sabato 19 novembre 2011

Il branco a Padova:
una coppia aggredita
in pieno centro

Sei stranieri ubriachi hanno molestato la ragazza
Il fidanzato colpito alla testa con un casco e rapinato
Santo102
Padova
      Due fidanzati aggrediti, pestati e rapinati in pieno centro. E’ accaduto l’altra sera, a Padova.
      Non bastano le supermulte contro chi consuma droga in città. Non bastano nemmeno le ordinanze antialcol o le "ronde miste" (forze dell’ordine-militari), nè il nuovo controllo del centro messo in atto contro l’invasione degli spacciatori. In realtà, a Padova la paura continua a crescere. Così, dopo aver scoperto che la fuga degli stupratori romeni di Guidonia aveva come méta Padova, dopo il sequestro di una giovane bulgara in zona industriale, subito violentata e trasportata poi a Piacenza infilata nel bagagliaio di un’auto da un altro terzetto di malviventi romeni, la nuova aggressione è arrivata a chiudere una settimana orribile per la convivenza padovani-stranieri.
      Il fatto è accaduto sabato sera, ai danni di una giovane coppia (entrambi trentenni, lei del capoluogo lui di San Giorgio delle Pertiche), aggredita e rapinata in pieno centro. Lui è stato malmenato duramente con un casco da moto, lei è stata palpeggiata. I fidanzati sono rimasti vittime dell’imboscata di un "branco" di cinque o sei stranieri ubriachi, che dall’accento riferito potrebbero essere proprio romeni.
      Erano le 23,30 in via Emanuele Filiberto, a due passi da Sommariva, con un continuo passaggio di auto, i negozi con le vetrine ancora illuminate e la gente che passeggia sotto i portici. I fidanzati si fermano davanti alle vetrine di un negozio di calzature. Il rumore del "branco" è soffocato da quello delle auto e i due ragazzi non si accorgono dell’arrivo degli individui. Quando sono circondati capiscono che sono ubriachi e che masticano male la nostra lingua.
      Tutto avviene in maniera veloce e confusa, tra l’indifferenza degli altri passanti che non fanno in tempo a capire quello che sta accadendo. Il "branco" circonda la coppia e punta subito alla ragazza. Parole volgari, pesanti apprezzamenti. Poi qualcuno si avvicina di più a lei e gli altri lo coprono. E alla ragazza arriva addosso una manaccia che la palpeggia. Il fidanzato interviene subito e affronta gli stranieri.
      Quelli però non aspettano altro, lo spintonano e lo mettono all’angolo. Uno lo picchia con un casco da moto, glielo sbatte più volte in testa. Poi gli dicono di consegnare il portafogli. Dentro ci sono ottanta euro. Evidentemente bastano, visto che il "branco" fugge.
      Solo a quel punto gli altri passanti capiscono quello che è accaduto. Qualcuno telefona al 113 e in via Filiberto arrivano gli agenti delle Volanti. Il ragazzo viene soccorso e accompagnato al Policlinico. I sanitari lo medicano: ne avrà per una quindicina di giorni.
      I due fidanzati rimangono a lungo negli uffici delle Volanti in Questura. Ricostruiscono l’aggressione fin nei minimi dettagli. È sicuro. I malviventi parlavano in italiano, ma con un accento straniero. Quasi certamente il "branco" era formato da indiviudi dell’Est. Forse romeni.
e per questi la sinistra radicale non si mobilita?assolutamente no,anzi criticano il pacchetto sicurezza che in fondo è mitissimo ,cosi altri stupri altre violenze con il beneplacido dell utopistica filosofia comunista .
postato da: sebastia11 alle ore 15:04 | link | commenti
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Tre giovani danno fuoco a un indiano. Per gioco
Fermati per tentato omicidio, uno è minorenne: «Volevamo un'emozione forte, abbiamo fatto uno scherzo al barbone»
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Roma
     
