lunedì 21 novembre 2011

martedì, 31 maggio 2011

Le vergini di Norimberga  
 
Scritto da Gabriele Adinolfi  

 
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Il generale Mladic – dicono in molti - non avrà ucciso a Srebrenica tutte le persone di cui lo hanno accusato, le prove del massacro saranno pure una messa in scena del team Clinton, come è ormai palese, ma egli non è uno stinco di santo e di sicuro qualcuno avrà  ammazzato. Quindi, dicono gli stessi, poco male se viene sequestrato, estradato e sicuramente condannato da una corte internazionale. In fin dei conti se lo merita. D'altronde è uno slavo, quindi feroce; e figurarsi quanto può essere stato cattivo in una guerra civile che è stata anche scontro etnico e religioso. Dunque ora che paghi il fio! Prove di colpevolezza? Cosa contano mai. In fin dei conti era un uomo di guerra e in guerra si uccide di sicuro.
Non appartiene ai buoni, ergo i civili, le donne, gli anziani, i bambini che siano state vittime eventuali delle sue truppe non sono “effetti collaterali di interventi umanitari” come quelle che la Nato continua a mietere in tutti gli scenari possibili e che non hanno, loro, lo status di vittime.
Perché questo accade nel mondo globalizzato dalla democrazia biblica in salsa americana, fatta di eletti e di sottouomini: ci sono vittime da vendicare e vittime da dimenticare, ci sono massacri di serie A e massacri che non debbono avere alcuna eco.

Non conta se si è o meno colpevoli
Ma quelli che “qualcosa avrà pur fatto” si sono posti almeno uno dei quesiti principali?
Il primo riguarda il diritto in assoluto, ovvero il diritto del “mostro”.
Ha massacrato? Ha ordinato massacri? Ha comandato o effettuato pulizie etniche? Non ce lo si chiede neppure più. L'accusa è stata formalizzata con un falso, il falso è comprovato ma questo, lo sappiamo, non interessa il Tribunale dell'Aja e men che meno i nostri pacifici giustizieri di salotto.
Siamo oramai giunti a questo. Non conta definire se qualcuno è colpevole di qualcosa: è sufficiente che il “mostro” abbia il profilo adatto. E, chiaramente, che sia un vinto.
In tal caso non ha e non deve avere alcuna garanzia. Può essere processato più e più volte, calpestando ogni codice, come accadde al capitano Priebke, condannato infine per responsabilità che non gli potevano assolutamente competere, o al funzionario francese Bosquet, condannato per “collaborazione” e segregato ottuagenario con tanto di revoca della grazia presidenziale.
E puoi persino essere giudicato come criminale nazista in Israele ed essere colà assolto da un tribunale ebraico e poi ti arresta qualcun altro, com'è accaduto al vecchio  Demianiuk.
Se sei vinto, e dalla parte dannata, le regole del codice non esistono. E se poco poco le accuse pretestuose si rivelassero così deboli e il processo così imbarazzante per l'accusa, ecco che al vinto può sempre accadere di morire provvidenzialmente in detenzione, come è accaduto a Milosevic.

Chi processa Mladic?
La giustizia dovrebbe essere fine di ogni uomo degno e libero; la giustizia a prescindere dalla simpatia per l'inividuo o per la causa di chi ne viene privato: è la ragione per cui mi sono sempre schierato per costui, anche se mio avversario, che si trattasse degli arrestati del 7 aprile, della Baraldini o di Strauss-Kahn, o anche se non vi fossero implicazioni politiche dirette, come nei casi di Parlanti e Busco. Non si può perseguire l'utopia iniqua di una giustizia di parte, come fanno certi giurati salottieri nostrani: o c'è o non c'è, e quando non c'è, non esiste società in cui valga vivere.
L'ingiustizia è ancor più insopportabile quando viene scientemente commessa sui vinti, che siano italiani, tedeschi o giapponesi o che si chiamino piuttosto Ceausescu o Mladic anziché Papadopulos.
Non esiste uomo libero e degno che non sia disposto a difendere i diritti dei vinti.
Non perché si sia dalla parte loro, che non è indispensabile, non perché si preferisca obbligatoriamente la loro causa a quella dei loro nemici. Rammento Maître Vergès, avvocato di sinistra, quando assunse la difesa disperata del tedesco Barbie, anch'egli processato e condannato cinquant'anni dopo - e senza prove di delitto - per aver militato dalla parte sbagliata. Vergès contestò ai tribunali francesi il diritto di giudicare qualcuno per “crimini contro l'umanità” visto che allo stesso tempo in cui esercitava Barbie, i francesi gettavano vivi negli altiforni i nazionalisti algerini.
E qui c'è da porsi la seconda domanda. Chi osa processare Mladic? Gli uomini e le istituzioni dei “bombardamenti umanitari”, dei genocidi in America, della rapina intensiva di braccia e di  vite africane, della duplice strage atomica in Giappone, dei bombardamenti al fosforo e al napalm?
Chi osa? E in nome di che? E come sceglie chi processare e chi no?
Perché mai l'eccidio probabilmente inesistente di  Srebrenica, se avesse avuto luogo sarebbe un crimine contro l'umanità e non lo sono invece quelli dei kosovari sui serbi? Perché non si processano i narcopadrini del Kosovo che – protetti dalla cintura dei militari europei - hanno strangolato migliaia di civili, li hanno sezionati e hanno fatto commercio dei loro organi?
Chiedersi perché è pura retorica. Conta solo da che parte si sta e su che gradino della scala del crimine organizzato.

