lunedì 21 novembre 2011

martedì, 22 marzo 2011

DOVE SONO FINITI I PACIFISTI ANZI I PACIFINTI???????

 

  
postato da: sebastia11 alle ore 13:57 | link | commenti
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E’ una partita sporca: l’Italia paga lo scotto dell’autonomia con cui si e’ mossa negli ultimi anni in Libia sul fronte delle commesse industriali, vedi Finmeccanica. L’ho detto a Corrado Castiglioni nell’intervista pubblicata questa mattina da “Il Mattino”.
E ora Francia ed Inghilterra ce la vogliono far scontare: ma e’ sbagliato combattere una guerra per gli altri.
Altri dettano la linea e noi ci troviamo a combattere una guerra che non e’ nostra. La guerra in Italia la vogliono i pacifinti della sinistra che per rimarcare le divergenze con il governo hanno mandato le bandiere della pace in soffitta.
Avrei mille ragioni per bombardare Gheddafi, non ho mai apprezzato i suoi spettacoli in Italia, ma capivo le ragioni della realpolitik che hanno portato un calo dell’emigrazione clandestina.
Bisognava insistere per le vie diplomatiche, la resa e l’esilio di Gheddafi. Cosi’, non sappiamo cosa potra’ succedere: se il Rais viene battuto saranno altri a beneficiarne.  In caso contrario, saremo noi i traditori, e siamo a mezz’ora di volo dalla Libia.
Doveva essere una guerra per liberare la popolazione, ma e’ sicuro che i ribelli saranno piu’ democratici del Colonello. Come la metteremo con i flussi migratori?
Sara’ come un Afghanistan alle porte di casa. 

http://www.storace.it/ 
postato da: sebastia11 alle ore 12:52 | link | commenti
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domenica, 20 marzo 2011

GUERRA BIPARTISAN
 
postato da: sebastia11 alle ore 18:47 | link | commenti
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venerdì, 18 marzo 2011

Lampedusani bloccano sbarco motovedetta con immigrati

 

Immigrazione: nuovo sbarco a Lampedusa

PALERMO - Un centinaio di cittadini di Lampedusa ha raggiunto il molo Favaloro e da circa mezz'ora impedisce l'attracco di una motovedetta della Capitaneria di Porto con 116 migranti a bordo, soccorsi a largo dell'Isola. Secondo alcune testimonianze, ogni volta che la motovedetta tenta di avvicinarsi i manifestanti minacciano di buttarsi in acqua. Sul molo ci sarebbe anche l'ex assessore comunale di Lampedusa, il generale Antonio Pappalardo, che ieri aveva tenuto un comizio in piazza dicendosi contrario alla permanenza nell'Isola dei migranti, che ormai sono circa tremila.
Quando sul molo si e' sparsa la voce che la motovedetta potesse attraccare al molo alternativo di Cala Pisana, un gruppo di cittadini si e' diretto in macchina verso la zona per bloccare l'eventuale attracco anche li'. La situazione nell'Isola si sta facendo difficile, anche in considerazione del fatto che altri barconi sono stati avvistati nel Canale di Sicilia e nelle prossime ore arriveranno a Lampedusa.
A LAMPEDUSA ALTRE 4 MOTOVEDETTE IN RADA - A Lampedusa ci sarebbero altre 4 motovedette della Guardia di Finanza in rada, in attesa di poter attraccare nei moli dove attualmente ci sono numerosi cittadini che protestano per impedire lo sbarco dei migranti. Su uno dei natanti delle fiamme gialle ci sono circa 100 persone mentre sugli altri una cinquantina per ognuno. Sui moli del porto, ma anche nelle calette dell'Isola, ci sono decine di cittadini che presidiano le aree per evitare gli sbarchi.
UNHCR,SVUOTARE CENTRO LAMPEDUSA,TENSIONE ALTA - E' necessario trasferire i migranti che affollano il centro di Lampedusa e predisporre nuove accoglienze sul territorio in previsione di possibili arrivi dalla Libia. A chiederlo è la portavoce dell'Alto commissariato per i rifugiati Onu, Laura Boldrini. "La situazione nel centro di Lampedusa sta diventando insostenibile e la gestione dell'accoglienza sempre più difficile visto l'elevatissimo numero di migranti ospitati all'interno della struttura che - dice Laura Boldrini - ha una capienza di 850 persone e al momento ne contiene circa 2.600, molti migranti non hanno neanche un riparo per la notte e sono costretti a rimanere negli spazi esterni". "Con altri avvistamenti in mare - aggiunge - si rende indispensabile trasferire i migranti in altre strutture fuori dall'isola anche per non alzare ulteriormente la tensione che è già a livelli di guardia". "Finora a Lampedusa - ricorda Boldrini - i migranti giunti sono tunisini partiti da vari porti della Tunisia. Ma con l'evolversi della crisi in Libia, da cui sono fuggite via terra ad ora 300 mila persone principalmente verso Tunisia e Egitto, é possibile che nei prossimi tempi possano esserci anche partenze via mare dalla Libia verso l'Italia". "In questa fase è dunque importante - conclude - predisporre e finalizzare piani di intervento e ulteriori accoglienze sul territorio italiano, così come è essenziale che il centro di Lampedusa rimanga un luogo di prima soccorso e transito".

