sabato 19 novembre 2011

image0012.jpgRicordati gli Italiani uccisi dagli Alleati
Domenica 18 gennaio 2009, in occasione del prossimo anniversario dello sbarco alleato a Nettunia, l’Unione Nazionale Combattenti della RSI ha ricordato i civili ed i militari italiani uccisi dagli Angloamericani durante le operazioni belliche.
L’Ing. Francesco D’Aura, a nome della Federazione provinciale romana dell’UNCRSI, ha deposto un mazzo di fiori e un cartello commemorativo nei luoghi dove i Nettuniani sono stati assassinati dai cosiddetti “liberatori”.
Omaggi floreali sono stati posti davanti a Villa Borghese dove venne ucciso Bramante Pagliaro, a Via Flora ad Anzio dove fu colpito Renzo Mastracci, in Via Pocacqua dove fu assassinato Mario Di Nicola, in Via S. Barbara a Nettuno dove cadde il Carabiniere della RSI Giuseppe Pitruzzello ed infine in Via Monte
Grappa, sempre a Nettuno, ove venne stuprata e massacrata da soldataglia afroamericana la diciassettenne Giulia Tartaglia.
Presente alla manifestazione il Cav. Uff. Bruno Sacchi, Segretario della Sezione “Bruno e Piero Fioravanti” della Fiamma Tricolore di Nettuno, che ha dichiarato: «Anche quest’anno ci siamo sostituiti allo Stato italiano per ricordare i caduti dello sbarco, quelli di cui è vietato parlare. Si tratta di Italiani vittime di feroci quanto assurdi comportamenti di cui si macchiarono i soldati statunitensi. Presenteremo presto al Comune di Nettuno una proposta per costruire un monumento dove venne ucciso il Carabiniere della RSI Giuseppe Pitruzzello. Si tratta di un atto dovuto, visto che l’Amministrazione
comunale – anni fa – non si vergognò di stravolgere la storia e definire “partigiano” un combattente della Repubblica Sociale Italiana. Ad Anzio vi è una proposta per affiggere nella zona portuale due grandi lapidi in onore dei mezzi d’Assalto della X Flottiglia MAS e degli equipaggi del Gruppo Aerosiluranti “Buscaglia”, che su questo mare combatterono con valore, difendendo il tricolore italiano».
Il Cav. Uff. Dott. Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI – Istituto Storico, in conclusione della manifestazione, ha aggiunto: «Sono alcuni anni che partecipo a questa manifestazione, fortemente voluta da tutti quegli Italiani ancora degni di questo nome. Si tratta di un dovere. Il dovere di ricordare i nostri compatrioti caduti per mano straniera, il cui ricordo, per oltre 60 anni, è stato occultato dalle Amministrazioni comunali sempre pronte a schierarsi dietro le bandiere dei “vincitori”, dimenticando la stessa dignità nazionale. Purtroppo, l’anniversario dello sbarco è sempre stato politicizzato, interpretato come un conflitto tra il “bene assoluto” e il “male assoluto”. Noi non la vediamo così. In quel conflitto non vi erano “buoni” o “cattivi” come vuole una certa vulgata, ma Nazioni in guerra. Noi semplicemente guardiamo alla nostra Patria, al nostro tricolore. Ebbene, in quel lontano 1944, il tricolore italiano era difeso dai reparti della RSI. Chi rinnegò la propria Patria si assunse evidentemente delle responsabilità. A noi non interessa giudicare in questo momento, interessa solamente ricordare i nostri caduti, gli Italiani, e guardare con amore la nostra bandiera che è e resterà sempre il tricolore. E, guarda caso, il tricolore italiano oggi sventola solo sul Campo della Memoria, il sacrario dei caduti della Repubblica Sociale Italiana! Qualcuno su ciò dovrebbe meditare. Profondamente».

