martedì 22 novembre 2011

giovedì, 20 ottobre 2011

Quattro banche hanno il 95,9% dei derivati USA: una bomba a orologeria  




Volete sapere le vere ragioni per cui le banche non stanno prestando e per cui i PIIGS hanno ancora il controllo della situazione?Perché il rischio del mercato dei derivati da 600 trilioni di dollari di derivati non si è ancora materializzato. Al contrario, si sta sempre più concentrando in una serie di banche selezionati, specialmente qui negli Stati Uniti.
Nel 2009 cinque banche detenevano l’80% dei derivati dell’America. Ora, solo quattro ne hanno uno sbalorditivo 95,9 per cento, secondo un recente resoconto dell’ Office of the Currency Comptroller.Le quattro banche in questione sono: JPMorgan Chase & Co. (NYSE: JPM), Citigroup Inc. (NYSE: C), Bank of America Corp. (NYSE: BAC) e Goldman Sachs Group Inc. (NYSE: GS). I derivati hanno giovato un ruolo cruciale nell’affossare l’economia globale, quindi si potrebbe pensare che i più importanti decisori mondiali abbiano imbrigliato tutto ciò, ma non lo hanno fatto. Invece di attaccare il problema, i controllori lo hanno lasciato andare fuori controllo e il risultato è una bomba a orologeria da 600 trilioni di dollari, chiamata il mercato dei derivati. Pensate che io stia esagerando? Si stima che il valore di facciata dei derivati mondiali sia superiore ai 600 trilioni di dollari. Il valore di facciata, naturalmente, è il valore totale degli asset scambiati con la leva finanziaria
 
Questa distinzione è necessaria, perché quando si parla di asset in leverage come le opzioni e i derivati, una piccola somma di denaro può controllare una posizione spropositatamente larga che può essere 5, 10, 30, o in qualche caso estremo 100 volte maggiore dell’investimento che potrebbe essere utilizzato in strumenti a pronti. Il PIL mondiale è circa 65 trilioni di dollari, o circa il 10,83% del valore globale del mercato dei derivati, in base all’Economist. E quindi non ci sono in pratica abbastanza soldi sul pianeta per fermare gli scambi tra le banche di questi strumenti se dovessero finire nei guai.
 
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18.10.2011
postato da: sebastia11 alle ore 14:02 | link | commenti
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GORLA 20 OTTOBRE 1944

  


 
20 ottobre '44. le bombe anglo-americane massacrano 206 bambini nelle elementar...i
di gorla, a milano. solo tra il 7 e l'8 agosto più di 1000 morti civili a
milano causati dai bombardamenti di quelli che continuate a chiamare
"liberatori".
 
 
Erano le 11,24 - una formazione di circa 40 quadrimotori angloamericani si portò sulla città per colpire gli insediamenti industriali presenti che si temeva celassero delle produzioni belliche (BREDA, FALCK, PIRELLI, ALFA ROMEO ed altri).
D.........elle tre squadre che componevano il gruppo d'attacco la prima venne messa fuori gioco per un inconveniente tecnico, la seconda fu la sola che riuscì a colpire la BREDA mentre la terza, non si sa per quale motivo si trovò fuori rotta di 22 gradi; il comandante resosi conto troppo tardi aveva solo due possibilità: o proseguire in quella direzione liberandosi del carico in aperta campagna oppure sganciare immediatamente, sulla città, anche se sotto di lui non c'erano obiettivi militari ma solo abitazioni civili. Decise per la seconda soluzione, che era già cinica, ma il destino volle che un grappolo di bombe centrò una scuola elementare dove si stavano svolgendo le normali lezioni uccidendo 206 piccoli angeli.
Camerata ferro

C cccccc

postato da: sebastia11 alle ore 09:28 | link | commenti
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mercoledì, 19 ottobre 2011

ELIGIO E TROTA

 
Povero Umbertone, che tanti anni dopo gli tocca tornare a farsi paladino antifascista….
Tutto sommato fa sorridere questa impennata celodurista – in verità tutta da dimostrare – nei confronti di chi viene da destra. Anche perché se li respinge tutti, resta senza movimento….
Adesso, nella crociata contro Tosi, sindaco di Verona, e altri come lui, il leader della lega tira in ballo i fascisti, An, La Destra, in una confusa “spiegazione” di quello che accade a casa sua. Si dice che gliel’abbiano suggerita quelli del cerchio magico, quelli stretti stretti, i trotisti di Renzo (l’amato figliolo, e ci mancherebbe).
I guai leghisti derivano, affermano, da infiltrazioni da destra nel partito. Quindi, chi e’ di destra e sta li’ e’ una specie di infiltrato, uno spione, una canaglia. Bene, vorrà dire che faranno meglio a sloggiare e a tornare alla casa madre.
Anche perché a Umbertone stanno passando informazioni sballate. A partire da quella su un tale per il quale sarebbe stato imbastito una specie di processo nella solita federazione di Varese. Si chiama Eligio Castoldi, gli epurati dalla federazione locale stavano indagando su di lui e gli 007 in maniche di camicia verde avevano scoperto che si trattava di un pericoloso estremista appartenuto – leggo sui giornali – “alla Destra di Storace”. Confermo che si tratta di un soggetto da cui guardarsi bene. E’ talmente pericoloso che deve aver distrutto lo schedario del nostro movimento perche’ di costui non esiste traccia tra i nostri iscritti degli anni scorsi. Oppure, piu’ semplicemente, Bossi l’hanno fatto fesso, hanno inventato la manovra di quelli che poi ha cacciato e tra poco apparirà il cartello “sei su scherzi a parte”.
Ma una sculacciata a tuo figlio, Umberto, quando gliela dai? Si accontenti dello stipendio regionale e non rompa le palle. Che la politica e’ una cosa seria, molto, per lasciarla fare ai bambini viziati. Spiegagli, ad esempio, che senza i nostri voti, Roberto Cota non sarebbe mai diventato governatore del Piemonte.
Come si dice grazie dalle vostre parti?


