lunedì 21 novembre 2011

Primavalle, Musetti (Gioventù Italiana): «Chiedo l’ergastolo per Lollo»
Nessuna diplomazia con chi difende i terroristi».
A chiederlo è Gianni Musetti, Segretario Nazionale di Gioventù Italiana, il movimento giovanile de La Destra di Storace; cui questa mattina sta manifestando insieme ai suoi militanti davanti al tribunale di Roma presso piazzale Clodio, per chiedere l’ergastolo al terrorista Achille Lollo accusato per il delitto dei fratelli Mattei a Primavalle risalenti al 1973.
E’ impensabile – continua Musetti- che la giustizia italiana non prenda posizioni davanti al terrorista di Potere Operaio.
Lo stesso Lollo ha dichiarato che ” il reato attribuitogli fu totalmente intenzionale “, ma tutt’altro fanno pensare la sua fuga in Brasile e le dichiarazioni del terrorista risalenti ad alcuni anni fa sul delitto di Primavalle in cui chiamava in causa altre tre persone: Elisabetta Lecco, Dania Perrone e Paolo Gaeta.
Vogliamo che la magistratura faccia chiarezza e condanni il terrorista per i delitti a lui prescritti e che il Presidente della Repubblica prenda posizioni rigide contro il Brasile, visto e considerato che ha sempre negato l’estradizione del terrorista Achille Lollo e del suo compagno Cesare Battisti.
E’ ora che l’Italia prenda posizioni forti contro il Brasile, che non permette di consegnare alla giustizia assassini italiani spacciandoli per “rifugiati politici” ».
Lo ha affermato in una nota Gianni Musetti Segretario Nazionale di “Gioventù Italiana” movimento giovanile de “La Destra”.
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La Provincia di Venezia "mette al rogo"
i libri di chi firmò la petizione per Battisti

Cesare Battisti e l'assessore provinciale di Venezia Raffele Speranzon
di Nicola De Rossi
VENEZIA (16 gennaio) - Via delle biblioteche libri e opere degli scrittori che hanno "firmato per l'assassino". L'iniziativa di boicottaggio civile verso tutti gli uomini di lettere che nel 2004, quando fu arrestato in Francia, firmarono una petizione per la liberazione di Cesare Battisti, è stata lanciata ieri a Martellago da un consigliere del Pdl, Paride Costa, e da un cittadino, Roberto Bovo. Ma è stata subito sposata dall'assessore alla Cultura della Provincia di Venezia con delega alle Biblioteche, Raffaele Speranzon.

«Scriverò agli assessori alla Cultura dei Comuni del Veneziano perché queste persone siano dichiarate sgradite e chiederò loro, dato anche che le biblioteche civiche sono inserite in un sistema provinciale, che le loro opere vengano ritirate dagli scaffali: è necessario un segnale forte dalla politica per condannare il comportamento di questi intellettuali che spalleggiando un terrorista». Così ha detto Speranzon, che ha aggiunto: «Chiederò di non promuovere la presentazione dei libri scritti da questi autori: ogni Comune potrà agire come crede, ma dovrà assumersene le responsabilità. Inoltre come consigliere comunale a Venezia, presenterò una mozione perché Venezia dia l'esempio per prima». Possibili accuse di censura? «No, l’iniziativa serve per non far passare sotto silenzio il caso-Battisti, nel rispetto dei familiari delle vittime che hanno perso i loro cari e della giustizia».

l'iniziativa è stata presentata ieri in municipio a Martellago. «Lo facciamo non per spirito di rivalsa, ma per le vittime di Battisti» ha detto Bovo, ricordando Antonio Santoro, Pierluigi Torregiani, Andrea Campagna e il macellaio di Santa Maria di Sala Lino Sabbadin. «Questi intellettuali hanno dipinto Battisti come un eroe romantico vessato dalla giustizia, ma non possiamo accettare tale mistificazione: è un assassino». «Oltre agli assessori alla Cultura del Veneziano e a Speranzon scriveremo agli assessori regionali Marino Zorzato e Elena Donazzan, perché estendano l'iniziativa in tutto il Veneto» ha aggiunto Costa.

