martedì 22 novembre 2011

sabato, 03 settembre 2011

Chi ha davvero fatto i tagli ai disabili? Prodi… 


 
C’è chi si indigna per i “disabili esclusi dai Giochi della gioventù per volontà del ministro Maria Stella Gelmini”, notizia falsa smascherata facilmente, o chi dà lezioni su sentenze di tribunali che obbligano il ministero della Pubblica istruzione a non operare tagli di personale sugli insegnanti di sostegno da assegnare ai disabili. La morale, secondo costoro, è sempre la stessa: “Il governo attualmente in carica discrimina i disabili”.
E’ la verità? No, non la è, basterebbe informarsi per scoprire che il governo Prodi è stato il primo ad introdurre il “tetto massimo per gli insegnanti di sostegno”. Tale provvedimento era inserito in due commi dell’ultima finanziaria del governo di centro-sinistra, quella del 2008 (legge 24 dicembre 2007, numero 244). Ma c’è di più: i due commi in questione, precisamente il 413 e il 414 dell’articolo 2, sono stati addirittura giudicati anti-costituzionali dalla Consulta, che il 26 febbraio 2010 ha dichiarato “illegittimo” il principio per cui si possa stabilire un limite al personale di sostegno. Una sentenza cui il ministro Gelmini, ormai in carica, ha dovuto adeguarsi, aumentando per l’appunto i docenti.

Andando a leggere alcuni stralci della sentenza, si scoprono cose interessanti: secondo la Corte Costituzionale, i tagli decisi dal governo Prodi non hanno rispettato i princìpi della Costituzione, in quanto ponendo un tetto al numero di insegnanti di sostegno si è venuta a verificare “l’impossibilità per il disabile grave di conseguire il livello di istruzione prevista”. Inoltre tali tagli sarebbero “in contrasto con i valori di solidarietà collettiva nei confronti dei disabili gravi”, ne impediscono “l’effettiva partecipazione alla vita sociale, economica e politica” e introducono “un illogico e irrazionale regime discriminatorio che non tiene conto del diverso grado di disabilità di tali persone, incidendo così sui loro diritti”.
E’ stato il governo Prodi ad annullare la norma, contenuta nella legge a difesa dei disabili, che assegnava un docente di sostegno per ogni disabile con gravi patologie, proseguendo così il taglio dei docenti di sostegno già iniziato in precedenza. Questo è bene ricordarlo, perché c’è ancora chi sostiene che la sentenza della Consulta sia contro “la finanziaria 2008 di Tremonti”. No, la legge 24 dicembre 2007 (finanziaria 2008, appunto) è del governo Prodi.
Ecco cosa dicono i due commi dell’articolo 2:
413. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 605, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il numero dei posti degli insegnanti di sostegno, a decorrere dall’anno scolastico 2008/2009, non può superare complessivamente il 25 per cento del numero delle sezioni e delle classi previste nell’organico di diritto dell’anno scolastico 2006/2007. Il Ministro della pubblica istruzione, con decreto adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, definisce modalità e criteri per il conseguimento dell’obiettivo di cui al precedente periodo. Tali criteri e modalità devono essere definiti con riferimento alle effettive esigenze rilevate, assicurando lo sviluppo dei processi di integrazione degli alunni diversamente abili anche attraverso opportune compensazioni tra province diverse ed in modo da non superare un rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni diversamente abili.
414. La dotazione organica di diritto relativa ai docenti di sostegno è progressivamente rideterminata, nel triennio 2008-2010, fino al raggiungimento, nell’anno scolastico 2010/2011, di una consistenza organica pari al 70 per cento del numero dei posti di sostegno complessivamente attivati nell’anno scolastico 2006/2007, fermo restando il regime autorizzatorio in materia di assunzioni previsto dall’articolo 39, comma 3-bis, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Conseguentemente, anche al fine di evitare la formazione di nuovo personale precario, all’articolo 40, comma 1, settimo periodo, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, sono soppresse le parole da: «nonché la possibilità» fino a: «particolarmente gravi,», fermo restando il rispetto dei princìpi sull’integrazione degli alunni diversamente abili fissati dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104. Sono abrogate tutte le disposizioni vigenti non compatibili con le disposizioni previste dal comma 413 e dal presente comma.

http://www.questaelasinistraitaliana.org/2011/chi-ha-davvero-fatto-i-tagli-ai-disabili-prodi/ 

 
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giovedì, 01 settembre 2011

Coop rosse e finanziamento del Pci-Pds e dei suoi succedanei. Un documento ormai quasi «storico» 


 
 