Lemmonio Boreo
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Tassa Gheddafi sull’ENI

ghedda.jpgIl gruppo di Scaroni pagherà alla Libia fino al 2028 il 4% degli utili
L’accordo l’ha fatto Silvio Berlusconi con l’amico colonnello Muammar Gheddafi per fare stare buona la Libia, mettere una pietra sul passato ed evitare il consueto assalto di barconi zeppi di clandestini a Lampedusa. Ma la pietra si è rivelata una pepita, con tanto di sorpresa. Perché a pagare i 5 miliardi di dollari di risarcimento alla Libia in 20 anni, come prevede l’accordo bilaterale approdato alla Camera il 13 gennaio scorso, non sarà il governo italiano se non in piccola parte. Perché il costo graverà tutto sugli azionisti dell’Eni di Paolo Scaroni, cui con una nuova tassa sarà sottratto fra il 2009 e il 2028 ogni anno il 4% dell’utile prima delle imposte. Qualcosa in più di 300 milioni l’anno…(tratto da Italia Oggi del 15/01/09 di Franco Bechis).
Leggendo questa notizia sembrerebbe che mago Silvio sia riuscito, ancora una volta, in una operazione di marketing a tutela del cittadino, invece a pagare siamo noi, considerato che l’ENI è per il 30% è dello Stato, quindi una parte di quei 300 milioni li pagheremo noi, mentre il resto lo verseremo con le bollette di luce, gas e benzina, provare per credere. A proposito in questo momento stiamo già pagando, visto che, con il prezzo del petrolio (34 $ al barile) ai livelli dell’Aprile 2004, le nostre bollette ed il costo della benzina non hanno ancora raggiunto gli stessi livelli di quel periodo, nella completa indifferenza dell’authority e mister prezzi, soggetti pagati profumatamente per non si sa quale oscuro motivo. A questo punto vi pongo una riflessione: non sarebbe il caso di risparmiare i loro stipendi, per coprire sicuramente i 300 milioni della tassa Gheddafi? Nicola Giangregorio

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Tratto da Panorama: L’Adriatico non è il mare del Nord e la Basilicata non è il Texas, ma anche l’Italia nel suo piccolo custodisce un tesoro di gas e petrolio. A differenza del resto del mondo, però, dove la presenza di idrocarburi nel sottosuolo è considerata un dono della provvidenza, qui quel bendidio spesso genera più polemiche che ricchezza.
Con un deficit energetico nazionale annuo di 50 miliardi di euro (3,7 per cento del pil nel 2008) e un sistema dipendente dalle importazioni in misura più che doppia rispetto agli altri paesi industrializzati europei (85 per cento contro il 40), la questione dell’insufficiente sfruttamento delle risorse tocca vette di insensatezza. E diventa addirittura irritante in momenti come questo, con i rifornimenti di gas provenienti via tubo dalla Siberia attraverso l’Ucraina a rischio di interruzione a causa del contenzioso ormai endemico sul pagamento delle forniture tra la Repubblica russa e Kiev.
In tema di sfruttamento delle risorse energetiche l’Italia va addirittura all’indietro come i gamberi e solo negli ultimi mesi sta tentando di riprendere un cammino lineare. Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, e quello dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, hanno firmato 23 tra concessioni e permessi di ricerca in mare più 14 autorizzazioni per stoccaggi di gas in prevalenza a favore della Stogit dell’Eni in Valpadana. Ma il ritardo accumulato resta grave: l’estrazione annua di petrolio è ferma tra i 5 e i 6 milioni di tonnellate e l’accordo per sfruttare in pieno i giacimenti della Basilicata non è ancora del tutto operativo a 11 anni dalla firma. In meno di un quindicennio la produzione di gas è scesa da 20 a 10 miliardi di metri cubi e 7 anni fa sono state bloccate per legge le estrazioni dai giacimenti nell’Alto Adriatico (34 miliardi di metri cubi sicuri) per paura che provocassero il fenomeno della subsidenza facendo sprofondare, in pratica, Venezia e la laguna.