Chi sì e chi no
Si replicherà che quello non giustifica questo. Che i crimini degli altri non riscattano i tuoi. Che è giusto e necessario che chi ha commesso crimini su popolazioni inermi sia  processato e condannato.
In linea di principio diciamo di sì. Ma allora che si processino anche i crimini dei vincitori, come ebbe a dire chiaramente Léon Degrelle. E che si processino innanzitutto i propri.
Ora io sarò forse in possesso di dati limitati, ma mi risulta che a processare e a condannare a morte propri uomini per crimini di guerra siano stati solo i tedeschi, che hanno impiccato alcuni soldati per esazioni sul fronte dell'est e hanno persino fucilato, sul fronte dell'ovest, due SS sospettate di aver abusato sessualmente di una contadina. Il che mentre i buoni avanzavano per marocchinate da sud e per genocidi da est. Marocchinate e genocidi che hanno avuto in premio non corde o pallottole ma decorazioni e brillanti carriere.
Rammento anche lo scandalo di una strage compiuta da una pattuglia americana in un villagio viet.
Il sergente che si macchiò del crimine,  vari assassinati tra cui una contadina cui fece esplodere l'utero, fu condannato a degradazione e a sospensione e trascorse qualche mese ai domiciliari.
E sono quelli che trattano così i propri uomini a decidere chi processare e chi no.
Così come decidono quali popolazioni bombardare “umanitariamente” semplicemente perché i loro leader, che si chiamino Gheddafi o Milosevic, hanno osato reagire a insurrezioni armate mentre, per le stesse ragioni,  aiutano invece un Karzai, magari assassinando  migliaia di civili per “effetti collatreali”.

La logica di Norimberga
D'altronde questa logica, che si ripercuote su L'Aja, fu formalizzata nell'immediato dopoguerra durante il Processo di Norimberga.
Lì molti imputati vennero giudicati per delitti retroattivamente concepiti. Vale a dire per reati che non erano tali quando furono o sarebbero stati commessi.
Senpre lì fu definito in modo disinvolto che le responsabilità individuali potevano essere attrbuite anche a chi non ne aveva per gerarchia o per grado.
Ma ciò che più fa urlare allo scandalo è l'introduzione del principio di non reciprocità.
Che significa semplicemente questo: i tedeschi non potevano invocare a propria difesa  l'esistenza di crimini nemici analoghi o identici a quelli imputati loro, né per giustificare una popria reazione, né per richiedere che fossero processati anche i nemici.
I quali, en passant, addebitarono loro anche alcune delle loro stragi, come quella di Katyn.
Insomma definirono ufficialmente il diritto del vincitore di processare e di condannare il vinto, a prescindere dai diritti del vinto, senza che il vincitore avesse o abbia a rispondere del suo operato.
E da Norimberga a L'Aja non è cambiato nulla, solo il colore politico e la nazionalità dei processati.

Il verbo dell'attualità
Una grande e violenta ipocrisia.
Mladic sarà dunque capro espiatorio; lo sarà perché i suoi se lo sono venduto: l'otto settembre non è prerogativa italica. Se lo sono venduto in cambio dell'accettazione nell'Unione Europea che in questi anni non ha fatto altro che alzare i paletti nelle trattative con la Serbia che, a differenza del narcostato dei sanguinari kosovari, doveva e deve sempre dimostrarci qualcosa.
Come se dodici anni fa non avessimo bombardato noi Belgrado ma fossero stati loro a bombardare noi.
Come se non avessimo ancora le mani lorde del loro sangue, della loro strage, per giustificare la quale venne utilizzata proprio la montatura poi smascherata del “massacro” di Srebrenica.
E quando dico noi, intendo proprio noi, perché fornimmo le basi – e anche qualche pilota – per quella prolungata carneficina, esattamente con il medesimo servilismo sanguinario con cui le stiamo lasciando utilizzare per sterminare la popolazione libica.
Mi rendo conto che nessun politico avrebbe avuto più il coraggio di rifiutarle dopo che la loro non concessione  ai terroristi alati di stampo atlantico in occasione della guerra del Kippur costò le vite di Carrero Blanco prima e di Moro poi.
Io servo, tu servi, egli bombarda, noi ci pieghiamo, voi applaudite, essi rapinano.
Così si coniuga il verbo dell'attualità politica che però, poi, pretende di sublimarsi in una parodia satanica di giustizia.

Che diritto internazionale?

