Afghanistan, l'addio al caporal maggiore Tuccillo
La bara avvolta nel tricolore del caporal maggiore capo Gaetano Tuccillo, ucciso in Afghanistan, é stata portata a spalla dai commilitoni fuori dalla basilica di Santa Maria degli Angeli, dove si sono appena conclusi i funerali, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e delle massime autorità dello Stato. Sul sagrato, al militare caduto sono stati resi gli onori da parte di un picchetto militare. La bara, preceduta dalla corona d'alloro del presidente della Repubblica e dal cuscino con sopra il cappello e le decorazioni del soldato è stata quindi messa a bordo del carro funebre: quando è partito - alla volta della Campania, dove si svolgeranno i fuenrali in forma privata - il feretro è stato salutato da un applauso della piazza.
Prima di essere messa a bordo del carro funebre, la bara ha ricevuto la benedizione dell'arcivescovo militare, Vincenzo Pelvi. I familiari del soldato ucciso si sono inchinati per baciarla. Al termine, il papà, la mamma e la moglie di Tuccillo sono stati salutati ancora una volta con un bacio dal capo dello Stato Napolitano.
E' una basilica di Santa Maria degli Angeli gremita quella in cui l'ordinario militare monsignor Vincenzo Pelvi sta celebrando i funerali di Gaetano Tuccillo, il caporal maggiore capo ucciso in Afghanistan. Nelle prime file, da una parte, i familiari del militare, affranti: la mamma, il papà, che a stento trattiene le lacrime, la moglie sposata da meno di un anno, gli altri parenti. Dall'altra le massime autorità dello Stato: insieme al presidente Napolitano, a Fini, Schifani, Berlusconi e La Russa, anche il vicepresidente della Corte Costituzionale Maddalena, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Letta, i capi di Stato maggiore della Difesa e dell'Esercito, Abrate e Valotto, la governatrice del Lazio Polverini, oltre al parlamentare del Pdl Gianfranco Paglia, ex parà della Folgore costretto su una sedia a rotelle dopo essere stato ferito in Afghanistan. Molti i parlamentari e gli esponenti di Governo presenti, molte le autorità militari. Nella chiesa, tra gli altri, anche l'ambasciatore Usa David Thorne. La bara, avvolta nel Tricolore, è sistemata accanto all'altare. Sopra è appoggiata la foto di un Gaertano Tuccillo sorridente. Davanti, su un cuscino, il cappello e le decorazioni.
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è giunto alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma, per i funerali di Gaetano Tuccillo, il militare ucciso in Afghanistan. Insieme a Napolitano il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Entrato in chiesa, il capo dello Stato ha salutato con un abbraccio e un bacio sulla guancia i parenti del soldato, in prima fila.
Una piazza mesta ha atteso il feretro di Gaetano Tuccillo davanti la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma. A omaggiare il soldato ucciso sabato scorso in Afghanistan è giunto anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Presenti anche il presidente della Camera Gianfranco Fini e il presidente del Senato Renato Schifani. Tra i politici Lorenzo Cesa. Presente anche la governatrice del Lazio Renata Polverini. Il temporale di stamani si è placato ma il grigiore del cielo sembra adeguarsi a una giornata di dolore
L’Italia è una Nazione lenta.Con il suo secolo e mezzo di storia, non ha imparato ancora a correre, a modernizzarsi, a velocizzare decisioni e movimenti.
Dapprima ingessata dalla sontuosa monarchia sabauda, oggi statico ostaggio della democrazia burocratica, dei sindacati e dei “piangina” moderni.
Perché il freno di questo Paese è il suo Popolo, abituato a lamentarsi col Governo, di qualsiasi colore esso sia, avvezzo ad ostacolare un qualsiasi ammodernamento, un Popolo “autistico” nel proprio modo di agire e di pensare in merito alla cosa pubblica (res pubblica, ndr).