                                  
                    di Maurizio Tortorella
  
Sul ruolo delle cooperative rosse nel finanziamento illecito di quello che fu il Pci-Pds e dei suoi succedanei, vi ripropongo quel che nel febbraio 2006 mi disse in un’intervista Carlo Nordio, oggi procuratore aggiunto a Venezia. Mi pare un documento interessante, quasi «storico»…
È uno dei pochi pubblici ministeri italiani che hanno indagato sulle coop rosse e che possono dire di avere ottenuto qualche serio risultato: Carlo Nordio, sostituto procuratore di Venezia, nel 1999 aveva chiesto il rinvio a giudizio di oltre 100 amministratori di cooperative venete, finite sotto inchiesta per associazione a delinquere, falso in bilancio, bancarotta, finanziamento illecito del Pci-Pds. «Gli indagati» ricorda oggi Nordio a Economy «furono quasi tutti condannati o patteggiarono la pena».
Dottor Nordio, otto anni fa lei aveva accertato l’esistenza di un immenso patrimonio immobiliare fittiziamente intestato a prestanome, ma in realtà riconducibile al Pci-Pds: quanto valeva?
Circa mille miliardi di lire. Per la verità, il patrimonio fu scoperto dalla procura di Milano, che già nel settembre 1993 aveva fatto perquisire Botteghe Oscure e vi aveva trovato una stanza piena di fascicoli relativi agli immobili posseduti. Ma non si procedette al sequestro e il giorno dopo i fascicoli erano stati fatti sparire. Questo è emerso al di là di ogni dubbio o contestazione.
Lei ipotizza che quell’immenso patrimonio sia stato poi «incamerato» dalle cooperative rosse?
Io non ipotizzo nulla. I dati erano questi: trovammo migliaia di immobili intestati a persone fisiche, fedeli militanti del partito, che ne era il vero proprietario. Il Pci-Pds si giustificò di questa interposizione fittizia dicendo che non avrebbe potuto iscrivere gli immobili a bilancio. Ma la circostanza ovviamente non era vera: anzi, avrebbe potuto e dovuto. Come si conclusero le indagini? L’aspetto giuridico era controverso: avremmo potuto contestare il falso in bilancio sulla costituzione societaria. Ma poi questo aspetto è stato modificato e abrogato. Quindi penalmente non c’era nulla. Resta il dato, politico ed economico, che il partito non ha mai spiegato come fosse venuto in possesso di questo gigantesco patrimonio, con quali soldi lo avesse acquisito e perché lo avesse tenuto nascosto.
Che cosa ha pensato quando nell’estate scorsa (l’estate del 2005, ndr) è stata lanciata l’Opa miliardaria di Unipol sulla Bnl?
Nulla: primo perché ero in vacanza; secondo perché non sposo le mie inchieste e ormai delle cooperative non mi interessavo più.
E che cosa ha pensato quando, in dicembre (2005,ndr), si sono scoperti i conti esteri, e milionari, dei due uomini al vertice di Unipol: Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti?
Esattamente lo stesso: nulla.
Nemmeno quando poi sono emersi i rapporti stretti fra Consorte e il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, o quelli con Piero Fassino?
Qui l’interesse si è ridestato: perché mi ricordavano le mie inchieste e le mie durissime critiche sull’abuso delle intercettazioni telefoniche. Quelle su Fassino, nemmeno depositate, sono vergognose. Ma censurabili sono quelle che polizia e magistrati inseriscono negli atti senza che abbiano rilievo probatorio.
Ci sono differenze tra le coop sotto inchiesta dieci anni fa e quelle di oggi?
Credo che oggi il vincolo economico e finanziario tra coop e Ds si sia molto affievolito. A quell’epoca, invece, era assolutamente organico.
Ma dieci anni fa le coop come finanziavano il Pci-Pds?
In modo diretto e indiretto. Le coop avevano una riserva rigorosa di appalti pubblici, frutto di accordi politici spartitori a livello nazionale e regionale. In questo senso non c’era alcuna differenza tra Dc, Psi e Pci: si erano divisi equamente tutto, con qualche briciola per gli alleati minori: Dc e Psi sponsorizzavano le imprese amiche, il Pci le coop. Ma i finanziamenti erano diversi.
Perché?
Alla Dc e Psi arrivavano contributi in denaro, con i quali si pagavano i funzionari e le altre spese. Nel Pci i funzionari erano pagati dalle coop, ma lavoravano per il partito. Il risultato finale è identico, però lo strumento è diverso. E lo è anche dal punto di vista penale: la mazzetta integra il reato di corruzione, il sistema del Pci no. Un altro modo era quello della pubblicità inesistente: le coop pagavano cifre enormi per farsi pubblicità sui giornaletti del partito. Spesso le inserzioni, pagate, non venivano neanche pubblicate. Giuliano Peruzzi, il consulente finanziario che fu uno dei suoi testimoni, sosteneva che nel 1991 l’Unipol finanziaria e altre coop attraversavano una «paurosa crisi finanziaria».
Com’è stata ripianata, tanto da consentire all’Unipol l’Opa su Bnl?
Sulle vicende attuali non voglio e non posso rispondere: perché non ne ho conoscenza diretta e per rispetto verso i procedimenti in corso. Nella mia inchiesta emerse che il Pci-Pds aveva iniziato il risanamento dei debiti conferendo il suo immenso patrimonio immobiliare nella società Beta, che ne avrebbe garantito la solvibilità. Ma io non indagai oltre in quel settore, perché esulava dalla mia competenza. Vorrei ricordare, però, che ancora oggi si dice che io indagai per anni sulle finanze del Pci-Pds ma non trovai nulla. A parte il fatto che trovammo molto, io mi limitai a indagare sulle cooperative agricole del Veneto, che per operazioni e sviluppo territoriale erano secondarie rispetto alle grandi coop edilizie di altre regioni.
E lei come provò i legami tra coop e Pds?
Interrogando i protagonisti e acquisendo gli organigrammi. Ri-sultò che i vertici delle coop erano di rigorosa nomina politica e che quasi sempre, dopo un’esperienza al vertice di un’azienda, il funzionario rientrava nel partito. Era un rapporto, come si disse, «organico». Rileggendo le sue carte di anni fa compaiono storie che ricordano quelle di oggi: come quella di Renato Morandina, che riceve dalla Fiat 200 milioni di lire su due conti svizzeri e, scoperto, giura che sono compensi per consulenze e che il partito non c’entra.
Un Consorte ante litteram?
Di Consorte non posso dire nulla. Di Morandina è stato accertato che un alto dirigente della Fiat gli aveva pagato in Svizzera, in quanto esponente del Pci, due tranche di 100 milioni di lire per una «consulenza». Morandina era un modesto maestro elementare, ma era anche il «cassiere» del partito e non aveva alcuna competenza tecnica. La consulenza non fu mai trovata perché non era stata mai fatta. Tuttavia Morandina non toccò mai quel denaro, che in effetti non era suo. Quando vennero scoperti i due conti, Morandina si precipitò a ritirare i soldi, li restituì, evitò l’arresto, però disse che erano soldi suoi. Ma, allora, perché restituirli? In realtà, nei pochi casi acclarati di finanziamento diretto al Pci-Pds, il sistema era sempre lo stesso e ben collaudato: un versamento estero su estero, in conti separati, con successiva confluenza in un terzo conto diverso. Onore all’onestà dei militanti, però: nessuno di loro ha mai fatto la cresta. Quanto a Consorte, ognuno può vedervi le analogie che crede.
Consorte è stato allontanato dall’Unipol, ma non è mai stato «rinnegato» dal partito. Anzi, tra i Ds c’è chi lo ha difeso. La sua sorte non ricorda quella riservata al funzionario del Pci torinese, Primo Greganti?
Greganti fu accolto come un trionfatore e anche questo smentiva la sua difesa. Se avesse incassato soldi millantando credito e spendendo fraudolentemente in nome del Pci sarebbe stato, ragionevolmente, cacciato con ignominia dal partito.
Da Greganti ritorniamo a Consorte. Perché dieci anni fa è stato tanto difficile indagare sul finanziamento illecito del Pci-Pds, e oggi sui conti dei manager della cooperazione?
Per due ragioni. La prima: il sistema di finanziamento occulto del Pci era completamente diverso da quello degli altri partiti, anche se ubbidiva a una logica uguale. Una cosa è ricevere una mazzetta, e con quella pagare gli stipendi dei funzionari di partito, un’altra è ricevere in prestito i lavoratori, i cui stipendi vengono pagati dalle coop. Anche l’impatto mediatico della notizia è diverso. La seconda è l’assoluta mancanza di collaborazione: non è vero che la procura di Milano abbia usato due pesi e due misure. Ha tenuto in cella Greganti per mesi, ma non gli ha scucito una parola. Gli hanno trovato i denari, e lui ha detto che con quelli si era comprato una casa. Verissimo. Sarebbe semmai interessante vedere se non si tratti di una delle tante case intestate ai militanti, ma di proprietà del partito. E con le quali, appunto, si stanno ripianando i suoi debiti.
BOX Il caso morandina Milioni, conti esteri e una «consulenza» Era «il maestro di Camponogara», Renato Morandina: pensionato, e dal 1990 organizzatore regionale del Pci-Pds. Prima delle elezioni del 1990 e del 1992 ottenne dalla Fiat due versamenti da 100 milioni di lire su conti svizzeri. Spiegò che erano per una «consulenza», ma ai pm consegnò solo «due insignificanti paginette». Ammise poi di avere impiegato parte di quei soldi per il partito, «ma a sua totale insaputa». 
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mercoledì, 31 agosto 2011