http://www.storace.it/ 





 
postato da: sebastia11 alle ore 17:51 | link | commenti (2)
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SOROS, LAUREATO TRA LE PROTESTE


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BOLOGNA - George Soros sorride a tutti. Manovra dodici miliardi di dollari, anche se dice che per vivere gli bastano venti milioni. La sua grande fortuna sono le manovre sulle valute. E' un filantropo, spende miliardi per il Terzo Mondo e i paesi dell' ex-comunismo: predica la "società aperta" del suo maestro Karl Popper. Si dipinge così: "Sono un uomo di Stato senza Stato. Nel realismo della geopolitica, ormai gli Stati sono fatti solo di interessi e non di principi. Io allora sono un capo con solo i principi e senza interessi". Soros è uno dei più grandi finanzieri del mondo e ieri a Bologna, nella più antica università del mondo, gli hanno dato la laurea honoris causa. In economia. Festa di professori, banchieri, industriali. Ma anche un abbozzo di contestazione. Succede che uno dei Creso della terra sia attaccato, nella città pur sempre "rossa", dalla destra, ex o neofascista, che lo accusa di essere uno "speculatore", "l' alfiere di un capitalismo senza scrupoli e senza patrie". Mazurke nel gran ribaltone del mondo? Un attimo, dicono due alfieri italiani del capitalismo temperato: Romano Prodi e Stefano Zamagni, responsabile dell' Ulivo per le politiche sociali e le risorse umane. Ecco Prodi, a fianco di Soros, presentarne l' ultimo libro, riprenderne la necessità di "regole" nel mercato finanziario mondiale. "Le contestazioni sono incoerenti. Fanno ridere. Non hanno letto il libro". Ecco Zamagni, preside di Economia, stizzirsi: "E' una montatura. I soldi li ha fatti nel rispetto delle leggi". Tutti a riconoscere l' importanza della "Open Society Fund" creata da Soros per allargare nel mondo il concetto di democrazia economica e politica, il suo sostegno a università e studenti: 350 milioni di dollari per gli atenei di tutto il mondo, 1.600 miliardi di lire per quelli dell' Europa centrale, per la loro uscita dalle miserie comuniste. Tant' è. Proprio mentre Soros riceve la laurea in aula magna, sugli spalti appare uno striscione. "Niente laurea agli speculatori". Lo brandiscono giovanotti di Alleanza nazionale. Poliziotti li fanno uscire. Un brivido, solo uno in platea. Il rettore Fabio Roversi Monaco indurisce, alza la voce parlando degli "uomini colti" a cui "segnalare i meriti eccezionali che George Soros ha acquisito nel sostegno della cultura". Tant' è. Volantini vengono gettati nell' aula. Alleanza nazionale se la prende con "Bologna e i progressisti" che laureano lo "speculatore". L' Msi-Fiamma tricolore, gli ultimi nostalgici, allargano il tiro a Prodi, "padrino" di "chi affossa la lira". Gli stessi stampati vengono distribuiti nel piazzale lì di fronte, riappaiono al pomeriggio quando Soros-Prodi-Zamagni-Roversi vanno a presentare ad Economia e Commercio il libro del finanziere. Aula strapiena, di studenti e uomini d' affari. Batti mani per tutti. La protesta resta per strada. E quando un giornalista Usa rilancia a Soros l' accusa di "speculatore", lui non batte ciglio. "Non credo di dovermi difendere da nulla. Io ho sempre lavorato secondo le regole del mercato. E spetta ai governi stabilirle queste regole. Io anzi le chiedo, non credo nel laissez faire selvaggio". E se la Bologna politica non si fa vedere, quella degli affari scuote, come i professori, la testa. Giuseppe Gazzoni Frascara, signore di Dietorelle, Idrolitina e calcio, sindaco mancato di una coalizione morbidamente berlusconiana, invita Soros, Prodi, Andreatta, l' ex ministro di Forza Italia Bernini, altri universitari a pranzo a casa sua. "E' ridicolo - dice - contestare un uomo che ha contribuito al crollo del comunismo. La politica si immischia di tutto: per attaccare Prodi, si usa Soros. E' maleducato ed inospitale. Fini certo non sarebbe d' accordo". Guardi che quelli sono uomini suoi e due deputati di An, Gasparri e Parlato, hanno presentato sulla laurea un' interrogazione parlamentare. "Allora, peggio per Fini". - di MARCO MAROZZI