Eppure siamo il proverbiale popolo di poeti, artisti, eroi, Santi, pensatori, scienziati, navigatori e trasmigratori! Cosa ci succede? Cosa fa sì che una ferrovia, che rappresenta il mezzo di trasporto più ecologico in assoluto, in una valle piemontese di confine, crei un problema di ordine pubblico a livello nazionale?
E’ questione di cultura o, meglio, di non cultura.
Esistono forze che, per “cultura”, sono avvezze ad esser contrarie a qualsiasi decisione presa dai Governi; in nome della libertà, della democrazia, dell’ecologia e – soprattutto – del “popolo lavoratore”, esercitano un’azione di agitazione delle masse (trovando in realtà consensi solo in minoranze), trovando motivazioni plausibili all’agitazione popolare, fomentando all’azione dimostrativa pacifica per poter inserire quella destabilizzatrice del proprio braccio armato.
Non ho paura a dire che questi “liberi pensatori” sono i sovversivi di sempre, sono quella cerchia di intellettualoidi repressi e politici di professione che possiamo genericamente definire “comunisti” mentre, il loro braccio armato è rappresentato da quella feccia di viziati radical-chic che bazzicano i centri sociali.
Per questi signori e signorini, la Nazione deve faticare a decollare: non può lanciare un treno ad alta velocità verso la Francia come verso ogni dove; in nome di chissà quale remora ecologista non è consentibile costruire strade o ferrovie, salvo poi lamentarsi della precarietà del lavoro e della situazione economica instabile che avversa le Aziende Italiane.
Non faticano ad attaccare fisicamente cantieri gremiti di operai, lavoratori delle forze dell’ordine, negozi privati, ecc… salvo poi autoproclamarsi difensori dei diritti dei lavoratori.
Serve un cambio di velocità al Bel Paese, non solo nei trasporti ferroviari, ma su tutti i fronti! Necessitiamo di volgere la nostra mentalità al bene comune e alla crescita del paese, cercando di capire che non si può rimanere immobili su tutti i fronti, che svecchiare ogni aspetto della Vita pubblica, delle istituzioni e delle Aziende Italiane è necessario alla crescita culturale ed economica del nostro Popolo.
Ben venga la ferrovia della val di Susa, ben vengano altre utili ferrovie moderne!
Non si può permettere ad una sparuta minoranza di reietti retrogradi di fermare il Paese! Che si usino tranquillamente il pugno duro e il bastone per calmare i bollenti spiriti della sovversione.
Viva l’Italia ad Alta Velocità!
Luca Battista
Franca de Candia, vittima dell'usura nonché dell'indifferenza dello Stato... è da 10 giorni che, sotto al Viminale, è in sciopero della fame e dei farmaci che l'aiutano a restare in vita. Per non interrompere la protesta, ha rifiutato il ricovero che l'un...ità medica di pronto intervento le aveva caldamente consigliato, viste le sue precarie condizioni di salute. Franca ha subito usura ed ogni sorta di violenza...è stata minacciata, picchiata e stuprata, ma si è ribellata ed ha sporto denuncia, ha rivendicato l'inviolabilità della sua condizione di essere umano, di donna, di cittadino. A causa di tutto ciò, in seguito ha avuto 3 infarti e 2 ischemie...una Donna provata nel corpo e nello spirito! Questa la sua storia: http://www.facebook.com/note.p hp?note_id=10150211972866732 Dopo i plausi, i complimenti ed una solidarietà fasulla e di facciata, terminati gli squilli di tromba, finite le passerelle e spenti i riflettori, dove c'è stato anche chi ha scritto un libro speculando sulla sua storia, le Istituzioni ed i politicanti l'hanno lasciata sola, abbandonandola al suo destino di disagio ed indigenza. Con un semplice atto di burocrazia, con una sterile Circolare, lo Stato oggi discrimina le vittime di usura da crimine organizzato da quelle di comune delinquenza, creando di fatto vittime di serie A e di serie B. La Destra, Partito fortemente impegnato nel sociale, non rimane sorda a questo suo urlo di dolore ed alle sue istanze. E’ nostro dovere morale rispondere a questo appello: siamo sin dal primo giorno, con l’ANVU (Associazione Nazionale Vittime dell’Usura), in strada per sostenere Franca nella sua lotta e sensibilizzare media ed opinione pubblica, affinché premano sulle istituzioni, perché si facciano carico di trovare le soluzioni finora millantate. Come Dirigente delle Pari Opportunità dico: DIAMO A FRANCA L’OPPORTUNITA’ DI POTER VIVERE DIGNITOSAMENTE! Grazie a quanti oggi, secondo le proprie possibilità, ruoli e competenze, si sono spesi per Franca. Grazie!