Pieno appoggio da Franco Maccari, segretario generale del sindacato di polizia Coisp, che per primo ha pubblicato la "lista nera" invitando a non comprare le opere dei firmatari. «Abbiamo proposto anche a tutti i sindaci di fare consigli straordinari sul caso Battisti: se ne deve parlare. Il nostro Paese ne esce con le ossa rotte. Due gli aspetti gravi: che sia stata messa in dubbio la democrazia in Italia - motivo per cui non è stata autorizzata l'estradizione - e che si continui a parlare di Battisti come di un terrorista: è solo un feroce assassino».

La proposta ha già suscitato la reazione dell'assessore alla Cultura proprio di Martellago, Cosimo Moretti del Pd. D'accordo sull’estradizione a Battisti, non sul boicottaggio: «Siamo al delirio, allora ricostituiamo la Sacra Inquisizione e mettiamo al rogo i libri: speriamo che nessuno aderisca, significherebbe tornare ai tempi bui del Medioevo».
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sabato, 15 gennaio 2011

“Comunichi al Senatore Agnelli che nei nuovi stabilimenti Fiat devono esserci comodi e decorosi refettori per gli operai.
Gli dica che l’operaio che mangia in fretta e furia vicino alla macchina non è di questo tempo fascista. Aggiunga che l’uomo non è una macchina adibito ad un’altra macchina”.
 Benito Mussolini
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venerdì, 14 gennaio 2011

Treviso. Respinta all'ospedale per esame
alle braccia: ne ha 2, servono 2 ticket

Il cup (archivio)
TREVISO (13 gennaio) - Si è presentata allo sportello dell'ospedale di Oderzo (Treviso) con una prescrizione per degli esami ad entrambi gli arti superiori, ma come risposta avrebbe ricevuto l'indicazione che servivano due ricette perché due sono le braccia. La donna così ha fatto ritorno dal medico di base e questi ha espresso critiche perché nessuno lo avrebbe avvertito delle nuove regole. «La burocrazia - ha detto il medico - uccide il nostro lavoro di medici», indicando di aver passato diverso tempo al telefono con i responsabili del servizio per capire cosa era cambiato.

«Se il burocrate ha deciso di cambiare le regole - ha aggiunto - come medico che ho un rapporto diretto con l'assistito, chiedo che questi cambiamenti ci vengano comunicati. Invece non è arrivata una riga, nulla di nulla». Della vicenda, accaduta ieri mattina, è stata avvertita anche la rappresentanza sindacale dei medici di base.

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COMPLICE DELL INVASIONE E DEL DEGRADO
 

Padova. Anziana incassava 4.000 euro
al mese da affitti in nero a stranieri

Alcuni degli appartamenti erano senza acqua, luce e gas
La donna ospitava anche clandestini che erano stati espulsi


(archivio)
PADOVA (14 gennaio) - La Guardia di finanza di Padova ha scoperto un lucroso giro di affitti in nero organizzato da una donna di 78 anni residente in città. L'anziana, proprietaria di otto appartamenti oltre a quello in cui vive, dava in locazione gli alloggi a extracomunitari nordafricani, asiatici e sudamericani, omettendo di registrare i relativi contratti.

All'interno delle abitazioni, alcune delle quali in condizioni di totale degrado e senza alcun allacciamento di acqua, luce o gas, le Fiamme gialle hanno trovato sette immigrati clandestini, tre dei quali già colpiti da provvedimento di espulsione e perciò tratti in arresto. Tre appartamenti sono stati sottoposti a sequestro preventivo e altre sei persone, tra cui la proprietaria delle case, sono state denunciate alla Procura della Repubblica. Il giro d'affari mensile della pensionata era di almeno 4000 euro al mese.

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giovedì, 13 gennaio 2011

Venezia. La Caritas chiude agli stranieri:
«C'è il rischio di aprire conflitti etnici»

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VENEZIA (11 gennaio) - Un "no" secco al nuovo decreto flussi. E stavolta arriva proprio da chi lavora nel campo dell'accoglienza e dell'integrazione: la Caritas veneziana.