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/10/31/soros-laureato-tra-le-proteste.html 
 
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L'Italia dell'odio, ecco i fomentatori: patto no global-Sel dietro gli scontri

 
Roma - Le violenze di sabato a Roma? Frutto dell’indignazione di una fazione degli italici indignati. Non verso lo Stato, non verso le banche, non verso il «sistema». Bensì verso la parte «pacifica» del corteo. Rea, secondo gli incappucciati, di aver stretto un «patto» elettorale più o meno occulto con Sinistra ecologia e libertà, il partito di Nichi Vendola. La lettura «politica» degli scontri, a lungo rimbalzata in rete, è stata rilanciata ieri dal Corriere della Sera: una parte del movimento antagonista avrebbe accettato senza protestare di marciare lontano dai palazzi del potere in cambio di una manciata di seggi alle prossime elezioni, sotto le insegne di Sel. Candidati in pectore in forza del presunto patto sarebbero, secondo siti e indiscrezioni, l’ex disobbediente Luca Casarini e l’antagonista romano Francesco Raparelli. Verità o fantasia?
Il partito del governatore pugliese smentisce, o meglio precisa, a stretto giro di posta, affidando a Nicola Fratoianni, assessore vendoliano e componente della segreteria nazionale di Sel, la replica. «Il nostro unico patto è quello siglato con le centinaia di migliaia di persone di cui siamo stati parte, che hanno manifestato pacificamente la loro indignazione a Roma contro la crisi e le politiche che l’hanno generata», spiega l’esponente di Sinistra e libertà, aggiungendo di «lavorare per il cambiamento» e di essere interessato a «discutere con chi lo vuole costruire». Ma negando l’esistenza di un patto elettorale.
Di certo, alla luce del teorema dei due «blocchi», le parole pronunciate a caldo dal leader di Sel, Vendola, a Rainews24, potrebbero suonare ambigue: «I black bloc avevano un obiettivo politico, togliere la parola agli indignati, prendersi la scena». E, ben prima del giorno del corteo del 15 ottobre, su Indymedia già circolavano messaggi sull’«uso politico» del corteo. È del 16 settembre il sarcastico commento al «call», la convocazione all’assemblea romana «preparatoria» del corteo del 15: «Questo è il call d’un carrozzone che con la spontaneità degli indignati e il loro rifiuto dei partiti non ha niente a che fare (collusione con Sel su tutti i livelli nevvero?)».
Il bis arriva il 25 settembre, all’indomani di quell’assemblea, con un messaggio sul «tentativo del centrosinistra di traghettare una parte del movimento contro la crisi verso sponde istituzionali più o meno “sinistre” in vista delle prossime elezioni». Tentativo che, per l’autore del post, si era esplicitato nel corso di quell’incontro che «doveva essere preparatorio alla grande manifestazione del 15», ma «si è rivelato una trappola elettorale». Illuminante, visto come poi sono andate le cose, la conclusione: «Cari studenti, precari e disoccupati, il 15 ottobre siate delicati con le vetrine e con i blindati, fatelo per De Magistris e Vendola, se non per Bersani, nostra unica speranza (alternativa?) per un altro mondo possibile!».


http://www.ilgiornale.it/interni/quel_patto_no_global-sel_dietro_scontri/19-10-2011/articolo-id=552388-page=0-comments=1 
 

postato da: sebastia11 alle ore 12:58 | link | commenti
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martedì, 18 ottobre 2011

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«Hitler e Mussolini erano uomini semplici provenienti dalla campagna. Ritengo che Hitler fosse un Santo, e non brigasse per alcun tornaconto personale. Credo che fosse stato trascinato nell’antisemitismo. E questo lo ha rovinato». A sostenerlo è «Ezra Loomis Pound, residente temporaneamente a Sant’Ambrogio 60, - recita burocraticamente un verbale - un piccolo villaggio vicino a Rapallo, Italia».