La scarsa utilizzazione di metano e petrolio non dipende dal graduale esaurimento dei giacimenti, dall’insufficienza di convenienze economiche nell’estrazione o da investimenti
inadeguati da parte dei concessionari. La penuria e i soldi non c’entrano, anzi, le ricchezze residue restano ingenti e molto desiderate dalle società energetiche, mentre le ultime ricerche hanno consentito l’individuazione di altre aree produttive lungo una linea vasta del paese, una specie di falce di luna che dalla Sicilia si estende verso Calabria e Basilicata fin sulla costa adriatica per inarcarsi infine in Val Padana (vedi cartina a fianco).
Secondo stime dell’Ufficio minerario, le riserve accertate di petrolio ammontano a 840 milioni di barili a cui si aggiunge un potenziale addizionale tra i 400 e i mille milioni per un valore in euro tra i 90 e i 130 miliardi. Per quanto riguarda il gas, le riserve equivalgono a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo tra 120 e 200 per un valore tra 75 e 100 miliardi di euro. Somme su cui lo Stato o le Regioni potrebbero incassare almeno il 7 per cento di royalties e il 40 per cento di tasse. Senza contare l’effetto sull’occupazione diretta e l’indotto.
Il fenomeno dello scialo energetico è tipicamente italiano, frutto di un miscuglio di ragioni, con in testa quelle ambientaliste che spesso si sposano con l’ostruzionismo del partito trasversale del no. A cui si aggiunge un motivo particolare, quello delle «competenze concorrenti». Un’espressione che indica che anche su gas e petrolio, soprattutto quando si tratta di giacimenti terrestri (nel mare la faccenda cambia un po’), possono mettere becco una pluralità di soggetti, a cominciare dalle Regioni. E manco a dirlo la faccenda si complica talmente che tra Valutazioni di impatto ambientale (Via), conferenze di servizi, perizie ed indagini, lo sfruttamento del sottosuolo si trasforma spesso in un estenuante gioco dell’oca.
In teoria il rilascio delle concessioni in mare dovrebbe risultare più sbrigativo perché in capo allo Stato centrale, ma la pratica è diversa. Per esempio restano inutilizzati i giacimenti di gas Annamaria A e Annamaria B al largo delle Marche (10 miliardi di metri cubi accertati) che dovrebbero essere sfruttati in parti uguali dall’Eni e dalla croata Ina. L’impianto croato, per la verità, è già stato piazzato, ma non può entrare in funzione perché manca quello italiano che resta in attesa dell’ok ministeriale.
Il caso dell’Alto Adriatico, poi, rasenta l’assurdo. Nella parte croata le estrazioni di gas da parte di Ina ed Eni vanno avanti a tutto spiano, ma quelle della parte italiana sono ferme. Un decreto recente del governo cancella il blocco del 2002 concedendo un filo di speranza ai 7 concessionari, con in testa Eni, Edison e Shell, che potrebbero riprendere l’attività, ma solo dopo aver dimostrato che l’estrazione non provoca subsidenza. All’Eni assicurano di avere gli studi che lo provano e invitano ad un confronto il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, da sempre contrario e a cui spetta la parola definitiva. Ma l’incontro non si fa, il gas resta nei fondali e lo spreco continua.
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lunedì, 19 gennaio 2009

