martedì 22 novembre 2011

mercoledì, 05 ottobre 2011

AIUTI PER L’ASILO E LO SPORT GLI SKINHEADS RICAMBIANO 


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 GAZZETTINO di Treviso
Domenica 2 Ottobre 2011,
A un mese da «Ritorno a Camelot», alcuni militanti dell'associazione culturale «Veneto Fronte Skinheads» hanno fatto ieri ritorno a Revine Lago, non per un nuovo raduno, ma per portare un piccolo contributo economico alla comunità revinese.
Due le donazioni consegnate ad altrettante realtà del paese: la scuola materna «Patrioti Brigata Piave» della parrocchia di Lago e gestita da un gruppo di genitori e l'associazione sportiva dilettantistica Tarzo-Revine.
«Ogni qualvolta organizziamo un evento, sia questo un concerto o un atto politico - spiega il presidente dell'associazione, Giordano Caracino - ci piace confrontarci con la gente del posto. Parlando con alcuni avventori del campeggio, con gli stessi proprietari e con alcuni paesani che sono venuti a farci visita durante la tre giorni di festa, nonostante la bagarre mediatica che si era scatenata e il tentativo di alzare una barriera di ostilità tra noi e gli abitanti di Revine, siamo venuti a conoscenza di un paio di situazioni locali, bisognose e meritevoli di un soccorso economico».
Da qui la decisione dei militanti di estrema destra di destinare un contributo concreto a due realtà revinesi non risparmiate dalla grave situazione economica. L'asilo di Lago, della parrocchia, oggi conta 40 bambini e come le altre scuole paritarie venete ha sempre più difficoltà, dopo i tagli ai trasferimenti, nel far quadrare i propri bilanci. «Ho accolto questa donazione per l'asilo - afferma don Ezio Segat, parroco di Lago -, ogni contributo è ben accetto se le persone lo fanno con il cuore e la nostra realtà - ammette - è oggi in difficoltà». Un altro contributo è stato consegnato, sempre ieri, all'associazione sportiva Tarzo-Revine.
«Quest'oggi (ieri ndr) - continuano gli skin - ci siamo recati a Revine anche per conoscere personalmente coloro che si prodigano in queste attività bisognose d'aiuto. Non ci interessano plausi o attestati d'accettazione nella "società civile", ma contribuire concretamente a supporto di strutture e attività che aiutino la crescita e la formazione sana dei nostri bambini e giovani».
«Tutto può succedere» ammette il sindaco Battista Zardet che di queste due donazioni non era ieri al corrente.  


 


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martedì, 04 ottobre 2011

FERMIAMO EQUITALIA




 Maurizio Brugiatelli

 
«Nella notte tra lunedì 3 e martedì 4 ottobre i giovani militanti romani de La Destra di Storace hanno effettuato un blitz dimostrativo dinnanzi alle cinque sedi di Equitalia della Capitale. ‘Armati’ di locandine e volantini, hanno ‘chiuso’ le entrate principali circondandole con nastri di recinzione e apponendovi degli striscioni molto significativi riportanti il seguente slogan: Boicotta Equital......ia, strozzino legalizzato». E quanto dichiarano in una nota congiunta Roberto Buonasorte, Consigliere Regionale del Lazio e Gianluigi Limido, segretario romano di Gioventù Italiana con La Destra: «La nostra battaglia contro Equitalia continua ed anzi si rafforza dopo le ultimissime modifiche apportate alla finanziaria che hanno permesso all’Agenzie delle Entrate di affilarle le armi. Da sabato scorso, infatti, le cartelle esattoriali sui mancati pagamenti Irpef, Ires, Irap e Iva relativi ai periodi d’imposta 2007, 2008 e 2009 diventeranno immediatamente esecutive già dopo 60 giorni dalla notifica. Non vogliamo di certo favorire gli evasori poiché la nostra è una battaglia di vera giustizia sociale: ridurre sul lastrico famiglie, artigiani, piccole e medie imprese non può e non deve essere la soluzione per risolvere il problema delle casse dello Stato e degli Enti pubblici. La Destra», concludono Buonasorte e Limido, «ha introdotto nelle Istituzioni il Mutuo Sociale per dare la possibilità a tutti di possedere la casa di proprietà; non può di certo rimanere immobile di fronte a chi ora vuole pignorarla senza dare al cittadino la possibilità di difendersi». 
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Via Longhin, blitz di CasaPound contro le nuove case per i nomadi