 

I servizi sociali del Comune di Latina mandano i senzatetto a Casapound

 


 
 

  
"Da circa una settimana l’occupazione di Viale XVIII Dicembre ospita un 60enne italiano licenziato e sfrattato di casa. La particolarità di questo caso è che ad indirizzare l’uomo verso la nostra struttura sono stati i servizi sociali del Comune di Latina - afferma Enzo Savaresi di CasaPound.- A quanto pare “la sfida del fare” tanto sbandierata in campagna elettorale dal neo sindaco Di Giorgi non comprende proposte e azioni concrete per fronteggiare l’emergenza abitativa. L’unica struttura capace di assistere cittadini senzatetto in città rimane CasaPound ma allo stesso tempo permane il ruolo ambiguo e poco costruttivo del Comune nel volerla regolarizzare con l’acquisto. In quasi cinque anni di attività abbiamo tolto dalla strada più di cento persone senza mai chiedere un centesimo a nessuno. E’ora che chi di dovere si assuma le sue responsabilità ad iniziare dall’assessore ai servizi sociali Patrizia Fanti alla quale poniamo una domanda: caro Assessore è possibile che un ente pubblico consigli a persone in difficoltà di rivolgersi ad una casa occupata illegalmente per risolvere la propria situazione?”

 Casapound LatinaOsa   Casapound LatinaOsa 
 

 
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sono passati due anni da quando il ministro Renato Brunetta tuonava contro il «culturame» e i «cineasti parassiti» che affollavano il Lido di Venezia. L’avessero ascoltato, alla 68esima Mostra del Cinema che inaugura oggi ci sarebbe un ospite sgradito in meno, il convitato di pietra chiamato Stato. Non c’è crisi economica, tsunami finanziario o guerra in Libia che tenga: i soldi pubblici per la settima arte vanno sganciati.

Del resto, scriveva l’economista Ernesto Rossi sul Mondo mezzo secolo fa, «il cinema è, in Italia, il “cocco di mamma”. I parlamentari, a qualunque partito appartengano, dedicano molte cure e destinano più quattrini al cinema che alle biblioteche, alla conservazione dei monumenti, alla salute pubblica, alla tutela della libertà dei cittadini. E come tutti i “cocchi di mamma” troppo sbaciucchiati, viziati e rimpinzati di dolciumi, il cinema italiano, nonostante promettesse bene da piccolo, è cresciuto male: è diventato un vitellone, per non dire un magnaccia». Dunque sotto a chi tocca, tutti in fila per la mungitura della vacca pubblica. E meglio se il film è un po’ politicamente orientato, nella migliore tradizione della Laguna rossa. 

Terraferma di Emanuele Crialese, che si presenta come una pellicola di buoni sentimenti sull’incontro fra un’italiana e un’africana sopravvissuta al tragitto su un barcone, ha ottenuto dal ministero dei Beni culturali 1.200.000 euro. Altra pellicola sul tema immigrazione è L’ultimo terrestre (dove gli stranieri sono gli alieni), l’attesa opera prima del fumettista Gian Alfonso Pacinotti (in arte Gipi), che ha ottenuto il sostegno finanziario della Toscana Film Commission. Per completare il trittico migratorio, ecco Il villaggio di cartone dell’ottuagenario  Ermanno Olmi (con un prete che ospita un bel gruppo di migranti), sovvenzionato dal MiBac con  1.000.000 di  euro.  Alla  commedia «antileghista» Cose dell’altro mondo di Francesco Patierno (con Abatantuono nei panni di un imprenditore veneto decisamente ostile agli stranieri) sono arrivati invece 1.300.000 euro.   