Mishima, l’ultimo samurai
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Tratto da il Centro Studi la Runa Di Ippolito Edmondo Ferrario Da decenni è una delle icone del Giappone tradizionale e guerriero, patria dei kamikaze, che, nel dopoguerra è diventato una formidabile fucina di tecnologia, cercando in qualche modo di dimenticare il proprio passato imperiale e militarista. Stiamo parlando dello scrittore Yukio Mishima, figura complessa ed enigmatica entrata a far parte dell’immaginario popolare quale esempio di risolutezza e determinazione estrema che porta alla morte. Con un accostamento azzardato se Mishima fosse stato un cartone animato certamente si sarebbe trovato a suo agio nei panni di Gemon, il temibile e imperturbabile Samurai, che insieme al pistolero Gigen, componeva la banda di Lupin, il famoso imprendibile ladro gentiluomo. Di Mishima rimangono immagini forti, considerate da alcuni sintomo di un fanatismo difficilmente concepibile per un occidentale, foto che lo ritraggono impugnare la katana, la celebre spada dei samurai, e con la testa fasciata dalla chimachi, la fascia bianca recante il simbolo del Sol Levante. Per molti Mishima rimane a tutt’oggi un cattivo maestro, per altri un esempio da seguire. E ancora tutti i cultori di arti marziali non possono che illuminarsi quando sentono parlare di lui e della via del Bushido, la via del guerriero, in cui arti marziali, filosofia e spiritualità si fondono permettendo all’indivuduo di raggiungere la perfezione.
Per chi volesse conoscere più da vicino, e approfondire il Mishima scrittore e drammaturgo, libri e suggestioni a parte, a Milano verrà proiettato il 21 febbraio prossimo, presso il Centro di Cultura Giapponese di Milano (Via Lovanio 8, tel. 3489200948) il rarissimo film del regista Paul Schrader “Mishima: A life in a Four Chapters” del 1985 che rientra in una più ampia rassegna intitolata “Bellezza e tristezza del cinema giapponese” che il Centro ha voluto dedicare ai capolavori del cinema del Sol Levante ogni giovedi alla ore 19.00 fino al 22 maggio. Questi incontri, curati da Giampiero Raganelli, Massimiliano Matteri e Yumiko Matake hanno il compito di mostrare con un occhio diverso le millenarie tradizioni del Giappone attraverso alcune pellicole d’autore che comprendono, oltre al film di Schrader, anche “Sentimenti umani e palloncini di carta” di Sadao Yamanaka, film del 1937 e presentato al Festival del Cinema di Venezia del 2005, e film del
 regista Kenji Mizuguchi.
Il film dedicato a Mishima rievoca lo scrittore nipponico autore di libri quali Confessioni di una maschera o Sole e acciaio che dal giorno della sua scomparsa è entrato nell’immaginario collettivo come non solo il più grande scrittore giapponese dell’età moderna, ma soprattutto come l’ultimo erede della tradizione nipponica e del culto dell’Imperatore. Mishima infatti mise fine alla sua esistenza con il seppuku, ovvero il suicidio rituale tipico dei samurai, diventanto un’icona del mondo tradizionale che non si voleva arrendere ad un dopoguerra dove la sconfitta del Giappone ne aveva condizionato gli usi e costumi. Mishima ad esempio da intellettuale e scrittore si era sempre opposto, non riconoscendolo, il trattato di San Francisco del 1951 col quale gli Stati Uniti imponevano al Giappone il divieto di avere un proprio esercito e obbligando il paese sconfitto a ricorrere al vincitore per la difesa del proprio territorio.