Secondo il testo del
decreto flussi
, in Italia dovrebbero entrare circa 98mila nuovi stranieri e, nel solo Veneto, ne sarebbero previsti circa 10mila, da sommare ai 400mila regolari già presenti. Secondo don Dino Pistolato, direttore della Caritas di Venezia, la situazione economica attuale - nella quale la ricerca e l'ottenimento del lavoro sono difficili per tutti in Italia - «l'ingresso di centomila stranieri rischierebbe di appesantire una condizione già difficile, se non addirittura di aprire un conflitto etnico e umano insieme». Insomma, per il sacerdote non ci sono più le condizioni per accogliere questa nuova ondata di stranieri.

Pistolato parla di una «guerra tra poveri», e a fronteggiarsi sono gli indigenti stranieri e quelli italiani, persone che si sono trovate improvvisamente senza lavoro, con rate di mutui in scadenza, con figli a carico. E poi aggiunge che, a suo parere, una scelta del genere dovrebbe essere fatta tenendo conto delle esigenze del territorio: insomma, per don Pistolato dovrebbe essere lo stesso territorio a richiedere un incremento di lavoratori stranieri che, a quanto pare, invece arriveranno senza una prospettiva concreta.

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martedì, 11 gennaio 2011

11.01.1979----11.01.2011,Stefano Cecchetti PER NON DIMENTICARE
Roma 11.01.1979 - Non erano nemmeno trascorse ventiquattro ore dalla tragica morte del giovane del Fronte della Gioventù, Alberto Giaquinto, ucciso da un poliziotto in borghese nel quartiere Centocelle, che un’altra tragedia stava per verificarsi sempre nella città di Roma. 11 gennaio 1979, mentre i telegiornali nazionali battevano la notizia e mettevano in scena la parodia sulla verità dell’omicidio, nel quartiere Talenti, Montesacro alto, in via Capuana, angolo con largo Rovani, davanti al bar “Urbano” erano seduti tre ragazzi intendi a chiacchierare. Alessandro Donatone, Maurizio Battaglia e Stefano Cecchetti, tutti diciassettenni. Mancavano pochi minuti alle otto di sera quando una macchina a fari spenti si avvicinò al bar. Una Mini Minor verde metallizzato bicolore, con il tetto bianco e una targa molto strana, G2. All’interno, tre persone, tutti a volto coperto da passamontagna. Il primo era al volante, mentre gli altri due, abbassarono il finestrino e a braccia tese impugnarono due pistole, una calibro 7.65 e una calibro 9. I due iniziarono a sparare e per tre interminabili minuti, sui ragazzi e sul bar cadde una pioggia di piombo. La macchina, prima di dileguarsi, si fermò di nuovo all’angolo con via Breme, questa volta per colpire un altro gruppo di ragazzi. Sul selciato, i corpi dei tre ragazzi, feriti gravemente ma ancora vivi. Furono soccorsi da alcuni passanti e trasportati d’urgenza all’ospedale. Alessandro Donatone, fu raggiunto da tre proiettili al gluteo, all’anca e al polso. Ricoverato nel reparto di chirurgia e sottoposto a continue trasfusioni di sangue. Maurizio Battaglia, invece, fu colpito lievemente alla gamba destra. Stefano Cecchetti, infine, fu colpito al bacino e al torace, provocando gravissime lesioni interne e la rottura dell’aorta. Fu sottoposto ad un intervento chirurgico per quasi sei ore ma il suo cuore smise di battere poco dopo, senza più riprendere conoscenza. Intanto, alla redazione giornalistica dell’Ansa, la rivendicazione, da parte di un uomo, del ferimento dei tre fascisti ad opera dei “Compagni organizzati per il comunismo”. La famiglia Cecchetti abitava in un appartamento di via Davanzati. Il padre era usciere in banca. La figlia Carla, 21 anni, era iscritta alla facoltà di Giurisprudenza. Il figlio minore, Stefano, era nato a Roma il 25 maggio 1962, frequentava il terzo anno del Liceo Scientifico Nomentano. Era un simpatizzante del Fronte della Gioventù. Un ragazzo scherzoso e simpatico. Alto e con i capelli lunghi. Appassionato di moto, di calcio e di musica. Amava portare i Camperos, considerati di destra, ma anche le Clarks, considerate invece, di sinistra. Per lui era un sogno calzare le Desert Boot originali. L’occasione si presentò quando nella