martedì 22 novembre 2011

mercoledì, 12 ottobre 2011

Depositerò oggi con Roberto Buonasorte una proposta di legge al Consiglio regionale del Lazio che riporta il titolo Disposizioni in materia di indennità ai consiglieri regionali.
Credo che la classe politica debba dare degli esempi al Paese, ed è noto che abbiamo lanciato varie proposte da questo punto di vista. Penso alla norma su proposta de La Destra che vieta ai parenti dei politici di poter sedere nei Cda delle società regionali, una separazione almeno su piano parentale.
Ma ne abbiamo depositato altre due di proposte, come quella della prospettiva di riduzione degli stipendi dei manager pubblici, anche se in verità va riconosciuto alla giunta Polverini che si è passati all’eliminazione di molte direzioni generali,  che rappresenta una prima riduzione dei costi dell’apparato, così come abbiamo proposto la riforma statutaria che riguarda la riduzione dei vitalizi dei consiglieri regionali.
Oggi presenteremo una proposta rivoluzionaria: negli ultimi mesi si è molto discusso della liquidità immessa dalla Bce nell’acquisto dei titoli di Stato. Ci si chiede, ma valgono effettivamente questi titoli? Fino a quando gli  investitori ci scommetteranno? Ecco, crediamo che la classe dirigente debba dimostrare di crederci fino in fondo.
La proposta di legge che presentiamo oggi con Roberto Buonasorte dà un’indicazione chiara: per un anno almeno paghiamo gli stipendi dei consiglieri regionali in titoli di Stato. E’ la classe dirigente che ci deve credere. Noi ci proveremo e cercheremo di convincere i nostri colleghi in Regione a fare la stessa cosa: se ci pagano in titoli di stato non ci rimettiamo molto. Dobbiamo fidarci esattamente come chiediamo ai cittadini di fidarsi dei pezzi di carta con cui lo Stato ottiene risorse che poi restituirà. Credo che possa essere qualcosa di concreto, ed è la volontà di dimostrare a tutto il mondo che in questo Paese noi continuiamo a crederci.

Cliccando il link successivo si potrà consultare il testo della proposta di legge
http://www.storace.it/2011/10/12/costi-politica-dare-lesempio/ 

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LO STATO SOCIALE NEL VENTENNIO


 

Cari Amici, avendo... tra noi non pochi amici in comune, desidero segnalare un mio libro:
"LO STATO SOCIALE NEL VENTENNIO",
edito da ‘Pagine srl’ di Roma.
Circa 300 pagine di ‘legislazione sociale’ del “Ventennio mussoliniano”, ma anche una vera e propria ‘miniera’ di notizie e di curiosità di quei 15 anni, a tutti sconosciute perché, purtroppo, vergognosamente tenute nascoste !
Sono sicuro chepiacerà moltissimo !!! E’ tutto documentato !
Nessuno potrà smentire quanto detto, semplicemente perché le fonti sono UNICAMENTE:
* le Gazzette Ufficiali del Regno d’Italia;
* gli archivi storici dell'Istat e della Banca d'Italia;
* i c.detti “libri di colore” della diplomazia internazionale;
* gli archivi di decine e decine di gloriose aziende italiane molto gentilmente messi a mia disposizione !
In breve: si leggerà quel che non si sarebbe mai pensato; si scoprirà quante misere, grossolane e squallide bugie ci sono state dette a scuola…..; un vero e proprio “lavaggio del cervello” !
Tengo a sottolineare che TUTTI i proventi a me spettanti andranno alle Missioni francescane ! Sarà la stessa Casa editrice che devolverà il corrispettivo ai Francescani di Roma, come del resto ho desiderato sottolineare in ciascuna copia del libro !
Viringrazio se, dopo averlo letto ed apprezzato, vorrete pubblicizzarlo a parenti, amici, circoli culturali, direttori e presidi di scuole.

postato da: sebastia11 alle ore 10:52 | link | commenti
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lunedì, 10 ottobre 2011

IL CAIRO E STRAGE DI CRISTIANI L EGITTO BRUCIA 36 MORTI
islamicbomb
 
l Cairo brucia ancora. Dopo la primavera araba e la caduta di Mubarak, riesplodono le tensioni religiose tra copti e musulmani: scontri violentissimi con le forze armate che hanno causato 36 morti e 200 feriti. La guerriglia urbana è ancora in corso, tanto che le autorità egiziane hanno decretato il coprifuoco fino alle 7 di martedì mattina. Alle 14 i funerali delle vittime nella cattedrale di Hamra.

Guerriglia - L'epicentro delle violenze è la sede della tv di Stato, ma anche il quartiere vicino di Shubra è interessato alla rivolta. Tutto nasce dalla manifestazione di protesta indetta dai cristiano copti in piazza Abdel Moein Ryad, all'ingresso di piazza Tahrir, contro la distruzione di una chiesa ad Assuan. Circa tremila persone si sono riunite per scandire slogan sull'unità tra i fedeli copti e musulmani. Il motto era "Una sola mano", richiamando la rivoluzione del 25 gennaio scorso. Il sogno però si scontra con la realtà, perché negli stessi minuti fedeli delle due religioni si scontrano a colpi di bastone e pietre. Secondo testimoni, i copti in corteo sarebbero stati attaccati forse anche con armi da fuoco da teppisti e uomini che vengono indicati come baltagey, cioè teppaglia al soldo dei controrivoluzionari.