Ma di soldi ce ne sono per tutti. Quando la notte di Cristina Comencini ha ricevuto 400.000 euro.    La coproduzione italo-franco-svizzera Un été brulant,   interpretata da Monica Bellucci,  300.000  (ma almeno si prospetta il nudo integrale della bella signora, quindi forse sono ben spesi).  A primeggiare per il maggior numero di contributi è la sezione   Controcampo Italiano  e non potrebbe essere altrimenti.  Scialla! di Francesco Bruni (300.000 euro), Qualche nuvola di Saverio Di Biagio (400.000 euro più un contributo della Roma Lazio Film Commission), Cavalli di Michele Rho (500.000 euro più la coproduzione di Rai Cinema) e Il maestro di Maria Grazia Cucinotta (40.000 euro: ma è un cortometraggio).

Nella sezione Settimana internazionale della critica, gestita autonomamente dal Sindacato nazionale critici cinematografici, due film realizzati grazie all’intervento pubblico: Missione di pace di Francesco Lagi (400.000 euro dal Minbac) e La-Bàs. Con il mare negli occhi di Guido Lombardi (la compagine produttiva include Rai Cinema nonché la regione Campania). Anche le Giornate degli autori, sezione autonoma (patrocinata  dai sindacati di categoria Anac e 100 autori), non mancano di  schierare  film sovvenzionati, come il mediometraggio Hit the road, nonna di Duccio Chiarini (40.000 euro più il contributo della regione Toscana), Ruggine di Daniele Gaglianone (1.000.000 euro più l’apporto produttivo di Rai Cinema e Apulia Film Commission) e Mundial olvidado di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni (200.000 euro).

Ma il meglio viene alla fine. Nella sezione Fuori concorso c’è il giusto tributo al vero eroe del finanziamento pubblico: Citto Maselli. L’uomo che nel 1995 si è beccato un milione e 321 mila euro  per girare Cronache del terzo millenio. Incasso al botteghino: 5000 euro.  Nel 1998, assieme ad alcuni colleghi, si è preso 432 mila euro per  Gli ultimi della classe, mai uscito. Nel 2005   464mila euro per  Civico zero. Risultato: 25mila euro circa di incassi.    A Lido quest’anno vedremo Scossa,  film sul terremoto di Messina del 1908 diretto con  Carlo Lizzani, Ugo Gregoretti e Nino Russo,  il quale oltre ai 200.000 euro sborsati dallo Stato può contare sui denari della Regione Sicilia e della Sicilia Film Commission.
Ma per un maestro come Citto, ci sembra il minimo.

di Francesco Borgonovo e Franco Grattarola
 


http://www.libero-news.it/news/811506/A-Venezia-il-Festival-degli-sprechi-le-pellicole-pagate-dallo-Stato.html 
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IL COSTO DEI FURBI DEL SINDACATO:LO STATO PAGA 500 MILIONI L'ANNO



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Sono un vero esercito. Poco meno di un milione di persone. Qualcuno per otto ore al mese, qualcuno per 16, altri ancora per giornate, non pochissimi tutti i giorni. Sono gli italiani che hanno un lavoro, ma ne fanno un altro a spese di tutti i contribuenti. In gran parte sindacalisti, in parte politici a tutti i livelli. Tutti insieme valgono circa 60 mila dipendenti a tempo pieno all’anno. Oggi in servizio, domani in pensione. Grazie ai contributi figurativi che lo Stato e quindi i contribuenti  versano loro. Perché basta essere delegato o dirigente sindacale o godere di permessi e aspettative, in parte retribuite in parte no, per mandato elettivo per vedersi versare figurativamente dall’Inps contributi pensionistici aggiuntivi.

Quei permessi costano alla collettività quando vengono presi perché in gran parte vengono retribuiti. Ma costano il doppio perché per ogni ora accumulata viene versato il relativo contributo figurativo dall’Inps. È  un regalo vero e proprio fatto grazie alle leggi che si sono sovrapposte nel tempo a centinaia di migliaia di rappresentanti sindacali. A cui è stato aggiunto un altro regalo: con un minimo di contribuzione aggiuntiva da parte della struttura sindacale in cui militano, tutti loro potranno prendere una pensione più ricca al momento opportuno. Lo stesso accade per tutti i parlamentari eletti, per i consiglieri regionali, provinciali e comunali. Due caste che si sono incontrate - politici e sindacati - e sono subito andate a nozze mandando naturalmente il conto agli italiani.

Quel privilegio vale oro. E passa davanti a tutti gli altri. Il periodo di mandato elettivo, così come il tempo passato a fare attività sindacale in distacco o permesso può essere conteggiato anche ai fini dei 35 anni di contributi per ottenere la pensione di anzianità. Per fare un esempio, la normativa in vigore non consente di calcolare in quei 35 anni il periodo di malattia o di disoccupazione (due condizioni non certo scelte dai lavoratori) in cui sia scattata la contribuzione figurativa. E ora sembra non conteggiare nemmeno più il periodo di servizio militare e quello trascorso in università prima di arrivare alla laurea. A sindacalisti e politici invece è concesso un tappeto rosso perfino a livello previdenziale. Nella pubblica amministrazione secondo il censimento - non esaustivo - compiuto da Brunetta, fra distacchi e permessi sindacali con o senza retribuzione annessa ci sono ogni anno 4.442 dipendenti pubblici a tempo pieno a cui vengono versati i contributi figurativi e che senza calcolare questi hanno già un costo annuo per lo Stato di 121 milioni di euro. A questi si aggiungono nel comparto pubblico aspettative e permessi per ricoprire funzioni pubbliche elettive per 2.239 persone fisse all’anno. Costano nell’immediato 67 milioni più i contributi figurativi che l’Inps deve versare.