Accuse costruite e architettate, assenza di garanzie giuridiche per il “mostro” designato, iniquità di trattamento tra delitto e delitto, indegnità storica e morale di chi impone il giudizio.
Questi argomenti sono già più che sufficienti per prendere partito. Ma ce n'è ancora un altro.
Cos'è questa corte internazionale? Che autorità giuridica e morale ha – essa – di giudicare chicchessia? In nome di quale diritto parla? In nome di una globalizzazione di diritto Wasp. Globale perché? Globale per chi? Ma dove sta scritto che gli americani e quelli che li imitano abbiano il diritto di definire leggi e costumi per tutto il mondo, stritolando e rigettando tutte le specificità latine, germaniche, slave, ottomane, saracene, cinesi, giapponesi,mongole, amerinde, vichinghe? Rispetto alle quali, tutte, perdono il confronto in modo imbarazzante.
Sta scritto sì, ma nei rapporti di forza. E' la forza dei gangsters che fa gli Usa.
Alla forza ci si può anche piegare e si può allora accogliere serenamente il famoso monito“Vae Victis”. Ma non si contrabbandi la prepotenza con lo Ius che con questo non c'entra affatto.
Liberissimi – quelli che vogliono - d'inginocchiarsi davanti ai potenti e di scodinzolarci intorno sperando che gettino loro qualche osso da spolpare. Ma non siano ipocriti, non ci provino a mistificare la realtà e soprattutto non ci vengano a dare lezioni.
I criminali, innocenti ma anche colpevoli, di fronte al loro spettacolo sono giganti.
Il loro modello internazionale, invece, nella sua feroce e ipocrita mediocrità, nella sua meschina vigliaccheria, è pura oscenità.
E nella sua oscena parodia di giustizia è satanismo allo stato puro.
tratto da:

http://noreporter.org/index.php?option=com_content&view=article&id=15899%3Ale-vergini-di-norimberga&catid=7%3Aalterview&Itemid=13 


 



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   SCONFORTO ZERO

 


  
 Non serve strapparsi i capelli, tagliarsi le vene, sbattere la testa al muro: si sono perse le elezioni amministrative, si incassi la lezione e si vada avanti.
Era probabilmente inevitabile il logoramento del centrodestra dopo le scissioni subite, quelle in corso e le alzate di testa di chi dovrebbe avere la pazienza di  aspettare un po’ prima di accreditarsi come salvatore-salvatrice  della patria.
Ora si tratta di rimettere a posto le idee. E soprattutto avere la consapevolezza che la cosa piu’ sbagliata sarebbe uno scarto inutile, perche’ mollare sarebbe peggio di perdere.
Noi dobbiamo continuare a inseguire il nostro progetto politico, che e’ quello di rifondare la destra italiana. A novembre, al nostro Congresso Nazionale, dovremo delinearlo, sapendo che dobbiamo realizzarlo nel bipolarismo, perche’ altre strade sarebbero assolutamente velleitarie. E dobbiamo lavorare affinche’ l’alleanza non metta piu’ i bastoni tra le ruote alla nostra volonta’ di crescere per battere la sinistra. Se a Napoli De Magistris ha vinto e’ perche’ ha intercettato un vuoto di politica: le clientele, in tempi di scarsezza di soldi pubblici, servono
sempre meno quando dall’altra parte c’e’ il sapiente uso di parole d’ordine.
Casa, lavoro, nazione sono state parole poco pronunciate dalla coalizione di     centrodestra, che le ha lasciate alla sinistra. Sta a noi convincere tutti che l’agenda sociale deve essere una priorita’ anche per chi sta da questa parte del campo. E certo noi non ci rinunceremo.

http://www.storace.it/  

 
  
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lunedì, 30 maggio 2011

 

Giuliano Amato L'uomo che toglie le pensioni agli italiani per darle agli extracomunitari 