Rischio sedizione - La reazione dei copti è stata immediata, ma a quel punto i poliziotti militari li avrebbero circondati sparando colpi in aria e lacrimogeni per disperderli. Il primo ministro egiziano Essan Sharaf ha ammonito oggi cristiani e musulmani del suo paese a non cedere "agli appelli alla sedizione". "Mi rivolgo a tutti i figli della patria - ha detto Sharaf -. Quello è un fuoco che brucia tutto e non fa differenze tra noi".


 http://www.libero-news.it/news/841304/Il-Cairo-è-strage-di-cristiani-L-Egitto-brucia-36-morti.html 
postato da: sebastia11 alle ore 18:06 | link | commenti
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A chi vanno i soldi donati a Santoro? Alla casa editrice del Fatto Quotidiano
 




Facciamo un gioco: proviamo ad andare su www.serviziopubblico.it, il sito che pubblicizza il nuovo programma di Michele Santoro “Comizi d’amore”.
Noi non diciamo né quando andrà in onda, né che temi tratterà. Non tanto perché vogliamo impedire a voi lettori di Qelsi di guardare una trasmissione che si pone come “cane da guardia” a protezione dall’informazione “in mano ai potenti” (tutto vero: il logo è proprio un cane con la scritta “Cave canem”), quanto perché in fondo non è così importante. Neppure per Santoro.
Ciò che davvero conta è raccogliere fondi.
Ed in effetti, visualizzando l’home page del sito è impossibile non capire come fare una donazione: in qualunque angolo vi sono link che rimandano ad offerte. Di più: la precisa richiesta è di donare 10 euro. “10 euro per la tivvù”.
Ora, turiamoci il naso e proviamo a cliccare su uno di questi link, ad esempio sul link “carta di credito” che troviamo in alto.
Si aprirà una pagina, cliccando su “donazioni” se ne aprirà un’altra.
E cosa appare? Una sorpresina: sopra la scritta “Scegli il metodo di pagamento”, leggiamo “Editoriale Il Fatto spa”. Basta vedere lo screen pubblicato sotto.
Ecco dove finiscono i soldi chiesti da Santoro. All’associazione omonima “Servizio Pubblico”? No. Per nulla.
Proprio all’Editoriale Il Fatto spa, ossia una società per azioni priva di azionista di controllo che non è altro che l’editrice del Fatto Quotidiano.
Donando i soldi a “Servizio Pubblico”, i fan di Santoro finanziano indirettamente una s.p.a. proprietaria di un quotidiano nazionale.
Lo scorso 20 settembre, proprio l’Editoriale Il Fatto spa ha acquistato il 17,58% della Zerostudio’s, casa di produzione fondata da Michele Santoro in persona assieme a sua moglie. Ora a Santoro e moglie è rimasta una quota pari al 51%, cui si affiancano, oltre al 17,58% dell’Editoriale Il Fatto, il 24,5% dell’associazione “Servizio Pubblico” e altre quote minori spartite tra altre due case di produzione: Videa ed Etabeta.
Cinzia Monteverdi, socia dell’Editoriale Il Fatto, è presidente ed amministratore delegato della società, del cui consiglio di amministrazione fanno parte anche Santoro e la moglie, ovviamente, e poi la giornalista Giulia Innocenzi, fedelissima dell’anchorman sin dai tempi di Annozero.
Da un investimento iniziale di circa 100.000 euro si è passati ad un capitale valorizzato per una cifra che si aggira sui 2 milioni di euro, in poco più di un anno.
Davvero un modo efficace per fare soldi, di cui Santoro non sente la mancanza soprattutto dopo la generosa buonuscita elargitagli dalla Rai.
Ma il denaro non basta mai, siamo sicuri che tanti “viola” e “arancioni” che stravedono per la “libertà di stampa” e per Santoro contribuiranno ad arricchire ulteriormente il loro beniamino. E ad arricchire, senza saperlo, l’Editoriale Il Fatto spa.





 


http://www.questaelasinistraitaliana.org/2011/a-chi-vanno-i-soldi-donati-a-santoro-alla-casa-editrice-del-fatto-quotidiano/ 