 


http://wwwext.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2011/03/18/visualizza_new.html_1534187903.html

 


postato da: sebastia11 alle ore 18:01 | link | commenti
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Quando la sinistra odiava tricolore e Inno d'Italia E "schifava" la Patria... 

v4cilz 


Nel 1971 usciva Nel nome del popolo italiano. Sul finire del film, il giudice (rosso) Mariano Bonifazi si ritrova tra le mani la prova dell’innocenza dell'industriale (nero) Lorenzo Santenocito la cui condanna era già segnata. Dino Risi fa smuovere l'animo del magistrato che decide di presentare la prova e graziare l'inquisito. Ma il gol di Boninsegna durante Italia-Germania gli fa cambiare idea. Cosa lo ha disturbato? Tutti quei tricolori esposti alle finestre degli italiani.
Alle ultime manifestazioni il Pd è sceso in piazza impugnando le bandiere italiane. A Sanremo l'Inno di Mameli cantato da Roberto Benigni ha fatto il record di ascolti. Nel linguaggio della sinistra "spuntano" le parole unità e patria. Viene da chiedersi se c'è stata una svolta nazionalista. E il motto "proletari di tutto il mondo unitevi" dov'è finito? E il partigiano di Bella ciao? E le bandiere rosse con la falce e il martello? Tutto ben nascosto nell'armadio di casa. Al libretto rosso di Mao, adesso preferiscono la Costituzione. "Riprendiamoci la nostra bandiera", aveva gridato l'Unità l'anno scorso. E dietro tutti gli ex comunisti pronti a darsi una verginità nuova. Ma va ricordato: da sempre alla sinistra internazionalista la patria fa schifo, l'Inno d'Italia piace ancor meno e il tricolore è meglio bruciarlo in piazza.
"E' per me motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più", diceva Palmiro Togliatti. La verità è che la sinistra ha sempre snobbato certi temi, e certi amori. E non parliamo di preistoria della prima Repubblica. Anche in tempi più recenti. Nel 1989, quando Achille Ochetto era segretario del partito e Nilde Iotti sedeva sullo scranno più alto di Montecitorio, il Pci stava per cancellare la norma che prescriveva di aprire i congressi con l’Inno di Mameli (e già veniva suonato soltanto dopo l’Internazionale e Bandiera rossa). Non che nel Pds, invece, i compagni si stringessero a coorte. Anzi. Negli stessi anni, Massimo D'Alema preferiva Ennio Morricone a Mameli spiegando che quanto scritto nello statuto del partito era solo "un’indicazione, un consiglio" ormai decaduto. Anche durante i mondiali orientali del 2002 l'Unità di Furio Colombo solidarizzava con i calciatori che (per ignoranza o per volere) non cantavano Fratelli d'Italia prima della partita.
Poi è cambiato tutto. Walter Veltroni ha portato avanti un'intera campagna elettorale (oltre cento tappe) a intonare l'Inno. Il Pd ha dato una spolverata di bianco e verde al rosso onnipresente alle feste democratiche. Pure la parola Unità è scomparsa. Sabato pomeriggio, in piazza per difendere la scuola pubblica (un tempo anarchici e radicali la volevano distruggere dalle fondamenta) e la Costituzione, il centrosinistra sventolava il tricolore. Il segretario Pierluigi Bersani li ha ribattezzati "patrioti". C'è chi dice che sia una mossa elettorale in antitesi al credo leghista. Ma a smontare i nuovi abiti indossati dal Pd ci ha pensato il filosofo Massimo Cacciari: "Il centrosinistra è stato spinto quasi per necessità verso la rivendicazione di valori attribuibiliin senso lato a Patri a e Nazione, nel quadro di un confronto politico con la Lega". Insomma, tutta retorica.
Quella sbandierata dai democratici non è la bandiera che unisce tutti gli italiani sotto un unico cielo. E' quella che getta fango su chi non la pensa allo stesso modo, che odia chi non si oppone al regime berlusconiano, che non dà spazio al libero pensiero (specie se questo è espresso sulle reti Rai), che preferisce i "nuovi italiani" ai vecchi, che lavora sotto banco per sovvertire il volere popolare. Quello cantato dai democratici non è l'Inno che unisce i fratelli pronti alla morte quando la Patria chiama. E' quello che stona in piazza dieci, cento, mille Nassiryia, che sta dalla parte dei rivoltosi anziché dei poliziotti che "tengono" famiglia, che urlano diktat di dimissione sulle colonne dei quotidiani amici.

