martedì 22 novembre 2011

giovedì, 21 luglio 2011

G8 DIECI ANNI DOPO CHI FACEVA  BARRICATE A GENOVA OGGI SI GODE UNA BELLA POLTRONA NEI COMUNI DI SINISTRA
 
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ricordate il Sessantotto e quelli che volevano cambiare il mondo e poi il mondo ha cambiato loro? Gli ex del movimento studentesco, ad esempio, che dalla Sorbona sono approdati sulle rive del Gange per poi tornare a Milano e mettere su boutique lussuose  di cibi bio e macrobiotici per le sciurette dell’upper class metropolitana e modaiola.
Sull'esempio di successo del loro leader, quel Mario Capanna un tempo arruffapopolo di professione oggi felice scrittore, coltivatore diretto e anti-ogm nella sua tenuta umbra di Città di Castello. O i militanti, di Lotta Continua, che dall'eskimo sono passati direttamente al gessato blu delle direzioni di giornali. La storia,  diceva Marx, si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Ed è certamente un mistero buffo quello che va in scena  da un paio di mesi a questa parte in diverse città italiane dove  le elezioni amministrative prima e i referendum ambientalisti poi hanno confuso e sparigliato le carte della politica.
Sono trascorsi solo dieci anni dal G8 e oggi, giovedì 20 luglio, si tornerà in quelle piazze per ricordare, la morte di Carlo Giuliani e l'inspiegabile macello della scuola Diaz.
Ma i "ragazzi"  sono cresciuti, non hanno più il look scombinato ed estremo sfoggiato a Genova, girano in bicicletta e amano il fifty-fifty politico: un po' di lotta e un po' di governo. La loro rivoluzione è antiglobal e no logo anche se poi, sul rovescio, porta la stessa etichetta dei padri sessantottini. "Se qualche mese fa  mi avessero detto che Giuliano Pisapia sarebbe diventato sindaco e io consigliere comunale avrei chiamato la neurodeliri, se esiste ancora". E invece è accaduto. Mirko Mazzali, "avvocato dei centri sociali" che deve la sua fama ai processi ai  no global del G8, difensore a tempo pieno di immigrati clandestini e abusivi delle Aler, ora siede felicemente  nel consiglio comunale di Milano, eletto nella lista arancione di Giuliano Pisapia, l’avvocato rifondarolo diventato sindaco. Mica una mosca bianca: con lui, il neosindaco ha portato in giunta Daniela Benelli di Sel e Cristina Tajani, 32 anni, ricercatrice della Cgil vicina ai movimenti dei precari. Come la "Mayday". Viene dall’area antagonista anche Daniele Farina,  leader storico del Leoncavallo di Milano, la madre, anzi, la nonna, di tutti i centri sociali italiani. Farina ha un curriculum di tutto rispetto: condannato  per "fabbricazione, detenzione e porto abusivo di ordigni esplosivi, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi". Da consigliere comunale di Rifondazione  è salito poi fino agli scranni di Montecitorio: rivoluzionario con stipendio  fisso e pensione prepagata. A Milano è coordinatore del Sel e ha convinto Pisapia a dare al Leoncavallo lo status municipale di istituzione di "interesse pubblico".  Presto arriveranno anche i soldi. Stessa musica a Napoli:  a Palazzo San Giacomo, insieme a Luigi De Magistris è arrivato Pietro Rinaldi, protagonista storico del  centrosocialismo partenopeo, un passato in "Officina 99" e in "Insurgencia", e un presente nella lista civica che ha sostenuto l'ex pubblico ministero nella corsa a sindaco. Pure lui, come Farina e la Tajani, era a Genova nel 2001. In un editoriale pubblicato qualche mese  fa dal quotidiano Il Manifesto, lo stesso Pisapia ricordava "quelle giornate di 'macelleria cilena' nelle quali sono stati massacrati non solo corpi, ma anche anime, speranze e utopie". In realtà, afferma oggi Rinaldi, quelle speranze non sono morte: "Non ce ne siamo mai andati, abbiamo continuato a lavorare sul territorio". Rieccoli: dall’assalto alla Zona Rossa i no global sono passati senza imbarazzi all’auto blu assessorile, hanno smantellato  le barricate per sedersi comodamente sulle cadreghe comunali. E mica se ne vergognano, anzi. Rivendicano con orgoglio il volteggio della gabbana e il diritto alla passerella sul red carpet istituzionale. A Milano e Napoli i  movimenti hanno fumato il calumet della pace con la società  civile e nei comitati territoriali, ambientalisti, avvocati e giuslavoristi, hanno lavorato con gli ex ragazzi del G8 . Insomma, il "civismo"  e  il "neo-entrismo" hanno  soppiantato l’ideologia dello scontro con lo Stato e del "tutto e subito". I giottini hanno imparato ad attendere e la loro pazienza è stata premiata. E chissenefrega se dopo aver urlato al G8 contro le “politiche securitarie e poliziesche" oggi a Napoli sono nel governo di un ex magistrato tra i più "polizieschi" e manettari d'Italia. Effetti del melting pop antagonista e ideologico. Per la sinistra eretica della rivista "Milanox", uno dei grandi sponsor  di Pisapia, della nuova giunta c’è di che essere soddisfatti. Anche perché Pisapia- Zapatero ha astutamente pareggiato il numero di  uomini e donne in giunta o  ha messo come vicesindaco la cattolica Maria Grazia Guida, direttrice della Caritas ambrosiana e braccio destro di don Colmegna, la bestia nera della Moratti su immigrati e rom.
Magnifico e furbesco maquillage al femminile, indispensabile per far digerire ai compagni rospi grossi come tapiri. Come la delega all'Expo e l'assessorato alla Cultura  all’archistar Stefano Boeri, ex consulente morattiano poi passato a battere cassa dal Pd. "È un bravo architetto ma ha partecipato al sacco di Milano. I  movimenti non l’avrebbero votato", dice Alex Foti, direttore di "Milanox", nonché fondatore di "Mayday". «Per vincere, ci vuole il pop front come negli anni '30". Anche lui,  dieci anni fa, era in piazza a Genova. Già,la storia si ripete ma la commedia che si recita a Milano e Napoli più che far ridere mette malinconia.