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domenica, 09 ottobre 2011

Crimini alleati dimenticati: Laguna di Venezia, 13 ottobre 1944

E’ il 13 ottobre del 1944, In laguna la giornata concede profumi primaverili, tra le calli, i chioggiotti vivono una insolita tranquillità. Ma a qualche miglio dal porto di Chioggia, il vaporetto “Giudecca”, che da Vigo collega Chioggia a Venezia, naviga con quasi duecento passeggeri, in gran parte di Chioggia, Sottomarina, e d’altri centri del litorale. Dopo quindici minuti di navigazione, vale a dire: “Le dodici e quarantacinque”, Il piroscafo è già oltre il pontile di Caroman e diventa bersaglio di tre cacciabombardieri dell’aviazione anglo-americana. Malgrado ciò, la nave a vapore riesce a giungere nei pressi dell’abitato di Pallestrina. I velivoli scemano l’altitudine e a volo radente, iniziano a mitragliare il piroscafo. Non solo, precipita la prima bomba che involontariamente centra la cabina di comando ed uccide il timoniere. La seconda bomba impatta contro la prua dell’imbarcazione Acnil. La terza esplode all’interno del locale macchine. Il piroscafo, s’inclina, mutandosi in una trappola mortale. Non basta: gli effetti delle esplosioni scaraventano schegge di bombe, e frammenti della motonave, fino a raggiungere l’abitato d’Ognissanti. Il battello “Giudecca” è avvolto da fiamme, urla di terrore e scene rosso sangue. L’orrore della guerra, avvinghia la nave posandola sul fondo della laguna. Una bomba punta in direzione di una piccola imbarcazione e dilania un’intera famiglia. Intanto i caccia-bombardieri continuano le operazioni di mitragliamento, e le scene di panico si spostano sull’abitato d’Ognissanti. Corpi straziati d’ogni età, urlano il proprio desiderio di non morire. In tanti pregano per la vita dei più piccoli, ma non basta, i 20 mm dei caccia sono senza pietà. Tra densi ed acri fumi, ad Ognissanti il terrore si trasforma in distruzione. Ma la storia insegna e tramanda le virtù del popolo lagunare, infatti i pescatori della vicina Pallestrina indifferenti a bombe d’aereo, incuranti dei mitragliamenti s’imbarcano per prestare immediato soccorso ai 150 naufraghi del “Giudecca”. Ma lo sguardo della morte anticipa la propria opera su 67 incolpevoli cittadini.
ELENCO DECEDUTI:
1) Frizzolo Antonio,
2) Renzini Argo
3) Premoli Arturo
4) Cemolin Ugo
5) Schiavon Giovanni
6) Franzoso Renato
7) Vianello Attilio
8) Gorin Maria
9) Gobbin Gino
10) Scarpa Elvira
11) Busetto Augusta
12) Scarpa Giuseppe
13) Boscolo Luigi
14) Doria Bruno
15) Rasi Virginio
16) Barbieri Emilio
17) Vianello don Natale
18) Massi Attilio
19) Grassi Regina
20) Ballarin Sergio
21) Bullo Carlo
22) Alverdi Augusto
23) De Bei Walter
24) Scarpa Domenico
25) Brozzolo Marco
26) Ceolin Elvira
27) Antonini Luigi
28) Sambo Augusta
29) Albertini Amalia
30) Scarpa Lea
31) Scarpa Vincenzo
32) Bullo Cesare
33) Chiereghin Domenica
34) Rocco Margherita
35) Brozzolo Aldo
36) Boscolo Lino
37) Chiereghin Fulvio
38) Liviero Armido
39) Voltolina Felice
40) Padoan Leonoro
41) Voltolina Elva
42) Oselladore Fortunato
43) Doria Domenico
44) Dalla Barba Umberto
45) Enzo Fernando
46) Frizziero Antonio
47) Ghirardon Angelo
48) Puggiotto Andrea
49) Bellemo Regina
50) Perini Nicola
51) Camuffo Elisa
52) Salvato Giancarla
53) Bonaldo Maria
54) Boscolo Angelo Beggio
55) Novello Agostino
56) Ballarin Rita
57) Spunton Roberto
58) Pregnolato Prima
59) Gardin Armando
60) Ravagnan Clodomiro
61) Doria Antonia
62) Boscolo Riccardina
63) Boscolo Antonio Mezzopan
64) Valeri Gisella
65) Longo Leandro
66) Barbieri Vasco
67) Cadavere sconosciuto.
Tratto da: L’affondamento del Giudecca – Errori-Orrori della guerra, di Sergio Ravagnan – consultabile presso La Biblioteca Civica di Chioggia C. Sabbadino 
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sabato, 08 ottobre 2011

Declassiamoli noi



 Socializzazione_delle_Imprese

Valerio Zinetti

“Il potere finanziario senza controllo e senza responsabilità modifica le democrazie. Quando un’agenzia che non è altro che un’attività professionale e privata, senza controllo pubblico, può scrivere ciò che vuole e attenersi ad interessi che non coincidono con il controllo pubblico”.Nel silenzio dei principali leader della maggioranza, l’unico ad avere risposto centrando in pieno il problema è stato il Ministro Saverio Romano che ha i posto l'accento sul fatto che le agenzie di rating come Moody’s e Standard&Poor sono organismi professionali privati, fuori da qualunque controllo pubblico e quindi per forza perseguono interessi che non sono coincidenti con l’interesse pubblico.  Il titolare dell’agricoltura ha inoltre tuonato contro “la finanza fuori controllo”, cioè poteri finanziari che decidono le sorti delle economie nazionali. Finalmente qualcuno che stona dal coro di quelli che ogni volta che parla una di questa agenzie di perfetti sconosciuti affaristi piange dalla commozione e ostenta riverenza!