Nel comparto privato ci sono altri 4 mila dipendenti in aspettativa o permesso per ricoprire funzioni pubbliche elettive, e oltre a questi c’è tutto l’esercito di sindacalisti in distacco, aspettativa o permesso. Secondo il cislino Bruno Manghi (citato da Stefano Livadiotti nel suo libro-inchiesta “L’altra casta”) «oggi in Italia ci sono 700 mila persone con mandato sindacale a tutti i livelli: delegati, dirigenti, membri di commissioni». Metà di loro ha diritto a otto ore di permessi retribuiti al mese, al di là dei distacchi. Gli altri possono prenderne il doppio. In tutto fanno otto milioni e 400 mila ore mensili di permessi. Valgono 43 mila assunti a tempo pieno all’anno. Il costo dei permessi viene pagato dai datori di lavoro, imprese pubbliche o private. La contribuzione figurativa su quelle ore valide per la pensione è a carico invece di tutti gli italiani, visto che la versa l’Inps.

A questi privilegi assoluti (di cui godono più della metà dei componenti delle segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil) si aggiungono quelli scandalosi consentiti a 40 mila italiani, dipendenti di partito e sindacalisti, dalla legge Mosca che consentì con centinaia di falsi e abusi la ricostruzione post guerra di carriere previdenziali. Furono regolarizzati gratis 8 mila funzionari del Pci, 9 mila della Cgil, 4 mila della Dc, 3 mila della Cisl, 2 mila del psi, 1.385 della Uil. Beneficiarono di quel dono-scandalo personaggi oggi ancora ben noti alle cronache politico-sindacali: da Sergio D’Antoni a Giorgio Napolitano, da Franco Marini ad Achille Occhetto. Questi contributi graziosamente regalati valgono secondo stime attendibili più di 500 milioni di euro all’anno. Più di quanto pesi il no al riscatto della laurea. Bisognerebbe farci un pensiero serio.

di Fosca Bincher

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lunedì, 29 agosto 2011

 

La casta del sindacato Ecco chi sono i furbetti con la doppia pensione 



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Cerco studente che sia andato a le­zione da Sergio D'Antoni. Giuro: lo voglio trovare. Qualcuno me lo segna­­li, mi faccia scrivere o telefonare: vo­glio avere la prova che l'ex sindacali­sta della Cisl ha avuto una grande car­riera da professore, come la sua pen­sione lascia intendere. Eh sì: perché da quando ho scoperto che D'Antoni riceve dall'Inpdap un assegno mensi­le di 5233 euro netti (netti!) al mese (103.148 euro lordi l'anno) come ex docente universitario non mi do pace: voglio parlare con qualcuno che sia andato a lezio­ne da lui. Qualcuno che si sia ab­beverato alle fonti di così costoso sapere. Se entro una settimana non lo trovo, sarò costretto a un gesto malsano: mi rivolgerò a «Chi l'ha visto?» e lancerò un ap­pello in Tv.
Guardando ieri la prima pagi­na del Giornale sui sindacalisti che diventano ricchi organizzan­do gli scioperi ho fatto un salto sulla sedia: alcune persone cita­te,
infatti, non solo ricevono il già abbondante stipendio parlamen­tare ma ad
esso uniscono una pensione maturata grazie alla mi­tica legge Mosca, quella che ha consentito a 40mila persone fra sindacalisti e dirigenti di partito di vedersi riconoscere con un col­po di bacchetta magica contribu­ti di fatto mai versati. Privilegio su privilegio: lo vedete che a orga­n­izzare scioperi conviene davve­ro? I lavoratori no, loro ci perdo­no soldi e, in casi come questi, an­che la faccia. I loro capi, invece, ci guadagnano. In carriera. In bene­fit assortiti. E, di conseguenza, in conto in banca.
Prendete Franco Marini, l'ex presidente del Senato, una vita da democristiano, sempre lì a pe­dalare fra un vino d'Abruzzo e una dichiarazione in Tv. Ebbene a voi, leggendo il Giornale di ieri, sarà sembrato esagerato il com­penso mensile che si è assicurato difendendo gli operai: 14.557 eu­ro, che corrisponde per l'appun­to all'indennità da senatore. Ma per la verità non è quello il solo de­naro che riceve dalle casse pub­bliche: infatti egli percepisce an­che una pensione Inps di circa 2500 euro al mese, che gli piove in tasca dal 1991, cioè da quando aveva 57 anni. Merito della legge Mosca, che evidentemente se ne è sempre impipata dell'allunga­mento dell'età lavorativa chiesto ai cittadini comuni...
Fra l'altro, visto che si parla di di­fensori del popolo, ci sia permes­so di ricordare che della legge Mo­sca beneficia anche il compagno Cossutta: la incassa dal 1980, cioè da quando aveva 54 anni (avete presente il 1980? Tanto per dire: in Urss c'era ancora Breznev, a Sanremo Bobby Solo cantava «Ge­losia » e il capitano del Milan era Aldo Maldera...). Dal 2008, poi il compagno Cossutta ha unito alla pensione Inps maturata grazie al­la legge Mosca anche il vitalizio parlamentare (9604 euro al me­se). E per non farsi mancare nulla al momento dell'uscita dal Parla­mento s'è assicurato anche la li­quidazione- monstre di 345mila euro, tutti in una volta. Un vero re­cord. Dimenticavo: la liquidazio­ne d­ei parlamentari viene chiama­ta tecnicamente «assegno di rein­serimento » o «assegno di solida­rietà». E,a differenza delle liquida­zioni dei normali lavoratori, è esentasse. Si capisce, con la solida­rietà bisogna essere generosi...
345mila euro di liquidazione. La pensioncina Inps grazie alla legge mosca e 9604 euro come vita­­lizio parlamentare: lo vedete? Pro­clamarsi paladini degli operai conviene. Salire sulle barricate de­gli scioperi è un affare. Infatti non c'è niente che renda in Italia come l'attività sindacale: fra Caaf, patro­nati, corsi di aggiornamento pro­fessionale, trattenute e balzelli va­ri Cgil, Cisl e Uil gestiscono ogni anno un patrimonio gigantesco, che fra l'altro viene amministrato con le stesse regole della cassa del coro alpino di Montecucco o della bocciofila di Pizzighettone. Non esistono bilanci consolidati, non esistono organi di controllo. E per di più c'è la possibilità, gestendo quel tesoro, di diventare in un amen parlamentari, europarla­mentari o mal che vada presidenti della Regione Lazio... Non male, no?
A conti fatti organizzare sciope­ri è come fare bingo. Alle spalle dei lavoratori. In effetti: alla ricchezza dei sindacati (l'ultimo vero organi­smo della Prima Repubblica) si unisce la ricchezza dei sindacali­sti. Che, come si è detto, riescono ad accumulare prebende, inden­nità, stipendi, pensioni e benefici di varia entità. Come quelli che ab­biamo citato qui, a cominciare na­turalmente dall'uomo che amava la Jacuzzi e i vestiti di Brioni, il sin­dacalista Sergio D'Antoni. Lui, in­fatti, come si è detto oltre all'inden­nità da parlamentare (14.269 eu­ro lordi al mese) incassa la pensio­ne Indpad da ex professore (5.233 euro netti al mese): ma sapete da quando la incassa quest'ultima? Da quando aveva 55 anni. E sape­te perché quella pensione è così al­ta? Perché, grazie al meraviglioso meccanismo dei contributi figura­tivi, a 55 anni risultava pensionabi­le con 40 anni di anzianità. Tutto regolare, tutto a norma di legge. Si capisce. Ma a me resta il dubbio: l'ex sindacalista Cisl, non solo è stato un grande docente, come di­mostra la sua pensione d'oro....
È stato anche un docente molto pre­coce. A 15 anni già saliva in catte­dra e insegnava. E allora è possibi­le c­he io non riesca a trovare nean­che uno che è andato a lezione da
lui?