palazzina si sparse la voce che un vicino del condominio sarebbe andato a Londra per un viaggio di lavoro. Stefano, raccolse tutti i suoi risparmi e implorò il vicino per comprargli un paio di scarpe colore sabbia. Amava, soprattutto, giocare a flipper. Le sue prime partite con un solo tasto, poi, da solo, con l’obiettivo di superare il record e ottenere una partita gratis. Subito dopo la sparatoria, davanti al bar “Urbano”, si radunarono i primi militanti, formando una specie di sacrario con bandiere del Movimento Sociale Italiano e un cartello con una scritta nera e alcune croci celtiche. In realtà, i tre ragazzi non avevano nessuna tessera di partito e soprattutto non avevano precedenti politici noti, ma nell’immaginario collettivo, il bar “Urbano”, era considerato un ritrovo privilegiato per i militanti della destra da quasi due anni, per un motivo ben preciso. Il 30 marzo del 1975, si era consumata una piccola tragedia familiare. Bruno Giudici, dipendente di banca, scendendo giù la bar, vide il figlio, Vincenzo, coinvolto in una furibonda rissa e aggredito da un militante della sinistra extraparlamentare. Bruno Giudici riuscì a porre fine alla rissa e a recuperare il figlio. Ma dopo l’aggressione, tornato a casa, avvertì un forte dolore al petto accasciandosi al suolo. Morì di infarto nel giro di poche ore. Da allora, quel bar, fu considerato come un avamposto per i militanti di destra. La Magistratura romana non fu capace di individuare i responsabili. Nessun identikit, nessuna traccia, nessun elemento per condurre le indagini sull’omicidio Cecchetti. In ospedale, alla notizia della morte di Stefano, i genitori, svennero. Il riconoscimento della salma fu affidato alla sorella, Carla. Il corpo di Stefano era adagiato sul lettino della sala operatoria coperto dal telo verde del reparto di chirurgia ancora sporco di sangue e con gli occhi semichiusi. Il giorno delle esequie, Carla, vestì per l’ultima volta il fratello. Un maglione a girocollo, un paio di pantaloni di velluto a costa larga e le sue amatissime Clarks Desert Boot color sabbia. Il rito funebre si tenne a Tuscania, in provincia di Viterbo, in forma privata. Tra i presenti tantissimi compagni di scuola. Tutti i vestiti e le cose di Stefano furono distribuite fra gli amici. L’unica colpa di Stefano Cecchetti fu, nel momento dell’agguato, di avere i Camperos e trovarsi davanti a un baretto di fasci.
TRATTO DA :
http://libero-mente.blogspot.com/2011/01/stefano-cecchetti.html?spref=fb
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lunedì, 10 gennaio 2011

 10/01/1979-----10/01/2011,Alberto Giaquinto PER NON DIMENTICARE

 Mercoledì 10 gennaio 1979. Un anno prima, in Via Acca Larenzia a Roma, tre ragazzi giovnissimi, militanti del Fronte della Gioventù, erano stati uccisi a causa dell'aggressione armata di un nucleo terrorista comunista prima (Franco Bigoinzetti, Francesco Ciavatta) e da un capitano dei Carabinieri dopo (Stefano Recchioni) . Ad un anno di distanza da quei fatti così gravi i colpevoli sono ancora liberi. E' contro questo stato di cose che il FdG e il Fuan, le organizzazioni giovanili del Movimento Sociale, organizzano delle manifestazioni di protesta in diversi punti della città. La polizia ha vietato un corteo silenzioso nel centro di Roma. Al Quartiere di Centocelle i palazzi sono cupi e tristi. Nella zona c’è una sede della D.C., è lì che giovani missini hanno deciso di urlare la loro rabbia, trovando in quella sede il simbolo di tante angherie e ingiustizie. Finita senza la manifestazione, i ragazzi cominciano ad allontanarsi. Alberto Giaquinto ed un altro "camerata" si attardano. Sopraggiunge una macchina civile della polizia, una 128 bianca, dalla quale scendono due poliziotti in borghese che cominciano a seguire per qualche metro i due ragazzi. Improvvisamente uno dei due, Alessio Speranza, si piega sulle ginocchia, tenendo la pistola a due mani, puntando con calma, spara un colpo che raggiunge Alberto alla testa. Gli assassini spostano la loro macchina, in modo da proiettare i fari su Alberto che sta morendo.