Una notte da sballo. Una delle tante passate da un locale all'altro, a bere fino ad ubriacarsi. Ma l'alcol spesso non basta più: ed ecco che la pasticca colorata, l'ecstasy, o la cocaina allungano il «viaggio» e aiutano a spostare il limite, fino a osare di più. I carabinieri non volevano credere alla confessione dei tre ragazzi «di buona famiglia», di Nettuno, uno di 16 anni, che sabato notte in questa località del litorale romano, hanno prima picchiato e poi cosparso di benzina un immigrato indiano di 35 anni riducendolo in fin di vita. Ma prima, come ennesimo sfregio, il branco ha «dipinto» di grigio il volto e il collo dell'immigrato.
      «Cercavamo un barbone a cui fare uno scherzo, uno che dorme in strada, non per forza un romeno, un ragazzo di colore, solo uno a cui dare una lezione. Volevamo fare un gesto eclatante, provare una forte emozione per finire la serata». Queste le parole agghiaccianti pronunciate dal più piccolo dei tre, il minorenne interrogato nella caserma dei carabinieri di Nettuno che è crollato e ha confessato. I militari sono arrivati in poche ore ad individuare il terzetto: gli altri due fermati - a tutti è stato contestato il tentato omicidio aggravato - hanno 28 e 19 anni.
      Il rogo umano è divampato quasi all'alba su una panchina di marmo della stazione ferroviaria di Nettuno: Sinhg Navte, 35 anni - senza documenti e di probabile etnia sikh - dormiva lì ormai da molte notti. Aveva perso il lavoro e non aveva più i soldi per pagarsi un tetto. Secondo gli elementi raccolti dai carabinieri i tre avevano trascorso una notte «brava» tra alcol e droga al termine della quale hanno voluto fare, hanno detto durante l'interrogatorio, un gesto «eclatante per provare una forte emozione». Il ragazzo minorenne ed i suoi amici di 19 e 28 anni, incensurati, e con famiglie di lavoratori alle spalle, tornando a casa la scorsa notte sono passati davanti alla stazione di Nettuno.
      Qui, secondo la ricostruzione dei carabinieri, hanno insultato e aggredito il senzatetto che dormiva nell'atrio. Poi si sono allontanati. Sembrava finita. Invece, mentre erano al distributore a fare il pieno all'auto, hanno avuto l'idea di fare «uno scherzo al barbone», così come loro stessi hanno detto agli investigatori. Tornati nella stazione hanno dato fuoco all'immigrato e non riuscendo più a spegnere le fiamme sono scappati. Sulle prime gli investigatori avevano ipotizzato un'azione xenofoba, di matrice razzista che sembrerebbe essere però venuta meno meno. Sarebbe stata, semplicemente, un'azione da «teste vuote».
      Secondo il generale Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri di Roma, «quanto avvenuto non sembra avere uno sfondo razziale, ma con una conseguenza ancor più agghiacciante, visto che secondo quanto accertato i tre volevano chiudere la notte, dopo uno sballo di alcol e droga, con un gesto fortemente eclatante».
      Subito dopo il fermo dei tre ragazzi, immigrati e italiani si sono radunati davanti al municipio per gridare che «Nettuno è anti-razzista», ma non appena il corteo è partito c'è stato uno scambio di insulti, con un piccolo tafferuglio tra i manifestanti e un gruppo di giovani di destra che osservavano dal lungomare e avevano fatto battute contro gli immigrati scatenando la loro rabbia. Le forze dell'ordine si sono messe fra i giovani di destra e i manifestanti e il corteo è ripartito al suono di 'Bella ciao', con lo slogan «Siamo tutti immigrati».
il fatto è deprecabile e vile ma non è di matrice politica come subito i vari media avevano indicato è assolutamente fuori luogo  è l azione della sinistra radicale visto che stupri e violenze da parte di immigrati si svolgono quasi quotidianamente.
postato da: sebastia11 alle ore 14:36 | link | commenti
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sabato, 31 gennaio 2009

SENZA PAROLE
Stupro Guidonia: due romeni ai domiciliari
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ROMA - I due romeni accusati di aver favorito la latitanza dei 4 connazionali accusati dello stupro avvenuto a Guidonia, vicino a Roma, hanno ottenuto ieri pomeriggio gli arresti domiciliari in casa di alcuni parenti in nord Italia.

Secondo quanto appreso, dopo l' udienza di convalida di due giorni fa il gip di Tivoli Cecilia Angrisani ha disposto nel tardo pomeriggio di ieri gli arresti domiciliari per i due romeni perché "sono incensurati e hanno a disposizione gli alloggi dove poter applicare le ordinanze di custodia emesse in sede di convalida il 29 gennaio".