CARBURANTI: DA OGGI AUMENTO ACCISA 4 CENT PER EMERGENZA IMMIGRATI
ASCA) - Roma, 28 giu - Da oggi le accise su benzina e gasolio sono aumentate di 4 centesimi al litro per ''fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale determinato dall'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti a Paesi del Nord Africa''.
Lo ha stabilito l'Agenzia delle Dogane, secondo quanto rileva la Staffetta Quotidiana.
Le nuove accise aumentano per la benzina a 611,30 euro per mille litri (da 571,30 euro per mille litri) e per il gasolio a 470,30 euro per mille litri (da 430,30 euro per mille litri). Il tutto da oggi fino al 30 giugno, perche' dal 1 luglio entreranno in vigore anche i nuovi aumenti previsti dal decreto sul fondo unico dello spettacolo. Dal 1 luglio al 31 dicembre 2011 le accise saliranno ancora a 613,20 euro per mille litri per la benzina e 472,20 euro per mille litri per il gasolio
Grande Ungheria
di GABRIELE ADINOLFI
Alla vigilia della visita a Budapest di Hillary Clinton piazza Roosevelt viene ribattezzata e diviene piazza Széchenyi, scrittore, politico e statista nazionalista magiaro del XIX secolo. Una scelta simbolica non da poco che attesta il passaggio da uno stato di subordinazione a quello della fierezza dell'indipendenza. Costernazione e rabbia dei democratici atlantisti, cortigiani frustrati della visitante.
Milano, “La Destra” si oppone al registro delle coppie di fatto in Comune
“No al registro comunale per le coppie di fatto”. Questa la risposta di Eliana Farina, responsabile regionale de La Destra, alla proposta che l’assessore comunale Maiorino ha lanciato ieri partecipando al Gay pride organizzato a Milano. “All’indignazione per il patrocinio alla sfilata di volgarità e insulti ai cattolici di ieri pomeriggio –continua Eliana Farina – aggiungiamo preoccupazione per le promesse della Giunta comunale di Milano.
Il registro comunale per le coppie di fatto è una proposta lanciata da un contesto sbagliato quale il Gay-pride e soprattutto dimostra la volontà di questa amministrazione di voler rappresentare gli interessi di una minoranza per imporla al resto della cittadinanza.
A Milano, la maggioranza dei milanesi crede ancora nella famiglia naturale e chiede,anzi, provvedimenti per incentivare le nuove generazioni a mantenerla tale. A crederci sono anche i cattolici rappresentati in Giunta comunale, che, assecondando l’indirizzo di governo di colleghi come Maiorino, finiscono per essere complici di politiche in evidente contrasto con il proprio credo. Speriamo che riescano finalmente a destarsi, soprattutto dopo aver visto la sfilata di ieri”.
Così Napoli è stata uccisa dalle toghe amiche dell'ex pm de Magistris
È Napoli la disgraziata capitale della Seconda repubblica. Martedì 22 novembre 1994 Silvio Berlusconi, da pochi mesi presidente del Consiglio, è a Napoli per presiedere la Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata. Il Corriere della Sera , quella mattina, apre con una notizia-bomba: il premier è indagato per concorso in corruzione e ha ricevuto un invito a comparire dalla Procura di Milano. Sembra una trama scritta da uno sceneggiatore mediocre, che esagera le coincidenze per impressionare lo spettatore: Napoli, la criminalità organizzata, l’inchiesta della Procura di Milano e il suo tempismo perfetto, la fuga di notizie, il processo mediatico.