E allora: viva l'Italia! Per dirla con De Gregori: Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre, l'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre, l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste, viva l'Italia, l'Italia che resiste.  

tratto da:http://www.ilgiornale.it/interni/sinistra_tricolore/14-03-2011/articolo-id=511541-page=0-comments=1 
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mercoledì, 16 marzo 2011

NONOSTANTE TUTTO VIVA L ITALIA
Roberto Jonghi Lavarini
SEMPER!!
postato da: sebastia11 alle ore 18:38 | link | commenti (1)
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In vista del suo compleanno, provo a disegnare un ritratto senza retorica del­­l’Italia presente. Evito i fumi, punto sui dati reali e prendo lo spunto dai nostri odierni primati. Procedo per coppie di fatti, all’apparenza opposti. Dunque, co­minciamo dal ritratto biologico. Siamo il paese più longevo d’occidente e il pae­se che fa meno figli nel mondo. Un re­cord positivo ed uno negativo, anche se qualche spirito apocalittico potrebbe ro­vesciare il giudizio e dire che è male un paese di vecchi ed è bene non mettere al mondo altre creature.  Siamo con la Ger­mania il paese con la percentuale più al­ta di anziani. Sulla denatalità c’è una lie­ve risalita di recente, ma restiamo i più avari di figli.