Proprio in nord Italia, probabilmente in Veneto, erano diretti i due romeni accusati di favoreggiamento e due loro connazionali accusati dello stupro fermati dai carabinieri al casello autostradale di Tivoli.
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venerdì, 30 gennaio 2009

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“Ci appelliamo al capo dello Stato perché difenda il diritto dei partiti già rappresentati al Parlamento di Strasburgo a potersi sottoporre al giudizio degli elettori. Saranno le urne, poi, a decidere se una forza politica debba o meno continuare ad avere voce in Europa. Il Colle non deve derogare su questo. Se poi passerà lo sbarramento al 4%, ci attrezzeremo di conseguenza. Ma non è la nostra dead line”. Così Luca Romagnoli, eurodeputato e segretario del movimento Sociale Fiamma Tricolore, interviene sulla modifica della legge elettorale per le europee.
“Nell’assemblea programmatica che terremo sabato mattina (31 gennaio 2009 ore 9,30 presso il Centro Congressi Cavour, a Roma) – annuncia quindi il leader di Fiamma Tricolore - decideremo se e in che modo mobilitare in forma rumorosa i nostri militanti contro questo vero e proprio blitz che a pochi mesi dal voto del 6 giugno, modifica la legge elettorale. Non è possibile – rimarca Romagnoli – chiedere la raccolta delle firme a chi invece, con l’attuale legge, non è tenuto a farlo. Ecco – fa notare l’eurodeputato – cosa ha prodotto il sistema delle preferenze: vediamo trionfare oligarchie o il voto di scambio, nella migliore delle ipotesi, preferenze date a personaggi della TV, a personaggi alla Santoro, la cui attività parlamentare in Europa, come è riscontrabile, è pressoché nulla. Si verifichi il lavoro, per numero e qualità di interventi, interrogazioni, partecipazione a commissioni e delegazioni, questo dovrebbe qualificare il lavoro parlamentare e prescinde dal Partito o dai voti con i quali si è stati eletti. Perché per la Fiamma
 non si tratta di staccare un biglietto per Bruxelles, ma di rappresentare in quella sede una comunità politica e umana che ha diritto democratico a veder riconosciuta la possibilità di partecipare, contribuire con spunti e idee originali al dibattito e tradurre in politica concreta le proprie idee e difendere gli interessi nazionali”.
“Infine a Veltroni e Di Pietro – conclude Romagnoli - mandiamo a dire che attendiamo con curiosità di conoscere le loro liste, per farci due risate sulla solita sfilza di nani e ballerine che aspirano a centrare un seggio europeo e della cui attività, oggi come sempre, non c’è davvero traccia”.
Bruxelles, 29 gennaio 2009
postato da: sebastia11 alle ore 18:10 | link | commenti (2)
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L AMMINISTRAZIONE COMUNALE ABBANDONA AL SUO DESTINO MARGHERA

«Marghera regno degli spacciatori,
subito l'esercito per fare piazza pulita»

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di Elisio Trevisan
MESTRE (30 gennaio) - «Stiamo a guardare? Non è possibile che questa Amministrazione accetti che via Anelli di Padova si sia spostata, armi, bagagli e pistole, a Marghera».
Antonio Cavaliere e Alberto Mazzonetto annunciano che organizzeranno gazebo in tutta la città per sensibilizzare i cittadini, chiedere più sicurezza e reclamare l’invio di soldati dell’esercito anche a Venezia. I due capogruppo, rispettivamente di Forza Italia e della Lega Nord in Consiglio comunale, hanno deciso di avviare una campagna sulla sicurezza dopo che, nelle ultime settimane, il numero dei crimini sembra aumentato senza freno, citando gli episodi di criminalità e i numerosi arresti effettuati in zone come la Stazione ferroviaria di Mestre e alcuni quartieri di Marghera «dove è diventato davvero difficile uscire di casa tranquillamente».

A Padova l’Esercito è arrivato e uno dei risultati, evidentemente, è stato quello di far sloggiare buona parte dei delinquenti abituali dalle zone come via Anelli a luoghi meno controllati e più "tranquilli" come Venezia. «Sono arrivati a Marghera che è diventata una città da bollino rosso, con il complice silenzio dell’assessore alla Polizia Urbana, il vicesindaco Michele Vianello, e del Comandante dei Vigili, Marco Agostini - dice Cavaliere che, assieme al collega della Lega, ha preparato un documento rivolto alla città e, soprattutto, al sindaco e al prefetto -. Mi riferisco in particolare allo spaccio di droga e alla delinquenza in genere:
ormai rendono invivibili e ad alto rischio, per i bambini, i parchi giochi».