Via Longhin, blitz di CasaPound contro le nuove case per i nomadi


 

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Via Longhin, blitz di CasaPound contro le nuove case per i nomadi

Dal cavalcavia, i militanti dell'associazione di estrema destra hanno contestato con uno striscione e fumogeni tricolore le nuove abitazioni in costruzione, all'insegna del motto "le case prima agli italiani, mutuo sociale subito"




 
Lo striscione e i fumogeni durante il blitz di ieri sul cavalcavia di via Longhin





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Via Longhin, blitz di CasaPound contro le nuove case per i nomadi
NOMADI GRATIS, ITALIANI IN AFFITTO. "Queste casette in muratura non ci sono piaciute e non sono piaciute a moltissimi padsaopouovani - dichiara Alessio Tarani, responsabile provinciale di CasaPound contestando l'investimento di 480 mila euro per le casette assegnate ai nomadi - non è assolutamente un problema il fatto che siano Rom, il fatto grave è che vengono regalate delle case a persone che chiedono continuamente assistenza senza lavorare e agli italiani veramente bisognosi invece il Comune chiede l'affitto".

LA CONTROPROPOSTA. "In Lazio, la nostra proposta di Mutuo Sociale è diventata legge da poche settimane - prosegue Tarani lanciando una controproposta - i Comuni e la Regione devono stanziare alcune case, costruite con dei criteri di vivibilità e non come alveari, tramite vendita rateizzata alle persone bisognose. Si possono saltare le banche e gli intermediari vendendo le case al costo di costruzione".


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PADOVA - Cesaro (Fiamma Tricolore): "Riina? Lo ospito a casa mia" 

Cesaro (Fiamma tricolore): Riina? Lo ospito a casa mia

PADOVA. Se la prende con "l'ipocrisia della classe politica veneta in generale, e patavina in particolare, che bipartisan si scaglia contro la possibilità che Giuseppe Salvatore Riina si stabilisca a Padova per lavorare in una onlus cittadina". E' Bruno Cesaro, leader in città della Fiamma Tricolore, che sulla possibilità che il figlio del boss di Cosa Nostra arrivi a Padova ha un'opinione articolata.

"Quello che è accaduto dimostra quanto realmente interessi a lor signori che la pena, per qualsiasi persona, anche per il figlio del capo dei capi, debba essere rieducativa e che, una volta scontata, un cittadino abbia il diritto di ricominciare una nuova vita all'interno della società, rispettandone ovviamente le regole e le leggi - spiega Cesaro - Fra di noi ci sono centinaia di persone che si sono macchiate dei crimini più efferati e che, terminato il periodo in carcere, si arrovellano quotidianamente con gli stessi problemi di lavoro, di mutuo, di pensione che hanno tutti gli altri cittadini, senza per questo creare allarme o malessere nelle nostre città".

"Altri ex criminali sono invece invitati a congressi, a conferenze, a dirci la loro su come si dovrebbe governare il mondo, e già questo mi pare un tantino tirato per i capelli. Ma così è, se vi pare: il politicamente corretto ha le sue regole, che prevedono la redenzione per tutti
tranne che per il figlio di un boss siciliano, tanto più se lo stesso vuole riabilitarsi nel candido ed immacolato nordest? - conclude Cesaro - Io, seppur definito dai più un oscuro fascista, gli do un letto a casa mia: se qualcuno lo sente, glielo dica".


http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2011/10/03/news/cesaro-fiamma-tricolore-riina-lo-ospito-a-casa-mia-5074847

 
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lunedì, 03 ottobre 2011

L’alba insanguinata del 29 agosto 1944 



Articolo da http://www.thule-italia.org/
ARANCIA MECCANICA IN VAL PADANA(L’alba insanguinata del 29 agosto 1944)