Come leggere questo dop­pio dato? Da un verso che, tutto somma­to, abbiamo una buona qualità della vi­ta, e nonostante i problemi sanitari e civi­li, ce la passiamo bene e non facciamo figli anche per non turbare questo benes­sere.
E dall’altra parte siamo egoisti, o forse solo egocentrici, non pensiamo al futu­ro e siamo concentrati sul presente, sul nostro io e sulle nostre comodità. Seconda coppia di fatti. Siamo il paese col più alto tasso di proprietari di case e siamo il paese a più alta densità di cellu­lari pro capite. Abbiamo il primato degli immobili e dei telefoni mobili. Il primo proviene dalla nostra matrice antica e re­alista che ci lega al mattone e alla terra rispetto al capitale finanziario; è il no­stro familismo atavico che si fa focolare domestico, è il nostro mammismo ende­mico che si fa utero abitativo.
Il secondo dato sembra il suo contrario ma non lo è. Nel record di telefonini c’è tutta la nostra vocazione alla chiacchiera e allo sfogo, la voglia di prolungare la casa anche fuori casa, la nostra paura della solitudine e la nostra preferenza per la cultura orale. Il telefonino, benché cordless, è un cordone ombelicale invisibile con mamme, fidanzate, amanti e amici. Abbiamo anche un vecchio primato di case mobili, ovvero di auto pro capite, che ci contende solo il minuscolo Lussemburgo. Ma non dimentichiamo che eravamo sudditi del regno Fiat.
Terza coppia di primati: siamo noti nel mondo come il paese della dolce vita e insieme come il paese della malavita. Siamo primatisti mondiali nella qualità della vita, aiutati dal clima, dalle bellezze dei luoghi naturali e culturali e dall’amabile vita dei centri storici. E rendiamo lieve la vita col senso del comico e l’allegria conviviale. Difetta il senso della comunità, ma non quello della comitiva. Ma siamo anche il paese che ha esportato al mondo più di ogni altro anche le comitive malefiche: la mafia, la camorra e la ’ndrangheta. Persino il lessico per indicare la malavita nel mondo è di provenienza nostrana; si parla di mafia russa, cinese o kosovara.
 

Quarta coppia di fatti italiani da primato mondiale: siamo il paese con più leggi del mondo e con meno osservanza della Legge e più vertenze giudiziarie a testa del mondo. Le due cose non sono scollegate. Da un verso proveniamo dalla più alta e sofisticata civiltà giuridica al mondo, la romanità; dall’altro i tempi biblici dei nostri processi, il tasso record d’impunità, la vocazione di attaccabrighe, la capienza inadeguata delle nostre carceri, la selva di leggi nella foresta oscura dell’illegalità dimostra una cosa: siamo la culla del diritto ma anche la bara. La culla del diritto è a due piazze, ha un diritto e un rovescio per una coppia di gemelli: il diritto e il dritto, ossia Romolo e Remo-contro. (Il Giornale)
 
postato da: sebastia11 alle ore 16:16 | link | commenti
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martedì, 15 marzo 2011