Era il 25 novembre del 1970 quando Mishima, dopo aver preso in ostaggio nel suo ufficio il generale dell’esercito di autodifesa Mashita, e dopo un accorato appello-testamento recitato dalla finestra dell’ufficio di fronte a tutti gli uomini del reggimento e alla presenza di giornalisti e televisioni, si tolse la vita con l’antico rito samurai. In Italia lo scrittore venne subito etichettato come fascista e militarista in quanto assoluto cultore del fisico e della disciplina marziale senza interpretarne il pensiero; solo di recente grazie a nuovi studi approfonditi e si è riusciti ad andare oltre alle semplici apparenze. Lo stesso Alberto Moravia che lo aveva incontrato personalmente non aveva esitato a definirlo “un conservatore decadente” e in un certo senso lo era, figlio di un Giappone costretto a rinnegare il proprio passato e a subire la cultura del vincitore. L’idea di Mishima esulava il semplice patriottismo di stampo europeo, il suo culto per la figura dell’Imperatore era un’idea trascendente che di certo lo rendeva più simile a un pensatore quale Julius Evola e alle sue idee in materia di tradizione che non a un comune nazionalista.
Il film di Schrader è diviso in quattro capitoli, ognuno ispirato ad un’opera dello scrittore. Il primo, intitolato “La bellezza” è tratto dal romanzo Il padiglione d’oro del 1956 e narra la storia di un ragazzo, un accolito buddhista fisicamente deforme, che rimane a tal punto affascinato da quest’esempio di architettura da diventare balbuziente; il solo modo per liberarsi dalla malia di ciò che ha visto sarà distruggere il padiglione stesso. Il tema dell’estetica e della bellezza inseguita che diventa un ossessione domina questa sorta di parabola tipica della tradizione Zen.
Nel secondo capitolo “L’arte”, ispirato al romanzo La Casa di Kioko (1956) il protagonista è un giovane attore di nome Osanu che vive un rapporto di conflittualità con la madre e che non riesce ad accettare il proprio corpo quando è a letto con la sua donna Mitsuko. Osanu decide così di intraprendere la via delle arti marziali per raggiungere un ideale di bellezza perfetta al cui vertice rimane solo il suicidio. Il tema del suicidio rituale, dell’esercizio delle arti marziali come veicolo per raggiungere un ideale di perfezione spirituale e guerriera sono fondamentali in Mishima. Non dimentichiamo che oltre ad essere un prolifico scrittore di romanzi e di testi teatrali, che gli valsero tra l’altro riconoscimenti internazionali, Mishima dal 1955 iniziò a dedicarsi sempre di più alla pratica del Kendo e alle discipline militari in genere. Fondò una vera e propria associazione di combattenti privati denominata Tate no Kai, ciè Società degli Scudi, che secondo lo scrittore era dove incarnare lo spirito del giappone tradizionale e imperiale di fronte al sopruso del Trattato di San Francisco imposto dal vincitore.
Il terzo capitolo intitolato “L’azione” sembra riassumere in sé tutta la parabola di Mishima scrittore-guerriero: Isao, studente di Kendo, l’antica arte della scherma, e cadetto dell’esercito, si dedica unicamente al culto dell’Imperatore e con i suoi compagni decide di eliminare dal Giappone la piaga del capitalismo americano, ma una volta che il suo piano d’azione viene scoperto non ha scelta. Imprigionato e torturato per il suo progetto di colpo di stato, una volta evaso riesce a uccidere il politico responsabile del suo fallimento. Dopodichè Isao sceglierà la via del seppuku, suicidandosi in riva a un fiume. Esattamente come Mishima nella realtà e nelle sue opere; lo scrittore fu sempre ossessionato dalla morte, così come testimonia il biglietto che la mattina in cui suicidò lasciò nel suo studio e sul quale vi era scritto:”la vita umana è breve, ma io vorrei vivere sempre”.
Nell’ultimo capitolo “Armonia tra penna e spada” viene messa in scena l’ultima azione di Mishima, il suo proclama e la sua morte. E con questo finale in apparenza tragico Mishima e inspiegabile agli occhi di molti, riuscì a consegnarsi all’immortalità, grazie ad un’idea sulla quale aveva plasmato la sua intera esistenza.
Le immagini di Mishima mentre lancia il suo ultimo appello, il suo sguardo gettato oltre la realtà delle piccole cose, il Mishima samurai, armato di Katana, ultimo simbolo della tradizione guerriera nipponica in un secolo dominato dalla grande industria, ancora oggi continuano a fare il giro del mondo e a raccontare di questo ultimo samurai.
* * *
Tratto da Il Secolo d’Italia del 21 febbraio 2008.
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venerdì, 16 gennaio 2009