E invece è tutto clamorosamente vero, accade sul serio, e dopo quel fatidico 22 novembre continuerà ad accadere senza sosta per i diciassette anni a venire, in un loop testardo e ossessivo che ha dapprima imprigionato e poi consunto e stremato il nostro Paese. In quel lontano novembre sindaco di Napoli ( da appena un anno) era Antonio Bassolino, eletto nell’autunno dell’anno precedente in una tornata amministrativa che, proprio come quella del mese scorso, segnò una netta vittoria del centrosinistra e creò l’illusione di un facile trionfo alle successive elezioni politiche. Da allora Bassolino non se ne è più andato e, prima come sindaco e poi come governatore, ha costruito, fortificato e diffuso un sistema di potere che ha pochi eguali nelle amministrazioni locali. Bassolino, del resto, è stato un ottimo sindaco, e il suo primo mandato si concluse trionfalmente: il «rinascimento napoletano » era diventato un modello di virtù civili e di buona amministrazione.
Fu la giunta Bassolino a inventarsi i titoli di credito comunali e, quel che più conta, riuscì a convincere la comunità finanziaria internazionale ad acquistarli. Non è facile indicare il momento in cui il vento cambia, e la spinta propulsiva bassoliniana rallenta fino a impantanarsi nel «bassolinismo ». Di certo la monnezza, oggi di nuovo a livelli paurosi, ha avuto un ruolo essenziale. E con la monnezza, naturalmente, anche la camorra e la Procura. Il servizio per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti è stato commissariato nel lontano 1994 -di nuovo,all’alba della Seconda repubblica - e per diciassette anni si sono alternati commissari tanto autorevoli (da Umberto Improta allo stesso Bassolino, da Gianni De Gennaro a Guido Bertolaso) quanto evidentemente incapaci. I governi di centrodestra e di centrosinistra hanno fatto la loro parte per contribuire al disastro, mentre il caos di competenze fra il Comune di Napoli, i Comuni limitrofi, la Provincia e la Regione anziché sciogliersi grazie al commissariamento si è nel corso del tempo aggravato.
Nel 2001 scoppia la prima crisi: alcune discariche vengono riaperte, convogli di rifiuti partono per la Germania, altre Regioni accolgono parte della monnezza da smaltire. Finita l’emergenza (a palazzo Chigi c’è Berlusconi, sindaco di Napoli è Rosa Russo Iervolino, mentre Bassolino presiede e presidia la Regione), nessuno si occupa di rimuoverne le cause. Così sei anni dopo le discariche esplodono, e i rifiuti cominciano a riempire Napoli. Al governo questa volta c’è Prodi (stessa formazione, invece, in Comune e Regione), che prepara un piano d’emergenza. Ma i rifiuti affogano la città, e proprio su quell’immagine devastante, replicata all’infinito da tutte le televisioni del mondo, Berlusconi costruisce buona parte del suo successo elettorale. I primi passi del nuovo governo sono brillanti e coronati da un vistoso successo: come promesso, Berlusconi ripulisce Napoli. L’inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra diventa il simbolo dell’emergenza finita. Ma così non è: e oggi - per colpa di Berlusconi e di Prodi, di Bassolino e della Russo Iervolino, dei commissari straordinari e dei presidenti della Provincia, e anche, per la quota che loro spetta, del neogovernatore Caldoro e del neosindaco De Magistris - assistiamo a un’emergenza senza precedenti né apparenti rimedi.