LE PEN, PROBLEMI BERLUSCONI DOVUTI A TROPPA VICINANZA CON MOSCA       



Non posso escludere che i problemi di Silvio Berlusconi non siano dovuti in parte alla sua scelta di avvicinare l’Italia alla Russia». Lo ha affermato Marie Le Pen, la nuova leader del Fronte nazionale francese a margine della conferenza stampa organizzata a Roma, insieme al deputato della Lega Nord Mario Borghezio, per rendere conto della loro missione di ieri sull’isola di Lampedusa per valutare l’emergenza immigrazione. Le Pen, rispondendo alla domanda su quale fosse la forza politica italiana con cui il suo Fronte nazionale si trova più vicino in questo momento, ha detto di trovare «ragionevole la posizione di avvicinamento dell’Italia alla Russia voluta da Berlusconi», «la sua visione per l’indipendenza energetica, più intelligente della atteggiamento servile del presidente francese Nicolas Sarkozy nei confronti degli americani». Da qui la valutazione sulla possibile origine dei guai giudiziari del presidente del Consiglio italiano.
Diversa la valutazione di Le Pen sulle politiche europee di Berlusconi, «che in molte situazioni sono sulla stessa linea di quella di Sarkozy». «Mi auguro di veder emergere partiti che rimettano in causa l’Unione europea che appare in questo momento come un’Unione sovietica europea». «Una Unione europea -incalza, ospite della sede dell’Ufficio per l’Italia del parlamento europeo a Roma- che da anni si definisce contro i popoli, e che non c’è mai quando invece ce ne sarebbe bisogno».
NECESSARIO ACCORDO ITALIA-FRANCIA PER PREVENIRE SBARCHI: Un accordo bilaterale tra Italia e Francia che consenta l’impiego di unità delle Marine dei due paesi per respingere i barconi degli immigrati al largo delle coste, il ripristino dei controlli alle frontiere tra Italia e Francia, come previsto dell’articolo 2.2 dell’accordo di Schengen e la garanzia di pene severe per gli organizzatori del traffico di immigrati. Sono questi i provvedimenti che dovrebbero essere adottati al più presto per far fronte «al dramma» dell’immigrazione dai paesi del Nord Africa verso l’Europa per la presidentessa del Fronte nazionale francese, Marie Le Pen. All’indomani di una missione a Lampedusa, in una conferenza stampa all’Ufficio per l’Italia del Parlamento europeo, Marie Le Pen denuncia l’incapacità dell’Unione europea di farsi carico della crisi in corso, men che meno l’agenzia Frontex per la gestione delle frontiere «non credo che l’Unione europea sia in grado di fare qualcosa malgrado le promesse del presidente della Commissione Josè Manuel Barroso», ha affermato Le Pen sottolineando come «cui paesi singoli debbano assumersi le loro responsabilità. Responsabilità che non devono essere lasciate in mano a Frontex, un’agenzia di cui nessuno sa niente», aggiunge. «È un errore pensare che una struttura anonima e lontana possa essere efficace. Dobbiamo denunciare l’inefficacia dell’Unione europea e procedere con accordi bilaterali».