 
 Giuliano Amato (partito democratico) percepisce una pensione mensile di circa 31411 euro al mese pensione di docente universitario e di parlamentare . Il Democratico Amato è in pensione dall'età di 59 anni e nonostante il bell'assegno mensile ricopre altri incarichi certamente non gratuiti .
Il Democratico Amato è l'uomo che con la riforma delle pensioni voluta dal suo governo a metà degli anni Novanta Tagliò le pensioni di tutti gli italiani, perché “così non si può andare avanti”, diceva nel 1992. E via alla riforma, per punire gli italiani. Punire gli Italiani per dare a le pensioni agli immigrati , Infatti è ancora il suo governo con la legge 388 del 2000 (inserita nella finanziaria 2001 dell’allora governo Amato) che ha riconosciuto l’assegno sociale anche ai cittadini stranieri . Le cose stanno così: gli immigrati che hanno compiuto i 65 anni e non hanno redditi oppure sono sotto la soglia dei 5mila euro annui, hanno diritto a quella che una volta si chiamava “pensione sociale”. Quando gli extracomunitari regolari residenti in città o in provincia con tanto di carta di soggiorno in regola e residenza, si sono accorti delle normativa di legge- non hanno fatto altro che presentare domanda di ricongiungimento familiare e far arrivare a Modena genitori o parenti anziani. Tra gli immigrati extracomunitari, pare che gli albanesi siano stati gli antesignani e maestri in materia.L’extracomunitario regolare, dopo aver fatto venire a Modena i congiunti, manda i familiari o il familiare ultra- 65enne all’Inps. Qui l’interessato autocertifica l’assenza di reddito oppure dichiara la pensione minima nello Stato di provenienza - che deve essere certificata - e il gioco è fatto. L’Inps a quel punto eroga 395,6 euro al mese di assegno sociale, più 154,9 euro di importo aggiuntivo. In totale 550,5 euro per 13 mensilità quindi 7.156 euro l’anno, esentasse. In sostanza genitori, nonni e parenti tutti over 65 di lavoratori extracomunitari, percepiscono i 7.156 euro all’anno, senza aver mai versato alcun contributo all’Inps. Tutto questo mentre una buona fetta di pensionati modenesi, percepisce pensioni di 500 euro al mese, meno dell’assegno agli anziani stranieri e tutto questo dopo aver versato contributi e pagato tasse per una vita.
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La notte tra il 28 e il 29.05.1979 Francesco Cecchin venne assalito da un gruppo di codardi compagni, morì 19giorni dopo. 


 
Quando gli inquilini di via Montebuono, a Roma, si affacciarono dal balcone, attirati dalle forti grida provenienti da una donna in strada, appariva ai loro occhi una scena agghiacciante. Un giovane, Francesco Cecchin, esamine al suolo su un terrazzino, alto poco più di 5 metri, di proprietà della famiglia Ottaviani al civico 5. Cosa strana, la sua posizione. Il corpo era perpendicolare al muro, a quasi un metro e mezzo dalla sua base, appoggiato di schiena, con la testa sopra un lucernario e orientata verso la parete. Ancora vivo ma privo di conoscenza, perdeva sangue dalla tempia e dal naso, nella mano destra un pacchetto di sigarette e nella sinistra un mazzo di chiavi di cui una che sporgeva fra le nocche era piegata. Trasportato d’urgenza all’ospedale, in stato di coma, rimase tra la vita e la morte per 19 lunghi giorni fino a quando il 16 giugno 1979 il suo cuore smise di battere. La famiglia Cecchin proveniva da Nusco, un piccolo paesino in provincia di Avellino. Il padre, Antonio, era un funzionario del settore cinema al ministero dei Beni Culturali, la madre, Valeria, era casalinga. I figli, Maria Carla di 19 anni e Francesco di 17 entrambi studenti. Trasferiti a Roma per motivi di lavoro, Francesco aveva iniziato a fare politica nel Fronte della Gioventù, nella sezione di via Migiurtinia, un quartiere dove gli extraparlamentari di sinistra avevano il controllo totale del territorio. Svolgeva piccoli lavoretti presso “Radio Alternativa”e frequentava, prima, l’istituto tecnico “Mattei” e poi il liceo artistico di via Ripetta. Erano gli anni di piombo, anni in cui affiggere un manifesto significava rischiare la propria vita. Infatti, qualche ora prima della tragedia, la vigilia delle elezioni europee del 1979, Francesco, insieme ad altri missini, si era ritrovato faccia a faccia con militanti di sinistra per difendere gli spazi di affissione. Ne scaturì una violenta rissa e minacce rivolte proprio a Francesco che si era opposto con tutte le forze. La sera del 28 maggio 1979, verso le 22:00, Francesco, in compagnia della sorella Maria Carla, passeggiava, come al solito, in Piazza Vescovio in cerca degli amici. Il bar e l’edicola erano chiusi e per strada non c’era nessuno. Una fiat 850 bianca procedeva lentamente seguendoli. All’improvviso dalla macchina scesero due uomini, Francesco fece appena in tempo a dire alla sorella di correre via e chiedere aiuto, che iniziarono l’inseguimento. Poi sarà la sorella insieme ad un altro militante missino, Marco Majetta, a trovare il corpo di Francesco.
 
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giovedì, 26 maggio 2011

Fincantieri, una crisi che ha le sue origini a Bruxelles Fincantieri, una crisi che ha le sue origini a Bruxelles Fincantieri, una crisi che ha le sue origini a Bruxelles Fincantieri, una crisi che ha le sue origini a Bruxelles Fincantieri, una crisi che ha le sue origini a Bruxelles  Fincantieri, una crisi che ha le sue origini a Bruxelles punto%20interrogativo