Questo è un articolo tratto da “L’ultima Crociata” del 1998, di Augusto Pastore. La tragedia della famiglia Ugazio vien voglia di scriverla con l’inchiostro rosso. Un rosso sangue. E ci vorrebbero anche le tonalità espressive di Eschilo per rendere con chiarezza l’atmosfera allucinante nella quale venne consumata una strage orribile che lascia increduli, inorriditi. Le malvagità della sporca bestia umana toccano vertici sconosciuti alla bestia stessa. certo che al cospetto del calvario di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio la più maledetta iena proverebbe un moto di sgomento. Galliate è un grosso centro agricolo-industriale, posto ad una decina di chilometri da Novara. Si allunga a levante, fino alle rive del Ticino. In questo pezzo di valle padana l’inverno è rigido, umido: una cappa pesante di nebbia avvolge tutto. D’estate l’afa, stagnante e le zanzare fanno attendere il calare del sole come una benedizione del Padreterno. Allora la gente esce di casa e si siede sui gradini. Aspetta il ristoro di un filo d’aria. Anche la sera del 28 agosto 1944, dopo una giornata arroventata, a Galliate si aspettava il sollievo del tramonto. Giuseppe Ugazio, un brav’uomo di 43 anni, segretario del Fascio locale, si intratteneva con alcuni amici presso la trattoria S. Carlo. Discuteva della guerra, delle terrificanti incursioni sul ponte del Ticino spaccato in due dalle bornbe inglesi. Cornelia, la figlia di 21 anni, simpatica e bella studentessa in medicina, si era recata da conoscenti che l’avevano pregata per alcune iniezioni. Mirka, l’ultima creatura di Giuseppe Ugazio, era saltata sulla bicicletta e si divertiva a pedalare forte con la gioia innocente dei 13 anni! Ma in quella sera del 28 agosto 1944, il destino di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio si compie. Un gruppo di partigiani, usciti dalla boscaglia, come lupi famelici attendono i tre. Con un pretesto qualsiasi distolgono Giuseppe Ugazio dalla compagnia degli amici, poi, camuffati da militi della R.S.I. in borghese, fermano Cornelia. Mirka, la dolce bambina di 13 anni con le trecce avvolte sulla nuca e il vestitino bianco a fioroni rosa, viene spinta dalla camionetta in corsa sul bordo della strada. La raccolgono in fretta, senza dare nell’occhio, accorti come una banda di bucanieri. Una sporca e nodosa mano le comprime la bocca mentre l’automezzo si rimette in marcia. Il tragico appuntamento per le tre vittime è fissato presso la tenuta «Negrina», un cascinale isolato a mezza strada tra Galliate e Novara. Sono le 21 della sera del 28 agosto 1944, un cielo calmo, dolce, pieno di stelle. Dalle risaie si alza il concerto gracidante delle rane: alla tenuta «Negrina» incomincia invece la sarabanda, la macabra giostra. I partigiani, una ventina circa, hanno tanta fame e sete, ma per fortuna il pollaio è portata di mano e la cantina a due passi. Un festino in piena regola per tutti quanti ad eccezione dei tre prigionieri. Mirka piange ed invoca la madre. Cornelia, dignitosa come la donna di Roma, sfida con gli occhi quel banchetto di forsennati. Papà Ugazio è cereo in viso: avverte la tragedia immane che pesa nell’aria. Avanti, è ora. Il vino ha raggiunto l’effetto e a calci e a pugni la turba di delinquenti spinge Giuseppe Ugazio nel boschetto adiacente la tenuta. Lo legano ad un fusto, gli spengono i mozziconi di sigarette sulle carni e, sotto gli occhi terrorizzati di Mirka e di Cornelia, lo finiscono a pugni in faccia e pedate nel basso ventre. Il calvario dura più del
previsto perché la fibra fisica dell’Ugazio resiste. La gragnuola di pugni infittisce, i calci si fanno più decisi. Ora si ode soltanto il rantolo: «Ciao Mirka, ciao Cornelia» e Giuseppe Ugazio spira. Adesso inizia l’ignobile. Sono venti uomini avvinazzati su due corpi indifesi. Mirka è una bambina e non conosce ancora le brutture degli uomini degeneri. Dapprima non comprende, non sa, poi tenta un’inutile resistenza. Cornelia si difende ma è sopraffatta. Sette ore di violenze ancestrali, sette ore di schifo e di urla. Poi l’alba. Mirka e Cornelia non respirano più. Conviene togliere di mezzo i cadaveri e ritornare nella boscaglia. Si scavano venti centimetri di terra e si buttano le vittime. Le zolle fredde al contatto delle carni riaccendono un barlume di vita e i due corpi sussultano ancora. Ma è questione di un momento per i partigiani: a Cornelia spaccano il cranio con il calcio del mitra e sul collo di Mirka, la bambina, si abbatte uno scarpone che la strozza. La tragedia è finita. Sull’orizzonte si alza il sole, il sole insanguinato del 29 agosto 1944, a soli otto mesi dalla “liberazione”. A mamma Maria Ugazio, il giornalista chiede di fargli vedere un ricordo personale di Mirka. Allora gli fu mostrato un album di famiglia un poco ingiallito dal tempo. Sul retro di una