La soluzione? Mettere i soldati anche a Marghera, così gli spacciatori e gli altri delinquenti si sposteranno da qualche altra parte. «Intanto il sindaco Massimo Cacciari potrebbe cominciare prendendo esempio dal suo collega di Padova, Flavio Zanonato, il quale ha emanato un’ordinanza anti spaccio che prevede un’ammenda da 500 euro per chi acquista o consuma stupefacenti - suggerisce il capogruppo di Forza Italia -. Così, cominciando a colpire anche chi si droga e non solo gli spacciatori, si fa un primo passo per rendere nuovamente vivibili le aree verdi, le strade e le piazze. Oggi molte non lo sono e la gente normale le evita, così diventano dominio incontrastato della delinquenza. Alla fine i cittadini pagano le tasse per avere dei servizi che funzionano, ma non ne possono godere, e chi non paga un centesimo di tasse, invece, ne approfitta e diventa il re incontrastato».

Mazzonetto se la prende anche con il Prefetto e con il Comitato per la sicurezza che «hanno trascurato Marghera per cui via Rizzardi, Piazzale Tommaseo e via della Rinascita, sono diventate aree indisturbate per il traffico di droga, così come tutte le zone della Terraferma Veneziana e del Centro Storico. Come Padova ha avuto il coraggio di chiedere aiuto allo Stato e all’Esercito, lo faccia anche Cacciari, che nulla sta facendo per la sicurezza dei cittadini del territorio veneziano».

Servono, insomma, più controlli ed evidentemente per i due esponenti di FI e Lega Nord le forze dell’ordine non sono sufficienti ad affrontare la recrudescenza di atti criminosi in città. I tagli ai bilanci di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, per Cavaliere e Mazzonetto rendono necessario l’impiego dei soldati, in aiuto delle pattuglie ordinarie.
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L UOMO O L ANIMALE ?CHI E LA VERA BESTIA?

Venezia. Sequestrati i collari elettrificati per addestrare cani: “strumenti di sevizie”

VENEZIA (30 gennaio) - Sette persone denunciate, quindici perquisizioni e il sequestro di un migliaio di collari da addestramento per cani ritenuti dagli investigatori possibili strumenti per sevizie sugli animali. È il risultato di un'operazione della Polizia Postale e delle Comunicazioni di Venezia, che nell'ambito dei consueti servizi di monitoraggio sulla Rete Internet hanno individuato con i cyber-investigatori della Sezione di Treviso - anche sulla scorta di segnalazioni fatte da cittadini - una serie di negozi virtuali con prodotti vari, tra cui particolari strumenti per l'addestramento di cani.

Secondo gli investigatori, erano venduti come collari d'addestramento, ma in realtà erano "piccoli strumenti per sevizie", collari denominati "a strangolo con punte", ovvero predisposti anche all'irradiazione di scosse elettriche tramite telecomando. Gli approfondimenti sulla natura del materiale posto in vendita, svolti anche con personale specializzato del settore veterinario, hanno consentito di qualificare tali prodotti come "possibili strumenti di tortura, potendo anche provocare la morte dell'animale
".
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 IDIOTI,DEMENTI!!!

Padova. Firmata l'ordinanza anti-droga
Il “Pedro”: mercoledì spinelli in piazza

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PADOVA (30 gennaio) - Il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, ha firmato oggi l'ordinanza antidroga, che sanziona con una multa di 500 euro chiunque contravvenga il divieto di «acquistare o ricevere sostanze stupefacenti o psicotrope nelle aree pubbliche od aperte al pubblico insistenti in one resideniali a Padova». Mercoledì il "Pedro" lancia la "spinellata in piazza".
L'ordinanza vieta inoltre di «consumare le sostanze in luogo pubblico o aperto al pubblico».