 

Si spera che non resti un’ uscita istantanea e che contribuisca alla presa di coscienza di quello che è il vicolo cieco nel quale ci siamo inseriti come Italia delegando la nostra sovranità economica ad enti privati come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea, facendo del Governo un mero esecutore di scelte fatte in quelle sedi e non negli organi di rappresentanza democratica. La lettera della BCE all’Italia  firmata da Draghi e da Trichet in cui si chiedono misure turbocapitaliste quali la forbice sulle pensioni e maggiore precarietà sul lavoro (su questo il Governo ha letteralmente calato le braghe) condizionando la liquidità del sistema monetario (che è esclusiva della BCE) è un vero e proprio “pizzo” internazionale: fate come diciamo noi e avrete i soldi (anche se di soldi non ne abbiamo poi visti così tanti). La cosa tragicomica è che questo tipo di politica economica adottata a livello europeo viene continuamente denominata come “aiuti europei”. La Grecia è l’esempio di questi “aiuti”: l’adozione delle misure richieste dall’Unione Europea  ha portato alla diminuzione della produzione industriale ed all’aumento della disoccupazione. Gli “aiuti europei” sono esattamente gli stessi “aiuti” che ci hanno portato nell’euro e poi nell’attuale fase di depressione economica. 
 

Solo la presa di coscienza di questa situazione da parte delle politica e del popolo potrà farci uscire da questa fase: qualunque altra strada ci porterà dritti alla Grecia. Stiamo patendo la scarsità della nostra classe politica, incapace di contrapporsi con determinazione ai poteri forti della finanza internazionale che vogliono dare il colpo di grazia all’Italia. Continuiamo a sentire le sinistre parlare di patrimoniali ed e le destre liberali  parlare della necessità di tagliare la spesa pubblica. Tutte proposte ovvie che– anche se nel merito potrebbero essere valutate senza preconcetti –  però non affrontano il problemam il problema alla radice.  Va poi detto che l’aumento della pressione fiscale suggerito da Bersani e compagni e il taglio alla spesa sociale suggerito dai fanatici della “rivoluzione liberale” sono già stati sperimentati  in Grecia con effetti non certo sollevanti. Ma anche riforme e misure in sé positive non risolverebbero il problema, finchè  rimarremo ancora incapaci di poter decidere a casa nostra.
 

Purtroppo, in mezzo a tante lagne giornalistiche sulle “primavere arabe” e sul presidente nero degli Stati Uniti (che ha arrestato ben 700 giovani inermi colpevoli di dissenso a Wall Street) , i media nostrani non parlano della rivoluzione che c’è stata in Islanda, dove i cittadini a cui erano stati chiesti sacrifici sono scesi in piazza e con un referendum hanno potuto decidere il loro futuro, e dove i banchieri che hanno strozzinato il popolo sono finiti in galera (e ciò ha indotto il FMI ad alzare i tacchi e ad andarsene).
 

L’Italia non  ha bisogno di “popoli viola”, grillini e “onde” prive di qualunque proposta politica. Il destino ci tenga lontano anche da governi del trio Bersani-Di Pietro-Casini, legati di certo più al mondo delle banche che all’interesse nazionale. E beffiamoci anche dei “manifesti” degli industriali che fino a pochi anni portavano il lavoro in Cina. Declassiamo i colpevoli della crisi e gli specchi per le allodole.
 

 L’Italia ha bisogno di una rivoluzione social-nazionale di popolo come quella islandese, che può essere attuata solo con l’uscita dalla zona euro e con la nazionalizzazione delle banche e dell’industria strategica, riaffermando la sovranità nazionale ed il primato della politica sull’economia.

http://luniversale.splinder.com/post/25637738/declassiamoli-noi 
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venerdì, 07 ottobre 2011

VIVA LEPANTO-7OTTOBRE 1571


  



Cronaca della battaglia di Lepanto 1571
tratto da: pisahistory.it

Cinque giorni dopo la presa di Famagosta, a Messina, dove aspettavano la flotta veneziana a quella pontificia, giungeva a capo delle galee della Murcia e della Catalogna, don Giovanni d'Austria seguito da Alessandro Farnese, da Francesco Maria della Rovere, dal marchese di Carrara, da Ottavio e Sigismondo Gonzaga, da don Francesco di Savoia e da parecchi valenti capitani, quali Ascanio della Cornia, Andrea Provana conte di Leini, Pirro Malvezzi, Gil d'Andrate, i Doria, i Grimaldi, gli Imperiali, gli Spinola e don Alvaro di Bazan marchese di Santa Cruz.

Le forze che venivano a trovarsi sotto il comando di don Giovanni d'Austria erano le seguenti: trentuno galee e venti navi spagnole con cinquecentocinquantacinque cannoni, ottomila soldati e millesettecento marinai; diciannove galee napoletane con novantacinque cannoni, mille e novecento soldati e mille e cento marinai; sedici galee siciliane fra le quali la Capitana, la Sicilia, la Padrona, e la S. Giovanni, con venti cannoni, quattrocento soldati e duecentoquaranta marinai; dieci galee di Gian Andrea Doria. con cinquanta cannoni, mille soldati e seicento marinai; due di Niccolò Doria, quattro dei Nomellini, quattro dei Negroni, due dei De Mari, due dei Grimaldi, due degli Imperiali, una dei Santi, tre galee di Genova, tre del duca di Savoia (la Piemontese, la Margarita e la Duchessa), tre di Malta, dodici galee pontificie noleggiate presso Cosimo de' Medici montate da Cavalieri di Santo Stefano e soldati delle Marche e delle Romagne; infine centocinque galee veneziane con novecentocinque cannoni, undicimila e duecento soldati e settemila marinai.