foto scattata nei giardini dell’Isola Bella la mano infantile di Mirka aveva scritto nel 1943 queste parole: «Al mio papalone che mi ha portato a fare questa bella gita, la sua Mirka».


http://athenasophia.bloog.it/l%e2%80%99alba-insanguinata-del-29-agosto-1944.html 


 

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domenica, 02 ottobre 2011

Gentilini si schiera col capo dello Stato:
«Ha ragione: l'Italia è una e indivisibile»
 


Giancarlo Gentilini 
TREVISO - «Questioni come la Padania sono un diversivo. È sempre stata un sogno, una aspirazione e resterà tale perché la realtà è diversa. L'Italia è una e indivisibile e Napolitano ha fatto un richiamo all'ordine». Giancarlo Gentilini, vicesindaco di Treviso e leghista della prima ora, commenta così le parole del presidente della Repubblica sul «popolo padano».

«I problemi, come ho detto a Bossi o al segretario veneto Gian Paolo Gobbo, sono altri: il popolo vuole avere certezze nel futuro, vuole che ci sia un futuro per i giovani. Anche stamani una giovane laureata è venuta da me a chiedermi consiglio. Di altro si potrà discutere quando la Lega avrà il 50% piu uno dei voti. Come in battaglia ci vogliono i numeri se non li hai sei destinato a crollare».



http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=164940&sez=NORDEST  http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=164940&sez=NORDEST http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=164940&sez=NORDEST 
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Serbia, le autorità vietano il Gay Pride 


 belgrado


Si temoni rischi per la sicurezza - Le autorità serbe hanno vietato il Gay Pride e tutte le altre manifestazione previste per il fine settimane a Belgrado. Alla base del divieto, secondo quanto affermato dal ministro dell'Interno, c'è la volontà di evitare qualsiasi rischio per la sicurezza e il ripetersi delle violenze e degli scontri dell'anno scorso. In occasione dell'ultima manifestazione del Gay Pride, infatti, centinaia di persone rimasero ferite, in gran parte agenti di polizia. Da giorni gruppi di ultranazionalisti omofobi hanno annunciato che scenderanno in piazza sabato e domenica per dare vita a delle contromanifestazioni anti-gay.

La decisione di vietare il Gay Pride è stata presa sulla base della legge che regola i raduni pubblici e le assemblee cittadine. La legge stabilisce che si possano evitare i raduni e le manifestazione se esse implicano l'interruzione del trasporto pubblico, minaccia alla salute, alla morale pubblica o alla sicurezza di persone e cose.  La legge prevede inoltre che le autorità preposte debbano annunciare il divieto non più tardi di 12 ore prima dell'ora prevista per la manifestazione. Il divieto non riguarderà le manifestazioni sportive che sono previste in Serbia nei prossimi giorni, ovvero, le semifinali e le finali degli Europei di pallavolo femminile.
A.P.



 http://www.newnotizie.it/2011/09/30/serbia-le-autorita-vietano-il-gay-pride/ 
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giovedì, 29 settembre 2011

    