http://www.ilgiornale.it/interni/la_casta_sindacato_marini_e_dantonifurbetti_con_doppia_pensione/29-08-2011/articolo-id=542545-page=0-comments=1 
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"La tua banca non è differente". La rivoluzione Islandese, un esempio per l'Europa

 


Tenetevi forte: in Europa è in corso una rivoluzione da ormai due anni.
No, non sto parlando dell'Iphone5, né mi confondo con il nord Africa. Faccio riferimento a un piccolo Paese, una terra così calma e solitaria da risultare priva di ogni potenziale sospetto: l'Islanda. Già, la pacifica Islanda, che giunge alle cronache solo per qualche eruzione vulcanica e della quale ci ricordiamo solo quando vediamo qualche documentario televisivo sui geyser.
Tramite moti pacifici e decisamente non eterodiretti da qualche potenza straniera oligarchica (come invece chiaramente successo in nord Africa e Medio Oriente), il Governo è stato forzatamente fatto dimettere, dopodiché si è partiti con la nazionalizzazione delle principali banche, con la decisione di non pagare i debiti statali con Gran Bretagna e Olanda, a causa delle loro scorrettezze finanziarie, e con la redazione di una nuova costituzione da parte di un'assemblea popolare costituente.
E questa non la chiamate rivoluzione? Lo è decisamente, ma a quanto pare la notizia "non interessa" ai media nostrani ed occidentali. Forse perché rischierebbe di risvegliare troppi cervelli assopiti? Forse perché censurata? Forse perché troppo scomoda? Molto probabile, ma dopotutto queste sono le regole della "democrazia" dei mass media, la mediacrazia, sempre pronta a lustrare copiosamente le scarpe del potentato di turno.
In Islanda tutto iniziò nel 2008, quando il governo allora in carica fu costretto a dimettersi a seguito della crisi economica internazionale, che aveva portato il Paese alla bancarotta.
I successori impongono alla popolazione una tassa del 5,5% per pagare i 3.500 milioni di debito nei confronti di Olanda e Gran Bretagna: la legge viene portata al referendum, che la boccia senza appello, con uno schiacciante 93%. E' la vittoria del cittadino nei confronti dei giochi sporchi della finanza internazionale, che strozza i popoli e le nazioni. Il FMI (fondo monetario internazionale) di tutta risposta congela gli aiuti economici all'Islanda, che erano stati chiesti dal governo precedente.
In Islanda però partono le indagini, predisposte dal governo stesso, per identificare i responsabili della crisi: vengono emessi numerosi mandati di cattura nei confronti di banchieri e top-menager, e l'Interpool spicca un ordine di arresto contro Sigurdur Einarsson, l'ex presidente di una delle due banche principali del Paese, la Kaupthing.
Dal febbraio scorso l'assemblea costituente è al lavoro per la creazione della nuova costituzione, che porrà al centro la sovranità popolare. Contemporaneamente, in Islanda si parla della creazione della "Icelandic Modern Media Initiative", una vera e propria "campana di vetro" che proteggerebbe libera informazione, giornalisti, internet providers giornalistici di tutto il mondo, per rendere il Paese un rifugio sicuro per ogni tipo di fonte di libera informazione. E di fronte anche a questa notizia, ve lo garantisco, c'è chi trema.