 
di Luigi Santambrogio
 

http://www.libero-news.it/news/787573/G8-dieci-anni-dopo-Chi-faceva-barricate-a-Genova-oggi-si-gode-una-bella-poltrona-nei-Comuni-di-sinistra.html 
http://www.libero-news.it/news/787573/G8-dieci-anni-dopo-Chi-faceva-barricate-a-Genova-oggi-si-gode-una-bella-poltrona-nei-Comuni-di-sinistra.html  
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mercoledì, 20 luglio 2011

20 luglio: il vero eroe è Mario Placanica  


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Il 20 luglio è per tutti, o quasi, l’anniversario della morte di Carlo Giuliani, avvenuta esattamente dieci anni fa, anno 2001, durante le manifestazioni anti-G8 a Genova. Nessuno però ricorda la figura di Mario Placanica, il carabiniere all’epoca appena ventenne, che da quel momento non ha più avuto una vita. Bollato come assassino da alcuni, minacciato e “ricercato” da altri, Placanica è stato indagato per omicidio ma prosciolto con la motivazione di aver fatto uso legittimo delle armi. Persino la Corte Europea per i diritti dell’uomo, cui i familiari di Carlo Giuliani erano ricorsi, ha sancito nell’agosto del 2009 che Mario Placanica ha agito per legittima difesa. Nel testo della sentenza si legge che «il militare non è ricorso a un uso eccessivo della forza. La sua è stata solo una risposta a quello che ha percepito come un reale e imminente pericolo per la sua vita e quella dei colleghi».
Quel giorno ha dovuto scegliere tra una morte quasi certa e la difesa della sua incolumità. Giovane, inesperto, ferito e spaventato. Particolare da non trascurare: il carabiniere di leva Mario Placanica si trovava all’interno di quella camionetta, presa d’assalto dai manifestanti, perché doveva essere trasportato in ospedale. Intossicato dai gas lacrimogeni ed accompagnato in una via laterale per riprendersi, è stato fatto risalire sul Defender proprio per essere trasportato al vicino nosocomio. Tutto sarebbe filato liscio, se una quindicina di dimostranti non avesse inseguito i militari in ritirata fino a piazza Alimonda. Il Defender su cui era a bordo Placanica è diventato bersaglio degli attacchi da parte degli inseguitori, è stato danneggiato sul retro e sul lato destro con pietre, una palanchina di legno e un estintore rosso di marca Sima dal peso di 5 chili, che risulterà poi essere stato rubato dagli stessi manifestanti presso un distributore Q8 di via Tolemaide. Altro che “lanciato dai carabinieri”, come la contro-informazione antagonista ha voluto a lungo far credere. Quell’estintore, gettato contro il mezzo, prima è rimbalzato sulla ruota di scorta, poi è stato raccolto da Carlo Giuliani, canottiera bianca e volto ovviamente coperto dal passamontagna, che l’ha sollevato con l’intenzione di colpire Placanica, già ferito al volto da alcune pietre. In quel momento, i due spari. La camionetta è subito ripartita, investendo Giuliani: Placanica, tra i tre carabinieri che si trovavano sul mezzo, risultava quello ferito più gravemente ed è stato trasportato al Pronto Soccorso.

Questo l’esito della perizia medico/legale: “Placanica Mario il 20/7/2001 a seguito di traumatismi contusivi vari riportò un trauma cranico con ferita lacero-contusa al vertice, una contusione semplice all’avambraccio destro, ed una forte contusione alla gamba destra con edema diffuso a tutta la gamba. La ferita lacero-contusa al vertice è del tutto compatibile con una pietrata. Le altre lesioni non hanno avuto caratteristiche tali da consentire un’identificazione precisa del mezzo contundente”.

Da quel giorno un lungo iter giudiziario, terminato con il proscioglimento. Ma non solo. Anche episodi sospetti, minacce di morte, denunce.
Il 3 agosto 2003, due anni dopo i fatti di Genova, Placanica è stato vittima di un grave incidente. Viaggiando da solo sulla sua Ford Focus, ha perso il controllo e si è gettato dallo sportello mentre l’auto finiva contro un albero, subendo la rottura di una clavicola, di alcune costole e la lesione di tre vertebre. Poteva andare peggio. Vittorio Colosimo, legale di Placanica, la sera medesima ha rilasciato questa dichiarazione: “La dinamica dell’incidente stradale in cui è rimasto coinvolto Mario Placanica non è chiara. A prima vista, l’episodio appare inspiegabile”. Proprio per questo è stato nominato un perito, ipotizzando un sabotaggio, d'altra parte Placanica stesso temeva che qualcuno potesse danneggiare la sua auto per provocargli un incidente. L’inchiesta aperta dalla procura di Catanzaro, però,  è stata presto archiviata.

La lunga disavventura ha coinvolto pure l’ambito professionale: nel 2005 Placanica è stato dimesso dall’Arma dei Carabinieri in quanto valutato non idoneo “per infermità dipendente da causa di servizio”. In disaccordo con la perizia, Placanica ha fatto ricorso al Tar chiedendone una nuova che l’ha dichiarato mentalmente sano.

Il 29 gennaio 2007 ha invece sporto denuncia per un presunto tentativo di investimento da parte di un fuoristrada. In un periodo in cui, oltretutto, aveva già ricevuto numerose minacce di morte sul telefono della moglie.
Tuttora Placanica è accusato di violenza sessuale su minore e maltrattamenti nei confronti della figlia della sua ex convivente che all’epoca dei fatti, che sarebbero avvenuti dall’agosto 2006 all’agosto 2007, aveva 11 anni. La madre della bambina in questione ha sporto denuncia nel maggio 2008.