ONORE PER JAN PALACH MARTIRE D EUROPA

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PECCATO CHE MILITI NELLA LEGA
Treviso, l'ultima di Gentilini: «Farei
la seconda marcia su Roma»
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TREVISO (15 gennaio) - «Andrei a Roma ma per fare la seconda marcia su Roma». Lo ha detto questa sera nel corso di una trasmissione televisiva di Antenna Tre Nordest il vicesindaco di Treviso, Giancarlo Gentilini. L'affermazione è giunta come risposta ad una domanda sulla città di cui, per ipotesi, farebbe volentieri il sindaco dopo Treviso. «Io sono un grande ammiratore dei romani - ha detto - ma di quelli di duemila anni fa che avevano l'Impero».
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giovedì, 15 gennaio 2009

SANTA MARIA DI SALA Sconvolto dalla notizia della negata estradizione si sfoga Adriano Sabbadin figlio di Lino, ucciso da Cesare Battisti

«Ha ammazzato mio padre, non è un rifugiato politico»
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Lino Sabbadin il macellaio
di Santa Maria di Sala ucciso nel febbraio
del 1979
da Cesare Battisti, terrorista
di sinistra appartenente
ai Pac
 Arriva come un fulmine a ciel sereno a Caltana di Santa Maria di Sala la notizia della negata estradizione da parte del Brasile di Cesare Battisti, terrorista di sinistra appartenente agli allora Pac, condannato per quattro omicidi, tre ferimenti, numerose rapine e reati minori. Tra i quattro omicidi compiuti anche quello di Lino Sabbadin, macellaio proprio a Caltana. Quella di Sabbadin fu una vera e propria esecuzione per la quale non c'è mai stata giustizia. Non nasconde la rabbia il figlio di Sabbadin, Adriano, quarantasette anni, che ha raccolto il testimone del padre non solo continuando a mandare avanti, con la stessa passione e dedizione, l'attività del genitore, ma anche a livello ideale e morale attraverso l'impegno concreto nell'Associazione dei famigliari delle vittime del terrorismo. «Siamo rimasti di sasso. È come se avessero ucciso mio padre ancora una volta. Ma oggi in maniera ancor più spietata. Come può chiamarsi rifugiato o perseguitato politico uno che, di fatto, è un omicida, uno che ha scontato appena un anno di carcere e al quale non è mai stato negato nulla. Il carcere a vita, piuttosto, lo stiamo scontando noi famigliari. Il vuoto che papà ha lasciato nella mia vita, e in quella dei miei famigliari, non sarà mai colmato. È una presenza che manca, aldilà del tempo che passa, dentro ad ognuno di noi. Il fatto che Battisti sia in prigione o meno non mi restituirà mio padre. Ma non c'è mai pace senza giustizia e la mia famiglia non ha avuto giustizia». Da qui la decisione di ricordare il loro congiunto il prossimo 16 febbraio, nel giorno del trentesimo anniversario della scomparsa, con assoluta discrezione, lontano dai riflettori. «Non c'è mai stato riconosciuto nulla. Vogliamo ricordarlo in pace, tra di noi». Adriano non riuscirà mai a cancellare dalla testa, e dalla sua anima, gli attimi in cui gli uccisero il padre. In quel momento, infatti, si trovava proprio nella mcelleria. «In negozio sono arrivati alle 16.30 di quel 16 febbraio 1979. Mio padre, aiutato da mia madre, stava servendo alcuni clienti. Io ero al telefono nel retrobottega. Avevo diciassette anni. All'improvviso sentii dei colpi di pistola rimbombarmi nelle orecchie. Scappai di sopra, dove abitavamo. Dopo pochi, lunghissimi istanti vidi degli uomini allontanarsi di corsa in macchina. Quando entrai nel negozio vidi mia madre. Aveva il grembiule bianco tutto insanguinato e mio padre era a terra, in una pozza di sangue. Chiusi le saracinesche, poco dopo arrivò l'autoambulanza. Non c'era più nulla da fare». Dai processi e dalle perizie emerse che Battisti sparò a mio padre i colpi di grazia quando era già stato colpito e si trovava a terra. Lo crivellò senza pietà. Ditemi voi, allora, se questo è un perseguitato politico o semplicemente uno spietato assassino».
      Il Tribunale, all'epoca, rifiutò di concerdergli le attenuanti generiche. Lo stesso 16 febbraio, a Milano, uccise l'orefice Pierluigi Torregiani e ferì il figlio Alberto che era con lui e che, da allora, vive paralizzato su una sedia a rotelle. Per la giustizia di allora Battisti «si distinse sempre per la sua determinazione nell'uccidere e per non aver mai esitato neppure un attimo». La rabbia dei famigliari è grande anche perchè la decisione del ministro brasiliano non era attesa: a novembre il Comitato Nazionale per i Rifugiati aveva respinto la richiesta di asilo politico formulata proprio da Battisti. «Pensavamo in un esito diverso - aggiunge il figlio del macellaio ucciso -. Questa decisione è una vergogna per un paese democratico». Adriano Sabbadin ha preso carta e penna. Ha inviato una lettera aperta ai giornali brasiliani perchè scrivano chi è Battisti e chi era suo padre, lanciando un appello al presidente brasiliano Lula. «Mi auguro che riveda una decisione che è solo una presa in giro».
     
Nicoletta Masetto
    
     
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mercoledì, 14 gennaio 2009

SENTENZA SCANDALOSA
PER BRASILE BATTISTI E' RIFUGIATO POLITICO
0f2d9cc1027caf1b721c22cf7787d47e76161f6e199c9a27400ebf8f4a99eb90RIO DE JANEIRO - Il Brasile ha concesso lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti, l'ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo condannato all'ergastolo in Italia per quattro omicidi tra il 1977 e il 1979, la cui estradizione era stata chiesta tempo fa dall'Italia a Brasilia. Battisti, 52 anni, si trova agli arresti in un carcere della capitale brasiliana dal marzo dell'anno scorso. ''E' tradizione del Brasile considerare di concedere lo status di rifugiato politico ogni volta che riteniamo che esiste un fondato timore di persecuzione politica contro un cittadino'', ha spiegato Pedro Abromovay, segretario agli affari legislativi del ministero della giustizia.