«È un piccolissimo strumento per combattere lo spaccio e la distribuzione di droghe - ha detto Zanonato -, sostanze che distruggono i nostri giovani. Come previsto dal decreto Maroni, proviamo a dare un contributo: è un'arma in più sul difficile versante della lotta alle dipendenze. Non ci occupiamo in questa ordinanza - ha spiegato - degli spacciatori perché chi vende droga è già sanzionato con multe da migliaia di euro ed anni di carcere dalla legge ordinaria. L'ordinanza prevede in alternativa alla multa da 500 euro la possibilità di ovviare alla sanzione amministrativa con un percorso di recupero al Sert».

Gli attivisti del centro sociale "Pedro", intanto, hanno annunciato per mercoledì sera nelle piazze una maxi "spinellata" di protesta. «Questa ordinanza è fumo negli occhi - spiega Max Gallob, leader del centro sociale Pedro - e noi questo fumo lo soffieremo in faccia a Zanonato ed alla sua Giunta. Non è con i divieti che si rende Padova più sicura».

Proprio riguardo all'iniziativa del centro sociale, Zanonato ha detto: «Max Gallob probabilmente non sa che se si autodenuncia per il consumo di sostanze stupefacenti in piazza contravviene all'ordinanza. Magari per ragioni di opportunità non viene immediatamente sanzionato, però dà la facoltà al Prefetto di sospendergli la patente di guida da un mese ad un anno».
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giovedì, 29 gennaio 2009

UNA "ECCELLENZA" ITALIANA DIMENTICATA
L'AGENZIA SPAZIALE ITALIANA COMPIE 20 ANNI
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Equilibrio tra ricerca e infrastrutture: e' il segreto grazie al quale da 20 anni l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) ''gioca in serie A'' a livello internazionale.

Ed e' con questo spirito che l'Asi sta guardando al futuro, alla vigilia di appuntamenti cruciali come il nuovo Piano Spaziale Nazionale. Lo fa forte di una lunga e intensa esperienza, cominciata ufficialmente il 3 febbraio 1988, con la legge che l'ha istituita.
postato da: sebastia11 alle ore 17:47 | link | commenti
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Adriano Sabbadin:
«Basta crudeli
prese in giro,
chi protegge
quel criminale?»
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S. Maria di Sala
      NOSTRO SERVIZIO
      «Sono ferito, profondamente ferito. Ogni notizia, è un duro colpo per me e la mia famiglia. Ogni volta è come se la lama affondasse in una ferita, mai rimarginata, andando sempre più nel profondo. Non ho più parole per esprimere la rabbia e lo sdegno per quella che a me, scusatemi tutti, sembra solo una crudele presa in giro».
      Commenta con queste parole Adriano Sabbadin, quarantasette anni, il figlio di Lino Sabbadin, il macellaio di Caltana di Santa Maria di Sala (Venezia), ucciso a bruciapelo da Cesare Battisti il 16 febbraio del 1979, lon scambio di dichiarazioni tra Italia e Brasile che si vanno succedendo, con una sequenza che, per un famigliare di una delle oltre trecento vittime del terrorismo in Italia, è ad ogni flash di agenzia, una scansione tra le più crudeli.
      Accanto a lui c'è il figlioletto di due anni. Quel frugoletto ha gli occhi del padre, che sono gli stessi del nonno. Un nonno che già conosce, pur non avendolo mai visto. «In casa teniamo le foto di mio padre. Sono quelli dei momenti più belli. Li custodiamo gelosamente perchè sono solo nostri. Ho insegnato a mio figlio a riconoscerlo anche attraverso questi "pezzi" di vita - racconta Adriano - Un giorno, quando ero collegato al nostro sito dell'Associazione famigliari vittime del terrorismo, ha riconosciuto di mio padre ed è uscito con l'esclamazione "Nonno", indicandolo con l'indice». Adriano ha seguito lo stesso mestiere del padre, con grande fatica ed enormi sacrifici. «Avevo diciassette anni, ma mio padre ci ha fatto da scudo, ha sacrificato la sua vita per noi. È anche un tributo morale quello che gli dovevo proseguendo il suo mestiere - continua Sabbadin -. Un giorno, quando mio figlio sarà in grado di capire, gli racconterò la storia del nonno. E anche quella di Cesare Battisti».
      Adriano Sabbadin entra nel merito del fiume di dichiarazioni che si sono succedute in questi giorni: da quelle di Carla Bruni alla trasmissione domenica scorsa "Chetempochefa" della Rai condotta da Fabio Fazio sino a quelle delle ministro Frattini; e ancora, fino alla decisione di richiamare il nostro ambasciatore in Brasile e alle parole pronunciate dal presidente Lula.
      «Sto ad ascoltare, ma so davvero cosa dire - prosegue il figlio di Sabbadin -. Far saltare una partita amichevole? O addirittura boicottare i prodotti brasiliani? Non si può rispondere con la stessa moneta. Siamo un paese democratico. Per questo mi aspetto molto di più. Non penso, in cuor mio, ad azioni eclatanti che lasciano il tempo che trovano, ma ad interventi forti e decisi per far finalmente prevalere la giustizia. Alla pari di un genocidio perchè questo è stato il terrorismo».
      Cesare Battisti, continua a ripetere Adriano, non è un rifugiato. «Ha ucciso mio padre. Ma ha ucciso anche altre tre persone. Non voglio vendetta, ma è da allora che aspetto giustizia e non l'ho avuta. Battisti è stato condannato a quattro ergastoli per quattro efferati omicidi, ma non ha scontato nulla. Dopo un solo anno di galera è evaso e si è nascosto prima a Puerto Escondido, poi in Francia dove ha rirtrovato celebrità come scrittore di gialli. Ora è in Brasile, protetto da questa sorta di immunità di rifugiato politico, riservata a pochi, e non certo a degli assassini. Secondo quanto è stato ricostruito al processo, due giorni prima della data prefissata per l'azione del 16 febbraio 1979 che portò all'assassinio di mio padre e del gioielliere Torregiani a Milano, i componenti del Pac tennero una riunione perchè diversi di loro nutrivano dei dubbi sull'utilità politica di uccidere anzichè di ferire. A quella riunione proprio Battisti rifiutò di sentir parlare di ripensamenti e se ne andò arrabbiatissimo prima ancora della discussione. Era un assassino spietato e si è sempre distinto per la sua determinazione, come si legge nella sentenza, non ha avuto un attimo di esitazione al momento di uccidere. Mi chiedo perchè, per anni, è stato, e tuttora, rimane intoccabile? - conclude con un inquietante interrogativo Adriano Sabbadin - Chi lo protegge? Chi c'è, davvero, dietro di lui?».
      Nicoletta Masetto
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mercoledì, 28 gennaio 2009