A Carlo Giuliani è stata intitolata una stanza a Palazzo Madama e si vogliono dedicare vie e piazze, Mario Placanica invece vorrebbe solo dimenticare quel giorno. Ma non può. Questi ultimi dieci anni sono stati un vero inferno. La vera vittima del 20 luglio 2001 è lui, Mario Placanica, ex carabiniere in congedo ora impiegato in un ufficio pubblico. Ha rischiato la vita per il suo lavoro e non ha mai smesso di pagarne le conseguenze 
Il 20 luglio è per tutti, o quasi, l’anniversario della morte di Carlo Giuliani, avvenuta esattamente dieci anni fa, anno 2001, durante le manifestazioni anti-G8 a Genova. Nessuno però ricorda la figura di Mario Placanica, il carabiniere all’epoca appena ventenne, che da quel momento non ha più avuto una vita. Bollato come assassino da alcuni, minacciato e “ricercato” da altri, Placanica è stato indagato per omicidio ma prosciolto con la motivazione di aver fatto uso legittimo delle armi. Persino la Corte Europea per i diritti dell’uomo, cui i familiari di Carlo Giuliani erano ricorsi, ha sancito nell’agosto del 2009 che Mario Placanica ha agito per legittima difesa. Nel testo della sentenza si legge che «il militare non è ricorso a un uso eccessivo della forza. La sua è stata solo una risposta a quello che ha percepito come un reale e imminente pericolo per la sua vita e quella dei colleghi».
Quel giorno ha dovuto scegliere tra una morte quasi certa e la difesa della sua incolumità. Giovane, inesperto, ferito e spaventato. Particolare da non trascurare: il carabiniere di leva Mario Placanica si trovava all’interno di quella camionetta, presa d’assalto dai manifestanti, perché doveva essere trasportato in ospedale. Intossicato dai gas lacrimogeni ed accompagnato in una via laterale per riprendersi, è stato fatto risalire sul Defender proprio per essere trasportato al vicino nosocomio. Tutto sarebbe filato liscio, se una quindicina di dimostranti non avesse inseguito i militari in ritirata fino a piazza Alimonda. Il Defender su cui era a bordo Placanica è diventato bersaglio degli attacchi da parte degli inseguitori, è stato danneggiato sul retro e sul lato destro con pietre, una palanchina di legno e un estintore rosso di marca Sima dal peso di 5 chili, che risulterà poi essere stato rubato dagli stessi manifestanti presso un distributore Q8 di via Tolemaide. Altro che “lanciato dai carabinieri”, come la contro-informazione antagonista ha voluto a lungo far credere. Quell’estintore, gettato contro il mezzo, prima è rimbalzato sulla ruota di scorta, poi è stato raccolto da Carlo Giuliani, canottiera bianca e volto ovviamente coperto dal passamontagna, che l’ha sollevato con l’intenzione di colpire Placanica, già ferito al volto da alcune pietre. In quel momento, i due spari. La camionetta è subito ripartita, investendo Giuliani: Placanica, tra i tre carabinieri che si trovavano sul mezzo, risultava quello ferito più gravemente ed è stato trasportato al Pronto Soccorso.

Questo l’esito della perizia medico/legale: “Placanica Mario il 20/7/2001 a seguito di traumatismi contusivi vari riportò un trauma cranico con ferita lacero-contusa al vertice, una contusione semplice all’avambraccio destro, ed una forte contusione alla gamba destra con edema diffuso a tutta la gamba. La ferita lacero-contusa al vertice è del tutto compatibile con una pietrata. Le altre lesioni non hanno avuto caratteristiche tali da consentire un’identificazione precisa del mezzo contundente”.

Da quel giorno un lungo iter giudiziario, terminato con il proscioglimento. Ma non solo. Anche episodi sospetti, minacce di morte, denunce.
Il 3 agosto 2003, due anni dopo i fatti di Genova, Placanica è stato vittima di un grave incidente. Viaggiando da solo sulla sua Ford Focus, ha perso il controllo e si è gettato dallo sportello mentre l’auto finiva contro un albero, subendo la rottura di una clavicola, di alcune costole e la lesione di tre vertebre. Poteva andare peggio. Vittorio Colosimo, legale di Placanica, la sera medesima ha rilasciato questa dichiarazione: “La dinamica dell’incidente stradale in cui è rimasto coinvolto Mario Placanica non è chiara. A prima vista, l’episodio appare inspiegabile”. Proprio per questo è stato nominato un perito, ipotizzando un sabotaggio, d'altra parte Placanica stesso temeva che qualcuno potesse danneggiare la sua auto per provocargli un incidente. L’inchiesta aperta dalla procura di Catanzaro, però,  è stata presto archiviata.

La lunga disavventura ha coinvolto pure l’ambito professionale: nel 2005 Placanica è stato dimesso dall’Arma dei Carabinieri in quanto valutato non idoneo “per infermità dipendente da causa di servizio”. In disaccordo con la perizia, Placanica ha fatto ricorso al Tar chiedendone una nuova che l’ha dichiarato mentalmente sano.

Il 29 gennaio 2007 ha invece sporto denuncia per un presunto tentativo di investimento da parte di un fuoristrada. In un periodo in cui, oltretutto, aveva già ricevuto numerose minacce di morte sul telefono della moglie.
Tuttora Placanica è accusato di violenza sessuale su minore e maltrattamenti nei confronti della figlia della sua ex convivente che all’epoca dei fatti, che sarebbero avvenuti dall’agosto 2006 all’agosto 2007, aveva 11 anni. La madre della bambina in questione ha sporto denuncia nel maggio 2008.

A Carlo Giuliani è stata intitolata una stanza a Palazzo Madama e si vogliono dedicare vie e piazze, Mario Placanica invece vorrebbe solo dimenticare quel giorno. Ma non può. Questi ultimi dieci anni sono stati un vero inferno. La vera vittima del 20 luglio 2001 è lui, Mario Placanica, ex carabiniere in congedo ora impiegato in un ufficio pubblico. Ha rischiato la vita per il suo lavoro e non ha mai smesso di pagarne le conseguenze  

http://www.questaelasinistraitaliana.it/article-20-luglio-il-vero-eroe-e-mario-placanica-79849367.html 
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martedì, 19 luglio 2011

       

19 Luglio 1992 – In ricordo di Paolo Borsellino 

 

"Potrei anche morire da un momento all'altro, ma morirei sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono...ecco in quel caso non sarei morto invano

  
(Paolo Borsellino ospite della festa nazionale del Fronte della Gioventù nel settembre 1990.)