In totale vi erano duecentonove galee, milleottocentocinque cannoni, ventottomila soldati, dodicimila e novecentoventi marinai e quarantatremila e cinquecento rematori.
Di tutte queste forze la maggior parte era stata fornita dall'Italia (Stati indipendenti e Stati soggetti), la quale aveva dato centosettantotto galee, milleduecentosettanta cannoni, ventimila soldati, undicimila e duecentoventi marinai e trentasettemila e trecento rematori, il resto, secondo le cifre su riferite, era della Spagna.
Il 16 settembre, dopo lunghe discussioni sulla via da prendere, questa grande flotta, lasciò le acque di Messina e, raccolti nuovi soldati sulle coste calabresi, il 27 dello stesso mese giunse a Corfù dove apprendeva la dolorosa notizia della caduta di Famagosta e dello scempio fatto dei suoi difensori.
Da Corfù l'armata andò nel golfo di Gomenizza, che si apre nelle coste albanesi, e il 4 ottobre andò ad ancorarsi nel porto di Fiscardo, da dove poi ripartì il 6 ottobre, diretta al golfo di Lepanto dov'era la flotta turca comandata da Alì, forte di duecentoventidue galee, sessanta galeotte, settecentocinquanta cannoni, trentaquattromila soldati, tredicimila marinai e quarantamila rematori.

La mattina del 7 ottobre del 1571 la flotta alleata giunse in vista delle Curzolari, isolette poste presso l'imboccatura del golfo di Lepanto, e subito l'armata ottomana uscì e si schierò in ordine di battaglia di fronte al nemico.
Lo schieramento dell'armata alleata aveva una lunghezza di circa tre miglia, il centro era formato da una squadra di sessantuno galee, quasi al suo fianco quella Reale di Spagna guidata da don Giovanni d'Austria, la Capitana pontificia comandata da Marcantonio Colonna, la Capitana di Savoia al comando del Provana, la Capitana di Venezia con Sebastiano Venier e la Capitana di Genova con Ettore Spinola ed Alessandro Farnese; all'ala destra stava una squadra di cinquantatré galee capitanata da Gian Andrea Doria, alla sinistra altrettante navi veneziane sotto il comando di Agostino Barbarigo; di riserva erano trentacinque navi comandate dal marchese di Santa Cruz don Alvaro de Bazan; di avanguardia, a un miglio a mezzo circa dalla linea frontale, stavano sei galeazze al comando di Francesco Duodo.

Della flotta ottomana il centro era comandato dall'ammiraglio supremo Alì, il centro destro da Mehemet Sciaurak, vicerè d'Egitto, il centro sinistro dal bey d'Algeri Ulugh Ali. Grande la determinazione dei Turchi, che, pur essendo forniti di minor numero di cannoni, si affidavano al maggior numero delle loro navi e nella conoscenza del luogo; non meno grande era l'ansia di battersi degli alleati, desiderosi di vendicare i martiri di Famagosta e, confortati dai frati i quali con il Crocifisso in mano benedicevano i combattenti e davano notizie delle indulgenze promesse dal Pontefice.
La battaglia fu ingaggiata verso mezzogiorno. Prime ad entrare in combattimento furono le sei galeazze di Francesco Duodo, le quali, vedendo la flotta ottomana avanzare a semicerchio con lo scopo evidentissimo di avvolgere quella cristiana, aprirono un fuoco violentissimo e ruppero l'ordine serrato dello schieramento nemico. Allora la battaglia infuriò contemporaneamente su tutti i punti della fronte e presto prese l'aspetto di una mischia apocalittica.
Al centro, l'ammiraglia turca si lanciò contro la Reale di Spagna, imitata da altre navi ottomane; in aiuto della capitana spagnola accorsero altri navigli cristiani, fra cui quello di Sebastiano Venica, il quale a capo scoperto combatté valorosamente e contribuì moltissimo all'esito dello scontro. Questo durò a lungo, con un accanimento straordinario; fin quando Alì fu colpito gravemente da una palla di cannone e la sua nave, con la ciurma nel panico, presto venne fatta prigioniera.

Con accanimento non minore si combatté all'ala sinistra, dove in un primo tempo i cristiani furono quasi sopraffatti anche perché il Barbarigo, sebbene strenuamente difeso da Camillo da Correggio, aveva riportato una gravissima ferita che il giorno dopo doveva causargli la morte; ma i restanti non tardarono a risollevarsi; un impetuoso assalto dato alla nave di Mehemet Sciaurak cambiò la sorti della battaglia, e lo Sciaurak cadde anche lui, come Alì, sotto i colpi di Giovanni Contarini, il suo legno fu colato a picco e la sua squadra anch'essa presa dal panico fu completamente sbaragliata.