Marghera, il gran bazar della droga
tra scivoli, altalene e bambini
Mestre, reportage nei luoghi dello spaccio. Stupefacente
nascosto nei parchi giochi, regno di venditori e acquirenti
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di Giuseppe Pietrobelli
MESTRE (28 gennaio) - Il ragazzone dalla pelle scura, in jeans e giubbotto, cammina con aria dinoccolata all’angolo tra piazzale della Concordia e via della Rinascita. Entra in una bar, ne esce poco dopo. Si ferma a chiacchierare con qualcuno della sua razza. Riparte, si guarda attorno.
Si vede che non ha nulla da fare, sembra quasi assaporare quel suo andare apparentemente in nessun posto, quel suo essere senza mèta nel cuore di Marghera, dove ogni strada e ogni incrocio ricordano il mondo del lavoro e la classe operaia. Poche ore fa era un detenuto in attesa di giudizio, adesso è un cittadino straniero libero, anche se in Italia è entrato clandestinamente e lo hanno beccato mentre spacciava droga.

I Baschi Verdi della Finanza, che hanno la caserma all’imbocco di via Fratelli Bandiera, hanno impiegato molto tempo e parecchie energie prima di mettergli le mani addosso, venerdì scorso. Ma lunedì mattina all’uscita del Tribunale, in viale San Marco a Mestre, li aveva salutati alzando verso il cielo il pollice della mano sinistra, soddisfatto perchè un giudice lo aveva appena condannato e scarcerato.

«Droga? Solu per mangiare» aveva risposto nel momento in cui lo avevano acciuffato. Ma con la sua aria da guappo si mostrava abbastanza diverso da altri clandestini arrivati da Lampedusa e fermati solo per non aver obbedito all’ordine di tornare in patria.
Lui il salto lo ha ormai fatto. Infatti, le attenuanti generiche non gli sono state concesse. Il terzo comma dell’articolo 73 della legge sulla droga prevede una pena base di un anno di reclusione e 3 mila euro di multa. Gli hanno applicato solo la riduzione di un terzo per la decisione piuttosto conveniente di patteggiare. E così la pena è stata fissata in 8 mesi di reclusione e 2 mila euro di multa. Abbondantemente sotto il limite della condizionale.
È per questo che salutava soddisfatto chi lo aveva ammanettato. Come a dire, tutto bene, ci rivediamo presto.