 

 Nacque a Palermo, il 19 gennaio del 1940, da genitori farmacisti. Dopo aver frequentato le scuole dell’obbligo, Paolo Borsellino, si iscrisse al Liceo Classico “Giovanni Meli”. Durante gli anni del liceo, diventò direttore del giornale studentesco “Agorà“. Nel giugno del 1958 si diplomò e nel settembre dello stesso anno si iscrisse all’Università presso la Facoltà di  Giurisprudenza a Palermo.
Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra, nel 1959 si iscrisse al Fuan, organizzazione universitaria del Movimento Sociale Italiano, di cui divenne membro   dell’esecutivo Provinciale e fu eletto rappresentante studentesco nella lista del Fuan “Fanalino” di Palermo. Nel giugno del 1962, all’età di ventidue anni, Paolo Borsellino, si laureò con centodieci e lode. Nel 1963 partecipò al concorso per entrare in Magistratura. 

   
  
     Classificatosi venticinquesimo   sui centodieci posti disponibili, con il voto di cinquantasette, divenne il più giovane magistrato d’Italia. Iniziò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò nel settembre del 1965 quando venne  assegnato al Tribunale di Enna nella Sezione Civile. Nel 1967 fu nominato Pretore   a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu Pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, Capitano dei Carabinieri. Proprio qui ebbe modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi.   
Il 21 marzo del 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 luglio entrò   nell’ufficio istruzione Affari Penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con Chinnici si stabilì un rapporto di “adozione” non soltanto professionale. Nel febbraio del 1980 Paolo Borsellino fece arrestare i primi sei mafiosi. Grazie all’indagine condotta da Basile e Borsellino sugli appalti truccati a Palermo a favore degli esponenti di Cosa Nostra si scopre il fidanzamento tra Leoluca Bagarella e Vincenza Marchese sorella di Antonino Marchese, altro importante Boss. Il 4 maggio del 1980 Emanuele Basile fu assassinato e fu decisa l’assegnazione di una scorta alla famiglia di Paolo Borsellino. In quell’anno si costituì il “Pool” antimafia nel quale sotto la guida di Chinnici lavorarono alcuni Magistrati come Giovanni Falcone, lo stesso Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta e Giovanni Barrile ma anche funzionari della Polizia di Stato come Cassarà e Montana.
Il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell’interazione, una maggiore efficacia con un’azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità. Tutti i componenti del pool chiedevano espressamente l’intervento dello Stato, che non arrivò. Qualcosa faticosamente giunse nel 1982 quando il Ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, inviò a Palermo il Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio in Sicilia e contro la mafia aveva iniziato la sua carriera di ufficiale, nominandolo Prefetto. E quando anche questi trovò la morte, cento giorni dopo, nella strage di via Carini, il Parlamento italiano riuscì a varare la cosiddetta “Legge Rognoni – La Torre” con la quale si istituiva il reato di associazione mafiosa, l’articolo 416 bis del codice penale, che il pool avrebbe sfruttato per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, all’inseguimento dei capitali riciclati. Il 29 luglio del 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con l’esplosione di un’autobomba, e pochi giorni dopo giunse a Palermo da Firenze Antonino Caponnetto.
Il pool chiese una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 fu arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta catturato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia, iniziò a collaborare con la giustizia. Buscetta descrisse in modo dettagliato la struttura della mafia, di cui fino ad allora si sapeva ben poco. Nel 1985 furono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l’uno dall’altro, il commissario Giuseppe Montana ed il Vice – Questore Ninni Cassarà. Falcone e Borsellino furono per sicurezza trasferiti nella foresteria del carcere dell’Asinara, nella quale iniziarono a scrivere l’istruttoria per il cosiddetto “maxiprocesso”, che mandò alla sbarra quattrocentosettantacinque imputati. Paolo Borsellino chiese ed ottenne nel dicembre del 1986 di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all’anzianità di servizio. Nel 1987, mentre il maxiprocesso si avviava alla sua conclusione con l’accoglimento delle tesi investigative del Pool e l’irrogazione di diciannove ergastoli e duemilaseicentosessantacinque anni di pena, Caponnetto lasciò il Pool per motivi di salute e tutti si attendevano che al suo posto fosse nominato Giovanni Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 gennaio del 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il Pool stesse per essere sciolto. Paolo Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l’11 dicembre del 1991 vi ritornò come Procuratore Aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia. Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso scrutinio delle elezioni presidenziali, i quarantasette Parlamentari del Movimento Sociale Italiano votarono per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica. Il 23 maggio del 1992 nell’attentato di Capaci persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Il 19 luglio, cinquantasette giorni dopo Capaci, Paolo Borsellino fu ucciso insieme agli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Dopo aver pranzato a Villa Grazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa cento chili di tritolo a bordo, esplose al passaggio del Giudice. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta. Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di giustizia, Rita Atria, per la fiducia che riponeva nel Giudice Paolo Borsellino, decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccise.
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sabato, 16 luglio 2011

   
          Casta ,accade tutto nella notte,cosi hanno salvato i privilegi
  libroLaCasta
    
  
 La manovra era blindata. Su quasi tutto. Perché su un solo punto è di fatto saltata: quello dei tagli ai costi della politica. La sforbiciata di Giulio Tremonti è stata ampiamente spuntata dalla casta durante il passaggio al Senato pur senza modificare un comma del testo, perché non era possibile. Ma il trucco è stato trovato, grazie all’accordo fra Pd e Pdl. La trappola è scattata fra la sera del 12 e la notte del 13 luglio in commissione affari costituzionali del Senato.