Il prezzo della coerenza Quelli che dissero no agli Alleati già vincitori 


 
rsi21


 
Irriducibili, rabbiosi, certamente più coraggiosi che furbi. O almeno non dotati di quello che la gente chiama buonsenso, di quel minimo di opportunismo che aiuta a capire che quando è finita è finita. Fascisti non sempre, almeno non necessariamente. Disposti a sanguinare, ad aver fame a rischiar di finir male invece sì, quasi in ogni circostanza. È questa la descrizione, sommaria, di quei soldati italiani che, durante la Seconda guerra mondiale, essendo prigionieri di inglesi e americani, si rifiutarono di collaborare con i vincitori. Una resistenza passiva, apertamente sancita e garantita dalla convenzione di Ginevra, che molti portarono avanti anche dopo l’otto settembre, quando divenne molto meno chiaro decidere da che parte stare, a quale brandello di Patria lontana aggrapparsi. E, nonostante il fatto che in tale situazione di dubbio disperante si trovarono quasi un milione e mezzo di soldati presi prigionieri durante le molte disfatte del Regio esercito (seicentomila quelli nelle mani di Gran Bretagna e Usa), la storiografia italiana sull’argomento è sempre stata un po’ latitante. Figurarsi poi su quelli che fecero la scelta sbagliata e, rinchiusi in campi speciali, tornarono a casa per ultimi. Essi subirono la damnatio memoriae: un Paese che aveva fatto di tutto per essere considerato cobelligerante e che viveva di piano Marshall non aveva alcuna voglia di ricordare coloro che a quella scelta si erano opposti sino all’ultimo.
Ecco che allora la ricostruzione fatta da Arrigo Petacco in Quelli che dissero no. Otto settembre 1943 la scelta degli italiani nei campi di prigionia inglesi e americani (Mondadori, pagg. 170, euro 19, in uscita martedì prossimo) arriva a colmare un vuoto. Lo fa in maniera non accademica, il racconto di Petacco ha ovviamente piglio giornalistico, e senza pretese di esaustività: gli italiani vennero sparpagliati in territori lontanissimi e subirono trattamenti molto diversificati. Il quadro che ne esce evidenzia però delle caratteristiche comuni. Da un lato la sbrigatività degli alleati che classificarono tutti coloro che rifiutarono di cooperare come fascisti: toccò anche al socialista Gaetano Tumiati (poi giornalista di vaglia e vincitore di un Premio Campiello) rinchiuso nel campo di prigionia di Hereford in Texas. E questa sbrigatività si trasformava rapidamente in sospensione delle garanzie previste per i militari. A Hereford i renitenti alla collaborazione venivano affamati e picchiati a colpi di mazza da baseball, in India ci furono ufficiali falciati a colpi di mitra solo per aver intonato inni fascisti.
Dall’altro la scarsissima attenzione dei comandi italiani per le proprie truppe imprigionate o in generale per le condizioni dei propri concittadini (ammettendo di non voler considerare i militi della Rsi come militari). Al momento dell’armistizio dell’otto settembre Badoglio e lo stato maggiore non negoziarono alcuna clausola relativa ai prigionieri. Non bastasse, anche in seguito, secondo Petacco, si guardarono bene dall’emanare ordini e disposizioni chiare. Schiacciati tra questi due diversi ingranaggi restarono moltissimi prigionieri italiani. Dovettero scegliere da soli, con le poche, frammentarie e spesso false informazioni che avevano. I più decisero di diventare «Coman» collaboratori, spesso creando situazioni al limite del ridicolo. Nel campo kenyota di Nanyuki il colonnello Lo Bello che stava invitando tutti i soldati a giurare fedeltà al Re e a rinnegare Mussolini gridò con entusiasmo «Viva il Re» ma nella foga del momento lo fece a braccio teso, con stentoreo saluto romano. La minoranza scelse la condizione di «no-coman». Tra questi vi furono fascisti indiavolati e vendicativi che redigevano liste nere per farla pagare a chi aveva accettato l’ineluttabilità della sconfitta; persone come lo scrittore Giuseppe Berto o lo scultore Alberto Burri, che non volevano barattare la libertà con l’incoerenza; militari che credevano nel detto molto anglosassone «Right or wrong, my country».
Pagarono cara quella decisione, le atrocità peggiori le subirono a colpi di scudiscio - maneggiato da altri italiani - i prigionieri del campo kenyota di Burguret. Pagarono per la dimostrazione di carattere più che per l’ideologia. Perché in fondo tutto si può riassumere nel giudizio, sbagliato secondo gli storici ma personale e sentitissimo, di un sommergibilista che venne colto dall’otto settembre in pieno oceano Pacifico e decise poi di continuare a combattere con i giapponesi: «Combattevo da due anni a fianco dei tedeschi... Poi dopo 56 giorni per mare arrivo in Giappone e mi dicono: “È tutto cambiato, ora sono i tedeschi i nostri nemici e anche i giapponesi...”. No, no. Io non ho mai tradito nessuno! Sono loro che hanno tradito me!».