L'annuncio e' arrivato tramite un comunicato diffuso nella notte dal ministro della Giustizia, Tarso Genro, che si e' cosi' pronunciato in modo opposto a quanto deciso dal Conare (Comitato Nazionale per i Rifugiati), che nel novembre scorso aveva respinto per tre voti contro due la richiesta di asilo politico formulata da Battisti. La nota ricorda che la decisione riguardante ''lo scrittore italiano Cesare Battisti'' e' stata presa sulla base ''dello statuto dei rifugiati del 1951 e della legge 9.474 del 1997'', che prevedono quali ragioni valide per la concessione dello status di rifugiato ''il fondato timore di persecuzione per motivi di razza... o di opinione politica''.

La nota segnala tra l'altro che Battisti e' stato condannato solo dopo la sua fuga in Francia nel 1981, sulla base di accuse non fondate su prove certe, ma della testimonianza del pentito Pietro Mutti. Qualche giorno fa, in un'intervista al settimanale brasiliano Epoca, Battisti aveva detto di essere sicuro di ''finire morto'' nel caso di un rientro in Italia, dichiarandosi ''certo che se tornassi, finirei vittima di una vendetta. Nel 2004 ho sofferto in Brasile - aveva precisato - un tentativo di sequestro da parte dei servizi segreti paralleli italiani''. In dichiarazioni apparse ieri sul quotidiano Estado de S.Paulo, Genro aveva ricordato che stava ''cercando informazioni sul tipo di punizione che hanno sofferto gli apparati illegali di repressione che agirono in Italia in quel periodo, e che erano legati alla mafia e alla Cia.

Devo conoscere questo perche', se questi apparati sono ancora intatti, c'e' un rischio per Battisti''. Genro aveva subito dopo aggiunto che nel caso di un sospetto fondato che una persona possa soffrire qualsiasi tipo di persecuzione in patria in relazione a fatti collegati alla propria azione politica, ''questa persona deve essere considerata rifugiata''. Il ministro ha informato della sua decisione nella tarda serata di ieri il presidente Luis Inacio Lula da Silva, hanno ricordato gli on-line brasiliani subito dopo la pubblicazione della nota, precisando che ''la concessione di tale status non passa dalla Presidenza della Repubblica'', ed e' pertanto ''responsabilita' del ministero della Giustizia''. Ora, ricordano i media, il Tribunale supremo federale del Brasile (Stf) dovra' archiviare la richiesta di estradizione avanzata da Roma.
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martedì, 13 gennaio 2009

Immigrati, Romagnoli: garantire i diritti degli italiani. Non vogliamo essere stranieri a casa nostra


luca-romagnoli-24-febbraio-2007-manifestazione-torino.jpg“L’emendamento presentato dalla Lega nel decreto anticrisi che prevede il pagamento di 10mila euro per le nuove aziende create da immigrati è propaganda, non posizione politica. Quanto al pagamento delle tasse o imposte, tutti noi dobbiamo pagarle nel momento in cui rinnoviamo un passaporto o una carta d’identità. Quello che invece va assicurato è che gli italiani non passino in secondo piano perché non vorremmo insomma vedere un comportamento alla rovescia, con i nostri connazionali discriminati nel diritto alla casa, all’asilo e ad altri servizi. Su questo ci sia vigile impegno a garantire anzitutto i diritti degli italiani. Non vogliamo essere stranieri a casa nostra”. Lo dichiara Luca Romagnoli, eurodeputato e segretario nazionale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore.
Bruxelles, 10 gennaio 2009
ON. LUCA ROMAGNOLI
fiammastampa@libero.it
Parlamento Europeo, via IV Novembre, 149 - 00187 - Roma

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sabato, 10 gennaio 2009

UTILE VOLANTINAGGIO DELLA FIAMMA TRICOLORE VENEZIA
SIGNIFICATIVO INTERESSE DELLA CITTADINANZA VENEZIANA AL VOLANTINAGGIO DELLA FIAMMA TRICOLORE VENEZIA NELLA ZONA PORTUALE(S BASILIO) , SVOLTOSI LA MATTINA  DI SABATO 10 GENNAIO,RIGUARDANTE LE TEMATICHE DELL IMMIGRAZIONE CLANDESTINA E IL SUO IMPATTO NEGATIVO SUL TERRITORIO.
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