Grazie a un parere di nulla osta «vincolato ad alcune osservazioni» proprio sui costi della politica. Con armi molto raffinate i senatori Pd e Pdl hanno detto che va bene tagliare, ma non quanto finisce in tasca a loro. Tremonti aveva scritto nella finanziaria che bisogna confrontare gli stipendi dei parlamentari italiani con quelli dei colleghi europei e poi uniformarli dalla prossima legislatura? Si potrà fare, ma- sostiene il parere vincolante, «può essere applicabile esclusivamente all’istituto dell’indennità parlamentare, ai sensi dell’articolo 69 della Costituzione, che ne rimette la determinazione alla legge e va intesa- secondo il principio della ragionevolezza- alla stregua dei necessari fattori di ponderazione, con particolare riguardo alla consistenza demografica dei diversi paesi». Ecco qui la prima trappola: l’indennità base dei parlamentari italiani è identica a quella francese, simile a quella inglese, inferiore a quella tedesca e superiore a quella degli altri paesi. Ma legandone l’importo alla popolazione di ciascun paese, non dovrà essere tagliata. Anzi, il rischio è pure che venga aumentata di 2-300 euro. Possono essere tagliate dalla finanziaria altre voci come i rimborsi spesa a forfait, le diarie? No, perché quelle sono regolate- dice sempre il parere vincolante- «dalla rispettiva autonomia, costituzionalmente vincolata e riconosciuta».
in aula
Il parere seral-notturno è stato stilato senza darne alcuna pubblicità. E quando ieri nell’aula di palazzo Madama sono entrate le telecamere della Rai, nessuno ha voluto fare riferimento al tema dei costi della politica, limitandosi a lodare la manovra e elogiare la necessità dei sacrifici per tutti. Ma al riparo delle ore notturne e nel chiuso delle commissioni, è scoppiata la rabbia dei senatori, che quelle forbici di Tremonti proprio non hanno mandato giù. Nella fila della maggioranza come in quelle dell’opposizione. Raffaele Lauro (Pdl) si è lamentato della «pubblicistica antiparlamentarista che produce una pericolosa disaffezione dei cittadini nei confronti delle pubbliche istituzioni e dei suoi rappresentanti». Andrea Pastore, anche lui Pdl, si è augurato che «si levino voci in difesa del prestigio del Parlamento e della dignità della funzione parlamentare, gravemente lesa da campagne diffamatorie che non rappresentano la realtà e alimentano sfiducia nelle istituzioni e in chi le rappresenta». Toni simili da parte di Barbara Saltamartini  e Giuseppe Saro, anche loro nelle fila della maggioranza. Quest’ultimo ha tuonato: «l’indennità parlamentare serve al deputato e al senatore per svolgere con la massima efficacia la propria attività politica». Era evidente che nessuno entra a palazzo per vocazione e con lo spirito del volontariato, ma per dirla così ci vuole un certo coraggio.
pianto greco

I pidiellini sono un pizzico polli. Pensavano di essere al sicuro fra quelle quattro mura, eppure almeno in sintesi il loro pianto greco è stato pubblicato nei resoconti parlamentari. Quelli del Pd sono assai più furbi. Non si sono strappati i capelli in pubblico più di tanto, perché sanno che così si perdono voti. Hanno badato al sodo: è stata loro l’idea di inserire le trappolette nel parere. Francesco Sanna si è inventato quella dello stipendio legato alla densità demografica. Marilena Adamo ha chiesto pure di tenere conto del costo della vita, visto che in Italia l’inflazione sta rialzando la testa. Niente rivalutazione a pensioni da 2.300 euro lordi, al Pd poco importa perché l’importante è rivalutare l’indennità parlamentare di 5.600 euro netti. Inserite le trappolette nel parere, i senatori del   Pd sono riusciti in un miracolo di ipocrisia. Salvati i propri stipendi e convinti il Pdl a sposare il loro marchingegno per smontare Tremonti, pareva brutto votare contro. Così Enzo Bianco ha tirato fuori dal cappello un’ideona: ha chiesto di votare per parti separate il parere. Prima il semplice “nulla osta” alla finanziaria. Qui il Pd ha votato contro per fare vedere ai propri elettori che è un partito durissimo. Poi sono state messe al voto le osservazioni vincolanti per quel sì. E il Pd che aveva votato no al “nulla osta”, ha votato sì invece ai vincoli che salvano lo stipendio della casta. Un vero capolavoro.

di Franco Bechis
 

http://www.libero-news.it/news/784144/Casta-accade-tutto-nella-notte-Così-hanno-salvato-i-privil  
http://www.libero-news.it/news/784144/Casta-accade-tutto-nella-notte-Così-hanno-salvato-i-privilegi.html   
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venerdì, 15 luglio 2011

L' altro 10 Febbraio: la pulizia etnica dei cari transalpini
 
 

 
 

 
 Oggi ricorre il triste sessantesimo del Trattato di Pace di Parigi.
Tutti i siti di Destra, giustamente, ricorderanno le dolorose cessioni dei Confini Orientali, con relativi massacri. Io voglio occuparmi delle meno cruente ma altrettanto tristi cessioni dei Confini Occidentali. Infatti non possiamo e non vogliamo dimenticare che uno dei revanscismi che spinsero l' Italia a dichiarare guerra alla Francia nel 1940, fu l'indebita cessione della Contea di Nizza ai transalpini nel 1860. Cui seguirà nel 1947,proprio col Trattato di Parigi che cedette l' Istria e la Dalmazia ai titini, tutto il territorio della Valle della Roia, Ligure ed Italiano da sempre. Subito dopo l'annessione alla Francia, avvenuta nel 1947 in seguito ai trattati di pace conseguenti alla seconda guerra mondiale, fu intrapresa un'intensa opera di "francesizzazione" della Valle della Roia eliminando ogni riferimento storico alla lingua italiana, senza tralasciare le lapidi cimiteriali. Furono addirittura modificate le iscrizioni del monumento al colonnello italiano Giovanni Pastorelli, originario di Briga Marittima, perito in Libia nel 1911, diventato Jean Pastorélli, caduto su un indefinito "champ d'honneur". A ciò fece seguito l'esodo in Italia di una parte della popolazione brigasca. Per dimostrare quanto poco Briga e Tenda fossero di sentimenti francesi, si ricorda che il 2 giugno 1946 in occasione del referendum istituzionale la maggioranza dei brigaschi votò per la monarchia e a Tenda la repubblica superò la monarchia per soli 66 voti. Ottennero la maggioranza dei voti nelle elezioni per l'Assemblea Costituente i partiti contrari all'annessione (DC, MSI, PLI e PRI). L'unico partito "italiano" favorevole alla cessione era quello socialista, ed i servizi segreti francesi fecero una forte propaganda affinché la gente lo votasse. Furono cambiati persino molti cognomi degli autoctoni ("Bianchi" => "Leblanc"; "Del Ponte" => "Dupont" ecc.).
E come potete vedere "strani" monumenti furono innalzati dai francesi.