i commenti degli osservatori di scuola liberista sulla crisi di Fincantieri e sull’annunciata chiusura dei cantieri di Sestri Ponente e Castellamare di Stabia, sul ridimensionamento di Riva Trigoso, ma soprattutto sul licenziamento di 2.500 operai, hanno posto l’accento sugli effetti provocati dalla crisi globale, sul calo della domanda di nuove navi e sugli errori di strategia industriale che il gruppo pubblico avrebbe compiuto negli ultimi anni. Fattori decisivi ma che da soli non spiegano tutto.
Peraltro l’ultimo riferimento è quanto mai interessato perché sottintende che con dei privati alla guida la situazione cambierebbe drasticamente e il futuro di Fincantieri sarebbe roseo. Convinzione piuttosto azzardata in quanto, se attuata, ci porterebbe a rivivere esperienze del passato nelle quali aziende pubbliche, vedi la Telecom, sono state svendute ai privati che le hanno saccheggiate e le hanno utilizzate per arricchirsi grazie ai trucchetti dell’ingegneria finanziaria. Un vecchio e sperimentato modus operandi di molti imprenditori italioti che, come recita un noto detto, sono abituati “a socializzare le perdite e a privatizzare i profitti”. Oltretutto nel caso di Fincantieri siamo di fronte ad una società fino a due anni fa considerata un autentico gioiello e le cui navi da crociera sono il fiore all’occhiello di società di navigazione come la statunitense Carnival, il primo gruppo del mondo che include la stessa italiana Costa. Si tratta in ogni caso di una società strategica per il nostro Paese e ricca di una professionalità, quella dei tecnici e degli operai che vi lavorano, che non può andare perduta. Un fenomeno che, ai tempi delle privatizzazioni imposte al nostro Paese, riguardarono purtroppo migliaia di persone che lavoravano in grandi società o gruppi di costruzioni come Condotte e Italstat che, dopo le privatizzazioni, si ritrovarono per strada di punto in bianco.
La situazione deve comunque essere piuttosto grave se la Cassa Depositi e Prestiti ha concesso un finanziamento di 830 milioni di euro a Carnival per l'acquisto di due navi da crociera realizzate da Fincantieri e dare quindi un po’ di respiro ai cantieri pubblici in attesa che ci sia una ripresa economica e che riparta la richiesta di navi.
Oggi il gruppo pubblico (il 99,36% delle azioni appartiene a Fintecna e lo 0,64% alla banca Usa Citibank) si trova a competere sul mercato internazionale dove vanta una quota del 40,4% nel settore di punta delle navi da crociera, contro il 42% del gruppo tedesco Meyer, il 15,3% dei norvegesi di Stx (controllata però da un gruppo coreano) e gli italiani di Mariotti (2,3%). Nel mercato globale della cantieristica la parte del leone è stata però assunta negli ultimi anni proprio dai coreani, seguiti dai cinesi, che hanno inesorabilmente soppiantato i giapponesi e i concorrenti europei. Un mercato che nel periodo 2008-2010 è stato sottoposto ad un feroce ridimensionamento che in Europa ha penalizzato particolarmente Turchia e Polonia che hanno perso rispettivamente 9 mila e 23 mila posti di lavoro portando il totale continentale a meno 48 mila occupati. Certo il crollo è stato sicuramente dovuto alla ferrea organizzazione di tipo asiatico, decine di migliaia di formiche che lavorano senza tregua con stipendi di fame, e che rende impossibile contrastarle utilizzando le stesse armi. Non si può concorrere infatti sul settore delle navi da trasporto o delle petroliere ma si deve puntare come è stato fatto sulle navi ad alto contenuto tecnologico nelle quali immettere quel quid italiano che è una nostra peculiarità. Quindi navi da crociera, navi militari (delle quali le diverse versioni della fregata Lupo vendute in tutto il mondo sono il più eclatante esempio), yacht di lusso e navi porta-gas che con il boom del Gpl hanno un grande futuro di fronte a sé.
Precisato questo, si deve però ricordare che, per quanto riguarda l’Italia, la crisi di Fincantieri affonda le sue origini nei primi anni novanta, quando caduto il Muro di Berlino, crollata l’Unione Sovietica e non essendoci più il pericolo comunista, l’Alta Finanza fu in grado di procedere senza ostacoli nella sua strategia di smantellare in Europa lo Stato sociale e il sistema di economia mista. Nel caso di Fincantieri un colpo quasi mortale venne inflitto dalla Commissione europea, con il responsabile alla concorrenza, Karel Van Miert, che, in nome sempre del Libero Mercato, impose una drastica riduzione della capacità produttiva della siderurgia in Europa, la fine degli aiuti di Stato al settore e ovviamente le privatizzazioni che nel caso della Finsider di Taranto portarono l’impianto sotto il controllo giapponese (!). Un taglio che, unito all’imposizione da parte degli Usa di dazi all’acciaio europeo, in Italia penalizzò in primo luogo il gruppo pubblico Finsider, il primo fornitore della Fincantieri. Un taglio che provocò un immediato aumento dei costi di produzione che incisero sulla operatività del gruppo cantieristico che progressivamente finì per cedere consistenti fette di mercato ai rivali dell’Estremo Oriente. A tutto questo si aggiunse poi l’ostilità degli Stati Uniti perché le fregate Lupo, dotate da una tecnologia di avanguardia, vennero vendute da Fincantieri, oltre che all’Iraq, è già questo fu poco gradito, anche a Perù ed Argentina, entrando in quello che Washington considerava un suo giardino di casa.