Perché la politica non è stata capace di risolvere un problema che non soltanto a Bolzano, ma anche nella vicinissima Salerno non si è mai posto? E perché mai da diciassette anni si parla insistentemente della camorra, del suo coinvolgimento diretto nella gestione del ciclo dei rifiuti, delle sue infiltrazioni a vari livelli (lo ha ripetuto anche De Magistris), e nessun magistrato è mai stato capace di venire a capo di niente? Diverse Procure campane sono intervenute sul termovalorizzatore di Acerra e in genere sulla questione rifiuti. Sono stati avviati molti processi e ci sono stati diversi arresti (tra cui, a gennaio, un prefetto e l’ex vice di Bertolaso). La Procura di Napoli, dopo una lunga indagine, ha rinviato a giudizio 28 presunti responsabili di truffa aggravata, falso e abuso di ufficio, tra cui Bassolino, alcuni vicecommissari e manager dell’Impregilo.
Ma di camorristi, a parte i racconti di Saviano, neppure l’ombra. Sarà un’impressione,ma la magistratura partenopea sembra più interessata ai politici (che certo avranno le loro responsabilità) che ai poteri criminali. E infatti oggi si occupa con zelo di un’altra monnezza: quella che tonnellate di intercettazioni senza alcuna rilevanza penale stanno riversando su donne e uomini non indagati né sospettati di nulla.
DIAMO FORZA ALLA DESTRA SOCIALE
BUONO CASA PER LE FASCE PIU’ DISAGIATE
Per quel che riguarda il Buono casa 2009, l’Assessorato alle Politiche per la Casa della Regione Lazio ha fatto tutto ciò che doveva, dallo stanziamento dei fondi (pari a quelli relativi al 2008), fino all’espletamento degli atti. L’iter si è concluso una decina di giorni fa e adesso sarà la Tesoreria regionale a erogare materialmente i fondi al Comune di Roma, che, a sua volta, pagherà agli idonei il contributo all’affitto dell’anno 2009.
Pur in presenza di tagli da parte dell’esecutivo nazionale, la Regione ha mantenuto lo stesso stanziamento dell’anno precedente e cercherà di fare altrettanto per il Buono casa 2010, anche se dal 2010 il governo ha previsto l’abolizione del contributo. Se vorremo mantenere il Buono casa anche per il 2010 dovremo, dunque, produrre uno sforzo finanziario davvero notevole, ma siamo consapevoli che si tratta di uno sforzo necessario, per andare incontro alle fasce più disagiate della popolazione.
http://www.teodorobuontempo.it/
Un nuovo libro di Daniele Lembo sulla colonizzazione e sui profughi dalla Libia
“LIBIA ITALIANA – Italo Balbo, l’esercito dei ventimila e la colonizzazione demografica della Libia” Un nuovo libro di Daniele Lembo edito dalle Edizioni Bibliografiche Napoleone di Roma
Nel gennaio 1970, alla presidenza della Repubblica Araba di Libia, viene eletto il colonnello Muammar Gheddafi. In realtà, il colonnello ha preso il potere l’anno prima togliendolo con la forza al legittimo re Idris I.
Molte cose in Libia saranno destinate a cambiare, soprattutto per gli italiani.
Il colonnello, avvierà un programma incentrato su un rigido nazionalismo, con l’intenzione di fare della Libia un elemento catalizzatore del mondo arabo e di assumerne la guida. Nel tentativo di realizzare questo programma, saranno chiuse le basi militari inglesi e statunitensi nel paese, saranno nazionalizzate le attività estrattive petrolifere e le maggiori industrie.
Passeranno pochi mesi e, il 21 nel luglio, saranno confiscati tutti i beni di proprietà italiana in Libia. Sarà un vero e proprio saccheggio che, da solo, frutterà al Governo libico qualcosa come 4.000 ettari di terreni con 714.000 olivi, 245.000 piante di agrumi, 184.000 piante di mandorlo, 1.000.000 di tralci di uva, 4.000 ville, 765 appartamenti, 468 edifici, 727 tra veicoli industriali e trattori agricoli, 265 officine e 50 industrie. A tutto ciò si aggiungono gli oggetti di valore confiscati nelle case degli italiani. Si calcola che si tratti di beni per circa 400.000.000.000 (quattrocento miliardi) di lire, al valore del 1970.