Appare chiaro ed evidente, a tuta la gente che accorre, che Alberto è disarmato. Dalle testimonianze i due assassini fanno allontanare tutti, facendo rimanere Alberto sull’asfalto per più di venti minuti, tremante e morente. Da subito la versione ufficiale è che il giovane Alberto Giaquinto era armato di una P38 e quindi ha provocato una legittima difesa. Poi arriva la seconda versione, che afferma che la pistola non c’è, ma ci sono delle munizioni nella sua tasca. All’ospedale S.Giovanni, dove viene trasportato con colpevole e fatale ritardo, Alberto ritrova nella breve ora che gli resta l’amore della famiglia accorsa in preda all’angoscia e all’incredulità. In quel letto di morte Alberto appare ancora più piccolo e indifeso. Amava dire che avrebbe avuto tempo per scendere a compromessi, adesso voleva solamente fare quello che sentiva giusto, servire il suo scomodo, pericoloso, difficile ideale.

Torna alla mente la sua cameretta con la libreria ordinata e la scrivania ancora piena di libri, la bandiera tricolore con il simbolo del MSI, in bella evidenza; gli amici e i camerati delle ore di impegno politico, con cui divideva anche i soldi per fare un volantinaggio o passare lunghi pomeriggi a discutere di problemi reali e attuali. Esattamente alle ore 20:30, due ore e 18 minuti dopo il ferimento, Alberto muore. Aveva 17 anni.Questa storia è una delle tante della stagione degli anni di piombo. Un'altra storia senza giustizia. Come quelle di Paolo Di Nella, Valerio Verbano, Walter Rossi, Mario Zicchieri ... oppure i tanti e tanti nomi di cittadini semplici uccisi in una strage.
Fino a quando le vittime del terrorismo non avranno un colpevole l'Italia non potrà mai voltare questa tragica pagina della sua storia. 
 
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giovedì, 06 gennaio 2011

 
  ACCA LARENZIA,7-1-1978----7-1-2011

 PER NON DIMENTICARE
SEBA 3
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ONORE AI CAMERATI CADUTI DEL MOVIMENTO SOCIALE ITALIANO E DEL FRONTE DELLA GIOVENTU



    
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mercoledì, 05 gennaio 2011

Venezia. Actv, Vela, Asm: assunti figli,
mogli e parenti di sindacalisti e dirigenti

Marcello Panettoni, presidente Actv (archivio)

L'Usb denuncia la "parentopoli" lagunare: «Meritocrazia
ereditaria». Dall'azienda di trasporti il presidente minimizza


di Alda Vanzan
VENEZIA (5 gennaio) - Actv, azienda di trasporti e pure di "cuori". Nel senso di mogli, mariti, fidanzati, figli, figlie. Un intreccio di parentele e affinità che spesso passa anche attraverso la stessa militanza politica e sindacale.

Il sindacato autonomo
Usb ha denunciato il fenomeno parlando di «meritocrazia ereditaria» e «appartenenza politico/sindacale». Marcello Panettoni, che di Actv è presidente, minimizza: «In una grande azienda con tremila dipendenti può capitare che ci siano parenti». Soprattutto "figli di"? «Da noi non si fanno chiamate dirette, tutte le assunzioni avvengono tramite selezioni, ci avvaliamo anche di una società esterna per i test psico-attitudinali». Una cosa è certa: in Actv non c’è alcun parente del presidente Panettoni. Ma ci sono parenti di funzionari, di sindacalisti, di dirigenti con tessera di partito in tasca o simpatie esplicite (Pd, molto spesso). In Actv come in Vela. Senza escludere Asm
. In pratica l’intero settore della mobilità urbana di Venezia.