Gianni Musetti
Segretario Nazionale GIOVENTU' ITALIANA

 
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venerdì, 26 agosto 2011

26 Agosto 1974 – In ricordo di Junio Valerio Borghese


Nacque in una delle famiglie più blasonate della nobiltà capitolina il 6 giugno del 1906 ad Artena in provincia di Roma. Di antiche origini senesi , con tre cardinali, un Papa e la sorella di Napoleone Bonaparte  fra i suoi rami araldici. Visse nei primi anni di vita in viaggio fra l’Italia e le principali capitali estere, soggiornando in Cina, Egitto, Spagna, Francia e Gran Bretagna. In Italia trascorse per lo più il suo tempo a Roma e ai Castelli Romani.
Sposò a Firenze, il 30 settembre del 1931, la russa contessa Olsoufiev Schouvalov, da cui ebbe quattro figli. Attratto dalla vita militare, nel 1922 venne ammesso ai corsi della Regia Accademia Navale, dalla quale uscì nel 1928 con il grado di guardiamarina; dovette comunque attendere quasi un anno per avere il suo primo imbarco, sull’incrociatore Trento. Nel 1930 venne promosso sottotenente di vascello e imbarcato su una delle torpediniere operanti in Adriatico. L’anno successivo frequentò il corso superiore dell’Accademia Navale, e nel 1932 venne trasferito ai sommergibili. Dopo aver frequentato il corso di armi subacquee, nel 1933, promosso tenente di vascello, venne imbarcato dapprima sulla Colombo, quindi sulla Titano. Nonostante avesse nel frattempo conseguito i brevetti di palombaro normale e di grande profondità, fu solo nel 1935 che ricevette il primo incarico di sommergibilista, partecipando alla guerra d’Etiopia, dapprima imbarcato a bordo del sommergibile Tricheco, successivamente del Finzi. Nel 1937 assunse, infine, il primo comando. Con il sommergibile Iride prese parte alla guerra civile spagnola. In questa occasione il sommergibile fece parte ufficialmente della flotta nazionale spagnola. In seguito all’esperienza della guerra civile spagnola venne decorato l’8 aprile del 1939 della medaglia di bronzo al Valor militare per l’elevato spirito offensivo e le solide qualità professionali dimostrate nel corso delle operazioni.
Trasferito successivamente presso la base di Lero, nel Dodecaneso, vi rimase fino all’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno del 1940. Nelle prime fasi del conflitto, come comandante del sommergibile Vittor Pisani, prese parte alla battaglia di Punta Stilo e a una serie di falliti tentativi di forzare il porto di Gibilterra, tra il settembre e l’ottobre del 1940. Promosso capitano di corvetta, nel 1941 venne designato alla Decima Flottiglia Mas, dove assunse gli incarichi di comandante del sommergibile Scirè e di capo del reparto subacqueo. Anche con il suo contributo vennero pianificati e realizzati i progetti per il forzamento delle rade di Gibilterra e Alessandria, per questo nominato Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. In seguito alla prima riuscita azione su Gibilterra, il 2 gennaio del 1941 gli viene conferita la medaglia d’oro al Valor militare. Immediatamente dopo l’armistizio dell’8 settembre del  1943, Junio Valerio Borghese, costituì un reparto di volontari denominato Decima Mas, riuscendo a concludere, il 14 settembre, un accordo con Max Berninghaus, comandante navale delle forze del Terzo Reich in Liguria, con il quale la neonata flottiglia venne riconosciuta quale unità combattente con piena autonomia in campo logistico, organico, della giustizia, disciplinare e amministrativo e battente bandiera italiana.
Alla nascita, pochi giorni dopo, della Repubblica Sociale Italiana, la Decima Mas fu inserita nell’organico della Marina Nazionale Repubblicana, sebbene essa agisse di fatto in maniera del tutto autonoma. Nonostante i contrasti con i vertici politici e militare della Repubblica Sociale Italiana, le sue forze furono impegnate su tutti i fronti più importanti, a partire da quello di Anzio e di Nettuno. Il regolamento della Decima Mas prevedeva la totale uguaglianza fra ufficiali e truppa, promozioni guadagnate solo sul campo, pena di morte per i Marò colpevoli di furto, saccheggio, diserzione o vigliaccheria di fronte al nemico. I militari della Decima Mas furono tutti volontari, provenienti dalle più diverse armi delle Forze Armate Repubblicane. Non si registrò mai un calo del numero di volontari e infatti si costituirono numerosi corpi di fanteria di marina, il tutto anche in virtù della popolarità che Junio Valerio Borghese riscuoteva fra le masse. L’attività della Decima Mas non si limitò alle incursioni navali contro le forze nemiche, ma si estese alla costituzione di reparti di terra che assunsero al termine del conflitto le dimensioni di una vera e propria divisione di fanteria leggera. Tuttavia a causa dell’opposizione tedesca la Divisione Decima Mas non poté mai entrare in azione come unità organica, ma fu frazionata in battaglioni usati dai comandi tedeschi sul fronte della Linea Gotica e poi del Senio. Una parte della Divisione era pronto per muovere sul confine orientale, per difendere Trieste e Fiume dall’avanzata degli iugoslavi, ma fu bloccato prima dai tedeschi e poi dalla svolta rappresentata dalla Liberazione nell’aprile del 1945. A partire dal 1944 la Decima Mas fu impiegata anche in attività antipartigiane e rastrellamenti di civili nelle zone dove agivano i partigiani. Gli ultimi reparti della divisione, decimati dagli attacchi inglesi, si arresero a nord di Schio, in Veneto, il 2 maggio del 1945.
Al termine del conflitto, dopo lo scioglimento formale della Decima Mas il 26 aprile del 1945 in piazzale Fiume a Milano, Junio Valerio Borghese fu preso in consegna dalla polizia partigiana. In seguito, l’11 maggio fu trasferito a Roma, dove trascorse un breve periodo prima di essere ufficialmente arrestato dalle autorità americane il 19 maggio per essere trasferito nel carcere di Cinecittà. Rilasciato in ottobre, venne nuovamente arrestato dalle autorità italiane e trasferito da un luogo di detenzione all’altro, in attesa dell’inizio del processo. Il 17 febbraio del 1949, ritenuto colpevole solo del reato di collaborazionismo con i tedeschi, venne formalmente condannato a dodici anni di detenzione ma, in seguito all’applicazione di una serie di condoni e riduzioni di pena, fu subito scarcerato. Nel dopoguerra Junio Valerio Borghese aderì al Movimento Sociale Italiano, di cui fu nominato presidente onorario nel 1951. Inizialmente appoggiò Giorgio Almirante, poi abbandonò il partito, che giudicava troppo debole, si avvicinò alla destra extraparlamentare e nel settembre del 1968 fondò il Fronte Nazionale. Intanto nel 1963, aveva ottenuto l’incarico puramente onorario di presidente del Banco di Credito Commerciale e Industriale. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970 promosse un colpo di stato, avviato e poi interrotto, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale, paramilitari appartenenti a formazioni dell’estrema destra e di numerosi alti ufficiali delle forze armate e funzionari ministeriali. In seguito al fallimento del golpe, Junio Valerio Borghese si rifugiò in Spagna dove, non fidandosi della giustizia italiana che nel 1973 revocò l’ordine di cattura, rimase fino alla morte, avvenuta in circostanze sospette a Cadice, il 26 agosto del 1974. Lo stesso anno Borghese era stato in Cile con Stefano Delle Chiaie, per incontrare il generale Augusto Pinochet e il capo della polizia segreta cilena, Jorge Carrasco. Fu sepolto nella cappella di famiglia, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma.
www.libero-mente.blogspot.com
carminecetro@inwind.it 
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LA FERITA DEL BUS DE LA LUM