Si tratta delle dichiarazioni scritte rilasciate dal grande poeta americano a Frank L. Amprim, agente speciale dell’Fbi a Genova l’8 maggio 1945 a completamento dell’interrogatorio rilasciato qualche giorno prima alle autorità alleate. Questo supplemento di deposizione si trova negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, da poco desecretati, che risultano ora a disposizione di storici e ricercatori. Sono gli stessi documenti che Mario Cereghino e Giovanni Fasanella hanno messo a frutto per il loro libro il Golpe inglese (Chiarelettere), di cui «Libero» ha già parlato. Della deposizione aggiuntiva di Pound ne ha dato l’annuncio «il Piccolo» di Trieste traendoli dal ricco sito di Giuseppe Casarrubea, dove sono riprodotti e scaricabili gli originali dei documenti. Ezra Pound è il poeta americano che oltre a rivoluzionare la lirica del Novecento si industriò a fornire agli americani con i suoi Cantos quel poema epico che essi non conoscevano. Ma il suo curriculum è segnato da una macchia. Aveva infatti sostenuto, durante il secondo conflitto mondiale, Benito Mussolini, perché considerato erede delle politiche agrarie e populiste del presidente americano Jefferson.Alla fine della guerra però è costretto a fare i conti con la giustizia americana. La sua posizione giuridica, dinanzi ai vincitori, è difficile da districare. Per gli americani Pound è, semplicemente, un traditore. E quando il 3 maggio del 1945 si trova in ceppi tenendo in tasca i detti di Confucio, che s’accingeva a tradurre, ignora quanto difficili sarebbero stati gli anni immediatamente successivi alla fine delle ostilità. Non sapeva del calvario che lo avrebbe atteso. Non sospettava che dopo il Disciplinary Training Center nei pressi di Pisa, dal 18 novembre dello stesso anno lo avrebbero aspettato per lunghi anni i rigori della giustizia democratica elargita dal manicomio St.Elizabeth di New York.
Eppure mai sceglie di denigrare le sue scelte, cercando delle giustificazioni. Al punto che, nel momento in cui molti in difficoltà scelgono di trattare, lui, il poeta e l’intellettuale, decide di attaccare. «La politica di Winston Churchill - scrive nella sua deposizione - fu un “massimo di ingiustizia rinforzato da un massimo di brutalità”. Si pensi per esempio ai bombardamenti inflitti a obiettivi non militari». E continua senza esitare: «Alcuni di coloro che nell’autunno del 1943 raggiunsero il Nord Italia per aderire al governo fascista repubblicano erano uomini onesti incapaci di sopportare il lerciume di Badoglio. Il maresciallo presumibilmente trasse del denaro dalla resa agli Alleati. I documenti che riproducono le ricevute dei pagamenti sono stati pubblicati. Così come sono disponibili lettere manoscritte concernenti i debiti esteri di Vittorio Emanuele III. E queste sono state scritte dal re in persona».
Ma quando il conflitto diventa guerra civile i conti si regolano in maniera grossolana, trattando chi non sta da una parte come il pazzo o il nemico da eliminare. Contro questa tendenza il poeta americano non esita a opporre dei distinguo. E alle insinuazioni che gli vengono attribuite risponde a tono: «Non sono un antisemita. Non confondo l’usuraio ebreo e l’ebreo che si guadagna onestamente da vivere di giorno in giorno». «Lo so di essere stato incriminato per tradimento - continua - dal Grand Jury federale degli Stati Uniti. Eppure non ho mai compiuto atti di spionaggio durante le trasmissioni a radio Roma». La scelta di parlare alla radio è retta dalla sua convinzione nella libertà di parola: «Ho sempre lottato contro la censura. Anche in tempo di guerra ognuno ha il diritto di criticare le cause scatenanti dei conflitti che affliggono l’umanità. Nessuno ha il diritto di fornire al nemico informazioni di natura militare. Per esempio al momento dell’entrata in guerra degli Stati Uniti ho criticato il presidente Roosevelt perché credevo che fosse stato male informato e soprattutto in maniera incompleta. Roosevelt subiva condizionamenti sbagliati». E su questo l’America non l’aveva perdonato.


di Simone Paliaga

 http://www.libero-news.it/news/846768/Sfogo-di-Ezra-Pound-in-cella-Hitler-Un-santo-raggirato.html 



 
 
«Hitler e Mussolini erano uomini semplici provenienti dalla campagna. Ritengo che Hitler fosse un Santo, e non brigasse per alcun tornaconto personale. Credo che fosse stato trascinato nell’antisemitismo. E questo lo ha rovinato». A sostenerlo è «Ezra Loomis Pound, residente temporaneamente a Sant’Ambrogio 60, - recita burocraticamente un verbale - un piccolo villaggio vicino a Rapallo, Italia».

Si tratta delle dichiarazioni scritte rilasciate dal grande poeta americano a Frank L. Amprim, agente speciale dell’Fbi a Genova l’8 maggio 1945 a completamento dell’interrogatorio rilasciato qualche giorno prima alle autorità alleate. Questo supplemento di deposizione si trova negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, da poco desecretati, che risultano ora a disposizione di storici e ricercatori. Sono gli stessi documenti che Mario Cereghino e Giovanni Fasanella hanno messo a frutto per il loro libro il Golpe inglese (Chiarelettere), di cui «Libero» ha già parlato. Della deposizione aggiuntiva di Pound ne ha dato l’annuncio «il Piccolo» di Trieste traendoli dal ricco sito di Giuseppe Casarrubea, dove sono riprodotti e scaricabili gli originali dei documenti. Ezra Pound è il poeta americano che oltre a rivoluzionare la lirica del Novecento si industriò a fornire agli americani con i suoi Cantos quel poema epico che essi non conoscevano. Ma il suo curriculum è segnato da una macchia. Aveva infatti sostenuto, durante il secondo conflitto mondiale, Benito Mussolini, perché considerato erede delle politiche agrarie e populiste del presidente americano Jefferson.

Alla fine della guerra però è costretto a fare i conti con la giustizia americana. La sua posizione giuridica, dinanzi ai vincitori, è difficile da districare. Per gli americani Pound è, semplicemente, un traditore. E quando il 3 maggio del 1945 si trova in ceppi tenendo in tasca i detti di Confucio, che s’accingeva a tradurre, ignora quanto difficili sarebbero stati gli anni immediatamente successivi alla fine delle ostilità. Non sapeva del calvario che lo avrebbe atteso. Non sospettava che dopo il Disciplinary Training Center nei pressi di Pisa, dal 18 novembre dello stesso anno lo avrebbero aspettato per lunghi anni i rigori della giustizia democratica elargita dal manicomio St.Elizabeth di New York.

