd), cede l’acqua a privati. Ma i sì al referendum? 


Ohibò. Ma il Pd e Sel, assieme ad Idv, non avevano fatto campagna elettorale per il sì ai referendum sull’acqua pubblica? Il centro-sinistra nella sua totalità non si era preso i meriti spacciando la vittoria dei Sì per una sua vittoria politica? Era anomalo, perché in effetti quando al governo c’erano loro, avevano provato a “privatizzare l’acqua” (anche se è scorretto e strumentale parlare di privatizzazione, come sappiamo) esattamente come l’attuale governo in carica tramite il cosiddetto “decreto Ronchi”. Pressoché sovrapponibile nei contenuti, il decreto Lanzillotta è già stato trattato su Qelsi.  Inutile tornare sull’argomento, perché adesso i maestri delle piroette politiche sono tornati alla carica.
Non solo Pd, Idv e Sel sbugiardano la loro stessa posizione in merito ai quesiti referendari, ma si fanno grandi beffe della vittoria dei Sì. Infatti  è proprio di centro-sinistra la prima amministrazione comunale a cedere il servizio idrico integrato ad una società privata dopo il referendum. Precisamente si tratta del Comune di Salerno, dove, ironia della sorte, a recarsi alle urne è stato il 66% dei residenti, percentuale di gran lunga superiore alla media italiana.
Gli stessi salernitani che si sono espressi in massa per il Sì all’acqua pubblica, convinti probabilmente anche da autorevoli esponenti dell’amministrazione comunale di centro-sinistra, ora devono subire la beffa di vedere quote della Salerno sistemi spa, società a capitale pubblico, cedute dal Comune alla Salerno Energia Spa, di diritto privato, appartenente ad una holding con partecipazione privata del 40%, all’ordine del giorno del consiglio comunale tenutosi lo scorso 17 ottobre dopo che la Commissione Bilancio aveva approvato all’unanimità tale misura.
L’attuale sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca (Pd), è lo stesso che nel febbraio 1998, all’inizio del suo secondo mandato, ha trasformato l’allora municipalizzata in una società per azioni. Oggi, forte del suo quarto mandato (due consecutivi tra il 1993 e il 2001 e questi ultimi due dal 2006) e della percentuale quasi bulgara del 74% che l’ha reso il sindaco più votato d’Italia, evidentemente ha deciso di fare un po’ ciò che più gli aggrada, a prescindere dalla volontà dei suoi cittadini.
E così, dopo essersi fregiato del titolo di sindaco più votato, ha anche il privilegio di essere il primo sindaco ad aver ceduto il servizio idrico integrato a privati dopo il referendum.
I Comitati per l’acqua pubblica e promotori vari se ne sono accorti e non hanno fatto mancare le loro proteste, facendo notare un’altra anomalia: anche il consigliere comunale di Sel, Emiliano Torre, ha votato a favore della privatizzazione. Peccato che il partito di Vendola abbia sostenuto le ragione del Sì ai referendum sin dalla raccolta firme. Strano che siano proprio i promotori del Sì a sovvertire l’esito dei referendum per primi.
No, non è strano. E’ la sinistra italiana


http://www.questaelasinistraitaliana.org/2011/il-sindaco-di-salerno-vincenzo-de-luca-pd-cede-lacqua-a-privati-ma-i-si-al-referendum/ 


 
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venerdì, 21 ottobre 2011

Il beduino indomabile è stato di parola  

 