Diversamente procedettero le cose all'ala destra. Gian Andrea Doria aveva poca voglia di sferrare battaglia forse per cieca obbedienza agli ordini di Filippo II, che avrebbe voluto che la flotta anziché contro i Turchi andasse contro Tunisi, forse anche per certe segrete trattative corse tra la Spagna e Ulugh aventi lo scopo di staccare quest'ultimo da Costantinopoli. A sua volta Ulugh Alì cercava di evitare il combattimento mosso dalle medesime ragioni ed anche perché voleva che le sue forze rimanessero intatte par difendere le coste del suo regno di Algeri che potevano essere assalite dagli Spagnoli.

L'uno e l'altro pertanto dopo una serie di abili evoluzioni presero il largo; ma una parte della squadra del Doria, formata di veneziani, pontifici, piemontesi e maltesi, ardendo dal desiderio di combattere, si staccò dal resto della flotta genovese ed assalì la navi nemiche. Sopraffatta dal numero dei legni avversari ebbe la peggio; ma in suo soccorso si mossero dal centro don Giovanni d'Austria e Marcantonio Colonna; lo stesso Gian Andrea Doria, visti i suoi in pericolo, fu costretto a rivolgersi contro gli Algerini; allora Ulugh Alì, temendo di essere accerchiato, abbandonò il combattimento e le galee che aveva catturate e con venticinque galee e venti galeotte se ne fuggì a Costantinopoli.

Il contegno del Doria fu la sola ombra che offuscò la vittoria cristiana di Lepanto, la quale fu completa. Centodiciassette galee ottomane e circa venti galeotte furono catturate; cinquantasette colate a picco durante la battaglia, cinquanta altre che si erano fracassate contro gli scogli furono prima saccheggiate poi incendiate; quarantamila turchi tra soldati e marinai furono uccisi, ottomila fatti prigionieri e circa diecimila schiavi cristiani furono liberati. Dei capitani nemici, oltre Alì e Sciaurak, trovarono la morte parecchi pascià e il comandante dei Giannizzeri. Ma la vittoria fu pagata a caro prezzo: settemila e cinquecento cristiani perirono, dei quali duemila e trecento veneziani fra cui il Barbarigo e ventisei gentiluomini, quindici galee andarono perdute; i feriti ammontarono a settemilasettecentottantaquattro e tra questi ci fu il Cervantes, il celebre autore del Don Chisciotte.
Finita la battaglia, la flotta vittoriosa si rifugiò nel porto di Petala per sfuggire ad una tempesta che stava per scatenarsi; non essendo possibile tentare altre imprese per la stagione inoltrata e per le condizioni delle navi, il consiglio di guerra stabilì di far vela verso ponente e il 10 ottobre la flotta entrava nel porto di Santa Maura, poi si recò a Messina. Qui fu fatta la divisione delle spoglie e a Venezia toccarono ventisette galee ed altre navi minori, sessantadue cannoni tra grossi e piccoli e milleduecento schiavi. L'annuncio della sconfitta produsse a Costantinopoli grandissima costernazione e si dice che il sultano Selim rimanesse tre giorni senza prender cibo; però il Gran Visir Mehemet Sokolli non rimase scosso dalla disfatta e al legato veneto Barbaro disse: «Lepanto ci ha solamente tagliata la barba; essa crescerà più folta di prima; Venezia con Cipro ha perso un braccio e questo non cresce più».

E in verità quell'astuto uomo di Stato non aveva torto. Difatti gli Ottomani, con la sconfitta di Lepanto, non subivano perdite territoriali; in quanto ai danni materiali subiti, questi, date le immense risorse dell'Impero, erano facilmente riparabili, ed infatti l'anno dopo, una nuova flotta turca di oltre duecento navi al comando di Ulugh Alì veleggiava minacciosa sui mari d'Oriente. Due sole cose avevano perduto i Turchi, che non poterono più riacquistare: la fama d' invincibilità che tanto aveva loro giovato e la fiducia nelle proprie forze.
Venezia, se aveva perso Cipro, acquistava prestigio e fede in sé stessa: l'uno e l'altra, avrebbero potuto rialzare le sorti della repubblica, se le gelosia degli altri Stati e la tortuosa politica della Spagna non l'avessero costretta più tardi ad una pace, la quale non era quella che dalla strepitosa vittoria di Lepanto si era ripromessa. 


http://www.storialibera.it/epoca_moderna/turchi_ed_europa/battaglia_di_lepanto_1571/articolo.php?id=1338 
 
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giovedì, 06 ottobre 2011

LE BALLE SUGLI IMMIGRATI:LORO UNA RISORSA? è FALSO  
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In queste settimane il dibattito si infuoca attorno alla manovra economica e tutti hanno suggerimenti su dove e come ridurre le spese. Nessuno però dice mai di intervenire su una delle voragini che si inghiottono i soldi della comunità: l’immigrazione. È stata abilmente fatta passare l’idea che gli immigrati siano una risorsa, una ricchezza, che siano quasi i soli a contribuire in positivo alle dissestate casse comuni. Sull’immigrazione è stata fatta una colossale opera di disinformazione.

I principali gruppi di motivazioni che vengono solitamente tirati fuori per giustificare l’immigrazione sono: 1) che i nuovi cittadini pagheranno le nostre pensioni, 2) che gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, 3) che gli immigrati sono una risorsa economica, 4) che sono una ricchezza sociale, 5) che pongono rimedio alla nostra denatalità, 6) che abbiamo il dovere della solidarietà. Vediamo di esaminare soprattutto i punti aventi incidenza economica, non senza avere prima fatto una indispensabile premessa.