Eppure mai sceglie di denigrare le sue scelte, cercando delle giustificazioni. Al punto che, nel momento in cui molti in difficoltà scelgono di trattare, lui, il poeta e l’intellettuale, decide di attaccare. «La politica di Winston Churchill - scrive nella sua deposizione - fu un “massimo di ingiustizia rinforzato da un massimo di brutalità”. Si pensi per esempio ai bombardamenti inflitti a obiettivi non militari». E continua senza esitare: «Alcuni di coloro che nell’autunno del 1943 raggiunsero il Nord Italia per aderire al governo fascista repubblicano erano uomini onesti incapaci di sopportare il lerciume di Badoglio. Il maresciallo presumibilmente trasse del denaro dalla resa agli Alleati. I documenti che riproducono le ricevute dei pagamenti sono stati pubblicati. Così come sono disponibili lettere manoscritte concernenti i debiti esteri di Vittorio Emanuele III. E queste sono state scritte dal re in persona».

Ma quando il conflitto diventa guerra civile i conti si regolano in maniera grossolana, trattando chi non sta da una parte come il pazzo o il nemico da eliminare. Contro questa tendenza il poeta americano non esita a opporre dei distinguo. E alle insinuazioni che gli vengono attribuite risponde a tono: «Non sono un antisemita. Non confondo l’usuraio ebreo e l’ebreo che si guadagna onestamente da vivere di giorno in giorno». «Lo so di essere stato incriminato per tradimento - continua - dal Grand Jury federale degli Stati Uniti. Eppure non ho mai compiuto atti di spionaggio durante le trasmissioni a radio Roma». La scelta di parlare alla radio è retta dalla sua convinzione nella libertà di parola: «Ho sempre lottato contro la censura. Anche in tempo di guerra ognuno ha il diritto di criticare le cause scatenanti dei conflitti che affliggono l’umanità. Nessuno ha il diritto di fornire al nemico informazioni di natura militare. Per esempio al momento dell’entrata in guerra degli Stati Uniti ho criticato il presidente Roosevelt perché credevo che fosse stato male informato e soprattutto in maniera incompleta. Roosevelt subiva condizionamenti sbagliati». E su questo l’America non l’aveva perdonato.

di Simone Paliaga
  
postato da: sebastia11 alle ore 12:46 | link | commenti
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lunedì, 17 ottobre 2011

Indignati, Iannone (CasaPound): la prossima volta anche noi in piazza per manifestare e difendere Roma CasaPound Italia

i black bloc non esistono, sono l’ennesimo alibi di chi si ostina a voler proteggere i soliti noti. A distruggere la città, a incendiare macchine di cittadini indifesi, a trasformare 20 metri cubi di sampietrini in proiettili sono stati gli stessi che il
28 ottobre del 2008 hanno impunemente messo a ferro e fuoco piazza Navona per difendere le ragioni dell’antifascismo militante contro il Blocco studentesco; gli stessi che hanno incendiato cassonetti e devastato il centro di Palermo per impedire la presentazione del libro di Domenico Di Tullio ‘’Nessun dolore, una storia di CasaPound’.
Gli stessi che hanno devastato Cuneo e ferito gravemente un nostro responsabile per scongiurare l’apertura di una sede di Cpi e che ogni giorno aggrediscono i nostri militanti nelle Università di mezza Italia per impedirgli di fare politica. Sono quelli che fanno i cortei scortati dalla polizia e che arrivano a Roma in pullman con de Magistris’’.
Lo afferma in una nota il presidente di CasaPound Italia Gianluca Iannone. ‘’Il signoraggio, l’usura, l’emergenza casa, il precariato sono i problemi del paese, e non da ora – aggiunge Iannone – Sono gli stessi problemi contro cui il nostro movimento si batte da anni in una beata solitudine. Eppure il governatore uscente della Banca d’Italia, pur condannando gli episodi di violenza, ha ritenuto di esprimere solidarietà e comprensione ai cosiddetti indignati.
Il fatto che Draghi offra ‘protezione’ a questi ‘ragazzi’ la dice lunga su chi ci sia dietro queste scene di follia collettiva. Quanto a noi, che ogni giorno lottiamo nelle strade, nelle scuole e nelle università di tutta Italia per affermare questi principi, ieri in piazza non c’eravamo, ma la prossima volta indiremo una contromanifestazione contro le banche, l’usura e i ladri di futuro e per difendere la nostra città”.   
postato da: sebastia11 alle ore 11:04 | link | commenti
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domenica, 16 ottobre 2011