 


    


28 Agosto
LA FERITA DEL BUS DE LA LUM

PROGRAMMA

Ore 09.00) RITROVO PRESSO IL CIMITERO VECCHIO DI FARRA
D’ALPAGO (BELLUNO); A POCHE DECINE DI
METRI DAL LAGO DI SANTA CROCE
Ore 09.30) COMMEMORAZIONE DEGLI UNDICI TRA UFFICIALI E
SOTTOUFFICIALI E MILITARI DELLA REPUBBLICA
SOCIALE ITALIANA INFOIBATI A MONTE PRESE IL
27 E 28 APRILE 1945
Ore 10.00) COMMEMORAZIONE PRESSO IL CIMITERO DI
LAMOSANO D’ALPAGO IN ONORE DEI 64
PRIGIONIERI DI GUERRA (63 RSI + UN
SOTTUFFICIALE GERMANICO ) DEPREDATI ,
DENUDATI , SEVIZIATI E GETTATI IN UNA
FORNACE DI CALCE IL 22 MARZO 1945 PRESSO
MALGA VENAL VICINO A FUNES DI LAMOSANO
Ore 11.00) PRESSO LA FOIBA “BUS DE LA LUM” NELLA
FORESTA DEL CANSIGLIO (AD UNA DECINA DI KM
DA TAMBRE COMMEMORAZIONE IN ONORE DEI
CIVILI E MILITARI DELLA REPUBBLICA SOCIALE
ITALIANA E TEDESCHI INFOIBATI A CENTINAIA
TRA IL 1944 E IL 1945 . LA SANTA MESSA VERRA
CELEBRATA NEL BOSCO, ALL’INIZIO DEL
SENTIERO PER DAR MODO A TUTTI DI
PARTECIPARVI, OFFICERA’ PADRE GIULIO MARIA
TAM.
Ore 13.00) PRANZO SU PRENOTAZIONE PRESSO IL RISTORANTE
IL BOSCHETTTO POUS D’ALPAGO AL PREZZO DI
EURO 27.00

SONO AMMESSE BANDIERE , LABARI ,
GAGLIARDETTI ET SIMILI DELLA REPUBBLICA
SOCIALE ITALIANA NON SONO ASSOLUTAMENTE
AMMESSI BANDIERE E SIMBOLI DI PARTITO




INFO E PRENOTAZIONE PRANZO:
LUCIANO SONEGO 333 52 18 311 PRESIDENTE
CONTINUITAIDEALE(TV )
LOVISETTO GIOVANNI 377 2058259 DIRETTORE
LITTORIO


Comitato organizzatore RNCR-RSI-CONTINUITA
IDEALE sezione di Treviso
www.rsitreviso.it info@rsitreviso.it
 
 
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giovedì, 25 agosto 2011

Blitz dei nomadi in chiesa: interrompono
la messa e chiedono l'elemosina ai fedeli
 

(archivio) 

di Marco Aldighieri
PADOVA - Nel quartiere Arcella, messa interrotta, e omelia stoppata da tre rom in cerca di elemosina. Sono passate da poco le 19 di domenica 14 agosto quando tre nomadi, un uomo e due donne sulla quarantina, entrano nella chiesa del Buon Pastore. Il tutto mentre don Giorgio parla ai fedeli, molti sono anziani.

Il rom, per nulla preoccupato di essere nel mezzo di una funzione religiosa, si avvicina all’altare e grida "datemi dei soldi devo andare a Roma a trovare la mia bambina". Lo stupore è generale. Testimone oculare della questua forzata è il "nonno vigile" di 75 anni Tito Panizza: «Non credevo ai miei occhi - racconta - non ho mai assistito in chiesa a una scena del genere. Non pratico molto, ma sono un credente. Quanto è capitato è stato un insulto a Dio e ai suoi fedeli. I tre nomadi hanno interrotto la messa per quindici minuti». Fino a quando non è intervenuta la perpetua: «Se non uscite subito chiamo i carabinieri», ha urlato la donna. I tre, hanno cominciato ad andarsene non senza che il capo dei tre, gridasse maledizioni e imprecazioni all’indirizzo del prete e dei fedeli.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti i tre nomadi, sarebbero stati ospiti dei Rogazionisti. Avrebbero mangiato sotto un gazebo, come fanno decine di poveri aiutati dai preti della comunità di via Tiziano Minio. Poi, invece di lasciare il centro, hanno deciso per il blitz in chiesa.


http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=160744&sez=NORDEST 
 
 
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