Il fenomeno è cruciale ma le informazioni per conoscerlo e governarlo sono approssimative. I soli dati ufficiali che si hanno a disposizione sono quelli che riguardano i regolarizzati. Restano vaghi i numeri di quelli appena arrivati o che vivono nel mondo dell’illegalità. Ci si deve perciò affidare principalmente alle informazioni della Caritas-Migrantes che, pur ricevendo finanziamenti pubblici, è una struttura privata che svolge i compiti che toccherebbero allo Stato, ma è  anche e soprattutto una organizzazione di parte e questo non la aiuta a fornire le garanzie di imparzialità che la struttura pubblica, pur nelle sue lentezze e inefficienze, dovrebbe invece garantire. La Caritas è anche condizionata dalle sue scelte ideologiche, dal suo evidente schieramento a favore dell’immigrazione e dell’accoglienza a qualsiasi costo e condizione, oltre che dal non trascurabile dettaglio che proprio dall’ambaradan dell’immigrazione trae sostanziosi finanziamenti.


Secondo il Dossier statistico 2010 della Caritas-Migrantes, ci sarebbero in Italia all’inizio del 2010 4.235.000 stranieri residenti, o 4.919.000 considerando quelli non ancora iscritti all’anagrafe. Gli stranieri sono triplicati in un decennio e aumentati di quasi un milione nell’ultimo biennio. I clandestini sono stimati fra i 500 e i 700 mila, ma non è certo scorretto pensare che siano almeno il doppio. Si arriva perciò a una cifra di più di 6 milioni di persone (quasi l’11% della popolazione residente, uno straniero ogni 9 italiani), cui vanno aggiunti circa 500 mila naturalizzati italiani negli ultimi anni.  Metà circa degli immigrati sono donne. Nel 2007 gli stranieri erano 3.690.000, il 5,6% della popolazione.

PAGANO LE PENSIONI?
Grande risalto è stato dato al fatto che i contributi degli immigrati hanno aiutato l’Inps a rimettere un po’ a posto i conti. In effetti l’arrivo di tanti nuovi contribuenti che non percepiranno pensioni per un po’ di tempo è salutare. Si tratta però di una situazione temporanea perché, a partire da 20 anni da oggi (quando a maturare pensioni di vecchiaia o anzianità cominceranno a esserci moltitudini di immigrati), si riproporrà anche nella comunità foresta lo stesso schema attuale di un rapporto fra lavoratori e pensionati sbilanciato a favore di questi ultimi, a meno che non si conti su un continuo afflusso di immigrati giovani paganti. In tale caso si tornerebbe in qualche modo al sistema a ripartizione su cui in anni di boom demografico si era basato il sistema pensionistico, facendo saltare ogni buona intenzione di trasformarlo in un sistema a capitalizzazione. Insomma gli immigrati non risolvono i problemi del sistema pensionistico italiano ma lo spostano solo un po’ più in là nel tempo. Oggi il rapporto fra pensionati e abitanti è di circa 1 a 5 per gli italiani e di 1 a 25 per gli stranieri: il divario diminuirà costantemente fino a stabilizzarsi sullo stesso rapporto a meno che - come detto - il numero degli immigranti non continui a crescere in misura esponenziale.

Dai dati Inps più recenti e completi disponibili (III Rapporto su immigrati e previdenza), risulta che nel 2004 gli stranieri iscritti ai ruolini pensionistici erano 1.537.380, e cioè meno della metà  del totale degli immigrati di allora. Non cambia la situazione nel 2010, quando - secondo la Caritas - gli iscritti all’Inps sarebbero circa due milioni, e cioè circa il 40% dei regolari. Questi versano un totale di 7,5 miliardi in contributi previdenziali; nel 2007 le pensioni erogate erano 294.025 con una spesa annua di 2 miliardi e 564 milioni. Oltre a queste c’è una cifra imprecisata ma piuttosto alta per prestazioni sociali d’altro genere. Ci sarebbe così un saldo attivo di qualche miliardo. Occorre notare che il bilancio è migliorato da quando è stata soppressa la facoltà prima concessa agli immigrati di farsi rimborsare i contributi versati in caso di rimpatrio, rafforzando la tendenza a permanere in Italia.

I DATI NON TORNANO
Per essere un gruppo sociale la cui presenza viene giustificata come “forza lavoro”, occorre notare come la percentuale di stranieri che pagano i contributi previdenziali sia sospettosamente bassa. Questo significa che la più parte di loro non paga i contributi sociali perché lavora in nero, o evade, o non lavora affatto, o fa “lavori” (criminalità, droga e prostituzione) che non hanno vocazione né possibilità di essere assoggettati a contributi.