Ricordiamo i principali borghi passati sotto l'occupazione francese dopo il 1947: Briga Marittima, Tenda, Berghe, Olivetta san Michele.
Per mostrare quanto innaturale sia tale occupazione, la piantina mostra come oggi, chi voglia recarsi in treno da cuneo a Ventimiglia, debba passare per due ipotetiche dogane francesi.
Altri territori occupati dai francesi dopo il 1947 sono: il Passo del Monginevro e quello del Moncenisio, parte del Piccolo San Bernardo, la Valle Stretta (nei pressi di Bardonecchia) e parte del Colle della Maddalena.
 
tratto da:http://mortidimenticati.blogspot.com/ 

 







  


 
 






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giovedì, 14 luglio 2011

Il 14 luglio 1789 i francesi presero la bastiglia,ora stanno prendendo il petrolio libico 
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mercoledì, 13 luglio 2011

Addio a Togliatti jr: dimenticato dal padre è morto in manicomio 


 

È rimasto rinchiuso in una clinica psichiatrica per trent’anni. Il "Migliore" da quando si legò a Nilde Iotti di fatto se ne disinteressò 

Il signor Aldo se n’è quietamente anda­to. Avrebbe compiuto 86 anni il 29 luglio, ed era ricoverato da decenni in una clinica mo­denese per la cura delle malattie mentali. Un malato come tanti, silenzioso e remissi­vo, che aveva per unici svaghi i cruciverba e gli scacchi, e per unico veniale vizio il fumo. Ultimamente stava quasi sempre a letto nel­la sua camera, la 227. Un signor nessuno, du­ramente colpito dalla schizofrenia con im­pulsi autistici, che invece era un signor qual­cuno: avendo avuto per padre Palmiro Togliatti, segretario del Pci. Il segreto doloroso dell’esisten­za di Aldo fu ferreamente tutelato, per molti anni, dai pochi che nel­l’ entourage del Migliore ne erano a conoscenza. La vicenda venne alla luce nel 1993 grazie a un croni­sta della Gazzetta di Modena , Se­bastiano Colombini, e al direttore di quel quotidiano, Antonio Ma­scolo. Vi fu curiosità, e in molti an­che emozione, per lo scoop, che coinvolgeva una figura importan­t­e
della politica italiana e mondia­le. Dalla vicenda fu tratto un libro e anche un testo teatrale di Luigi Lunari che con il titolo Our fathers approderà a Broadway, abbinan­do il destino di Aldo a quello della ritardata Rosemary Kennedy, fi­glia sostanzialmente ripudiata dal patriarca del potente clan. Si volle da alcuni- non senza ra­gione- che la sorte dello sventura­to Aldo gettasse un’ulteriore om­bra su Palmiro. Per la solitudine in cui aveva lasciato quel suo figlio così bisognoso di cure e di atten­zioni, per il vuoto affettivo cui l’aveva condannato, per l’oscuri­tà in cui l’aveva tenuto quasi che le tragiche turbe della sua mente fos­sero una colpa vergognosa. Que­sto tasto va toccato anche se non mi sembra il caso d’insistervi trop­po, visti gli spettacoli d’amoralità e d’aridità di cuore cui ci tocca d’assistere.Onore postumo al vec­chio militante comunista Onelio Pini, morto una decina d’anni or sono, che ogni settimana faceva vi­sita al signor Aldo, scambiava qualche frase con lui, e gli portava un pacchetto di sigarette «Stop» senza filtro. Una volta Onelio sus­surrò all’orecchio dell’infermo la notizia che l’Urss s’era disgregata, che in buona sostanza il comuni­smo era finito. Ma non è dato di sa­pere quanto il vecchio fuori di te­sta abbia capito di questi muta­m­enti rivoluzionari che in altre cir­costanze l’avrebbe sconvolto. Nato a Roma, Aldo aveva tutta­via trascorso l’infanzia e l’adole­scenza in Unione Sovietica, aven­d­o il trattamento privilegiato riser­vato dal regime alla Nomenklatu­ra. Palmiro era una figura di pri­mo piano del cupo universo stali­niano, la moglie Rita Montagna­na era anche lei una fervida mili­tante comunista ( diventerà nel do­poguerra la presidente dell’Udi, l’Unio­ne donne italiane). Nel­l’Urss Aldo si laurea in ingegneria, benché dia già segni di squilibrio. Rimpatriato con il padre e la ma­dre vorrebbe proseguire gli studi, ma non ci riesce, lavora ma con crescenti sbandamenti. Un gior­no fu rintracciato nel porto di Le Havre, in Francia, dove voleva im­barcarsi per gli Stati Uniti. L’ulti­ma sua apparizione pubblica fu re­gistrata nel 1964, ai funerali del pa­dre. La vita di Palmiro Togliatti- e an­che quella di Aldo- ebbe una svol­t­a importante dopo il ritorno in Ita­lia. Il massimo dirigente del Pci si lasciò alle spalle gli anni dell’osan­nato terrore staliniano, conobbe una nuova vita, la dolce vita.
Si di­vise da Rita Monta­gnana, ebbe per compagna la gio­vane e bella Nil­de Iotti, e nel 1950 adottò una bambina di sette anni, Marisa Mala­goli, figlia d’un opera­i­o ucciso durante scon­tri con la polizia. Da quel momento in poi Nilde e Mari­sa furono per Il Migliore la fami­glia, a Marisa venne riservato il ca­lo­re paterno di cui Palmiro era ca­pace. Aldo, molto colpito nella sua vulnerabilità e nei suoi gravi problemi, diventò uno spiacevole ingombro. O piuttosto non lo di­venne perché il padre lo escluse dalla sua quotidianità. Rimasero invece i legami con i Montagnana torinesi. Ossia con la madre pri­ma che morisse nel 1979, e con i cu­gini Nuccia e Manfredo. Quest’ul­timo è stato tutore del malato fino all’ultimo. Forse quando la politica assu­me la connotazione ossessiva che ebbe per Palmiro Togliatti può an­nullare o attenuare, in un proces­so di desertificazione affettiva, sentimenti e passioni più privati. Non pochi altri padri sono stati e sono egoisti come lo fu Palmiro. Non voglio, ripeto, atteggiarmi a giudice di quella che è stata senza dubbio una tragedia familiare. Massimo Caprara, che di Togliatti fu segretario per vent’anni, ha scritto: «La colpa maggiore di To­gliatti è stata la disumanità». Ne ha fatto le spese anche l’unico fi­glio.
http://www.ilgiornale.it/cultura/addio_togliatti_jr_dimenticato_padre_e_morto_manicomio/togliatti-figlio-manicomio-follia-nilde-jotti-politica-comuniscmo-pci-comunista-mario-cervi/12-07-2011/articolo-id=534547-page=0-comments=1 