INFERNO INDIGNATI A ROMA:ASSALTO AI MEZZI BLINDATI



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Roma si è scatenato l'inferno. La marcia 'pacifica' degli indignati - o dei rivoluzionari del sabato sera -  è durata giusto una manciata di minuti. Nella Capitale, dopo pochi passi, il corteo partito dall'università La Sapienza è degenerato. Tra la folla dei giovani, alcuni antagonisti vestiti di nero, con i cappucci tirati sul volto, hanno iniziato la loro opera di devastazione. Prima è stato appiccato il fuoco ad alcuni Tricolori e alle bandiere dell'Unione europea trovate sulla pensilina di un hotel in via Cavour. Poi una cinquantina di autonomi si è staccata dal corteo ha iniziato una vera e propria guerriglia. Sono seguite le cariche della polizia ed espolosioni di bombe carta. Quindi l'escalation di violenza ha raggiunto picchi incredibili, tra le cariche della polizia e il tentativo di contenere l'assalto con gli idranti. L'epicentro degli scontri prima  era in piazza San Giovanni, e dopo si è spostato in via Labicana e via Merulana. Alcuni uomini incappucciati hanno poi preso d'assalto la sede del Ministero della Difesa in via Labicana, lanciando anche bombe carta e devastando vetrine e uffici all'interno. Un gruppo di black bloc ha dato alle fiamme un blindato dei carabinieri, rimasto isolato sul lato destro di piazza San Giovanni, teatro degli scontri più violenti. I manifestanti hanno continuato a lanciare sassi e bottiglie contro il mezzo e ci sono stati attimi  di terrore per i due carabinieri all'interno del mezzo, che si sono salvati. La frangia di estremisti contava 500 unità, secondo il sindaco capitolino, Gianni Alemanno, arrivati da tutta Europa. I manifestanti pacifici insultavano i black bloc: tre di loro sono stati fermati e consegnati alle forze dell'ordine. Le stesse forze dell'ordine venivano applaudite da grosse parti del corteo quando caricavano i violenti.

Guerriglia a San Giovanni - Come detto uno degli epicentri della guerriglia era in piazza San Giovanni, luogo storico delle manifestazioni sindacali e democratiche. Il corteo degli indignati, che doveva essere una manifestazione pacifica, si è trasformato in una vera e propria battaglia urbana che per oltre quattro ore ha messo a ferro e fuoco il centro. La piazza era simbolicamente divisa tra i violenti e i manifestanti pacifici che con le mani alzate stavano cercando di scappare. Le forze dell'ordine sono state prese d'assalto dai black bloc con una pioggia di sassi e sampietrini. Le cariche proseguivano furiose. Continue gli alleggerimenti con i blindati e gli idranti. Intorno alle 18.30 la piazza è tornata sotto il controllo delle forze dell'ordine, e gli scontri proseguivano nelle vie adiacenti. La polizia ha lanciato lacrimogeni anche in Piazza San Clemente per disperde la coda del corteo.

Via Labicana e via Merulana - Così dopo San Giovanni il fronte più caldo si era spostato in via Merulana e in via Labicana. In via Merulana sono state incendiati i ponteggi di un palazzo in ristrutturazione. In via Merulana i blindati della polizia hanno sfondato la barricata eretta dagli incappucciati. Le forze dell'ordine hanno creato un imponente schieramento antisommossa, inseguendo per alcuni tratti i violenti. Gruppi organizzati continavano a lanciare pietre e bottiglie contro polizia e passanti.

Assalto ai ministeri - Gli incappucciati hanno cercato di irrompere nella sede del Ministero della Difesa, lanciando anche bombe carta e devastando vetrine e uffici all'interno. Il tetto del dicastero è crollato per la barbara violenza dell'attacco. I black bloc, avanzando in via Labicana, avevano preso d'assalto anche l'ex agenzia delle Entrate, una sede dell'agenzia interinale Manpower e una filiale della Banca popolare del Lazio all'incrocio tra via Manzoni e Merulana.

Bombe carta e arieti - Proprio in via Merulana i violenti hanno spostato i cassetti dell'immondizia in strada, li hanno incendiati per sfruttarli come barriccate. Le forze dell'ordine hanno risposto con i lacrimogeni. Decine di black bloc sradicavano i pali dell'asfalto e li usavano come arieti per sfondare le vetrine dei negozi in via Emanuele Filiberto. Era vera e propria guerriglia urbana, con i blindati che intervenivano su via Labicana dove proseguivano i lanci di bottigli e bombe carta. L'esplosione di un ordigno artigianale ha gettato nello scompiglio i manifestanti pacifici in via Labicana: una bomba carta è stata lanciata all'interno di un cantiere. Sono state sfondate le vetrine del supermercato Elite, poi del fumo nero si è alzato da largo Corrado Ricci dove sono state incendiate tre macchine (incendi poi domati dai Vigili del fuoco), quindi è stata devastata la vetrina di un bancomat della filiale della Cassa di Risparmio di Rimini all'incrocio di via dei Serpenti.

Diversi feriti - Un uomo è ricoverato al Policlinico Umberto I in condizioni definite "gravi" per lo scoppio di un petardo o di un altro oggetto esplosivo che gli avrebbe amputato alcune dita: si tratterebbe di un militante di Sinistra e Libertà. Ci sarebbero diversi altri feriti: secondo quanto si è appreso almeno una settantina. In ospedale anche un poliziotto che negli scontri ha riportato una frattura alla gamba. Successivamente si è appreso che gli agenti feriti erano almeno due. Ferito anche un fotografo dell'AdnKronos colpito da una pietra alla festa in piazza San Giovanni. Anche due troupe di SkyTg24 sono state assalite dai facinorosi. Colpito al volto anche un militante dei Cobas, in via Cavour, che stava tentando di fermare un lancio di bottiglie contro i vigili del fuoco intenti a domare il rogo di un Suv.