Le Pen liquida il problema del riconoscimento dei richiedenti asilo dagli immigrati clandestini, sottolineando che «si tratta di un’eccezione e non della regola». A Lampedusa dice di aver visto solo persone fra i 20 e i 30 anni persone che lei chiama «rifugiati economici» a cui non può essere esteso il diritto di asilo. Incalzata sulla possibilità che comincino ad arrivare sulle coste italiane persone costrette a fuggire dal regime libico e dalle persecuzioni degli oppositori, Le Pen propone che osservatori dell’Unhcr siano presenti sulle unità della Marina che potrebbero essere impiegate nei respingimenti. (Sip/Gs/Adnkronos) 















postato da: sebastia11 alle ore 18:43 | link | commenti
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  LEGA NORD,QUINTACOLONNA DELL INVASIONE EXTRACOMUNITARIA
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 UNA TUNISINA ALLA GUIDA DELLA LEGA NORD:"IL MIO SOGNO E' INCONTRARE BOSSI"
  

 

 Hajer Fezzani è nata in Tunisia ed è arrivata in Italia 13 anni fa. Sposata con un guronese doc, fa l'operaia. Da oggi è coordinatrice della sezione del Carroccio commissariata.  
Non solo Sandy Cane. Dopo la sindaca di pelle nera a Viggiù, la Lega Nord cala l’asso della coordinatrice di sezione di origine islamica a Malnate. Si tratta di Hajer Fezzani: è nata in Tunisia ed è arrivata in Italia 13 anni fa. Sposata con un guronese doc, fa l'operaia in una ditta che lavora per l’ospedale di Circolo di Varese.  Da oggi affianca il commissario Alessandro Vedani come coordinatrice della sezione in un periodo di traghettamento verso la normalità che sa tanto di investitura a futura segretaria: sarà lei a guidare il carroccio nel periodo elettorale dopo la bufera degli ultimi mesi in casa padana. 
«Sono arrivata 13 anni fa con la legge Bossi-Fini con un regolare contratto di lavoro – spiega -. Da due anni ho la tessera della Lega Nord, un partito del quale condivido ideali e passione politica. Mio marito è da sempre un simpatizzante, ma non fa politica attiva né ha la tessera. Io l’ho presa perché sono convinta che gli ideali e le battaglie leghiste possono aiutare tutta la comunità». La sua famiglia è di tradizione islamica, ma Hajer Fezzani dichiara di voler superare questi steccati e di pensare con la sua testa: «L’origine di ognuno non si può cancellare, ma credo che ognuno abbia il diritto di evolversi e scegliere con la propria testa. Io non sono praticante e rispetto tutti coloro i quali credono in qualsiasi religione. Mio marito è cattolico, non ne abbiamo certo fatto una questione di religione». La Lega Nord è un movimento che fa dell’identità e della padanità i valori fondanti, ma Hadjer Fezzani non si è mai sentita discriminata, anzi: «Non ho mai avuto problemi – dichiara -. Quando mi sono tesserata, mi hanno accolto benissimo. Io non ho pregiudizi e non ne ho trovati nei miei confronti. Ci sono molti che predicano l’integrazione e poi sono razzisti nel privato: chi invece ha il coraggio di dire cose scomode ha il mio rispetto. La Lega non è razzista, tanto meno lo è la gente della Lega. Ho accettato questo incarico con entusiasmo per il bene della sezione della Lega di Malnate, che voglio cresca negli iscritti e abbia il giusto successo alle prossime elezioni. I valori nei quali credo e che mi hanno convinto a far parte del movimento sono la salvaguardia del territorio, la sicurezza e le tradizioni». 
Hajer Fezzani è tunisina e ha vissuto la “rivoluzione” del Maghreb da lontano: «I miei sono a Tunisi – spiega –. Li sento ogni giorno. La situazione ora è tranquilla, un po’ di apprensione c’è stata, ma dove abitano loro, a Nord della capitale, vicino al palazzo presidenziale, sul mare, non ci sono stati scontri. Qualche corteo pacifico sì: credo che l’aspirazione alla libertà sia un diritto, ogni dittatura è sbagliata e va combattuta. Non avendo vissuto in prima persona le vicende delle ultime settimane però non posso dare un giudizio obiettivo. Posso solo dire che ora il lavoro c’è e la situazione è più serena». Sabato prossimo (il 12 marzo alle 11 in via Carducci) inaugura la nuova sede del Carroccio e ci sarà, oltre alla candidata sindaco Elisabetta Sofia, anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni: «Lui l’ho già conosciuto all’inaugurazione dello Sci Club – chiosa Hajer Fezzani -. Il mio sogno con la “S” maiuscola è di conoscere di persona Umberto Bossi. L’ho visto più volte a Pontida, ma incontrarlo sarebbe veramente il massimo per me».
Anche la Lega sta dando i numeri. Allora è proprio vero che un potente virus si è infiltrato in Parlamento come scrivo da anni. Ma è possibile che i politici italiani siano tutti privi di un ideale politico? Credevo che la Lega si salvasse da questi passaggi ed invece ……ora si prende degli extracomunitari e da loro cariche. Pazzesco. Demenziale. Forse i leghisti credono di ottenere più voti prendendo nel loro partito degli immigrati mentre non si rendono conto che batosta alla prossima elezione. I lombardi non hanno simpatia per gli extracomunitari, basta andare a Malnate, per sentire come la pensa il popolo.
No, così è errato, cari leghisti, vi siete tagliati i”fiorellini” da soli.
Mala tempora currunt
 
ARTICOLO DI ERCOLINA MILANESI

 


 
  
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lunedì, 14 marzo 2011

 