tratto da:
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8501 
 

postato da: sebastia11 alle ore 19:01 | link | commenti (2)
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Dai terroristi agli assassini di Ramelli: la carriera di Pisapia avvocato "rosso"

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Gli assassini del giova­ne militante del Fronte della Gioventù Sergio Ra­melli, il leader curdo della lotta separatista armata Abdullah Öcalan, gli auto­nomi dei centri sociali coinvolti negli scontri con la polizia e i genitori di Carlo Giuliani, il 23enne assassinato a Genova nel luglio del 2001 durante gli scontri del G8.
La carriera forense del can­didato sindaco del centro­sinistra Giuliano Pisapia è ricca di processi ad altissi­mo interesse politico.
Pisapia, avvocato penali­sta "di razza" (suo padre, uno dei più noti principi del foro negli anni Sessan­ta e Settanta, è stato l'auto­re del codice di procedura penale del 1989), è stato il legale di alcuni fra i più discussi imputati degli ul­timi vent'anni. Famoso nella aule di Pa­lazzo di Giustizia per le sue arringhe decise, per il garbo dei modi e per la forte dose di garantismo, ha saputo guadagnarsi il rispetto di tutti i suoi ex colleghi, anche di coloro che si trovavano a difende­re la controparte.
Impegnato in politica tra le fila di Rifondazione Co­munista fin da ragazzo, non ha mai perso l'occa­sione di difendere imputa­ti altrettanto politicamen­te schierati nelle aree di estrema sinistra. Processi delicati e contro­versi. Che, ancora oggi, si trascinano dietro strasci­chi di polemiche. Primo fra tutti, il caso Ramelli.


L'articolo di Arianna Giunti e altri particolari su CronacaQui in edicola il 24 maggio

 
tratto da: 

 
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mercoledì, 25 maggio 2011

Veneziani: Il mondo non finisce ad Arcore 

di Marcello Veneziani
 

Ma siete davvero convinti che tutto il malessere (o il benessere) degli italiani dipenda da Berlusconi e dalle sue comparsate alluvionali in tv? Siete davvero convinti che l’Italia sia trascinata nel baratro dal declino del suo leader, dato per bollito? Vi siete troppo info­gnati nella vicenda italiana e non riuscite più a vedere gli scenari più grandi di noi e le ragioni profonde e strutturali del presente. In Spagna crolla il mito di Zapatero e il suo governo, gli Indignados non reagiscono a don Silvio Berluscones e alla sua Derecha (la destra), ma alla Izquierda (la sinistra) e al suo fallimento; in Germania e negli Stati Uniti, in Francia e in Austria, i governi de­strorsi e sinistrorsi perdono consensi. La de­stra estrema avanza quasi ovunque nel nord Europa perché cavalca il malconten­to. Ma lo cavalca, non lo inventa: il malcon­tento è autentico, diffuso e contagioso.
E noi facciamo risalire il malessere italia­no a qualche battuta greve o fuori posto, a qualche eccesso di promesse e di tv, a pur deprecabili intemperanze sessuali o barzel­lette… In realtà, se alziamo un po’ gli occhi, ci rendiamo conto che i veri problemi del nostro Paese sono i problemi del nostro tem­po. La percezione della crisi è globale ed epocale, non può essere casereccia o televi­siva. Il precariato, il rincaro della benzina, la diffusa sensazione di un impoverimento, la difficile integrazione dei flussi migratori, l’insicurezza sociale, l’incapacità di uscire dalla crisi dei consumi, gli abusi di sesso e di potere (vedi il caso Strauss-Kahn o la tempe­­sta pedofila sulla Chiesa), colpiscono l’Occi­dente e i suoi santuari religiosi, laici e finan­ziari. E noi ci crogioliamo nella nostra dome­stica anomalìa, pensando che tutto dipen­da dai prodotti locali e dai vizi del berlusco­nismo. Accecati dai bagliori del nulla nostra­no, abbiamo perso il senso del nostro tem­po e dell’Occidente. Non siamo più capaci di pensare scenari più ampi, ci siamo chiusi in questo provincialismo malato, domina un pensiero corto e malcavato che in realtà non pensa ma si lamenta o elude la verità attraverso l’invettiva e il capro espiatorio.Ma davvero credete che facendo saltare il tappo del berlusconismo avverrà la libera­zione d’Italia e la salvezza degli italiani, fini­rà il degrado morale e civile e riprenderà l’economia, la salute e l’occupazione? Vi in­dignano le promesse elettorali della Morat­ti e di Berlusconi, ma sono poca cosa rispet­to alle aspettative enormi che state alimen­tando sul dopo Berlusconi. Per carità, la cri­tica politica va esercitata con implacabile ri­gore, fino in fondo. Ci sono problemi specifi­ci nel nostro Paese che vanno affrontati e denunciati. E viceversa, è doveroso parago­nare le offerte politiche sul campo, sceglie­re mali minori o mali necessari, rispetto a mali peggiori e minacce venture. Ma è tem­po di sollevare lo sguardo, allungare il pen­siero e non ridurre il malessere generale al­la faccia di Berlusconi in tv. Il mondo non finisce ad Arcore. 