Il Governo di Gheddafi passerà poi all’espulsione di circa 20.000 italiani, obbligandoli a lasciare il paese entro il 15 di ottobre dello stesso anno.
Ma come e quando sono arrivati quegli italiani in Libia?
Molti sanno che il regime fascista procederà in Italia alla bonifica di migliaia di ettari. Le terre bonificate saranno poi divise in poderi e assegnate a coloni. Come centri di servizio di quei comprensori di poderi nasceranno delle città di fondazione.
Nella sola Piana Pontina, assieme a 5.000 poderi, sorgeranno cinque nuove città e 16 Borghi rurali. La bonifica pontina è forse la più nota, ma va di pari passo con analoghe bonifiche che avvengono lungo tutto lo stivale.
L’opera di bonifica terriera in Italia, da parte del regime fascista, è cosa ampiamente nota. Ciò che è invece ignoto ai più è che un’identica operazione sarà fatta nei territori italiani della “Quarta Sponda”: la Libia.
Di questa grandiosa operazione, ampiamente sottaciuta, tratta Daniele Lembo nel suo Libro “LIBIA ITALIANA – Italo Balbo, l’esercito dei ventimila e la colonizzazione demografica della Libia” edito quest’anno dall’Istituto Bibliografico Napoleone di Roma.
Se in Italia si bonifica dall’eccesso d’acqua, nei territori libici si affronta il problema inverso a quello degli acquitrini, bonificando dalla siccità, grazie alla scoperta dell’acqua artesiana, falde acquifere dalle quali, una volta scavato, l’acqua risale spontaneamente in superficie.
Anche in Libia i terreni bonificati saranno divisi in poderi ma, invece, di nuove città, saranno costruiti, come centri di servizi delle aree bonificate, dei villaggi di fondazione. E’ così che nasceranno i villaggi: Oliveti, Bianchi, Micca, Breviglieri, Littoriano, Giordani, Tazzoli, Marconi, Crispi, Garabulli, Garibaldi, Corradini, Castel Benito, Filzi, Baracca, Maddalena, Sauro Oberdan, D’Annunzio, Mameli, Razza, Battisti, Berta, Luigi di Savoia e Gioda.
Dal 1934 Governatore della Colonia Libica è un uomo d’eccezione: il trasvolatore Italo Balbo. E’ proprio Balbo che, tra il 1938 e il 1939, in due migrazioni di massa, farà arrivare dall’Italia migliaia di famiglie di coloni, assegnatarie dei poderi.
Nell’operazione di colonizzazione demografica italiana c’è una rivoluzionaria novità: il regime fascista non tratta le popolazioni libiche autoctone come una razza inferiore da sfruttare ma, riconosciuta loro la cittadinanza italiana, gli riserva lo stesso trattamento dei nazionali. Ai libici, come agli italiani, saranno distribuiti poderi da coltivare. Anche per loro, inoltre, saranno costruiti villaggi rurali libici, questa volta dai nomi arabi: El Fager (Alba), Nahima (Deliziosa), Azizia (Profumata), Nahiba (Risorta), Mansura (Vittoriosa), Chadra (Verde), Zahra (Fiorita), Gedida (Nuova), Mahhmura (Fiorente) e El Beida (la Bianca).
Il libro Daniele Lembo narra di come il sogno libico finirà nel 1970 quando il colonnello Gheddafi, assurto al potere, caccerà tutti gli italiani dalla Libia. Da quel momento in poi, il “Colonnello” non farà altro che chiedere all’Italia presunti danni di guerra.