Rifugio nel vicariato - Il corteo si era spezzato in due per l'intervento della polizia. Famiglie e manifestanti, terrorizzati, erano bloccati al colosseo. Altri hanno scavalcato il recinto del Vicariato per mettersi al riparo all'interno della Basilica, e cercavano rifugio con le braccia alzate al cielo. Su di loro piovevano fumogeni. Dopo un primo momento è stato lo stesso vicariato di Roma a permettere che l'accesso in questione restasse apero. La scelta è stata motivata secondo quanto si è appreso dall'esigenza di permettere ai manifestanti pacifici di abbandonare la zona di guerriglia.

Gli insulti ai black bloc - Mentre black bloc in azione mettevano a ferro e fuoco Roma, altri manifestanti cercavano invano di allontanarli dal corteo. Diversi passanti insultavano i black bloc che nascosti dai loro vestiti neri assaltavano tutto ciò in cui sio imbattevano. Anche i No Tav e gli anarchici, in testa al corteo, hanno insultato pesantemente i delinquenti. Undici vetture tra blindati e camionette di Fiamme gialle e polizia hanno chiuso completamente il passaggio lungo via dei Fori imperiali in direzione di Piazza Venezia.

Anche un bimbo di 10 anni -  Tutti i violenti erano completamente vestiti di nero. Il loro aspetto era inquietante, con il volto nascosto dai passamontagna e con i caschi in mano mentre nelle prime fasi iniziali e pacifiche del corteo non rivolgevano parola a nessuno. Per loro parlava lo striscione dietro al quale si annidiavano: "Se ci prendono il presente noi ci rubiamo il futuro". Tra i manifestanti è stato avvistato un uomo con un bambino di soli 10 anni, con il volto nascosto da una kefiah.

"Il debito non lo paghiamo" - Lo slogan dei manifestanti del corteo pacifico era sempre lo stesso: "Noi il debito non lo paghiamo". A Roma le misure di sicurezza erano alte, perché le previsioni già prima degli scontri erano negative: si sapeva che il corteo rischiava di subire le inflitrazioni di vandali pronti a devastare la città. La protesta avrebbe dovuto essere pacifica e costruttiva, una via per esprimere le proprie idee senza violenze. Gli scontri, seppur innescati da una netta minoranza, hanno spazzato via tutti i buoni propositi. I manifestanti sono confluiti nella capitale da tutta Italia: sono arrivati da 80 province, soprattutto da Milano, Genova, Emilia Romagna e Toscana. Al corteo prendono parte diverse sigle: No Tav, Popolo Viola, sindacati, partiti comunisti extraparlamentari, centri sociali, disoccupati, precari, collettivi studenteschi e anche i no global. Le prime avvisaglie di tensione si erano viste già sabato, quando gli indignati si erano accampati davanti al Parlamento attendendo il voto di fiducia. Dopo la votazione, l'ira dei manifestanti si era scatenata con lanci di uova e vernice, cori e proteste.

Il percorso - L'itinerario dei manifestanti prevedeva la partenza dalla Sapienza per poi attraversare via Cavour, dove sono subito scoppiati gli scontri. Quindi il percorso proseguiva per Largo Corrado Ricci, via dei Fori Imperiali, piazza del Colosseo, via Labicana, via Manzoni, via Emanuele Filiberto, per poi arrivare a piaza San Giovanni, dove sono previsti interventi e una discussione relativa alla crisi e alle proposte per uscirne. I manifestanti intendono occupare diverse piazze e luoghi adiacenti al percorso, sulla falsa riga di quanto fatto dagli indignados spagnoli a Puerta del Sol a Madrid. L'operazione è stata chiamata 'Yes, we camp', scimmiottando il celebre slogan di Barack Obama, "Yes, we can".

In tutto il mondo - Oggi, sabato 15 ottobre, le manifestazioni degli 'indignados' si espandono a macchia d'olio in tutto il mondo. Il movimento di giovani e precari nato in Spagna cinque mesi fa sull'onda della crisi economica minaccia battaglia. Secondo quanto riferito dagli organizzatori, i cortei si terranno in 952 città e 82 Paesi: da Roma a New York, da Londra a Francoforte, da Madrid ad Atene, Da Tel Aviv a Santiago del Cile. A Londra, tra gli indignati, c'era anche il fondatore di Wikileaks
Julian Assange: l'hacker dopo essere stato fermato dalla polizia, ha arringato la folla.

http://www.libero-news.it/news/845632/Inferno-indignati-a-Roma-assalto-ai-mezzi-blindati.html 


 
 
 
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sabato, 15 ottobre 2011

Centro, Sinistra e Comunisti alla ricerca del colpo di stato 76161f6e199c9a27400ebf8f4a99eb90

 

 

 

  Dal punto di vista della dottrina chiamarli “Comunisti” o politici di “sinistra” è certamente errato ma in tali partiti si riconoscono e/o si collocano quei soggetti che oggi, anno 2011, cercano di portare un colpo di stato in Italia.