I numeri non tornano. Comprendendo anche gli irregolari, meno di un terzo degli stranieri versa contributi previdenziali: una percentuale inferiore a quella del totale degli italiani al di sotto dei 65 anni (39.318.000 nel 2010)  che sono regolarmente occupati (più di 21 milioni), e cioè il 54,7%. Risulta perciò piuttosto evidente (e preoccupante) che l’attuale attivo del bilancio previdenziale degli stranieri sia rapidamente destinato a esaurirsi (salvo una crescita esponenziale degli immigrati e una irrealistica dilatazione del mercato del lavoro) e che perciò la presenza degli stranieri non risolverà ma aggraverà i problemi pensionistici.  É del tutto falso affermare che gli stranieri pagheranno le nostre pensioni: lo fanno in parte marginale oggi per la loro età media più bassa, ma impoveriranno ulteriormente in avvenire le sempre più esigue risorse del paese.

di Gilberto Oneto

 http://www.libero-news.it/news/839250/Le-balle-sugli-immigrati-loro-una-risorsa-E--falso.html 
 
 
postato da: sebastia11 alle ore 17:43 | link | commenti (4)
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mercoledì, 05 ottobre 2011

Nanni De Angelis

  http://www.ladestra.altervista.org/deangelis.htm 


Roma, 5 OTTOBRE 1980, viene "suicidato" il camerata NAZARENO DE ANGELIS detto NANNI (21 anni. Contro di lui fu spiccato un mandato di cattura per Terza Posizione, sfuggito all'arresto il 23 settembre. Viene bloccato il 4 ottobre, insieme a Luigi Ciavardini (17 anni).
Gli agenti riescono ad immobilizzare Ciavardini, ma non riescono ad atterrare NANNI. Lo colpiscono alla testa con le pistole, poi lo ammanettano ad un lampione e lo stordiscono a calci. Testimoni oculari riferiranno di aver visto un gruppo di persone prendere a calci un giovane disteso per terra. All'arrivo in Questura lo ammanettano ad una sedia e continuano a sbattergli la testa al muro. Lo portano all'ospedale, delira. per ordine del magistrato lo riportano in cella nonostante il referto medico indichi chiaramente le percosse subite da Nanni.
Lo trasferiscono in isolamento dove lo trovano impiccato dopo un po' di tempo.
Su questa tragica vicenda, dopo qualche mese c'è stata un interrogazione parlamentare, ad opera del Senatore Michele Marchio, ora scomparso intitolata "In memoria di un Camerata innocente che il regime ha fatto suicidare"
La versione ufficiale dirà che si è impiccato...
Un lungo commento a questo tragico evento si trova in un libro recentemente uscito, "Noi Terza Posizione" di G. Adinolfi e R. Fiore edito dalle edizioni Settimo Sigillo.
Nanni
C'era un grande guerriero
con lo sguardo sereno
che giocava con te.
Combatteva senz'armi
era senza cavallo
ma è lo stesso per te.
Ora è partito ma ritornerà
tornerà quando tu chiamerai.
Ora è partito ma se lo vorrai
tornerà quando sogni da te.
Era forte era grande
ma non era cattivo
lui correva con te.
Chi è cattivo ha paura
chi e troppo forte paura non ha.
Nanni è partito a combattere chi
quel mondo dove il gioco non c'è.
Nanni è partito ma ritornerà
tornerà quando tu chiamerai.
L'orco lo fece prigioniero
e una porta per scappare lui non la trovò
e allora divenne un uccello
che attraverso le sbarre nel cielo volò.

Nanni è partito ma ritornerà
tornerà quando tu chiamerai.
Nanni è partito ma se lo vorrai
tornerà quando sogni da te.  

CAMERATA NANNI DE ANGELIS PRESENTE!
postato da: sebastia11 alle ore 15:11 | link | commenti
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LA CLASSE POLITICA TUTTA ALLINEATA

di Piero Puschiavo


  Progetto Nazionale Trieste
 Progetto Nazionale Trieste 

 
www.progettonazionale.it www.pieropuschiavo.it  
Il dibattito sulla nomina del nuovo Governatore della Banca D’Italia, o meglio di Bankitalia s.p.a., sta tenendo banco tra i partiti di governo e opposizione; ognuno con le proprie proposte su nomi scelti in base a chissà quali esigenze tra le quali l’assurda provenienza o residenza geografica.
Tutti discordanti sui successori ma tutti allineati su un unica tesi: alla Banca d’Italia deve essere garantita autonomia ed indipendenza.
E' chiaro quindi che i parlamentari italiani tutti siano sempre più camerieri dei banchieri, visto che nessuno, dico nessuno, ha avanzato l’idea che per sanare una catastrofica situazione economica, già riscontrata anni addietro, occorre far tornare nelle mani dello Stato, sotto il controllo del Governo, proprio l’organo più importante e determinante del sistema economico.
La storia, quella che in troppi hanno dimenticato, ci insegna che una crisi economica come quella che stiamo attraversando si  affronta esclusivamente attraverso l’emissione monetaria diretta da parte della Stato, attraverso la Banca di Stato relegata al puro svolgimento delle sue funzioni, sotto lo stretto controllo del Ministero del Tesoro.

Posizioni queste che credo siano a conoscenza degli addetti ai lavori (anche se il dubbio rimane), ma che non trovano voce per mantenere quell' equilibrio di interessi privatissimi che oggi sono alla base della politica, a spese di un popolo incapace di reagire. 



 
postato da: sebastia11 alle ore 09:09 | link | commenti
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