 14 Marzo 1947 – In ricordo di Franco De Agazio 

Direttore ed editore della rivista fu Franco De Agazio, giornalista e scrittore di alto profilo intellettuale e umano, ex giornalista della  Stampa durante la Repubblica Sociale Italiana e liberato dal carcere di San Vittore grazie all’amnistia di Palmiro Togliatti. Meridiano d’Italia si avvicinò alle posizioni del Movimento Sociale Italiano subito dopo la nascita del partito, nel dicembre del 1946. Il nipote, Franco Maria Servello, fu caporedattore fino al 1961, data che sancì definitivamente la fine delle pubblicazioni. Insegnante, giornalista professionista, Consigliere Comunale di Milano e di Vigevano, Deputato e Senatore dal 1958. Il passaggio di guardia, tra zio e nipote, avvenne in modo tragico. La sera del 14 marzo 1947 mentre rincasava in via Strambio 5 a Milano, Franco De Agazio fu freddato sulla porta di casa da un colpo di arma da fuoco da un commando della Volante Rossa. In realtà si trattava di una vera e propria organizzazione criminale formata da ex partigiani comunisti e operai che ritenevano opportuno proseguire la Resistenza Italiana, insanguinando con le loro azioni il territorio del Nord Italia. L’omicidio di Franco De Agazio suscitò vasto eco nel Paese.
La rivista Meridiano d’Italia,  parlò di  secondo delitto Matteotti. Alla camera un’interrogazione dell’Onorevole Benedetti del Partito Liberale Democratico, accese un vivace dibattito, dove il Ministro degli Interni, Scelba, si limitò a dare una risposta di circostanza. Il 29 ottobre dello stesso anno, un altro gruppo di ex partigiani devastò la redazione di Meridiano d’Italia in via Cerva a Milano. Franco Maria Servello decise di trasferire la sede del giornale a Roma per qualche mese. Il Direttore Franco De Agazio fu giustiziato per essersi avvicinato a delle verità troppo scomode. Per aver individuato i responsabili di rapine, violenze e omicidi commessi in nome dell’ideologia antifascista imperante e con la protezione del Partito Comunista Italiano. Per aver smascherato l’identità di Walter Audisio, conosciuto come il compagno “Valerio” che freddò Benito Mussolini sul lago di Como.
Per essersi posto gli interrogativi su chi ordinò la fucilazione di Benito Mussolini e l’assassinio di Claretta Petacci. Quale organo giudiziario emise la sentenza di morte. Per dare una risposta a quei misteri, Franco De Agazio, si lanciò in una serie di coraggiose e sensazionali inchieste pubblicate sulla sua rivista. In particolare affrontò anche il discorso della sparizione dell’oro di Dongo. Mentre la colonna di mezzi fascisti, con a bordo valori e preziosi, era in marcia lungo le rive del lago di Como alla fine dell’aprile del 1945, un gruppo di partigiani bloccò la strada sequestrando la merce e facendo perdere ogni traccia. Probabilmente fu quest’ultima inchiesta a segnare la sorte di Franco De Agazio. In occasione del quinto anniversario della scomparsa, durante la manifestazione commemorativa, il Maresciallo Rodolfo Graziano, consegnò personalmente una fotografia alla signora Rosina De Agazio, vedova del giornalista e fondatore del periodico. In primo piano, il Viceré di Etiopia, il alta uniforme durante una nevicata sulle Alpi Occidentali nel 1945. Quella che rese unica fu la dedica vergata, con inchiostro di colore verde e firmata dallo stesso Graziani: “ Alla Signora Rosina De Agazio nella ricorrenza del supremo sacrificio dell’uomo che fu esempio di fede e di coraggio supremi. Roma Marzo 1952”.
 Il Partito Democratico Fascista poteva disporre, a Milano, di un giornale rigorosamente clandestino, “Lotta Fascista”, considerato il migliore tra i fogli di propaganda dei reduci della Repubblica Sociale Italiana. Migliore per cura grafica e soprattutto per il formato, piegato in due. Il giornale veniva distribuito nei bar frequentati da ex repubblichini, e lasciato sulle poltrone dei cinema.   A Roma, invece, sorsero numerosi fogli di propaganda ma destinati ai soli fascisti. Le pubblicazioni romane tirarono una media di cinquemila copie per ogni testata, molto diversi da “Lotta Fascista”. Oltre ai fogli clandestini vi erano anche le riviste autorizzate. La più antica, Meridiano d’Italia, autorizzata nell’agosto del 1945 con il sottotitolo “Settimanale politico della produzione e del lavoro” e distribuito per la prima volta a Milano il 9 febbraio del 1946. Un settimanale che si soffermava, con scrupolo, sulle pagine oscure di chi aveva sabotato il sacrificio di coloro che avevano risposto alla chiamata della Patria, di chi aveva approfittato delle drammatiche emergenze connesse al   dopoguerra per lucrare in proprio.