Muammar Gheddafi si è asserragliato nell’ultimo bunker di Sirte andando incontro al suo destino di polvere e sangue. In fondo è morto come aveva vissuto, sul filo del rasoio, in una sorta di piazzale Loreto libica. Non era l’Hitler del Nord Africa, ma aveva le mani tremendamente sporche di sangue non solo del suo popolo. Da un certo punto di vista quella dell’ex raìs è una fine con «onore», che non fugge ma combatte senza speranza nell’ultima roccaforte del suo regime spazzato via. L’aveva annunciato lui stesso nell’ultima intervista, data al Giornale il 15 marzo. Davanti al vento di rivolta araba il presidente tunisino Ben Alì è scappato con la coda fra le gambe e il faraone Hosni Mubarak è stato costretto alla sbarra su una barella. «Sono ben diverso da loro - aveva tuonato il colonnello -. Non ho paura». Neppure di morire a quasi 70 anni, forse dal colpo di grazia di un ragazzino con in pugno la pistola d’oro che Gheddafi portava sempre con sé.
Altro che fuggito in qualche esilio dorato e nascosto, o al comando dei Tuareg fra le sabbie del Sahara. Il ricercato numero uno per crimini di guerra si è trincerato a Sirte, dove è nato da una famiglia umile. Sembra che fosse nascosto in una buca, come Saddam, per proteggersi dalle bombe dei ribelli e della Nato. Avrà anche detto «non sparate», magari credendosi ancora «il fratello leader» come lo chiamavano i suoi. Si è trovato davanti i ribelli assetati di vendetta. Destino di tanti dittatori: lo hanno linciato e ammazzato in piazza trascinandolo per strada come un trofeo, come dimostrano i primi video e il volto tumefatto catturato da un telefonino. In fondo con la sua tragica fine il colonnello ha fatto veramente voltare pagina alla Libia. Molti cantano e ballano dalla felicità, ma quanti lo rimpiangeranno? In fondo ha tirato fuori il paese dal passato monarchico costruendo scuole, strade ed ospedali grazie al petrolio. Ronald Reagan lo definì «il cane pazzo» del mondo arabo e forse aveva ragione, ma per decenni a ogni anniversario del suo golpe rivoluzionario del 1969 la gente andava in piazza non solo a forza. Compresi molti dei leader dei ribelli, che lo hanno giustiziato sul posto dopo averlo catturato.

Amico dei terroristi di mezzo mondo Gheddafi era stato, però, vezzeggiato a fasi alterne dagli occidentali, compresi i governi italiani di tutti i colori. La sua guascona baldanza a voler finire a tutti costi ammazzato, invece che al sicuro in Venezuela, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tante cancellerie. Vi immaginate che show avrebbe messo in piedi Gheddafi da una platea internazionale come il tribunale de L’Aja, dove lo avevano accusato di crimini di guerra? Altro che le bordate di Slobodan Milosevic e le sceneggiate di Saddam Hussein suoi predecessori finiti sotto processo.
Un beduino non si ingabbia, tantomeno se l’onnipotenza del potere lo porta ad autonominarsi il «re dei re» dell’Africa. Da beduino, però, Gheddafi continuava in parte a vivere. Fuori dalla sua tenda, al centro di Bab al Azizya a Tripoli, dove ha rilasciato l’intervista al Giornale, pascolava una mucca pezzata, come fossimo in Svizzera. Lo stesso colonnello amava mungerla per bersi un bicchiere di buon latte ogni mattina.
Gheddafi visto da vicino tradiva i suoi vezzi: dalle rughe nascoste grazie al bisturi, ai riccioli tinti di nero. Anche se aveva dei sosia, il volto insanguinato che si è intravisto ieri a Sirte sembra proprio il suo, nonostante il colonnello avesse più di sette vite. Nel 1986 una soffiata di Bettino Craxi lo salvò all’ultimo secondo da un missile mirato, che incenerì la dimora fortificata di Bab al Azizya. Altre volte è sfuggito per un soffio a falliti attentati salvato in un’occasione da una delle sue amazzoni, che gli fece scudo con il corpo.

I figli con le palle hanno seguito il suo destino. Khamis ammazzato in un’imboscata dopo la caduta di Tripoli, Mutassin catturato, non si capisce bene se vivo o morto e Seif, la spada dell’Islam, forse circondato o passato per le armi.

Il colonnello amava le divise «napoleoniche» e le buffonate, come l’adunata delle hostess a Roma per convertirle all’Islam. Però era pure capace di fermarsi per un tè nel deserto con Bruno Dalmasso, il custode del cimitero italiano di Tripoli, dopo aver cacciato oltre 20mila nostri connazionali dalla Libia.