http://www.ilgiornale.it/cultura/il_prezzo_coerenza_quelli_che_dissero_no_alleati_gia_vincitori/libri-cultura_italiana-seconda_guerra_mondiale-prigionieri-arrigo_petacco-india-usa-alleati/25-09-2011/articolo-id=547929-page=0-comments=1 



 
 
 
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mercoledì, 28 settembre 2011

LA PACIFICA RIVOLUZIONE DEL POPOLO ISLANDESE. 



 FORZA ISLANDA
 
Europa e America sembrano dei castelli di sabbia in balìa della finanza. Le agenzie di rating, di giorno in giorno, stabiliscono quale Paese declassare e quale promuovere, i governi soccombono a questa logica assurda e insensata e i cittadini pagano la crisi economica che ne deriva.
Ma qualche cosa di nuovo, però, nel frattempo è accaduto: mentre le borse di tutto il mondo mettevano in crisi gli Stati e i cittadini pagavano con lacrime e sangue la recessione in atto, in Islanda la gente ha deciso di non accettare l’aumento delle imposte, i tagli ai servizi sociali e la precarizzazione del lavoro, opponendosi alle speculazioni finanziarie di gente senza scrupoli. Un Paese, ma soprattutto un popolo, unito in questa battaglia, al di là delle ideologie e delle distinzioni di classe sociale, compatto e determinato a non essere più un burattino nelle mani di politici e finanzieri “criminali” senza regole.
Nella piccola isola atlantica è accaduto ciò che quasi mai era successo in precedenza. Si è realizzato il sogno più grande: una rivoluzione senza spargimento di sangue, né barricate, ma soltanto imponendo la pacifica volontà di tutti i cittadini, che rivendicano i diritti che ciascuno ha davanti alla legge: paga chi sbaglia, anche se a sbagliare sono i potenti!

Veniamo ai fatti: nel 2008 inizia la crisi economica anche in Islanda, ma, contrariamente ad altri Paesi europei – che per far fronte ai debiti contratti dai governi verso le banche stabiliscono come soluzione la nazionalizzazione del debito (cioè spalmare i debiti sui cittadini incolpevoli!) –, nell’isola le persone iniziano una protesta pacifica, e tuttavia determinata, contro il governo, in quel momento di destra, portandolo alle dimissioni e spingendo il successivo (di sinistra) a prendere decisioni drastiche come l’arresto dei banchieri che pretendevano di far fronte alle loro “ruberie” con i soldi dei contribuenti (abitudine consolidatasi in secoli di crisi economiche, presso quasi tutti i governi del mondo).
In Islanda, la rivoluzione pacifica e silenziosa (perché quasi nessuno ne parla sui mass-media) non si è di certo fermata a questo: gli islandesi, nel 2010, con una maggioranza del 93% tramite referendum, si rifiutano di pagare il debito contratto dalla principale banca d’Islanda (la Kaupthing Bank) verso Gran Bretagna e Paesi Bassi, di fatto cancellandolo. Quindi, attraverso internet, vengono scelti 512 cittadini, che non ricoprono alcuna carica politica, come candidati per l’elezione di una nuova Assemblea costituente, formata da 25 membri, cui viene affidato il compito di riscrivere la costituzione, secondo le seguenti regole di base: nazionalizzazione delle risorse naturali (non del debito), separazione tra Stato e Chiesa, divisione tra potere esecutivo e legislativo. E anche in campo energetico è in corso un mutamento radicale: entro il 2050 è prevista la totale eliminazione dei combustibili fossili e l’utilizzo delle sole energie rinnovabili. E pensare che la soluzione dei problemi potrebbe essere così semplice…
Il resto del mondo, intanto, si affanna e arranca dietro a una crisi che in realtà altro non è che la shock economy di cui parla Naomi Klein, imposta dalla finanza agli Stati per poter cancellare quel poco di diritti democratici rimasti alla gente. Gli Usa esportano la democrazia con le guerre, definendole “umanitarie”, l’Europa si assoggetta a questa logica, il resto dell’Occidente si aggroviglia dietro i desideri di un capitalismo inumano e le future generazioni riceveranno in eredità solo inquinamento, guerre, povertà. In Islanda, isola degli elfi, invece, la generazione odierna potrà un giorno ben dire: «Io ne ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi»…
ERCOLINA MILANESI