Tutto ciò, dimenticando che gli italiani hanno costruito in Libia edifici pubblici, ospedali, strade, ponti, acquedotti, fognature, ferrovie, porti e, soprattutto, strade. Ne citeremo una per tutte: litoranea “Balbia”, inaugurata nel 1937 e che corre per oltre 1800 km dal confine egiziano a quello tunisino.
I nostri connazionali, esiliati dalla Libia, si vedranno trasformati in profughi. Ritornati in Italia si ritroveranno, tristemente, stranieri in Patria.
Scrive Lembo nella prefazione del suo libro:
“quegli italiani cacciati dalla Libia, tornarono nell’unico posto nel quale si sentivano sicuri. Rientrarono a casa. Pensavano che, in Italia, la gente del loro stesso sangue li avrebbero accolti a braccia aperte. Pensarono male.
Appena sbarcati nei porti italiani, qualcuno di loro trovò ospitalità da qualche parente, ma la maggior parte finì nei campi profughi. Cosa fossero i campi, meriterebbe un trattato a parte. Fu come mettere i polli nella stia. Stessa situazione, stessi spazi, identico ambiente domestico di un pollaio.
Oggi sono in molti a impietosirsi – o almeno a far mostra di essere impietositi – vedendo le condizioni dei campi per extracomunitari e dai campi zingari, chissà all’epoca quanti si chiesero come vivevano quegli italiani cacciati dalla Libia, in quei campi sparsi per l’Italia?
Quella gente aveva perso i beni e la casa ma, soprattutto, estirpata dai luoghi ove era nata o dove aveva lavorato per una vita, era stata privata delle amicizie e degli affetti. …(…)… I grandi erano spauriti e i piccoli leggevano negli occhi di madri e padri una sofferenza senza fine. Derubati di tutto dai predoni del deserto, arrivarono in Italia come animali spaventati.
L’Italia, che non aveva saputo o non aveva voluto tutelarli in Libia, non seppe offrire loro che i pollai dei campi profughi. Più di quelle gabbie per bestie, fu una parola, appiccicata loro addosso, a ferirli più di tutto: profugo.
Un termine che nascondeva una specie di zona grigia, nella quale venivano confinati questi ospiti non graditi.
Al termine profugo se ne affiancarono molti altri, come beduino e africano. Qualche comunista rampante, all’epoca andavano molto di moda, non ci pensò due volte a definirli anche fascisti. Provenivano da una delle ex colonie italiane, quindi dovevano essere fascisti per forza.
La storia degli italiani di Libia è stata, per troppi anni, volutamente dimenticata. Gli “africani” rimpatriati erano scomodi alle nostre coscienze e alle nostre finanze.
Lo Stato italiano avrebbe dovuto difenderli, non permettendo che il Governo libico li privasse di ogni bene. Sarebbe bastato fare anche un modesto atto di forza, anche solo mostrare i muscoli. Era sufficiente che la Marina Militare italiana si presentasse in forze davanti Tripoli. Invece, nulla fu fatto. Quella che doveva essere la Patria, aveva lasciato i suoi figli in balia dei libici e il tutto, solo per quieto vivere.
Gli esuli dalla Libia, poi erano fastidiosi alle nostre finanze perché pretendevano, giustamente, che qualcuno li rimborsasse dei beni loro sottratti.
Troppo a lungo si è scelto di nascondere le loro storie nel pozzo più profondo della nostra coscienza nazionale. Questo libro è dedicato a quei “santi, poeti, eroi, navigatori e trasmigratori” che, nella prima metà del ventesimo secolo, giunsero in Tripolitania e Cirenaica e trasformarono la sabbia e le pietre del deserto in campi arati e rigogliosi.
Ecco, questo fecero gli italiani in Liba: coltivarono lì dove prima c’erano solo sassi…
Daniele Lembo
LIBIA ITALIANA – Italo Balbo, l’esercito dei ventimila e la colonizzazione demografica della Libia
Edizione Istituto Bibliografico Napoleone – Roma
Pagg. 138 Euro 14
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