Direttore ed editore della rivista fu Franco De Agazio, giornalista e scrittore di alto profilo intellettuale e umano, ex giornalista della  Stampa durante la Repubblica Sociale Italiana e liberato dal carcere di San Vittore grazie all’amnistia di Palmiro Togliatti. Meridiano d’Italia si avvicinò alle posizioni del Movimento Sociale Italiano subito dopo la nascita del partito, nel dicembre del 1946. Il nipote, Franco Maria Servello, fu caporedattore fino al 1961, data che sancì definitivamente la fine delle pubblicazioni. Insegnante, giornalista professionista, Consigliere Comunale di Milano e di Vigevano, Deputato e Senatore dal 1958. Il passaggio di guardia, tra zio e nipote, avvenne in modo tragico. La sera del 14 marzo 1947 mentre rincasava in via Strambio 5 a Milano, Franco De Agazio fu freddato sulla porta di casa da un colpo di arma da fuoco da un commando della Volante Rossa. In realtà si trattava di una vera e propria organizzazione criminale formata da ex partigiani comunisti e operai che ritenevano opportuno proseguire la Resistenza Italiana, insanguinando con le loro azioni il territorio del Nord Italia. L’omicidio di Franco De Agazio suscitò vasto eco nel Paese.
La rivista Meridiano d’Italia,  parlò di  secondo delitto Matteotti. Alla camera un’interrogazione dell’Onorevole Benedetti del Partito Liberale Democratico, accese un vivace dibattito, dove il Ministro degli Interni, Scelba, si limitò a dare una risposta di circostanza. Il 29 ottobre dello stesso anno, un altro gruppo di ex partigiani devastò la redazione di Meridiano d’Italia in via Cerva a Milano. Franco Maria Servello decise di trasferire la sede del giornale a Roma per qualche mese. Il Direttore Franco De Agazio fu giustiziato per essersi avvicinato a delle verità troppo scomode. Per aver individuato i responsabili di rapine, violenze e omicidi commessi in nome dell’ideologia antifascista imperante e con la protezione del Partito Comunista Italiano. Per aver smascherato l’identità di Walter Audisio, conosciuto come il compagno “Valerio” che freddò Benito Mussolini sul lago di Como.
Per essersi posto gli interrogativi su chi ordinò la fucilazione di Benito Mussolini e l’assassinio di Claretta Petacci. Quale organo giudiziario emise la sentenza di morte. Per dare una risposta a quei misteri, Franco De Agazio, si lanciò in una serie di coraggiose e sensazionali inchieste pubblicate sulla sua rivista. In particolare affrontò anche il discorso della sparizione dell’oro di Dongo. Mentre la colonna di mezzi fascisti, con a bordo valori e preziosi, era in marcia lungo le rive del lago di Como alla fine dell’aprile del 1945, un gruppo di partigiani bloccò la strada sequestrando la merce e facendo perdere ogni traccia. Probabilmente fu quest’ultima inchiesta a segnare la sorte di Franco De Agazio. In occasione del quinto anniversario della scomparsa, durante la manifestazione commemorativa, il Maresciallo Rodolfo Graziano, consegnò personalmente una fotografia alla signora Rosina De Agazio, vedova del giornalista e fondatore del periodico. In primo piano, il Viceré di Etiopia, il alta uniforme durante una nevicata sulle Alpi Occidentali nel 1945. Quella che rese unica fu la dedica vergata, con inchiostro di colore verde e firmata dallo stesso Graziani: “ Alla Signora Rosina De Agazio nella ricorrenza del supremo sacrificio dell’uomo che fu esempio di fede e di coraggio supremi. Roma Marzo 1952”.
www.libero-mente.blogspot.com
 
 
 
postato da: sebastia11 alle ore 16:28 | link | commenti
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