Dopo la fine nel sangue il colonnello verrà osannato dai suoi ultimi accoliti come un «martire». Sicuramente entrerà nella storia, come Mussolini o Ceausescu, ma la sua tragica fine ha chiuso per sempre 42 anni di genio e follia.

di
 

http://www.ilgiornale.it/interni/moriro_battaglia_il_beduino_indomabile_e_stato_parola/21-10-2011/articolo-id=552738-page=0-comments=1 



La Nato non deve più fingere: la missione era un’esecuzione 

 
Missione finita. La Nato ora gioca a carte scoperte. Davanti al cadavere insanguinato di Muammar Gheddafi la favola della «fly zone» non serve più. Ora si può dire. L’obbiettivo era solo uno. Abbattere il regime. Far fuori il raìs. La fine delle ipocrisie è salutare, ma il passaggio non è propriamente privo di conseguenze. Per capirlo basta riandare al 16 luglio 1995. Quel giorno una risoluzione Onu non basta alla Nato per salvare dal massacro 8.000 civili intrappolati nell’enclave di Srebrenica. Quindici anni dopo la Nato sfrutta una risoluzione Onu, assai più imperfetta, per spingersi molto più in là. Prima mette a segno un cambio di regime, poi usa la propria potenza aerea per garantirsi l’eliminazione fisica del dittatore. Srebrenica sta a Sirte come la notte al giorno. O viceversa.
A Srebrenica la Nato ha a disposizione uno strumento giuridico diplomatico che le permette di bombardare con piena legittimità le truppe del generale Mladic. Eppure - complici anche le ambiguità di una Francia responsabile al tempo dell’intervento aereo, preferisce tenersi il colpo in canna e restare a guardare.
In Libia, 15 anni dopo, l’Alleanza atlantica si ritrova in tasca una risoluzione assai più imperfetta, un documento che gli permette in teoria di colpire solo gli aerei o i mezzi del regime impegnati in operazioni contro i civili. Eppure in Libia la Nato travolge ogni paletto giuridico e diplomatico, spingendo l’intervento alle estreme conseguenze. Il grande salto inizia il 20 agosto quando cacciabombardieri, elicotteri e decine di incursori delle forze speciali della Nato accompagnano i ribelli alla conquista di Tripoli. Alla luce di quanto previsto dalla risoluzione 1973 ben poco di quel che avviene è giustificato. Il documento votato il 17 marzo 2011 non prevede che i cacciabombardieri e gli elicotteri della Nato appoggino l’avanzata dei ribelli verso Tripoli neutralizzando, passo dopo passo, le difese governative che bloccano l’avanzata verso la Piazza Verde. E tantomeno prevede la presenza sul terreno di centinaia di uomini delle forze speciali inglesi, francesi e del Qatar impegnate non solo ad illuminare i bersagli, ma anche a condurre vere e proprie operazioni di terra quando la macchina dei ribelli s’inceppa. Il capitolo ancor più spregiudicato è la prosecuzione dell’intervento Nato dopo la caduta di Tripoli. Con l’abbattimento del regime accusato di minacciare le popolazioni civili cadono, in teoria, tutti i presupposti giuridici e diplomatici della risoluzione 1973. Eppure in Libia, a differenza di quanto succede in Kosovo, Afghanistan o Iraq, la Nato continua a colpire sfruttando l’indifferenza della comunità internazionale.
Dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi nessun atto di guerra benedetto dall’Onu, neppure la lotta al terrorismo di Al Qaida, può contare su tanta acquiescenza. Dagli ultimi comunisti di Pechino fino ai burocrati dell’Onu, dai garanti dei diritti umani di Amnesty fino al nostrano Gino Strada o all’ultimo pacifista in marcia per Assisi tutti assistono senza fiatare alla caccia al Colonnello. Nelle conversazioni dell’aldilà con il raìs persino Bin Laden potrà oggi citare più legulei pronti a metter in dubbio la legittimità della sua eliminazione di quanti non possa vantarne un raìs consegnato al nemico dall’intervento degli elicotteri britannici.
Ma attenzione il precedente è segnato. Ottenere una risoluzione per fermare un massacro di oppositori, come, ad esempio, quello in corso in Siria, sarà, da una parte, molto più difficile perché nessuno saprà indicarne con esattezza termini e limiti. Dall’altra chiunque, pacifista o no, vorrà mettere in discussione la legittimità di un intervento armato dovrà ricordare l’acquiescente silenzio con cui ha assistito all’eliminazione del Colonnello e del suo regime.  
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http://www.ilgiornale.it/interni/la_nato_non_deve_piu_fingere_missione_era_unesecuzione/21-10-2011/articolo-id=552740-page=0-comments=1 





 
postato da: sebastia11 alle ore 11:25 | link | commenti
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