 




 

 
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martedì, 12 luglio 2011

AFGHANISTAN, MUORE SOLDATO ITALIANO 


 

Un militare italiano è morto oggi in Afghanistan in seguito all'esplosione di un ordigno. Il fatto, secondo quanto appreso dall'ANSA, è avvenuto a Bakwa, nella parte meridionale del settore ovest, tutto a comando italiano. Secondo le scarne informazioni a...ncora a disposizione, l'esplosione ha investito il militare appena sceso dal mezzo: si tratterebbe di un artificiere che aveva proprio il compito di bonificare dai micidiali 'Ied', gli ordigni esplosivi improvvisati, le strade percorse dai convogli. ISAF, CONFERMA MORTE SOLDATO ITALIANO - La Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) ha confermato oggi indirettamente la morte di un militare italiano in Afghanistan. In un comunicato a Kabul l'Isaf ha indicato che "un membro della Forza è morto nell'Afghanistan occidentale per lo scoppio di un rudimentale ordigno (ied)". L'Isaf non precisa mai la nazionalità delle vittime, ma il tipo di attentato e la regione coincidono con quella annunciata da fonti della Difesa a Roma. Secondo un calcolo non ufficiale, i soldati stranieri morti in Afghanistan sono ora 299 dall'inizio dell'anno e 18 dal primo luglio 2011. da http://ansa.it/web/notizie/rub​riche/mondo/2011/07/12/visuali​zza_new.html_786970999.htmlMostra altro Un militare italiano è morto oggi in Afghanistan in seguito all'esplosione di un ordigno. Il fatto, secondo quanto appreso dall'ANSA, è avvenuto a Bakwa, nella parte meridionale del settore ovest, tutto a comando italiano. Secondo le scarne informazioni a...ncora a disposizione, l'esplosione ha investito il militare appena sceso dal mezzo: si tratterebbe di un artificiere che aveva proprio il compito di bonificare dai micidiali 'Ied', gli ordigni esplosivi improvvisati, le strade percorse dai convogli. ISAF, CONFERMA MORTE SOLDATO ITALIANO - La Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) ha confermato oggi indirettamente la morte di un militare italiano in Afghanistan. In un comunicato a Kabul l'Isaf ha indicato che "un membro della Forza è morto nell'Afghanistan occidentale per lo scoppio di un rudimentale ordigno (ied)". L'Isaf non precisa mai la nazionalità delle vittime, ma il tipo di attentato e la regione coincidono con quella annunciata da fonti della Difesa a Roma. Secondo un calcolo non ufficiale, i soldati stranieri morti in Afghanistan sono ora 299 dall'inizio dell'anno e 18 dal primo luglio 2011. da http://ansa.it/web/notizie/rub​riche/mondo/2011/07/12/visuali​zza_new.html_786970999.htmlMostra altro
Un militare italiano è morto oggi in Afghanistan in seguito all'esplosione di un ordigno. Il fatto, secondo quanto appreso dall'ANSA, è avvenuto a Bakwa, nella parte meridionale del settore ovest, tutto a comando italiano. Secondo le scarne informazioni a...ncora a disposizione, l'esplosione ha investito il militare appena sceso dal mezzo: si tratterebbe di un artificiere che aveva proprio il compito di bonificare dai micidiali 'Ied', gli ordigni esplosivi improvvisati, le strade percorse dai convogli. ISAF, CONFERMA MORTE SOLDATO ITALIANO - La Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) ha confermato oggi indirettamente la morte di un militare italiano in Afghanistan. In un comunicato a Kabul l'Isaf ha indicato che "un membro della Forza è morto nell'Afghanistan occidentale per lo scoppio di un rudimentale ordigno (ied)". L'Isaf non precisa mai la nazionalità delle vittime, ma il tipo di attentato e la regione coincidono con quella annunciata da fonti della Difesa a Roma. Secondo un calcolo non ufficiale, i soldati stranieri morti in Afghanistan sono ora 299 dall'inizio dell'anno e 18 dal primo luglio 2011. da http://ansa.it/web/notizie/rub​riche/mondo/2011/07/12/visuali​zza_new.html_786970999.htmlMostra altro  
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sabato, 09 luglio 2011

PROGETTO NAZIONALE: IMMIGRAZIONE IN ITALIA E IN EUROPA: FERMIAMO L’INVASIONE!

 

Su 500 milioni di abitanti dell'Unione Europea, gli immigrati sono oltre 50 milioni e i musulmani oltre 16 milioni.In percentuale sulla popolazione totale, gli immigrati sono il 15% in Austria, il 12,3% in Germania e in Svezia, il 10,8% in Spagna, il 10,2% in Francia, il 9% nel Regno Unito, il 7% in Italia.
Molti immigrati non sono ricompresi nelle statistiche perché hanno ottenuto la cittadinanza di uno stato europeo.
Quali sono le città europee con la più alta percentuale di immigrati, in tutti i casi principalmente musulmani? Rotterdam (Paesi Bassi) 46%, Birmingham (Regno Unito) 30% , Malmoe (Svezia) 28% e tante altre.
Quali sono le città italiane con la più alta percentuale di immigrati? Brescia 17%, Reggio Emilia e Vicenza 15%, Piacenza e Milano 14%, Prato, Verona e Modena 13%, Padova, Parma e Bergamo 12%.
In Italia, gli immigrati sono cresciuti da 321.000 (1981) a un milione e 334.000 (2001) fino agli odierni 4 milioni e 650.000 (7% della popolazione, più 650.000 clandestini stimati).
In Sardegna nel 2001 c’erano 10.000 immigrati, oggi ci sono oltre 40.000 immigrati.