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martedì, 24 maggio 2011

24 MAGGIO 1915 ,IL PIAVE MORMORO
 

 
Il Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il 24 maggio.
L'esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera.

Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!
S'udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:

Non passa lo straniero!

Ma in una notte trista
si parlò di tradimento,
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
per l'onta consumata a Caporetto!

Profughi ovunque! Dai lontani monti
venivan a gremir tutti i suoi ponti!
S'udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio dell'onde:
come un singhiozzo, in quell'autunno nero,
il Piave mormorò:

Ritorna lo straniero!

E ritornò il nemico;
per l'orgoglio e per la fame
voleva sfogar tutte le sue brame.
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora.


No!, disse il Piave, No! i fanti,
Mai più il nemico faccia un passo avanti!


Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combattevan l'onde.
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:

Indietro va', straniero!

Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento.
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
risorgere Oberdan, Sauro e Battisti.

Infranse, alfin, l'italico valore,
le forche e l'armi dell'Impiccatore!

Sicure l'Alpi... Libere le sponde.
E tacque il Piave: si placaron l'onde.
Sul patrio suol, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri!


Sul patrio suol, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri!


 
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sabato, 21 maggio 2011

OGGI COME IERI...........22 MAGGIO1988---22 MAGGIO2011
Giorgio Almirante
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Vivi come se dovessi morire domani e pensa come se non dovessi morire mai.
CAMERATA GIORGIO ALMIRANTE PRESENTE 
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giovedì, 19 maggio 2011