Ieri pomeriggio era già lì sul marciapiede, in quella terra che i Baschi Verdi e gli uomini del Commissariato di Marghera conoscono come le loro tasche. Sanno riconoscere uno ad uno i personaggi che compongono il mondo dei tossicomani e degli spacciatori, li indicano per nome, ne possono indovinare i movimenti. E così, senza paura di smentita, sanno che quei gruppetti in sosta davanti ai bar non hanno altro da fare che attendere i clienti. Un mondo con regole non scritte, metodi di lavoro collaudati, rifugi insospettabili.

È qui a Marghera, il paese dentro la città dove i bambini non vanno più al parco giochi perchè la droga viene nascosta a palline sotto gli scivoli o dentro buche scavate nel terreno, il punto d’arrivo di tanti clandestini che hanno fatto di Lampedusa il punto d’ingresso in Europa. I grandi flussi di umanità dolente e disperata nascondono anche la delinquenza che si mescola, si muove con abilità, vìola ogni divieto. E a volte anche i clandestini non ancora inseriti in organizzazioni a delinquere finiscono a spacciare, coperti dal loro status di invisibili. Sopravvivono grazie al mercato del lavoro più illegale che ci sia, comprare e vendere droga.

Non è un caso se il ragazzo in jeans di nazionalità tunisina è tornato in piazza della Concordia, subito alla fine della via del Mercato, sul retro del municipio. Gli affari si cominciano a fare qui. Verso sera ci saranno una trentina di persone, divise in gruppetti. Ma per tutto l’arco della giornata si è sicuri di trovare qualcuno del "giro", basta un po’ di pazienza.
I clienti sanno da chi andare. Ma il primo con cui parlano non è mai quello che poi consegnerà la "roba". Lo tengono in ballo per un po’, gli fanno fare un giro, lo soppesano. L’acquirente viene passato a un’altra persona, finalmente ecco i soldi (50 euro per una dose di eroina), il passaggio dell’involucro di mano in mano.
A tirare le fila c’è un capo. Una volta era "Zico", tunisino approdato qui da Via Anelli a Padova, che ha cercato di sposare un’italiana e di acquisire così la cittadinanza. Poi c’era Mano di Pietra, arrestato per false dichiarazioni di generalità e uscito pochi giorni fa dal carcere.

A Marghera tutto avviene sotto gli occhi di tutti. Basta saper vedere. C’è un campetto, a ridosso di Via della Rinascita, attrezzato come un ameno "percorso natura", anche se incastrato tra i palazzi. È deserto, abbandonato. Lo hanno trasformato nel deposito della droga. Ci sono buchi dappertutto, come se un cane vi avesse scavato una tana. E ci sono pezzetti di nylon, angolini di sacchetti variopinti tagliati per diventare contenitori di droga. L’eroina viene messa lì dentro e lasciata sotto le foglie, tra le radici di un albero, sotto un cespuglio, dietro un sasso.

I pusher hanno ben presenti i punti di riferimento. Meglio non tenersi nulla addosso. In bicicletta si arriva in un attimo, si prende la merce, la si porta all’acquirente.
È anche per questo che i parchi-giochi sono deserti. Non è solo il freddo dell’inverno. È la paura che qualche bambino trovi sotto uno scivolo o una panchina una pallina di carta stagnola, così simile a una caramella. Il piccolo spaccio non guarda in faccia nessuno. Quello che conta è vendere per vivere, non solo per sopravvivere. E non importa a chi.

Alcuni giorni fa, durante un’operazione che poi ha portato all’arresto di tre maghrebini, messi fuori gioco almeno per qualche giorno, i finanzieri hanno trovato una ragazza italiana che chiedeva eroina da fumare. Le hanno chiesto l’età e sono impalliditi. «Ho compiuto da poco quattordici anni».
postato da: sebastia11 alle ore 15:14 | link | commenti
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