 

Qualunque sia il motivo della protesta sia esso dalla scuola all’università, dalla Fiat alla Fincantieri, dalle banche alle proteste politiche nei confronti del Governo queste sono caratterizzate da un unico e forte colore politico che inquina e svela la non spontaneità delle stesse.
Fronde violente attaccano istituzioni e non perdono occasione per scagliarsi contro un Governo del  quale non vogliamo prendere le difese. Toni decisamente maleducati si alzano ogni giorno da un’opposizione che chiama puntualmente le dimissioni di un Governo eletto dal popolo. Di Pietro ha più volte chiamato   il “morto”, Bersani ha perso cognizione della lingua italiana ripetendo l’unica parola che gli è possibile rigurgitare in questo momento: “dimissioni”.
Per la prima volta nella storia d’Italia una minoranza cerca, con ogni mezzo ed incurante della grave situazione internazionale, di fare un grave sgambetto al Governo ed al paese accecata dall’odio e dalla perenne frustrazione di inferiorità nei confronti di Silvio Berlusconi.
Molte aziende stanno chiudendo e sono in difficoltà. Migliaia di lavoratori ogni giorno rischiano di finire sulla strada ma per costoro la colpa è da ricercare solo ed esclusivamente nel Governo. 
Perché non si protesta invece contro quegli imprenditori che hanno delocalizzato all’estero le loro produzioni e licenziato in Italia? Perché non si protesta contro quei colleghi che stanno per 300 giorni all’anno in malattia? Perché non si protesta contro i manager che mandano i lavoratori in cassa integrazione ma hanno Yacht parcheggiati in banchina ed elicotteri pronti al decollo?
E intanto nelle grandi e piccole fabbriche, le stesse dove si protesta, per esperienza e conoscenza quotidiana possiamo affermare che esistono migliaia   di “lavoratori” che sarebbe meglio chiamare “LAVATIVI” che alzano ben poche volte il pollice dalla mattina alla sera certi che per loro ci sarà qualcun altro a lavorare e a garantire il giorno 27. In caso contrario giù contro il Governo!
Basta siamo stanchi di assistere a queste cose ed essere sopraffatti da questi fannulloni giovani e non che rappresentano un vero e proprio insulto per l’Italia che REALMENTE lavora, per i milioni di VERI operai che si spezzano la schiena più del dovuto proprio per coprire ciò che tali PARASSITI non fanno. Molte aziende infatti hanno perso o non hanno commesse: per quale motivo? E perché le poche che hanno non vengono mai consegnate in tempo ma sempre in costante ritardo? C’è poco lavoro e quel poco viene pure consegnato tardi? Qualcosa non torna!
Da Roma a Milano, da Napoli a Torino esistono raggruppamenti e sacche di violenza spropositata perpetrata da collettivi studenteschi, centri sociali, gruppi autonomi di vetusti comunisti che rappresentano un pericolo per questo paese e vengono usati dai movimenti di sinistra come mano armata in grado di portare scompiglio nelle città, nelle istituzioni riuscendo ad inquinare qualsiasi gruppo spontaneo di cittadini si costituisca per questo o quel motivo.
Tutte le scuse, e proteste, diventano buone dunque per creare scompiglio e ricatti nei confronti del Governo.
Se la credibilità dell’Italia a livello internazionale è crollata la colpa non è solo di Berlusconi, certamente il maggior colpevole insieme alla sua cricca, ma buona parte è detenuta da quella sinistra che anziché difendere il paese all’esterno e fare i conti in casa propria si affianca ai detrattori d'oltralpe ed accentua le critiche danneggiando ancor di più il paese e la sua immagine.
 
Difendere lo Stato Sociale.
Difendere il Sistema Italia dagli speculatori e finanzieri internazionali.
Difendere il lavoro e i veri lavoratori.
 
 
 
Queste le tre direttive per salvare il paese e farlo uscire dalla crisi. Tutto il resto è noia! 

http://giuseppeminnella.blogspot.com/2011/10/centro-sinistra-e-comunisti-alla.html




 
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giovedì, 13 ottobre 2011

Roma: 'blitz' in Campidoglio di CasaPound e famiglie Casalmonastero, delegazione ricevuta dal Capo di Gabinetto 

 

 

 
Roma, 13 ottobre - 'Blitz' in Campidoglio di CasaPound Italia e delle famiglie sgomberate nei giorni scorsi dallo stabile Ater di Casalmonastero. Un centinaio di persone, tra militanti delle associazioni e componenti dei 20 nuclei familiari in stato di grave emergenza abitativa, sono riusciti a entrare nel palazzo Senatorio per protestare contro il Comune di Roma, che non ha rispettato i patti presi al momento dello sgombero dell'occupazione di via Val d'Ala prima e di quella di Casalmonastero poi e che, nonostante gli accordi, non ha garantito alcuna sistemazione alle famiglie. Una delegazione dei manifestanti è ora a colloquio con il capo di Gabinetto del sindaco.


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CasaPound Italia 
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