Pensioni agli immigrati, l’Inps rischia il crac

 
Roma «Ora basta un semplice permesso di soggiorno per accedere alle prestazioni di assistenza sociale dell’Inps». La denuncia-choc è del senatore leghista e sindaco della cittadina bresciana di Chiari, Sandro Mazzatorta, che teme il dissesto definitivo delle casse dell’istituto di previdenza sociale. «Centinaia di migliaia di extracomunitari chiederanno una pensione di inabilità mettendo definitivamente in ginocchio l’Inps - ha dichiarato - e non consentendo di erogare le pensioni a chi per una vita ha lavorato in questo paese pagando regolarmente i contributi».
Le lamentele dell’esponente leghista sono fondate. Venerdì scorso, infatti, è stata depositata una sentenza della Consulta nella quale la Corte riconosce l’illegittimità costituzionale della Finanziaria 2001 e del Testo unico sull’immigrazione come modificato dalla legge Bossi-Fini relativamente alle parti in cui si esclude che le pensioni di invalidità possano essere assegnate agli extracomunitari solo perché «non risultano in possesso dei requisiti di redditi già stabiliti per la carta di soggiorno».
Il caso, infatti, riguardava un invalido albanese al quale non è stata riconosciuta la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento perché sprovvisto della carta di soggiorno. La causa contro l’Inps e il ministero dell’Economia è stata sospesa proprio in virtù dei dubbi del Tribunale sulla legittimità delle norme italiane. E la Consulta, che già in un altro caso dello scorso luglio si era pronunciata in tal senso, ha sostanzialmente confermato l’orientamento più favorevole agli immigrati.
L’Inps, costituitasi in giudizio, aveva fatto presente all’Alta Corte che le norme della Finanziaria 2001 che restringevano ai soli titolari di carta di soggiorno le prestazioni assistenziali (per quelle previdenziali non è prevista distinzione; ndr) erano dettate da «evidenti finalità di contenimento della spesa pubblica» e dalla necessità di evitare il «turismo sociale». Ossia il concentrarsi dei flussi migratori verso i Paesi più «benevoli» anche dal punto di vista del welfare. Tali istanze non sono state riconosciute.
Ma quali potrebbero essere le ricadute della sentenza sull’Inps che ha chiuso il 2008 con un fabbisogno superiore ai 50 miliardi di euro? Innanzitutto, bisogna partire dai dati certi, ossia da quelli sulle prestazioni previdenziali. A fine 2005 i pensionati extracomunitari in Italia erano 100mila, mentre nel decennio che terminerà nel 2015 una ricerca Caritas-Inps prevedeva un flusso di altri 152mila pensionati per un totale di 252mila persone il 54% delle quali residente al Nord. Considerato che si tratta per la maggior parte di pensioni di vecchiaia (circa 500 euro mensili) e solo per una ristretta minoranza di pensioni di anzianità integrate al minimo, nel 2015 la spesa per i pensionati extracomunitari dovrebbe superare già quota 1,5 miliardi di euro.
Secondo le ultime elaborazioni di dati Istat effettuate della Fondazione Ismu, gli immigrati regolari sarebbero circa 3,7 milioni. Ben tre milioni di essi nel 2008 hanno lavorato, mentre i disoccupati sono circa 200mila e gli studenti 574mila. Va ricordato poi che la spesa per le pensioni di invalidità in Italia supera i 26 miliardi annui con l’erogazione di oltre cinque milioni di prestazioni. L’estensione agli immigrati titolari del solo permesso (2,4 milioni) potrebbe perciò essere finanziariamente pesante considerato che nel 2007 gli extracomunitari hanno subito ben 140mila infortuni sul lavoro. Quindi, si tratterebbe di qualche miliardo di euro a fronte di un versamento di contributi molto modesto.
 di Gian Maria De Francesco di Gian Maria De Francesco di Gian Maria De Francesco  
Roma «Ora basta un semplice permesso di soggiorno per accedere alle prestazioni di assistenza sociale dell’Inps». La denuncia-choc è del senatore leghista e sindaco della cittadina bresciana di Chiari, Sandro Mazzatorta, che teme il dissesto definitivo delle casse dell’istituto di previdenza sociale. «Centinaia di migliaia di extracomunitari chiederanno una pensione di inabilità mettendo definitivamente in ginocchio l’Inps - ha dichiarato - e non consentendo di erogare le pensioni a chi per una vita ha lavorato in questo paese pagando regolarmente i contributi».
Le lamentele dell’esponente leghista sono fondate. Venerdì scorso, infatti, è stata depositata una sentenza della Consulta nella quale la Corte riconosce l’illegittimità costituzionale della Finanziaria 2001 e del Testo unico sull’immigrazione come modificato dalla legge Bossi-Fini relativamente alle parti in cui si esclude che le pensioni di invalidità possano essere assegnate agli extracomunitari solo perché «non risultano in possesso dei requisiti di redditi già stabiliti per la carta di soggiorno».
Il caso, infatti, riguardava un invalido albanese al quale non è stata riconosciuta la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento perché sprovvisto della carta di soggiorno. La causa contro l’Inps e il ministero dell’Economia è stata sospesa proprio in virtù dei dubbi del Tribunale sulla legittimità delle norme italiane. E la Consulta, che già in un altro caso dello scorso luglio si era pronunciata in tal senso, ha sostanzialmente confermato l’orientamento più favorevole agli immigrati.
L’Inps, costituitasi in giudizio, aveva fatto presente all’Alta Corte che le norme della Finanziaria 2001 che restringevano ai soli titolari di carta di soggiorno le prestazioni assistenziali (per quelle previdenziali non è prevista distinzione; ndr) erano dettate da «evidenti finalità di contenimento della spesa pubblica» e dalla necessità di evitare il «turismo sociale». Ossia il concentrarsi dei flussi migratori verso i Paesi più «benevoli» anche dal punto di vista del welfare. Tali istanze non sono state riconosciute.
Ma quali potrebbero essere le ricadute della sentenza sull’Inps che ha chiuso il 2008 con un fabbisogno superiore ai 50 miliardi di euro? Innanzitutto, bisogna partire dai dati certi, ossia da quelli sulle prestazioni previdenziali. A fine 2005 i pensionati extracomunitari in Italia erano 100mila, mentre nel decennio che terminerà nel 2015 una ricerca Caritas-Inps prevedeva un flusso di altri 152mila pensionati per un totale di 252mila persone il 54% delle quali residente al Nord. Considerato che si tratta per la maggior parte di pensioni di vecchiaia (circa 500 euro mensili) e solo per una ristretta minoranza di pensioni di anzianità integrate al minimo, nel 2015 la spesa per i pensionati extracomunitari dovrebbe superare già quota 1,5 miliardi di euro.
Secondo le ultime elaborazioni di dati Istat effettuate della Fondazione Ismu, gli immigrati regolari sarebbero circa 3,7 milioni. Ben tre milioni di essi nel 2008 hanno lavorato, mentre i disoccupati sono circa 200mila e gli studenti 574mila. Va ricordato poi che la spesa per le pensioni di invalidità in Italia supera i 26 miliardi annui con l’erogazione di oltre cinque milioni di prestazioni. L’estensione agli immigrati titolari del solo permesso (2,4 milioni) potrebbe perciò essere finanziariamente pesante considerato che nel 2007 gli extracomunitari hanno subito ben 140mila infortuni sul lavoro. Quindi, si tratterebbe di qualche miliardo di euro a fronte di un versamento di contributi molto modesto.
 Per questo motivo Mazzatorta, temendo che «i nostri concittadini dovranno lavorare sino a 90 anni per poter vivere», ha iniziato a lavorare «su una nuova norma che possa scongiurare il tracollo finanziario della previdenza sociale».
  
tratto da:
http://www.ilgiornale.it/interni/pensioni_immigrati_linps_rischia_crac/25-01-2009/articolo-id=323525-page=1-comments=1
 
postato da: sebastia11 alle ore 14:09 | link | commenti
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