  1. L’immigrazione sottrae posti di lavoro agli Italiani e abbassa drasticamente il livello medio dei salari.

  2. L’immigrazione sottrae risorse sociali agli Italiani per asili nido, case popolari, sanità, assistenza sociale.
  3. L’immigrazione porta alla crescita della criminalità e genera insicurezza per la popolazione autoctona.
  4. L’immigrazione genera costosi aggravi per le forze di polizia, la giustizia penale, il sistema carcerario.
  5. L’immigrazione è una speculazione di lobbies laiche e religiose a danno dell’erario e del contribuente.
  6. L’immigrazione mette in pericolo l’identità culturale della nostra Nazione.

ORA BASTA: FERMIAMO L'INVASIONE!

• BLOCCO IMMEDIATO DELL'IMMIGRAZIONE
• CONTROLLO MILITARE DELLE FRONTIERE MARITTIME, TERRESTRI, AEROPORTUALI
• ESPULSIONE IMMEDIATA DEI CLANDESTINI
• REPRESSIONE DELLA CONCORRENZA SLEALE DEGLI IMPRENDITORI STRANIERI
• RIMPATRIO PROGRESSIVO DEI LAVORATORI STRANIERI PRESENTI IN ITALIA

 

• SOSTITUZIONE DELLA MANODOPERA STRANIERA CON I DISOCCUPATI ITALIANI 
TRATTO DA: Progetto Nazionale Capoterra 

 
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giovedì, 07 luglio 2011

07 Luglio 1972 – In ricordo di Carlo Falvella

 

 


 Nemmeno trascorsi due anni dalla morte di Ugo Venturini a Genova, un altro giovane missino cadde a Salerno per colpa dell’odio comunista. Il suo nome era Carlo Falvella. Il padre, Michele, proveniva dalla Basilicata, era un professore di scuola media superiore, cattolico tradizionalista e mutilato di guerra.

La madre, di origine abruzzese, era missina convinta, spesso girava per Salerno con i manifesti del Movimento Sociale Italiano attaccati agli sportelli e al cofano della macchina. Sei figli, cinque maschi e una femmina. Carlo, studente di filosofia e Vicepresidente degli Universitari di destra salernitani, aveva abbracciato la vita politica proprio grazie alla tenacia e alla passione della madre. Purtroppo era affetto da una gravissima forma di miopia.
Infatti, Carlo, era già stato operato tre volte di cataratta e solo il progresso della scienza oculistica poteva salvarlo dalla cecità totale. Mancavano cinque minuti alle ventidue del 7 luglio 1972, quando i Carabinieri di Salerno furono allertati da una telefonata per una furibonda rissa in via Velia. Carlo Falvella e l’amico Giovanni Alfinito, prima di rincasare, furono notati da un gruppo di tre persone, Giovanni Marini, Francesco Mastrogiovanni e Gennaro Scariati, tutti appartenenti alla sinistra extraparlamentare. Al loro incontro Marini estrasse il coltello e colpì Alfinito all’inguine. Carlo Falvella, per difendere l’amico, si lanciò contro Marini ed entrambi caddero a terra. Ma durante la colluttazione Carlo Falvella fu colpito gravemente alla aorta. Nonostante il trasporto immediato all’ospedale e un intervento chirurgico Carlo Falvella morì. Marini fu subito arrestato mentre Mastrogiovanni e Scariati si diedero alla latitanza. Alle esequie parteciparono circa ventimila persone, quasi tutte appartenenti al Movimento Sociale Italiano, il giorno prima in città era arrivato anche il Segretario Nazionale Giorgio Almirante. Assenti tutti gli altri partiti ma anche le figure istituzionali quali il sindaco di Salerno, Gaspare Russo, e il Presidente della Provincia, Carbone. Dopo quattro giorni dalla morte di Carlo Falvella, il Secolo d’Italia, organo ufficiale del Movimento Sociale Italiano, pubblicò in prima pagina il titolo “Un altro martire per la gioventù d’Italia. Dopo Venturini il sacrificio di Carlo Falvella”. Anche la federazione salernitana del Patito Comunista Italiano espresse il proprio sdegno per la scomparsa della giovane vita. Nei giorni successivi a Salerno accadde di tutto. Una vera e propria campagna innocentista a difesa di Giovanni Marini. Da Salerno a Milano, slogan, manifestazioni e addirittura la scrittura e la diffusione di quattro canzoni tutte ispirate allo stesso episodio. Soccorso rosso militante pubblicò un pamphlet dal titolo “Il caso Marini” proprio mentre era in corso il processo. Ma anche intellettuali dal calibro di Dario Fo, Franca Rame e un giovane avvocato destinato a una grande carriera, Giuliano Spazzali. In realtà chi era Giovanni Marini? Era un militante anarchico con alle spalle una storia in comune con quella di migliaia di proletari meridionali. Era nato in un piccolo paese, Sacco, in Campania, e all’età di dieci anni si era trasferito a Salerno con la famiglia. Cresciuto in una situazione sociale di disgregazione e miseria, iniziò presto a ribellarsi contro le cause dell’emarginazione. A diciannove anni, dopo la maturità in ragioneria, fu subito bollato come sovversivo e gli fu impossibile trovare impiego. Fu costretto a sopravvivere con lavori saltuari per alcuni anni e militò a lungo nel Partito Comunista Italiano per poi uscire definitivamente per le sue posizioni anarchiche. Al termine del processo, nel 1974, fu condannato a dodici anni di reclusione per omicidio preterintenzionale aggravato e concorso in rissa. Nel 1975, in appello, la condanna fu ridotta a nove anni. Mastrogiovanni e Scariati, invece, furono assolti dall’accusa di rissa. Già nel 1979, Giovanni Marini uscì dal carcere e rimase per due anni sotto libertà vigilata. Trovò lavoro come assistente sociale, a Padula, quindici chilometri da Salerno. Ma non riuscì a integrarsi e scivolò gradualmente nell’alcolismo. Nel dicembre del 1982, Marini fu nuovamente arrestato insieme ad altre persone con l’accusa di appartenenza alle Brigate Rosse. Morì a Salerno nel 2001 a quarantanove anni. Ventinove anni dopo la morte di Carlo Falvella.
In occasione del 39° Anniversario della scomparsa di Carlo Falvella, questa sera alle ore 20:00 ci sarà il raduno per tutti i militanti presso la Stazione Ferrovie dello Stato di Salerno per raggiungere via Velia e celebrare il “Presente”.

 

 

 


postato da: sebastia11 alle ore 14:32 | link | commenti
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