I casi più noti? Il segretario dei trasporti della Cgil, Mauro Vitturi, ha la moglie che lavora in Actv. Marino De Terlizzi, della segreteria trasporti Cisl, ha la moglie che lavora in Asm. Il direttore della navigazione di Actv, Marino Fontanella, ha un figlio che lavora in Vela. Il capo area di Actv Gianluca Cuzzolin ha la moglie che è diventata capo area di Actv: «Vero - puntualizzano in azienda - La signora ha partecipato a una regolare selezione che ha vinto per curriculum e competenza. Andava forse penalizzata perché è la "moglie di"?». Il figlio di Maurizio Mandricardo, capo area del cantiere nonché coordinatore del circolo Mobilità e Trasporti del Pd, è stato assunto da Actv come marinaio. Anche in questo caso, spiegano all’Actv, c’è stata una regolare selezione. Il figlio del capo area dell’automobilistico di Actv Paolo Dalle Carbonare è stato assunto in Vela: l’azienda che si occupa della commercializzazione dei biglietti del trasporto pubblico ha fatto una selezione interna per due posti e l’ha allargata anche ai contrattisti a termine. Mezza dozzina, secondo quanto riferisce Actv (la cui direzione del personale segue anche il personale di Vela) i contrattisti a termine che hanno partecipato al bando: l’unico tra questi a passare l’esame è stato il figlio di Dalle Carbonare. Il funzionario della navigazione di Actv, Ulisse Famulari, ha un figlio che fa il marinaio in Actv. Il funzionario dell’automobilistico di Actv, Marco Famulari, fratello di Ulisse, ha un figlio che fa il comandante nella navigazione in Actv. Il funzionario dell’automobilistico Armando Rigobianco (ora in pensione, ma ha un incarico temporaneo per il cosiddetto "affiancamento" di chi prenderà il suo posto) ha il figlio che fa l’autista di Actv. Poi c’è l’ex marinaia Angela Montanariello, passata dai vaporetti alla segreteria del direttore auditing Marcello Panettoni: «L’ufficio auditing aveva tre persone, una se n’è andata, così abbiamo fatto una ricognizione interna tra chi stava in azienda e Montanariello aveva i titoli».

Poi ci sono casi di parenti e affini sui quali i vertici di Actv escludono "collegamenti" di sorta. Ad esempio: è vero che il direttore del servizio automobilistico di Actv, Elio Zaggia, ha il cognato, Luca Tagliapietra, che è diventato funzionario; ma, spiega il direttore del Personale di Actv, Bassini, tra i due non c’è alcuna relazione perché «Tagliapietra era in Actv ben prima che Zaggia diventasse capo dell’automobilistico». Idem per Andrea Conte, che lavora alla manutenzione di Actv ed è figlio di Maurizio Conte, l’ingegnere padovano scelto prima da Pmv come consulente e poi da Actv per seguire la fase operativa delle corse del tram a Mestre: «Andrea Conte è entrato in azienda prima che entrassimo in relazione con Antonio Conte». E lo stesso dicasi per Andrea Zorzi, funzionario di Actv: il fatto che sia cognato del consigliere di amministrazione di Actv, Paolo Bonafè, spiegano in azienda, non c’entra niente, Bonafè nel Cda ancora non c’era. In questo intreccio di dipendenti-parenti con sensibilità vicine al Pd, alla Cgil e alla Cisl, non manca l’aneddoto del padre che è stato l’esaminatore del figlio. Ad Actv non risulta, in azienda ne parlano un po’ tutti. (Ps: il padre è andato in pensione, il giovanotto è stato assunto).

tratto da:http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=133299&sez=NORDEST
postato da: sebastia11 alle ore 15:12 | link | commenti
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