 
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sabato, 24 settembre 2011

I punti della Marceglia per salvare l'Italia...





 

Pensano di salvare l'Italia liberalizzando i servizi pubblici locali, svendendo il patrimonio pubblico e levando l'ingerenza il pubblico dall'economia. Proprio tutto ciò che ha contribuito a gettare il mondo in questa recessione globale. Eppure persistono. Ricordiamo alla signora industriale che: non rappresenta gli Italiani: che non fa proprio nessun favore a nessuno, minacciando o sventagliando inutili proposte: che dovrebbe rimanere a disposizione del bene dello Stato e della politica nazionale, semmai. Non certo l'incontrario.

Marcegaglia: stallo governo inaccettabile. 5 punti per ripartire

(TMNews) - "Non tolleriamo più una situazione di stallo, in cui non si decidono più le grandi cose perché si ha paura di scontentare un pezzetto di elettorato o di partito". Lo ha detto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, dal palco di Confindustria Toscana a Firenze. "Si vivacchia - ha aggiunto Marcegaglia - si cerca di fare il minimo indispensabile, in una situazione che non tolleriamo".

E l presidente degli industriali italiani ha presentato un manifesto in 5 punti per rilanciare lo sviluppo del paese. Nella manovra del governo, "non c'è niente che riduca la spesa dello Stato". (...).

In primo luogo, c'è l'obiettivo della "riduzione della spesa pubblica". (...)

Viene poi la "riforma delle pensioni". "Non è possibile - ha ribadito - che un Paese con i problemi che abbiamo noi, mandi le persone in pensione a 58 anni, con assegni molto alti, mentre domani i giovani ci andranno a 70 anni se non di più, con assegni pari alla metà di adesso. Non è possibile". Sempre nell'ambito del secondo punto, il rapporto tra fisco e impresa: "dobbiamo abbassare il cuneo contributivo fiscale, a partire proprio dai giovani", ha detto Marcegaglia, che lancia un appello per "iniziative serie e concrete". La riforma delle pensioni, quindi, "non deve penalizzare i giovani".

Per ridurre la spesa pubblica, ha continuato Marcegaglia, "cominciamo a vendere patrimonio pubblico, questo può essere utilizzato per abbassare il debito e levare l'ingerenza del pubblico nell'economia". E' urgente poi "un piano di privatizzazioni e di liberalizzazioni serio". "Nell'ultima manovra - ha accusato Marcegaglia - sono stati citati alcuni capitoli sulle liberalizzazioni, ma se andiamo a vedere cosa c'è, non c'è niente". Inaccettabile, per il presidente di Marcegaglia che esistano ancora "le tariffe minime: non è giusto che ci sia un pezzo del paese che lavora nel libero mercato e un altro pezzo che è protetta e ha le tariffe minime e scarica sugli altri i proprio costi". Quanto alla "liberalizzazione dei servizi pubblici locali, tutto questo aiuterebbe a far crescere l'economica del Paese".

Il quinto e ultimo punto, le infrastrutture. Il presidente di Confindustria ha chiesto di "levare i vincoli burocratici e di testa che impediscono a investimenti magari già finanziati da pubblico e privato".


http://luniversale.splinder.com/post/25580927/i-punti-della-marceglia-per-salvare-litalia
 

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